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Autore: Halley Silver Comet    25/03/2017    3 recensioni
Sullo sfondo degli eclettici Anni ’80 si intrecciano fiaba e realtà, traffici illeciti e misteri, pregiudizi e desideri di libertà, mettendo alla prova i quattro protagonisti.
Ci sarà ancora tempo per il tanto sospirato lieto fine?
Il ragazzo buttò fuori l’aria tutta insieme, mandando al diavolo i suoi buoni propositi di seguire i consigli della meditazione orientale o qualsiasi cosa fosse.
«Buongiorno a te, Vittoria».
Stropicciandosi gli occhi, la nuova arrivata si avvicinò al tavolo e si sedette di fronte a lui.
«Ti ho disturbato?» domandò, reprimendo faticosamente uno sbadiglio.
«No, figurati. Dubito che possa sentirmi più infastidito di così» sbottò il giovane, sarcastico: non ce l’aveva con l’amica, ma davvero cominciava a trovare insopportabile tutta quella scabrosa situazione.
A tale risposta, la sua interlocutrice lo fissò sorpresa, ma non aggiunse nulla, probabilmente intuendo l’inquietudine che lo logorava da dentro; ciononostante, Marcello un secondo più tardi si pentì di essersi rivolto a lei in quel modo poco gentile. In fondo, non era certo colpa di Vittoria se quello schifoso di Navarra aveva deciso di sequestrare Beatrice
.”
Genere: Commedia, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Vento dell'Ovest - Capitolo 24



- Capitolo Ventiquattresimo -
Vento di Azione




L’
assenza di Marcello in ogni angolo della villa preoccupò non poco Beatrice che, dopo aver vagato in lungo e in largo per ben due ore alla sua ricerca, si sedette sotto ai pini con i gomiti poggiati sul tavolo e il mento tra i palmi aperti: suo marito sembrava essersi letteralmente volatilizzato.
Fu allora che, nella quiete della prima mattina, la ragazza si sentì ancora più sola ed in colpa per tutto ciò che gli aveva detto, ritrovandosi a riflettere sul fatto che stesse imparando sulla propria pelle quanto la rabbia e la delusione potessero essere le peggiori consigliere, rendendola cieca ed insensibile.
Improvvisamente, mentre se ne stava lì, meditando su dove potesse essere il suo consorte, udì una voce che la salutava: «Oh, ciao, Beatrice».
Subito, la giovane alzò appena la testa, distogliendosi dai suoi tristi pensieri e scorgendo Gerardo che si avvicinava a lei, sul viso un’espressione non molto dissimile dalla sua.
«Ciao» rispose, osservandolo mentre si accomodava anche lui al tavolo e si guardava intorno con fare rassegnato.
«Stai cercando la Vittoria, per caso?» gli chiese poi, intuendo che ci fosse qualcosa che non andava. Infatti, si accorse proprio in quel momento che, nel suo girovagare per la villa ed il giardino, non aveva incrociato nemmeno l’amica, nonostante a quell’ora fosse solitamente di ritorno dalla sua oretta di bagno di sole.
Prima di replicare, l’altro incrociò le braccia e vi sprofondò il viso. 
«Sì» fece la sua voce, soffocata, benché fosse abbastanza chiara da svelare la nota d’afflizione che la impregnava. «Sembra essere sparita nel nulla».
«Come Marcello» commentò Beatrice, cupa.
Per qualche minuto rimasero ognuno concentrato sui propri pensieri, lasciando che si udisse solo il cinguettio degli uccellini, dispersi tra i rami degli alberi. Poi, senza preavviso, Gerardo riemerse dal suo nido di depressione e puntò lo sguardo negli occhi blu della sua interlocutrice.
«Avete... litigato anche voi?» si azzardò a domandare, non senza un certo imbarazzo. 
In risposta, quella sospirò, annuendo, e il giovane decise di non indagare oltre, dimostrando ancora una volta la sua discrezione. In quel frangente, Beatrice si ritrovò ad osservarlo attentamente e a pensare che, prima di allora, non aveva mai avuto l’occasione di restare sola con lui a parlare di argomenti molto personali; ciò che la stupì, però, fu la sensazione di sentirsi completamente a suo agio, come se ce ne fossero state molte altre.
«Tu sapevi di Giacomo?» domandò tutt’ad un tratto il ragazzo, richiamando la sua attenzione.
«Sì» rispose lei, cominciando lentamente. «Per questo ho consigliato alla Vittoria di parlartene».
«Be’, non l’ha fatto» ribatté istantaneamente lui, guardandola torvo. «Ho scoperto che cosa era successo solo quando quello si è presentato in spiaggia e mi ha sbattuto in faccia quanto si sia divertito alle mie spalle» aggiunse, stizzito, allontanandosi dal tavolo con tutta la sedia e voltando la testa dall’altra parte.
Percependo più delusione e dispiacere che rabbia, la giovane tentennò per qualche istante prima di esprimere la sua opinione: «La Vittoria ha sbagliato, l’è vero, ma è stato solo percl’aveva paura di perderti».
«Mi sono sentito preso in giro» ribatté lui, piuttosto risentito.
In risposta, Beatrice indurì lo sguardo, sentendosi in dovere di prendere le difese della sua amica, non approvando la scarsa considerazione manifestata da Gerardo verso i sentimenti di lei.
«L’è stata molto male, sai? Non le fa certo piacere essere importunata dovunque vada» sbottò.
Tuttavia, il ragazzo non mostrò alcun mutamento, perché replicò: «Appunto per questo avrebbe dovuto parlarmene, non trovi?»
«Potresti anche cercare di metterti nei suo’ panni, per una volta!» insorse, allora, la fanciulla, scoccandogli un’occhiata di disapprovazione. «Non l’è facile come pensi, sai? Vorrei proprio vedere se ci fossi stato tu al su’ posto! Davvero credi che saresti stato così sicuro?»
A quel punto, la conversazione precipitò in un silenzio teso e i due giovani si scrutarono, immobili, per parecchio tempo. Perfino gli uccellini smisero di cantare, come se fossero anche loro in attesa di qualcosa.
Quel muto e statico scontro, però, si concluse presto con la resa di Gerardo, il quale chiuse gli occhi e sospirò, lasciando trapelare tutta la malinconia che, fino a quel momento, aveva confinato in fondo al suo cuore.
«No, anzi, penso proprio che sarei stato in difficoltà» ammise, finalmente, abbassando lo sguardo.
Sorpresa, Beatrice si sentì un po’ in colpa per essere esplosa in quella maniera, sapendo di aver esagerato.
«Mi spiace, non volevo essere scortese» si affrettò a dirgli, «ma ho visto quanto la Vittoria ha sofferto e so che non c’era malizia nel tenerti nascosta una cosa simile».
«Hai ragione tu» mormorò a sua volta il ragazzo, mesto. «La verità è che sono stato a contemplarla in disparte per così tanto tempo che non mi sembra vero che adesso stiamo insieme. Inoltre, mi sento così inferiore a lei che ho sempre paura che qualcuno possa portarmela via».
Poi, fece una piccola pausa, durante la quale ne approfittò per togliere due aghi di pino che erano caduti sul tavolo, gettandoli a terra. «Vorrei chiederle scusa, ma non so dove sia. Anche se penso che sia con Marcello» aggiunse, più rivolto a se stesso che alla sua interlocutrice.
«Dici?» intervenne, però, Beatrice, incuriosita da quel particolare.
«Oh, sì. Quando Vittoria aveva qualche problema sentimentale, cercava sempre lui ed io lo invidiavo da morire per questo» spiegò l’altro, con un’alzata di spalle, tornando a guardarla. «Solo recentemente, infatti, ho capito perché non sceglieva me».
In quel momento, tutta la tristezza per la lontananza del marito tornò a farsi sentire e la giovane pensò che Gerardo non era il solo a doversi scusare con qualcuno.
«Secondo te, Marcello riesce a perdonare chi l’ha ferito nell’orgoglio?» gli chiese, all’improvviso, serrando nervosamente le mani tra di loro. «Temo d’esser stata un po’ troppo... severa con lui».
Inaspettatamente, invece di risponderle subito, Gerardo la fissò per qualche secondo, immobile, prima di sciogliersi in un tenero sorriso.
«Se lo conosco bene come penso, ti ha già perdonata» le rivelò, dolcemente. «Probabilmente, ora è in un angolo a leccarsi le ferite, ma tornerà presto da te, ne sono certo. Anche se non sembra, non riesce a starti lontano troppo a lungo».
«Oh!» esclamò lei, arrossendo. Per un po’, rimase zitta, ma poi, avvertendo l’impellente bisogno di sfogare le sue angosce con qualcuno, proseguì: «Non l’avrei dovuto dirgli quelle cose brutte, ma mi sono sentita abbandonata e... non sono riuscita a trattenermi».
Il giovane tentò di rassicurarla, gentile: «Quando si butta sul lavoro, non c’è per nessuno. Tuttavia, si vedeva quanto teneva a risolvere l’intera faccenda al meglio solo per farti felice. Devi avere un po’ di pazienza con lui e vedrai che, per amor tuo, cambierà».
Abbastanza rinfrancata da tali parole, Beatrice si sforzò di sorridergli a sua volta, contenta di essersi aperta con lui e di aver intravisto, grazie alle sue parole, una speranza di poter ricucire il suo rapporto con Marcello.
***

La dependance di cui aveva parlato il dottor Costa si trovava in un boschetto di querce, non molto distante dalla villa dei Neri. Dall’esterno, sembrava una casetta di legno abbastanza malmessa: quasi tutte le assi delle pareti erano crivellate dalle tarme e i vetri delle finestre erano opachi e scheggiati; in un angolo, erano ammucchiate le cassette di plastica nera che sarebbero dovute servire per la raccolta delle olive.
I due giovani erano rimasti per un po’ nascosti tra gli alberi, ad osservare il circondario, pronti a rilevare anche il più piccolo movimento sospetto o rumore proveniente dalla catapecchia, senza tuttavia riportare alcun risultato.
«Non sembra una dimora molto accogliente» commentò Vittoria, lanciandole uno sguardo compassionevole. «Secondo me, ammesso che ci sia stato qualcuno, deve essere andato via il prima possibile».
«Avviciniamoci con cautela, che ne dici? Solo così potremo scoprire se è davvero abitata» suggerì, allora, Marcello, lasciando il suo nascondiglio e procedendo verso quell’ammasso di vecchio legname. «Stai dietro di me» ordinò poi a Vittoria, afferrandola per un polso e costringendola a mettersi alle sue spalle.
Si sentiva responsabile nei suoi confronti e sapeva che, se le fosse successo qualcosa, Gerardo non glielo avrebbe mai perdonato, anche se, ovviamente, sarebbe stato lui il primo a sentirsi in colpa.
Avanzarono lentamente, con estrema cautela, attendendo diversi secondi tra un passo e l’altro, in costante allerta, ma, per fortuna, non accadde nulla e riuscirono a raggiungere senza intoppi la baracca.
«L’interno è buio ed i vetri sono sporchi» bisbigliò la ragazza, dopo aver lanciato una rapida occhiata, dondolando sul posto per cercare di vedere meglio.
Marcello stava per replicare che, forse, non c’era davvero nessuno, quando si udì un tonfo, seguito da un orrendo, cavernoso grugnito: «Basta con questi peperoni, Landi! Siamo su un’isola e non riesci a rimediare dei camarones
«Non è così facile pescare dei gamberetti, sai?» replicò, immediatamente, la voce di Giacomo.
A quel punto, i due giovani si guardarono e, capendosi senza proferire mezza parola, si sporsero quel quanto che bastava per avere una panoramica del piccolo porticato della casetta, senza essere visti. Fu allora che Marcello ebbe la conferma che, a pochi passi da lui, c’era l’uomo che più odiava al mondo e che aveva a lungo sperato di incontrare nuovamente.
«Questo passa il convento, Navarra» lo rimbrottò il giovane Landi, gettando ai piedi dell’altro il cestino colmo di vegetali, che si rovesciarono, spargendosi sul terreno spoglio.
Subito dopo, sbucò dalla casetta anche Pablo, puntando addosso al ragazzo la sua pistola. Quello, però, rimase impassibile e, anzi, attaccò di nuovo: «Non ti conviene ordinare al tuo scagnozzo di farmi fuori, Navarra. Sono l’unico che può aiutarti a lasciare l’Elba e farti tornare a casa».
«Certo! Lasciare questo sputo di terra per portarmi su un’altra isla!» berciò l’altro, tirando un calcio ad una cassetta di legno marcito, sfasciandola.
«Ti ho già spiegato» cominciò stancamente il ragazzo «che l’unico modo per rallentare la polizia è fare scalo in un altro paese, prima di raggiungere la Spagna. È una fortuna che ci troviamo a così poca distanza dal suolo francese».
L’uomo alzò lo sguardo su di lui, ma non replicò, fissandolo per qualche istante.
«Ecco come stanno le cose...» mormorò, allora, Marcello a Vittoria, mentre anche gli ultimi dettagli trovavano la loro collocazione all’interno del complesso quadro. Dal canto suo, lei si limitò a scuotere la testa, concentrata sui malviventi.
Trascorse qualche altro momento di esitazione, poi, alla fine, lo spagnolo fece segno a Pablo di mettere giù l’arma.
«Questa notte andremo via» annunciò Giacomo, accomodandosi su una vecchia sedia sgangherata, posta proprio accanto ad un palo di sostegno del porticato.
«Se così non dovesse essere, non ti risparmierò» decretò secco Navarra, spronando con un cenno del capo il suo collaboratore a rientrare in casa.
«La nostra parola non ti basta, forse?» domandò l’altro, provocatorio, assottigliando lo sguardo.
In risposta, lo spagnolo fece schioccare la lingua contro il palato e misurò a grandi passi lo spazio prospiciente la casetta.
«Mi avevate promesso molto, quando sono venuto qui lo scorso gennaio» esordì, parlando molto lentamente. «Il mio silenzio sui vostri imbrogli negli affari dei Tolomei in cambio di una bella quantità d’olio da rivendere come aceite verde de Andalucìa1. Peccato che non abbiate rispettato gli accordi».
«Frode alimentare!» esclamò Marcello, abbassando subito dopo il tono di voce, allarmato, sperando di non essere stato sentito dai due. «Cos’altro diavolo hanno in mente?»
Tuttavia, non ebbe modo di dire altro alla sua compagna, giacché il Landi si alzò in piedi e, piantandosi davanti allo spagnolo con le mani in tasca ed un’espressione strafottente sul volto, non tardò a dire la sua.
«Sai bene che abbiamo fatto di tutto affinché quell’uomo morisse la settimana prossima, perché così
avremmo avuto il tempo di organizzarci meglio» scandì. «Non è certo colpa nostra se ora abbiamo quel mastino di Guardalupi alle calcagna!»
«Una settimana in più non avrebbe comunque risolto il problema, le aceitunas non sono ancora mature» ribatté Navarra, accarezzandosi la barba e guardando minaccioso il suo interlocutore.
«Avrei lasciato delle istruzioni dettagliate a Fiammetta su come far arrivare le olive a Cordova» spiegò l’altro, scuotendo la testa con noncuranza. «Una volta convinti i braccianti che le piante erano infette, sarebbe stato un gioco da ragazzi farle raccogliere da gente fidata e appropriarsene».
A quel punto, Conrado estrasse da una tasca dei pantaloni un pacchetto di sigarette, mettendosene una tra le labbra. Poi, prese un accendino di latta e ne fece scattare il coperchio a poca distanza dal volto di Giacomo. La fiammella gli divampò davanti, ma quello non si mosse, anche se il suo volto tradiva la preoccupazione che lo tormentava dentro.
«Da quel che so, tu esposa non è dalla tua parte» commentò malignamente Navarra, accendendosi la sigaretta e sbuffando in faccia all’altro il fumo.
«Pur di non far morire il suo dottorino, avrebbe fatto qualunque cosa» replicò il ragazzo, tossendo e agitando una mano per dissipare velocemente la coltre grigiastra.
Allontanandosi di poco, lo spagnolo tirò qualche altra boccata, tenendo una mano in tasca mentre osservava con un ghigno ironico Landi, prima di replicare.
«Ho fatto bene a venire di persona ad accertarmi delle condizioni della tenuta dei Tolomei, ma non a fidarmi di voi» sentenziò, irritato.
«Be’, in fondo, il piano non era male» si giustificò il ragazzo. «Ti avrebbe aiutato anche a vendicarti di Tornatore, che ti ha soffiato la contessina».
Nel sentirsi tirare in ballo, Marcello si appiattì ancor di più contro la parete della casetta e sbatté le palpebre, scambiandosi subito dopo uno sguardo stupito con Vittoria, piuttosto agitata. Uno schianto, però, attirò nuovamente la loro attenzione: con un violento calcio, lo spagnolo aveva distrutto un’altra cassetta.
«Quel maldito!» latrò, digrignando i denti come una belva pronta a fare a pezzi la sua preda. «Se non fosse stato per lui, avrei avuto tutto questo e la bella Beatriz
Giacomo, però, non dovette essere d’accordo, poiché non perse tempo nell’esprimere il suo parere su un
argomento di cui si sentiva molto esperto.
«Non capisco davvero come faccia a piacerti quel pallido spaventapasseri dai capelli rossi» commentò, inconsapevole che Marcello, fremente di rabbia, fosse in ascolto. «Mio padre mi ha obbligato a far finta di farle la corte per portare zizzania tra lei e suo marito, ma, a dirla tutta... io preferisco di gran lunga la sua amica» aggiunse, infine, negli occhi un luccichio sinistro.
«Mi è arrivata la voce che anche Victoria Farnese è qui» affermò, allora, Navarra, piuttosto annoiato, scagliando il mozzicone nel fitto della boscaglia. «La conosco. La sua bellezza è all’altezza della sua fama, ma è una di quelle mujeres che hanno più tetas che cervello».
«Sì, è davvero ben fornita» confermò l’altro, sogghignando e gesticolando volgarmente per alludere alle forme della ragazza. «
Comunque, intelligente o meno non importa, visto che me la devo solo spupazzare un po’ prima di andarmene».
Indignata da quel disgustoso scambio di battute, Vittoria saltò su e si sarebbe fatta scoprire, se l’amico non l’avesse prontamente afferrata per un polso e costretta a tornare al suo posto.
«Lasciami!» soffiò, divincolandosi come una gatta imprigionata. «Devo andare a cavare gli occhi a quei due porci!»
«Ferma!» la riprese il biondo, cercando di bloccarla senza farle male. «Sei impazzita, per caso?! Vuoi farti uccidere?»
«Mi stanno insultando!»
«Lo so, ho sentito» bisbigliò lui, guardandola negli occhi con decisione. «E ti assicuro che pagheranno per ogni parola di troppo che hanno usato verso di te o Beatrice, ma ora, ti prego, calmati».
Dopo qualche secondo di esitazione, finalmente, lei smise di agitarsi, pur continuando a tremare per la frustrazione ed il ribrezzo.
«In questo momento non possiamo farci scoprire, ma non la passeranno liscia, te lo prometto» le disse ancora lui, con dolcezza, accarezzandole una guancia. Poi, tornò a concentrarsi sui due malviventi che, a pochi passi da loro, ridevano sguaiatamente delle loro sconce osservazioni e, nauseato, mormorò: «Dovremmo informare immediatamente il commissario Guardalupi...»
«Posso andarci io!» esclamò all’improvviso una voce, facendoli sobbalzare entrambi.
«Leonardo!» fece Marcello, convinto di essere prossimo ad avere un infarto. «Che cosa ci fai qui?!»
«Ti ho visto uscire dalla casa del dottor Costa e ti ho seguito» spiegò innocentemente il ragazzino, che non poteva immaginare di aver inconsapevolmente attentato alla vita dei due giovani.
«Così, lui è Leonardo...» commentò Vittoria con un filo di voce, ancora piuttosto provata.
«Sì, sì, le presentazioni a dopo» tagliò corto il biondo, riprendendo fiato appoggiato con la schiena alla catapecchia, attento a non far scricchiolare le vecchie assi di legno. «Comunque è una buona idea» se ne uscì dopo alcuni secondi.
«Quale?» chiese l’amica, lasciandosi cadere a terra, esausta, come se lo spavento preso fosse stato il colpo di grazia.
«Leonardo andrà alla villa ad avvisare Beatrice e Gerardo, mentre tu andrai dal commissario» espose Marcello, con sicurezza, guardando prima l’una e poi l’altro.
«E tu?» domandò lei, confusa.
«Io resterò qui» asserì lui. «Per quanto ne sappiamo, questi individui potrebbero lasciare presto il loro nascondiglio e non possiamo assolutamente perderli di vista».
«È una follia!» protestò la ragazza, recalcitrante, scuotendo la testa con vigore. «Come puoi pretendere che ti lasci da solo? E se ti dovesse succedere qualcosa?»
«Tranquilla, non mi succerà niente».
«È arrivato Highlander2!» replicò Vittoria, ironica, accompagnando le parole con una smorfia di disappunto. «Davvero credi di essere invincibile? E se dovessero spararti?»
«Prima andrai da Guardalupi, prima ridurrai le possibilità che mi spediscano al Creatore» ribatté, allora, il ragazzo, scoccandole un’occhiata risoluta.
Nel frattempo, Leonardo, in silenzio, aveva spostato lo sguardo alternativamente fra i due, seguendo interessato tutto il discorso, e proprio in quel momento si decise ad intervenire.
«Anche io voglio mandare in prigione quei brutti ceffi!» fece, contento.
«Molto bene, allora ti affido Vittoria, assicurati che raggiunga Marciana Marina, d’accordo?» gli disse Marcello, scompigliandogli i capelli.
Il ragazzetto, allora, lo prese in parola e diede la mano alla giovane ancora riluttante, invitandola ad alzarsi, anche se lei non sembrava troppo convinta.
«Marcello... stai attento» lo supplicò, infatti, guardandolo con malinconia e apprensione.
In risposta, quello incurvò appena le labbra, sapendo bene di non avere altra scelta.
«Adesso andate, non c’è tempo da perdere!» li incoraggiò lui, restando a guardarli mentre entrambi si allontanavano alla chetichella, accompagnati da un sottile venticello che sembrava spronarli a correre più veloci.
***

Molinari archiviò l’ennesima deposizione inutile, stropicciandosi gli occhi stanchi.
Aveva accettato di buon grado di aiutare Guardalupi a sciogliere i numerosi enigmi alla base di quella contorta indagine, tuttavia le numerose falle nella ricostruzione degli eventi stavano rendendo vano ogni suo tentativo di tirare le fila del discorso.
Dopo un lungo sospiro, lanciò un’occhiata angustiata al suo fedele block-notes e all’ordinata grafia con cui aveva preso qualche appunto, grattandosi una guancia con fare perplesso.
«C’è qualcosa che non va, commissario?» domandò il collega più giovane, smettendo di applicare le graffette ai numerosi fascicoletti che aveva davanti.
«Si tratta di un caso molto strano» commentò l’altro, versandosi un bicchiere di succo alla pesca, per poi cominciare a sorseggiarlo poco alla volta, passando ad un’altra deposizione. «Sembra, infatti, che non ci siano dubbi su chi siano i colpevoli, ma che, al tempo stesso, non vi siano le prove sufficienti per richiedere un mandato d’arresto».
Guardalupi confermò, annuendo brevemente.
«Sì, è proprio così».
«Quando hai detto che sarà pronto il referto dell’autopsia, Giorgio?» gli chiese, allora, Molinari, tracciando una linea divisoria perfettamente orizzontale sul foglio delle annotazioni.
«Ho parlato stamane con il medico legale e mi ha assicurato che farà di tutto per farmelo avere al massimo entro domani» gli rispose quello, con tono di voce sicuro.
«Però, secondo il dottor Costa, i due Landi stanno progettando una fuga che, per quanto ne sappiamo, potrebbero attuare prima della prossima alba» gli fece notare l’altro, tornando ad immergersi nelle sue letture. Era quasi convinto che, anche quella volta, avrebbe fatto un buco nell’acqua, quando lesse il nome del sottoscrivente del documento.
In quel momento, come un lampo rischiaratore nella notte, ebbe un’illuminazione e si tuffò immediatamente sul faldone che raccoglieva tutti i documenti sul caso, cercandone un altro. Quando lo ebbe trovato, si diede mentalmente dello sciocco per non averci fatto caso prima e per non aver prestato maggiore attenzione ad un dettaglio tanto rilevante: evidentemente, il suo cervello stava protestando per essere costretto a lavorare anche in vacanza.
«Che rapporti hanno il signor Tornatore e la signorina Tolomei con questa vicenda?» domandò, di punto in bianco, al suo collega, desideroso di avere un sunto di informazioni prima di procedere con i suoi ragionamenti.
«Lei è la proprietaria della tenuta dove ha avuto origine il focolaio epidemico. Lui, oltre ad essere suo marito, era presente al momento del decesso di Ivano Berti» snocciolò sinteticamente Guardalupi, accigliato. «Perché me lo chiede?»
«Sono mie vecchie conoscenze» fece l’uomo, accarezzandosi il mento, vagamente sorpreso nel ritrovare lì i due giovani. «Qualche mese fa la ragazza è stata rapita da un noto trafficante d’armi, un certo Conrado de Navarra».
«Sì, ne ho sentito parlare» affermò, allora, l’altro poliziotto, con una rapida scrollata di spalle. «Se non sbaglio, è ricercato in tutta Europa».
«Già» mormorò Molinari, soprappensiero. «È una coincidenza molto... buffa».
«Una volta, lei mi ha detto che non esistono le coincidenze» replicò subito il giovane commissario, inclinando la testa da un lato e puntandogli addosso la penna che aveva in mano.
«Sì, è vero» fece l’altro, sinceramente meravigliato da quell’osservazione. «Ricordi ancora quel corso d’addestramento ad Olbia con l’ispettore Jackson?»
«Certamente. Le sono molto riconoscente per i suoi insegnamenti» disse Guardalupi, sorridendo appena e senza la più piccola traccia di ruffianeria nella voce. «Mi sono stati molto ut...»
Tuttavia, non riuscì a terminare la frase, perché Baccari irruppe come una furia nel piccolo ufficio, travolgendo maldestramente il vaso della begonia che era accanto alla porta che si rovesciò, spargendo la terra sul pavimento.
«Scusi l’interruzione, commissario, ma è arrivata una ragazza che dice di avere informazioni importanti per le nostre indagini sul caso della rogna!» esclamò, concitato.
Lì per lì, Guardalupi lo fissò stralunato, ma presto superò il disorientamento ed incalzò il suo sottoposto a fornire ulteriori dettagli.
«Che cosa ha detto di preciso?» 
«I due Landi stanno per lasciare l’isola» rispose quello, pronto.
«Maledizione, vanno fermati immediatamente!» ruggì Molinari, scagliando con violenza la matita contro il blocco.
L’ispettore li guardò entrambi ed esitò, prima di proseguire: «Commissario, non è tutto... A quanto pare, con loro ci sono altre due persone pronte a salpare dall’Elba».
«E chi sarebbero?» domandò il superiore, sempre più meravigliato.
«Ecco, all’inizio mi è sembrato strano che fossero proprio loro, perciò ho fatto un paio di telefonate e...» cominciò il ragazzo, per poi fermarsi bruscamente e deglutire un paio di volte.
«Baccari, non abbiamo tempo da perdere!» gli abbaiò addosso Molinari, spazientito dalla lentezza della giovane recluta. «Dicci di chi si tratta!»
Scosso dal rimprovero, l’altro sobbalzò e si affrettò a dire tutto quello che sapeva.
«Sono due individui su cui pende un mandato di cattura internazionale: Pablo Cabrera e... Conrado de Navarra».
Nell’udire quei nomi, entrambi i commissari spalancarono gli occhi e si scambiarono un’occhiata incredula, per poi tornare a rivolgersi al loro sottoposto.
«Baccari, portaci subito la ragazza!» ordinarono all’unisono, perentori.
***

L’afa di mezzogiorno aveva reso incandescente la fatiscente casetta di legno, facendola sembrare molto simile ad una grossa fornace accesa, pertanto, dopo aver cercato di resistere, Marcello dovette arrendersi e cedere, accovacciandosi accanto alle cassette impilate davanti a lui, con la speranza di essere ben nascosto.
Da quanto erano andati via Vittoria e Leonardo non era successo niente di rilevante: Navarra aveva continuato a studiare quella che sembrava una cartina, seduto vicino a Pablo che intaccava pigramente alcuni rami con un coltello a serramanico. Di tanto in tanto, si erano detti qualche parola nella loro lingua che, però, il giovane, vista la lontananza e la sua scarsa conoscenza dello spagnolo, non aveva ben compreso.
Intanto, Giacomo era tornato un paio di volte alla villa per prendere bottiglie d’acqua fresca e cestini di frutta da servire agli accalorati ospiti e, magari, anche con l’intento di farsi vedere da Fiammetta e rendere così la sua assenza meno sospetta.
Tuttavia, proprio quando il biondo, considerata la situazione di indolenza generale, stava pensando di allontanarsi a sua volta e raggiungere l’amica al commissariato, giunse Pierpaolo, agitando una mano.
«Ottime notizie! Ho parlato con Ettore e mi ha confermato che è tutto pronto!» comunicò agli altri, gaio. «Ci aspetta a mezzanotte, al solito posto. Dopodiché, salperemo per Bastia».
Non avendo mai sentito prima parlare di quell’Ettore, Marcello ipotizzò che si trattasse del famoso pescatore menzionato da Vittoria, quindi abbandonò il proposito di andarsene e, incuriosito, rimase in ascolto.
«Muy bien» commentò, soddisfatto, Navarra, ripiegando la cartina e gettandola alla rinfusa sul rozzo tavolino. «Una volta a Cordova potrò smettere di nascondermi e mi vendicherò prima della espía e poi... di lui
«Sul serio vuoi metterti contro... quello?» fece Giacomo, impallidendo. «Non ti basta che ti abbia messo la polizia di mezzo mondo alle calcagna? Non hai visto che non si ferma davanti a nessuno?»
«Lo fermerò io» decretò lo spagnolo, spavaldo, gonfiando il petto.
«Secondo me, hai sbagliato ad inimicartelo. Non è stata una mossa molto furba cercare di imbrogliare uno come lui» insistette il ragazzo, rabbrividendo.
Nonostante Marcello sospettasse da tempo che Giacomo non fosse un cuor di leone, le sue reazioni di terrore lo lasciarono parecchio perplesso, soprattutto perché non riusciva a capire perché non chiamassero per nome l’uomo di cui stavano parlando. Certamente, doveva essere un tipo piuttosto pericoloso ed influente, se era riuscito a far diventare Navarra un ricercato internazionale.
«Ha fatto uccidere Felipe per essere sicuro che non parlasse!» latrò, allora, l’omone, facendo tremare la terra intorno a lui e richiamando l’attenzione del giovane. «Sarà la prima cosa che gli farò pagare!»
Fomentato da quelle rivelazioni sulla verità sulla morte del suo scagnozzo, Marcello drizzò la schiena e, nel farlo, urtò inavvertitamente una cassetta, facendola cadere con un tonfo su un’altra posta più in basso. Trasalendo, trattenne il fiato per qualche secondo, convinto che quei delinquenti gli sarebbero stati addosso in un batter d’occhio, ma così non fu.
Anzi, Navarra e Giacomo sembrarono non essersi accorti nemmeno del rumore, continuando a discutere come se nulla fosse.
«L’importante è che non parlerai di noi, quando ti troverai faccia a faccia con lui» intervenne, ad un certo punto, Pierpaolo, alzando la voce. «Ti stiamo aiutando, ma non vogliamo avere altri problemi, visto che è solo questione di tempo prima che la polizia scopra il nostro gioco con gli ulivi».
«Avete davvero poca spina dorsale» li canzonò lo spagnolo, mostrando loro un sorriso beffardo. «Ma non temete, amigos, perché sarò io a vincere e allora li ucciderò come bastardi!»
A quel punto, i due Landi si scambiarono un’occhiata nervosa, arretrando di qualche passo e mettendosi a parlottare tra di loro, mentre Navarra tornava ad occuparsi della sua cartina. All’improvviso, però, Marcello si rese conto che Pablo non era più seduto alla sedia, rimasta vuota in mezzo ad un mucchio informe di trucioli e schegge.
Fu in quello stesso momento che il ragazzo avvertì la spiacevole sensazione di avere qualcosa di freddo e metallico puntato tra le scapole.
«Muoviti o grida e sei muerto» gli intimò una voce bassa e gutturale, mentre qualcuno che lo agguantava malamente per una spalla e lo costringeva violentemente prima a mettersi in piedi e poi a voltarsi verso di lui.
«Conrado sarà muy felice de rivederti» continuò, facendo schioccare le labbra e atteggiandole a un sorriso sardonico.

Non appena Navarra vide spuntare Marcello da dietro la catapecchia, si concesse per qualche istante di assumere un’espressione alquanto sorpresa, mutandola poi in un autentico ghigno di compiacimento.
Giacomo e Pierpaolo, invece, strabuzzarono gli occhi e, consapevoli che ormai le loro trame erano state definitivamente svelate, si guardarono, preoccupati.
«Ho trovato questo ficcanaso che si godeva lo spettacolo!» annunciò Pablo con la sua pronuncia sibilante, spingendo senza riguardi l’ostaggio davanti al suo acerrimo nemico.
«Bene, bene, guarda chi si vede» fece quello, contraendo la bocca in una smorfia terribile. «In effetti, non è strano trovarti qui, visto che ti sei appropriato indebitamente della mia donna e di tutto quello che mi spettava».
Il giovane aprì la bocca per rispondergli che Beatrice non era affatto sua e che non lo sarebbe stata nemmeno se l’avesse ucciso, quando vide l’altro estrarre la pistola dalla fondina attaccata alla cintura e puntargliela contro.
«Tornatore, hai già detto le tue ultime preghiere?»





***
Per la revisione di questo capitolo, ringrazio Lady Viviana per la sua gentile collaborazione; come sempre la grafica del titolo è opera mia.
Grazie anche alla mia Anto che legge sempre con interesse tutte le anteprime.
***

[N.d.A]
1. aceite verde de Andalucìa: si tratta dell’olio verde di Andalusia, specialità molto rinomata e provvista di certificazione DOP (Denominazione di Origine Protetta), pertanto, per essere tale, deve essere prodotto in questa r
egione a partire da olive locali;
2. Highlander: riferimento al film cult del 1986 “Highlander - L’ultimo immortale” e al protagonista Conner MacLeod (interpretato da Christopher Lambert), facente parte degli immortali, una stirpe di guerrieri destinata a rimanere sempre giovane. L’unico modo per ucciderli era la decapitazione con la spada.
***


Salve a tutti!
Non odiatemi, io amo i finali cliffhanger e credo che riservarlo al penultimo capitolo (ne manca uno solo, poi ci sarà l’epilogo) sia un accorgimento utile per lasciare un po’ con il fiato sospeso - come se non vi avessi lasciato abbastanza in sospeso, trascinando la pubblicazione di questa storia per ben cinque anni.
Come sempre, ringrazio chi legge, anche in silenzio, chi mi ha fatto sapere la sua sul precedente capitolo, chi ha messo la storia tra le preferite/ricordate/seguite.
Per leggere in anteprima un estratto del work in progress, mi trovate, al solito, sulla mia pagina facebook. Il prossimo aggiornamento dovrebbe arrivare tra fine Aprile/inizio Maggio, quindi abbiate fiducia.
Saluti e a presto!
Halley S.C.
  
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