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Autore: catoptris    25/03/2017    2 recensioni
Los Angeles era argomento off-limits, lo sapevano tutti. La ragazza iniziava a dare in escandescenza al solo sentirlo nominare. O al sentir nominare la famiglia Blackthorn.
La verità è che le mancavano più di quanto realmente volesse ammettere: ricordava a malapena gli occhi di Ty, il volto dolce di Dru, la sicurezza con cui si muoveva Livvy, i piccoli versi che faceva Tavvy - anche se ormai aveva sicuramente imparato a parlare. Le mancava perfino Mark, sempre con quell'aria da ragazzo perfetto e imbattibile, che lo accumunava in maniera inquietante sia con Jace che con il popolo fatato, del quale possedeva i tratti. Li ricordava vagamente, ma sapeva con certezza che erano delicati e precisi. Ma più di tutti, era Julian a mancarle. Il suo migliore amico, con il quale aveva affrontato anche troppo a soli dodici anni. Sarebbero dovuti diventare parabatai e restare insieme, lì nell'Istituto di Los Angeles.
Genere: Angst, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Emma Carstairs, Julian Blackthorn, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Kit era corso fuori dalla stanza terrorizzato dopo che Emma lo aveva letteralmente minacciato. Non era mica colpa sua se l’aveva vista piangere durante la cerimonia, darle un fazzoletto gli sembrava solo un gesto carino.
“Si può sapere che ti ha fatto di male? Cercava solo di essere carino,” rise Mark alle spalle di Emma. Lei sbuffò, passandosi le mani sul viso.
“Mark, non mi interessa dei tuoi riflessi da fata, se vai a dire in giro che ho pianto strapperò la lingua anche a te,” dichiarò, voltandosi nella sua direzione. Mark rimase a osservarla per qualche istante, le labbra appena dischiuse. Poi scoppiò nuovamente a ridere e, senza pensarci troppo, l’attirò a sé per abbracciarla. Emma rimase appena interdetta – onestamente non se l’aspettava. “Ti senti bene? Prima ridi a una battuta e poi mi abbracci, la cosa si fa preoccupante,” borbottò, con il volto appena premuto contro il petto del ragazzo, ancora troppo alto per i suoi gusti.
“Sto cercando di riprendere vecchie abitudini – ho sbagliato qualcosa?” domandò, allontanandola appena. Lei sollevò lo sguardo e un piccolo sorriso si vece spazio sulle sue labbra; gli posò le mani sul petto, arricciando il naso e inclinando il capo verso un lato.
“Affatto,” replicò prima di rivolgere il palmo delle mani verso l’alto. “Quindi, dati i tuoi tentativi, suppongo di poterti chiedere se vuoi ballare. No?”
Lo sguardo sul volto di Mark fu di puro terrore, ed Emma si ritrovò a ridere.
“Non so ballare – durante le feste delle fate è diverso,” cercò di indietreggiare, ma le dita di Emma si serrarono attorno i suoi polsi sottili, avvicinandolo a sé mentre indietreggiava verso la pista affollata.
“Sono sicura ci riuscirai, non è difficile,” rispose lei con un sorriso. Mark aveva quasi dimenticato il sorriso di Emma – in quel periodo l’aveva vista sorridere davvero fin troppo raramente. Con che cuore, quindi, poteva dirle di no?

“Da quanto ballano quei due?” Livvy si parò davanti Cristina di colpo, facendo sì che il discorso – molto, molto imbarazzante – con Diego si interrompesse. Da una parte fu immensamente grata alla minore, dall’altra, capendo chi aveva attirato la sua attenzione, desiderò fuggire a gambe levate.
“Credo sia il loro terzo ballo, perché?” mugugnò, rivolgendo un’occhiata di sottecchi a Mark ed Emma che ballavano, ridendo. Lui sembrava talmente impacciato all’inizio che, vedendo la sicurezza con cui ora si muoveva, Cristina faticava a distogliere lo sguardo. Era come se spiccasse all’interno della sala, luminoso come solamente Mark Blackthorn poteva essere.
Al contrario, Emma aveva palesato la sua sicurezza sin dal primo istante, trascinando il povero malcapitato come fosse un burattino finché non erano riusciti a coordinarsi. Non se l’aspettava, Cristina, ma la bionda era davvero una brava ballerina.
“Secondo me c’è qualcosa,” ghignò la piccola. A quelle parole, Cristina sollevò lo sguardo al cielo.
“Livvy, solo perché due persone stanno bene insieme non significa che ci sia qualcosa tra di loro,” quasi sbuffò, facendo corrugare la fronte dell’altra. “Non cercare sempre una storia tra le persone, non tutto ruota intorno alle relazioni amorose. Ci sono cose molto più importanti, soprattutto per noi Shadowhunters,” aggiunse, rivolgendole un’occhiata che fece distogliere lo sguardo della minore. La serietà di Cristina l’aveva talmente colpita che neppure si rese conto del mezzo giro di Emma che, scostata dal corpo di Mark, chiuse gli occhi e si lasciò andare, finché il suo corpo non si scontrò con quello di qualcun altro.

Julian chinò lo sguardo, con il cuore che gli batteva all’impazzata. Emma gli era letteralmente scivolata tra le braccia, aggrappandosi al suo collo e ridendo sommessamente, con il fiato corto e i capelli appena arruffati attorno il capo. Sollevò lo sguardo, incontrando il volto di Mark che, con il capo inclinato, gli sorrise incoraggiante. Era quello che aveva in mente da tutta la sera?
“Jules?” mormorò, reclinando appena il capo. Lui dischiuse appena le labbra, per replicare, ma rimase bloccato a osservare i suoi occhi: riusciva a leggervi il divertimento e la libertà che aveva provato in quegli istanti, e gli sembrò di precipitarci dentro. Osservò anche le sue guance arrossate, così come le labbra, dischiuse. Osservò la sua pelle candida intrecciata di cicatrici di rune, e il petto che le si alzava e abbassava rapidamente. Aveva sempre guardato Emma, sempre, ma in quel momento gli parve di non averla mai vista. Solo starle vicino lo faceva sentire più forte, meno insicuro. Si riscosse quando vide le labbra della ragazza muoversi e le sue mani premergli appena sul petto, per allontanarsi. L’afferrò per i fianchi, bloccandola e attirandola nuovamente a sé.
“Non abbiamo mai ballato insieme,” disse semplicemente. Un lieve sorriso si dipinse sulle labbra della giovane mentre chinava lo sguardo verso terra, lasciandosi ricadere i capelli ai lati del volto. Lui glieli scostò con delicatezza, sfiorandole la guancia con il dorso della mano – non desiderava far altro da mesi e mesi. Gli mancava la sua pelle come avrebbe potuto mancargli l’aria: starle lontano gli faceva male. Gli sembrava di avere un uncino piantato sotto le costole, con qualcosa che tirava in senso opposto. Lentamente, le avvolse un braccio attorno i fianchi, stringendola con dolcezza a sé mentre cercava con la mano libera la sua. Lei si poggiò delicatamente al suo petto, sorreggendosi, reclinando appena il capo, e intrecciò le dita alle sue. Fu un gesto rapido e privo di esitazioni, come se lo avessero fatto per tutta la vita.
Se ballare con Mark era stato divertente e liberatorio, trovarsi lì con Julian, ondeggiando lentamente a ritmo della musica lungo la pista era come librarsi a metri e metri da terra, avvolta dal profumo familiare di casa. Jules sapeva di bagnoschiuma, di colori, di buono. Era un profumo che Emma avrebbe riconosciuto ovunque, e lo avrebbe portato con sé nonostante tutto.
Il modo in cui si muovevano lungo la pista era talmente naturale e semplice che finirono tutti con lo scostarsi, lasciando spazio ai due che sembravano privi di limiti. Oltre a esser perfettamente coordinati, creavano un’armonia superiore a quella della musica che invadeva chiunque restasse a guardarli un po’ più a lungo, rapendo la loro attenzione.
“Ti è piaciuta la cerimonia?” gli domandò in un sussurro Emma. Era timorosa di interrompere quel religioso e per nulla imbarazzante silenzio, ma sentiva lo sguardo dei Nephilim su di lei, e detestava quella sensazione. Le labbra di Julian si curvarono in un piccolo sorriso mentre le faceva fare un mezzo giro.
“Non l’ho seguita molto, ero concentrato su altro,” replicò, attirandola nuovamente a sé. Rimasero fermi qualche istante, e lui tenne lo sguardo sul suo volto. Le guance di Emma presero ulteriore colore, mascherato dalla stanchezza e l’euforia dei momenti passati.
“Julian,” mormorò. Sentì la presa delle sue braccia farsi più salda, sebbene non ce ne fosse alcun bisogno: non aveva intenzione da andare da nessuna parte. Non in quel momento.
“Avevo voglia di dipingerti, Em,” replicò lui, interrompendola. “Ci ho pensato davvero – ma non renderei giustizia,” aggiunse in tono più basso.
“Ty ha detto che non mi ha mai dipinta,” gli disse, facendo un altro mezzo giro. Un piccolo sorriso si fece spazio sulle labbra del ragazzo, che finì con il posare entrambe le mani sui suoi fianchi, inclinando il capo in avanti in direzione della curva del suo collo.
“È tutta la vita che ti dipingo, Em,” sussurrò, quasi contro la sua pelle. Lei si aggrappò alle sue spalle, scossa dai brividi. “O almeno ci provo. Non volevo che anche il ricordo che avevo di te svanisse come hai fatto tu,” aggiunse.
“È stata una tua scelta,” fu la risposta di Emma. Sembrava sul punto di crollare in mille pezzi, tenendosi solamente grazie alle mani agganciate alla giacca di Julian.
“Era l’unico modo,” disse poi il ragazzo, tirando nuovamente su il capo. I loro sguardi si incrociarono, ed Emma riuscì a rivedere l’oceano nei suoi occhi. Tornò a Los Angeles, dove l’aria sapeva di città, e di mare, e di deserto. Dove la sua vita era iniziata e dove credeva sarebbe finita. Dove lei e Julian avevano condiviso tutto. Dove i suoi genitori erano morti, e dove lei aveva perso tutto. “Ero innamorato di te anche allora,” fu la frase che riscosse Emma dai precedenti pensieri, facendola scivolare in una voragine che sembrava senza fine.
Si allontanò quasi barcollando dal ragazzo, mentre le girava la testa e iniziava a dolerle il petto. E lo stomaco. E i muscoli si facevano deboli, pronti a cedere da un momento all’altro. Uscì dalla sala di gran carriera, ignorando lo sguardo di Alec e quello di Mark. Erano l’ultima cosa di cui aveva bisogno.
Innamorato, innamorato, innamorato. Quella era la ragione per cui lei era stata spedita a New York, per cui non erano diventati parabatai.
“Emma, aspetta, per favore,” la richiamò Julian. Senza che se ne rendesse conto, la bionda aveva attraversato già metà corridoio.
“Sono passati cinque mesi, Julian, e me lo vieni a dire ora?” sbottò di colpo. “Posso capire l’ignorarmi per cinque anni, dopotutto non ci aspettavamo di rivederci – ma sono passati cinque mesi da quando sei qui, se non di più. E me lo vieni a dire adesso?” continuò, con voce sempre più alta.
“Emma..” tentò di richiamarla lui, avvicinandosi.
“Ma è stato un errore, sbaglio? Ciò che tu hai fatto è stato un errore! Meglio mantenere un rapporto di amicizia, no?” andò avanti Emma, il volto ora arrossato per la rabbia e il fiato corto. “Baciarmi, venire a letto con me, è stato un errore. Sono state parole tue, Julian, tue, e ora mi vieni a dire che eri innamorato di me?” senza che se ne rendesse conto, aveva iniziato a piangere, e le si era annebbiata la vista. “Questa sarebbe la ragione per cui mi hai allontanata? La ragione per cui sono stata costretta ad abbandonare casa mia? Avevamo dodici anni, Julian, e tu eri innamorato di me?” prim’ancora che finisse la frase, le mani del ragazzo si erano avvolte attorno i suoi polsi e l’aveva attirata a sé, passando a tenerle il volto mentre premeva quasi con prepotenza le labbra contro le sue. Inizialmente, lei tentò di indietreggiare, premendogli sul petto e respirando a fatica. Poi si sciolse contro la sua bocca, affondando le dita nel tessuto dei suoi abiti. Allora Jules si allontanò, sempre tenendole il volto tra le mani; le accarezzò lentamente gli zigomi e le guance, asciugando le lacrime che avevano continuato a scendere sul suo volto.
“Quello che sto cercando di dirti è che sono ancora innamorato di te, Emma,” mormorò lentamente. “Ma tornerò a Los Angeles – torneremo tutti a Los Angeles, e non volevo perderti una seconda volta,” sospirò, passandole lentamente le dita tra i capelli. “Allontanarti era l’unico modo, Em.”
La ragazza rimase qualche istante a guardarlo, immobile, come se avesse smesso persino di respirare, quando un singhiozzo proruppe dalle sue labbra arrossate, e si reclinò in avanti, nascondendo il volto contro il petto del ragazzo che le avvolse le braccia attorno le spalle prima di posare un delicato bacio sul suo capo. Come gli era venuto in mente?
   
 
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