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Autore: bambolinarossa98    25/03/2017    2 recensioni
Karma Akabane credeva di aver visto di tutto… almeno finché la sua professoressa di geografia non si è trasformata in un’arpia.
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Essere inseguito da una gallina sputafuoco era già stato abbastanza brutto.
Ma la ragazza con le trecce trasformò la giornata in un incubo.
[…]
“Senti, cercherò di essere chiara” sospirò lei “Questo è il Campo Mezzosangue, tu sei un Mezzosangue. Qui vengono addestrati i semidei, tu sei un semidio.
Quello è Dioniso, il Direttore del Campo, cioè un Dio. Tu non sei un Dio” spiegò, sillabando ogni lettera “Comprendi?”
“No” rispose lui “Ma va bene lo stesso” aggiunse, allegro.
“Beh, l’hai presa meglio di molti che arrivano qui. Maehara credeva che fossimo in un reality show ed ha passato due giorni a cercare le telecamere… credo che Afrodite lo abbia riconosciuto per disperazione”
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[Fantasy, Mitologico, Sentimentale – Karma/Okuda, Nagisa/Kayano, Irina/Karasuma, accenni Korosensei/Yukimura – Prima storia della raccolta: I Ragazzi dell’Olimpo]
{Liberamente tratto dall’opera di Rick Riordan "Percy Jackson e gli Dei dell’Olimpo"}
Genere: Azione, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Karma Akabane, Koro Sensei, Manami Okuda, Nagisa Shiota, Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Essere attaccato da una gallina sputafuoco era già stato abbastanza brutto, ma la ragazza con le trecce trasformò la giornata in un incubo.
Ok, gli aveva apparentemente salvato la vita… ma aveva anche dato fuoco alla scuola, distrutto la palestra e disintegrato la sua professoressa di Geografia.
Insomma, tutto normale. Così come era normale che la sua prof fosse un’arpia.
Certo, aveva sempre sospettato che Mamura-sensei lo fosse, ma non pensava nel senso letterale della parola.
Ed ora eccolo lì, a correre per le strade di Tokyo, trascinato da una ragazza che neanche conosceva e inseguito da un paio di arpie; si voltò giusto il tempo per vederle sorvolare una macchina ferma al semaforo: ma nessuno le vedeva volare sulla strada?! Sembrava che la gente le ignorasse completamente.
“Di qua!” esclamò la ragazza, afferrandolo per la manica e trascinandolo nel vicolo più vicino. Una rete divisoria si ergeva a metà strada ma lei la scavalcò con un’agilità sorprendente, come se non avesse altro per tutta la vita. Lui la seguì senza difficoltà e sbucarono dall’altro lato del vicolo, su una strada affollata. Parcheggiato di fronte al marciapiede c’era un furgone bianco del SERVIZIO FRAGOLE DI DELFI: la ragazza aprì il portellone e ci salì, facendogli cenno di seguirla. Il furgone era spazioso e non conteneva affatto fragole, bensì due file di sedili in pelle su entrambi i lati. Prese posto su uno, desideroso di riprendere fiato.
“Vai! Non ci metteranno molto a raggiungerci!” esclamò la ragazza, poggiata ai sedili davanti intenta a scrutare fuori dal finestrino. Solo dopo che il motore si accese e il furgone partì a razzo la ragazza si sedette, liberando un sospiro stanco.
“Ehi, aspetta!” esclamò lui, guardandola meglio “Io ti conosco: sei quella ragazza della B arrivata il mese scorso” disse. Lei si limitò a battere un colpo al proprio sedile, che si aprì rivelando un incavo pieno di provviste: pacchetti di patatine, bottiglie d’acqua, lattine di Diet Coke, brik di succhi di frutta, strane bottigliette di cristallo contenenti del liquido ambrato e diversi sacchetti di barrette energetiche e quadratini di cioccolato… o almeno così sembravano.
La ragazza prese una bottiglia d’acqua e un sacchetto di quadratini di cioccolato, poi si rivolse a lui: “Acqua? Succo? Diet Coke?” chiese.
“Succo” rispose lui e lei gli lanciò una confezione di succo alla pesca, che lui bevve avidamente: dopo quella corsa sfrenata stava morendo di sete! “Ma chi sei?” domandò, mentre lei chiudeva lo scomparto con un calcio e apriva il sacchetto: estrasse due quadratini e gliene passò uno.
“Dovrebbe bastare, non sono ferite gravi” disse. Lui non capì ma accettò lo stesso: non sapeva affatto di cioccolato ma di latte alla fragola, tuttavia ciò che lo stupì fu che si sentì subito benissimo, come se si fosse fatto una bella notte di sonno. Alzò gli occhi su di lei per parlare e li sgranò: la ragazza stava chiudendo il sacchetto con tranquillità ma i graffi sulle braccia e il viso si stavano rimarginando.
“Come…?”
“Ambrosia” rispose lei “Guarisce ogni cosa ma presa in quantità eccessiva può provocare l’autocombustione” spiegò, rimise il sacchetto di ambrosia a posto e bevve un lungo sorso d’acqua. Infine lo guardò. “Immagino tu abbia domande da fare” intuì.
“Già” conc0rdò lui “Perché la mia prof di geografia era un’arpia? Come mai le sue sorelle ci stanno inseguendo? Perché nessuno le vede? Dove stiamo andando? Ma soprattutto… chi sei?” stilò. Scese un lungo silenzio.
“Quante domande” rispose lei “Una per volta, però” aggiunse “La tua prof è un’arpia perché è nata così, immagino, e si è travestita da professoressa per venire ad ucciderti. Le sue sorelle ci inseguono per finire il lavoro. Nessuno le vede a causa della Foschia, che impedisce agli umani di vedere le cose come sono realmente, probabilmente ai loro occhi sono solo piccioni. Stiamo andando al Campo Mezzosangue, dove vengono addestrati quelli come noi, lì saremo al sicuro. Io sono Manami Okuda, della Casa Sei” rispose tutto d’un fiato “E tu devi essere Karma Akabane… almeno credo, sono una frana a ricordare i nomi” ammise.
Scese un lungo silenzio, nel quale il ragazzo metabolizzò tutto.
“Ehm… tu sai che da queste risposte nasceranno altre domande, vero?” chiese. Okuda annuì, come se fosse abituata a conversazioni come quella.
“Ok, allora… cos’è il Campo Mezzosangue e che vuol dire che vi vengono addestrati quelli come noi?” domandò.
“Quello che ti ho detto, noi siamo mezzosangue: metà mortali e metà dei” rispose, semplicemente. Lui la guardò come se fosse pazza.
“E io dovrei crederci?” chiese.
Okuda batté un colpo alla parete del furgone: “Argo, il ragazzo non ci crede” disse “So che detesti metterti in mostra, però…” e fece cenno al ragazzo il posto di guida. Gli venne un colpo: l’uomo alla guida si voltò per un attimo e lo salutò con un sorriso cordiale prima di tornare a concentrarsi sulla strada.
“Lui… lui… aveva…” balbettò “Ha tanti occhi!” esclamò, sconvolto.
“Cento, per la precisione” rispose Okuda “È stato creato dalla Dea Era per sorvegliare una delle amanti di suo marito Zeus, finché Apollo non lo uccise su ordine del padre e liberò la donna. Dovrebbe essere morto millenni fa, invece sta trasportando noi due su un camion di fragole. Ci credi adesso?”
Karma avrebbe tanto voluto rispondere di no ma si astenne.
“Quindi… io sarei figlio di un Dio?”
“O di una Dea” lo corresse lei.
“Aspetta, mia madre è una Dea?” chiese, sconcertato “Non ha mai auto un carattere molto divino” commentò.
“Tu vivi con tua madre?” domandò lei e lui annuì “Oh, allora questo cambia le cose: il Dio è tuo padre”
“Ah. Questo spiega perché non si è mai fatto vedere” rispose “Tu a chi sei figlia?”
“Atena, Dea della Saggezza” rispose lei, prontamente.
“Forte” commentò lui “E la vedi spesso?”
Okuda s’incupì: “No” rispose “Gli Dei sono molto indaffarati, non fanno visita spesso ai figli. Lei…”
Ma Karma non scoprì mai cosa facesse Atena, perché una scossa fece tremare il furgone. Okuda imprecò in una strana lingua che lui, stranamente, capì.
“Che hai detto?” domandò, stupito.
“Ci hanno raggiunto!” esclamò “E ho parlato in greco che, si, tu puoi capire anche senza averlo mai studiato” aggiunse, anticipando ogni possibile domanda, poi si sporse verso Argo. “Manovra 11-E” ordinò “Manda un segnale al Campo, ci servirà aiuto”
L’uomo annuì e pigiò un pulsante sul cruscotto. Il furgone ebbe uno spasmo e si alzò in volo.
“Che diamine…?!” esclamò Karma, tenendosi al sedile.
“I mezzi del campo sono stati costruiti dai figli di Efesto che hanno aggiunto qualche modifica ispirandosi agli Dei: questa è la manovra di Ermes, ci permette di volare” spiegò Okuda “E spero tanto di non dover usare quella Atena” aggiunse, preoccupata, scrutando fuori dal finestrino.
“Cosa fa quella di Atena?” chiese, anche se in un certo senso non era sicuro di volerlo saperlo.
“Oh, puoi far spuntare qualunque arma tu voglia da ogni forma del veicolo, il furgone li plasma a scelta di chi li chiede. Un’idea di Ritsu, mia sorella” annuì Okuda “Argo, cinque gradi a est” ordinò, e il furgone sterzò “Siamo quasi arrivati” mormorò, ansiosa.
Il veicolo ebbe un fremito poi scese in picchiata verso il picco di una montagna coperta di alberi.
“Ci schianteremo!” esclamò Karma ma Argo continuò spedito, ad un certo punto accadde qualcosa di strano: fu come passare attraverso una bolla, tutti i suoni gli giunsero ovattati e, per un lunghissimo secondo, il tempo rallentò… poi continuarono a scendere.
Argo tirò il volante e si rimisero dritti, ma evidentemente il mezzo aveva subìto qualche danno perché un attimo dopo precipitarono in orizzontale e si schiantarono al suolo.
Quando il ragazzo aprì gli occhi si rese conto di non essersi fatto nulla e di star tranquillamente rimbalzando in mezzo a tante minuscole palline viola.
Il portello venne aperto e le palline sciamarono fuori, con loro dentro.
“Buon Zeus!” esclamò una ragazza “State bene?”
Karma venne tirato fuori dalle palline e si rimise in piedi, un po’ scosso. All’inizio vide solo un gruppetto di ragazzi radunati intorno a loro poi sentì delle grida e si voltò: poco lontano due file di ragazzi stavano bersagliando di frecce le arpie, che si disintegravano in aria.
“Stiamo bene” rispose Okuda, arrancando in mezzo alle palline che scoppiavano sotto i suoi piedi con un umido pop “Ehm… grazie, signor D” aggiunse, incerta.
“Oh, beh, almeno hanno qualche utilità” sospirò una voce maschile che attirò l’attenzione di Karma: in mezzo a tutti quei ragazzi c’era un uomo sulla cinquantina, piccolo ma grassoccio, col naso rosso, grandi occhi lucidi e riccioluti capelli neri che sembravano quasi blu. Indossava una camicia hawaiana tigrata e dei bermuda azzurri. A Karma sembrò quasi un putto.
“È andata bene?” domandò un ragazzo biondo lì accanto.
“Tralasciando le arpie e lo schianto?” chiese Okuda “A meraviglia!” sorrise. A quel punto tutti si voltarono verso Karma, che guardava le palline cercando di capire cosa fossero in realtà.
“Questa è uva!” esclamò d’un tratto, allibito.
“Molto acuto, ragazzo” commentò l’uomo, ironico “Da dove lo hai preso?” aggiunse, rivolto alla ragazza.
“Ehm… padre” tossicchiò una ragazza lì accanto, con i capelli corti e una tuta da ginnastica; Karma la guardò incredulo: quella ragazza era davvero figlia di quel tizio? Stentava a crederci.
“Oh, pare che mi tocchi. Benvenuto al Campo Mezzosangue, ragazzo!” esclamò lui, con falso entusiasmo “Ora non aspettarti che io sia felice di vederti” aggiunse, tornando serio.
“Ragazzi, lui è Karma Akabane” presentò Okuda, strisciando le scarpe sull’erba per togliervi il succo d’uva “Karma, loro sono i ragazzi del campo e lui è il signore D, il Direttore”
Karma lo squadrò dalla testa ai piedi “Lei è un Dio” intuì e lui alzò un sopracciglio.
“Ma va’?” rispose, ma il ragazzo era troppo occupato a mettere insieme i pezzi: naso rosso, uva, D…
“Lei è Dioniso!” esclamò “Il Dio del Vino!”
“Buon Zeus, ragazzo, hai battuto la testa per caso?” domandò, scettico “Credevo fossi più intelligente!”
“Suvvia, padre” esclamò un’altra ragazza, con i capelli a caschetto e un fascio di manga sotto braccio: un’altra figlia che non gli somigliava nemmeno un po’ “È appena arrivato qui, gli dia il tempo di abituarsi. Quanti non le hanno fatto questa domanda?” chiese.
“Troppi, temo” rispose Dioniso “Beh, immagino avrete molto ti cui parlare. Minako, fagli fare il giro del campo e quelle cose lì…” ordinò.
“Mi chiamo Manami” lo corresse Okuda ma lui la ignorò.
“…io ho una partita a pinnacolo in sospeso con Tadaomi” concluse, per poi voltarsi e andarsene.
“Che Direttore amorevole” commentò Karma.
“Non farci caso” rispose una ragazza con una lunga coda castana, sorridendogli “È Direttore qui per punizione”
“Questo spiega molte cose” rispose lui.
“Io sono Megu Kataoka” si presentò, tendendo la mano “Della Casa Tre”
“Oh, ehm… Karma Akabane della… che sono che le Case?” chiese poi. La figlia di Dioniso rise.
“Te lo spiegherà Okuda. Io sono Hinata Okano e lei è mia sorella, Yuzuki Fuwa” si presentò. La sorella lo salutò con la mano “Siamo nella Casa Dodici”
“Hiroto Maehara, Casa Dieci” gli porse la mano il ragazzo biondo “Quelli laggiù sono della Casa Sette” aggiunse, indicando i ragazzi che avevano polverizzato tutte le arpie e che ora risalivano il prato… aspetta, prato?
“Ci sono molte cose che devi sapere, Karma” intuì Kataoka.
 
Karma non sapeva se essere sconcertato o stupito. I ragazzi erano tornati alle loro attività e Okuda lo stava accompagnando in giro per il Campo, che era qualcosa di pazzesco.
“Senti, cercherò di essere chiara” cominciò Okuda “Questo è il Campo Mezzosangue, tu sei un Mezzosangue. Qui vengono addestrati i semidei, tu sei un semidio.
Quello è Dioniso, il Direttore del Campo, cioè un Dio. Tu non sei un Dio” spiegò, sillabando ogni lettera “Comprendi?”
“No” rispose lui “Ma va bene lo stesso” aggiunse, allegro.
“Beh, la stai prendendo meglio di molti che arrivano qui. Maehara credeva che fossimo in un reality show ed ha passato due giorni a cercare le telecamere… credo che Afrodite lo abbia riconosciuto per disperazione”
La ragazza lo portò a visitare l’arena dove ci si allenava nel combattimento e si disputavano le corse con le bighe, la stalla dei pegasi e il padiglione delle armi. Un grande bosco sorgeva ai piedi della collina ed un fiume attraversava il campo.
“E quella è la Casa Grande” terminò, indicando il padiglione a cielo aperto “E lì che si mangia. E poi ci sono le Case” concluse, arrivando di fronte ad un agglomerato di padiglioni grandi come una villa. Erano venti in tutto, che formavano un semicerchio con delle linee ai lati (così Ω).
“Queste sono le Case?” chiese e Okuda annuì.
“Quelle lassù sono la Casa Uno e la Casa Due, dedicate a Zeus ed Era. Nella Uno c’è solo Yada-san, l’unica figlia di Zeus, mentre la Due è sempre vuota” spiegò, indicando gli edifici di marmo e d’argento uno di fianco all’altro.
“Perché?” chiese.
“Era è la Dea del Matrimonio, non si mette a fare figli con i mortali” rispose, come se fosse ovvio “La Casa Tre, quella piena di conchiglie, è dedicata a Poseidone e ci vive Kataoka-san, anche lei figlia unica.
Nella Casa Quattro ci sono i figli di Demetra” continuò, indicando quella col tetto d’erba “La Casa Cinque, quella rossa, è di Ares. La Sei, col gufo, è di Atena ed è dove alloggio io. La Casa Sette è di Apollo. La Otto è di Artemide, anche quella sempre vuota poiché lei ha giurato castità, ma ogni tanto ci alloggiano le sue Cacciatrici quando vengono a trovarci” stilò “La Nove, che somiglia ad una ciminiera, è di Efesto. La Dieci, con le tendine rosa, è di Afrodite, Maehara-kun ci abita con i suoi fratelli e sorelle. La Undici è di Ermes. La Dodici, coi tralci di vite, è di Dioniso e ci sono solo Okano-san e Fuwa-san, le uniche figlie del signor D. La Tredici, quella nera coi fuochi verdi, è di Ade e ci abita Hazama-san anche lei figlia unica. La Quattordici è di Iride…”
“Chi?”
“La Dea dell’Arcobaleno” spiegò Okuda “La Quindici di Ipno, il Dio del Sonno. La Sedici di Nemesi, la Dea della Vendetta, e ci abita solo Kayano-san. La Diciassette è di Nike, la Dea della Vittoria. La Diciotto di Ebe, la Dea della Giovinezza. La Diciannove di Tyche, la Dea della Fortuna, e la Venti di Ecate, la Dea della Magia” concluse.
“Quindi siete divisi in base al genitore divino” intuì lui “E come veniamo riconosciuti? Cioè, dovrebbe scendere il mio presunto padre dal cielo dicendo ‘Karma, io sono tuo padre’?” chiese. Okuda sorrise.
“No, in genere mandano un segno. Per esempio, Afrodite manda la propria benedizione ai figli, tipo vestiti e acconciatura nuova. Altri sono più formali e ti fanno apparire il proprio simbolo sul capo: a Kataoka-san è apparso il tridente, il simbolo di Poseidone; a Itona-kun il martello infuocato, il simbolo di Efesto, e così via. Solo il signor D è meno formale” tentennò “Quando Fuwa-san è arrivata al Campo, tre anni fa, lui le ha lanciato una lattina di Diet Coke esclamando: “Il primo essere di sesso maschile che si azzarda a toccare mia figlia è un uomo morto… o un delfino morto, dipende come mi girano”. Si, molto paterno” annuì lei.
“Wow” commentò lui, immaginando la scena e sforzandosi di non ridere “E veniamo riconosciuti subito?” chiese.
Okuda si fece cupa “Non subito. In genere ci vuole un po’, in alcuni casi non avviene mai” rispose lei “Vieni, ti faccio vedere dove starai” aggiunse, attraversando la collina. Passarono davanti le Case e Karma sbirciò dentro alcune: in quella di Ares, che sembrava la più grande, c’erano una ventina di ragazzi che facevano un baccano assurdo per essere così pochi. Affacciandosi, il ragazzo si rese conto che si stava tenendo una lotta coi cuscini in piena regola: piume, stoffa lacerata e pugni volavano ovunque.
“Ma…?” provò a chiedere lui, Okuda scrollò le spalle.
“Ares è il Dio della Guerra” disse a mo’ di spiegazione “I suoi figli sono quasi tutti bellicosi e attaccabrighe. Un ottimo supporto militare, è meglio non trovarseli contro in battaglia” aggiunse. Poco più giù, nella Casa di Ade, Karma intravide una ragazza pallida che leggeva un libro stesa su un’amaca sotto una grande torcia verde; quando alzò gli occhi per squadrarlo un brivido gelido corse giù per la sua schiena: ebbe il sospetto che Ade non gli sarebbe piaciuto granché.
“Quindi... dove li mettete quelli che non sono ancora stati riconosciuti?” chiese, distogliendo lo sguardo da quelli della ragazza con un certo timore.
“Casa Undici” rispose lei, fermandosi di fronte ad una specie di capannone formato gigante. All’interno sembrava esserci più gente di quanta ne potesse contenere, era tutto stipato di letti e sacchi a pelo “Dopotutto Ermes è il Dio dei Viandanti” spiegò, guidandolo su per i gradini.
Al loro ingresso scese il silenzio.
“Ragazzi, vi presento il vostro nuovo inquilino: Karma” annunciò Okuda. Il ragazzo fece un gesto di saluto mentre veniva squadrato.
“Regolare o Indeterminato?” chiese qualcuno.
“Indeterminato” rispose Okuda. Si levarono esclamazioni e sospiri di delusione.
“Suvvia, gente, siamo qui per questo!” esclamò una ragazza uscendo dalla folla: nel complesso era molto carina con lunghi capelli biondi, occhi azzurro ghiaccio e un sorriso malizioso che non prometteva nulla di buono. Karma ebbe l’istinto di portarsi la mano alla tasca della divisa, giusto per controllare che il portafoglio ci fosse ancora. “Io sono Rio Nakamura, capogruppo della Casa Undici” si presentò, tendendo la mano, che il ragazzo strinse “Tranquillo, ti troveremo un posto: abbiamo sacchi a pelo in quantità” annuì lei, saccente.
“Uhm… grazie” rispose lui “Però… io non ho nulla dietro” si rese conto “Mi hai prelevato mentre ero a scuola” aggiunse, rivolto a Okuda. La ragazza arrossì.
“Oh, non c’è problema” intervenne Nakamura “Chiederò a Korosensei di mandare qualcuno a prendere un po’ di roba a casa tua” poi si voltò verso il gruppo “Chi vuole fare un giro in città?” urlò. Molte mani scattarono in aria seguite da esclamazioni frenetiche “Credo che dovresti portarlo alla Casa Grande, Korosensei vorrà parlare con lui” aggiunse, rivolta ad Okuda che annuì “Oh, e hai dell’intonaco nei capelli” notò, spazzandolo via con un buffetto prima di sorriderle e tornare nella mischia, dove era nata un’accesa discussione su chi dovesse andare in città.
“Vieni” Okuda lo riportò fuori e rifecero il percorso inverso.
“Simpatica” commentò Karma, una volta lontano dal baccano.
“Molto” confermò Okuda “È stata Rio-san a portarmi qui” spiegò “Sono stata nella Casa Undici per due anni prima di essere riconosciuta, è come una sorella per me”
I due ragazzi scesero la collina fino ad un grande edificio posto poco lontano dall’arena; sotto il portico vi era un gruppo di persone radunate intorno ad un tavolo a giocare a pinnacolo.
Riconobbe Dioniso, che dava le carte, e accanto a lui un uomo vestito con camicia, cravatta e sguardo serio: sembrava il classico tipo da non far arrabbiare. Dall’altro capo del tavolo, una giovane donna dai capelli biondi stava amabilmente chiacchierando con l’uomo che gli dava le spalle, di cui Karma intravedeva solo la corta chioma nera.
“Chi sono?” chiese a Okuda.
“Gli Istruttori del Campo” rispose lei “Ci addestrano, sono semidei anche loro. Quello girato di spalle è Korosensei, gestisce tutte le questioni del Campo insieme al signor D” spiegò “È figlio di Atena quindi, strano a dirsi, ma tecnicamente è mio fratello” aggiunse, rallentando il passo “L’altro è Karasuma-sensei, è figlio di Ares e ci addestra nel combattimento. Non è un tipo molto loquace ma sa quello che fa. Poi c’è Irina-sensei…”
“Fammi indovinare” la interruppe Karma “Figlia di Afrodite”
Okuda annuì “Bella, eh?”
“Uno schianto” concordò lui “Cosa insegna?”
“Volo. Si occupa dei Pegasi” rispose lei “Ma in genere la trovi in giro a dispensare consigli sull’abbigliamento o il trucco. Non la sottovalutare però, sua madre gli ha donato una delle sue doti migliori: conosci la lingua ammaliatrice?” chiese.
“Intendi quella cosa capace di convincere tutti a fare quello che vuoi?” rispose lui.
“Una volta un gruppo di lestrigoni riuscì ad invadere il campo e lei li convinse ad uccidersi tra loro solo chiedendoglielo” raccontò.
“Ho capito, meglio non farla arrabbiare” concluse Karma, astenendosi dal chiedere cosa fossero i lestrigoni. Raggiunsero il portico proprio mentre Dioniso vinceva la mano con una perfetta scala reale. Gli altri tre alzarono lo sguardo su di lui, curiosi.
“Ah, Manami!” esclamò Korosensei alzandosi: era più alto di Karma di una buona spanna, aveva un bel viso intelligente ed un sorriso solare ma qualcosa gli diceva che era capace di staccarti la testa dal collo in due secondi netti e a mani nude. Non un ottimo modo di presentarsi “Ho saputo dell’incidente con le arpie: tutto bene spero” aggiunse.
“Certo, Korosensei” annuì lei.
“E tu devi essere Karma Akabane” intuì, rivolgendosi a lui “Beh, sono contento che almeno tu ce l’abbia fatta” sorrise. Karma non capì ma preferì non chiedere nulla.
“Si, anche io” rispose lui “Come sta il furgone?” chiese poi.
“Oh, i ragazzi di Efesto se ne stanno occupando: dopo tutti gli incidenti che abbiamo avuto è stato progettato per resistere anche agli atterraggi bruschi, quindi non ha subìto danni gravi” spiegò, allegro “Ma non preoccuparti per questo” aggiunse, noncurante “Immagino che Manami ti abbia già spiegato tutto”.
“Si, a grandi linee. Insomma: Dei, semidei, Case, pegasi… Diet Coke. Tutto regolare” commentò. Korosensei sorrise.
“Mi piace il tuo modo di prenderla” commentò “Alcuni danno di matto”.
“Bei tempi quelli” sospirò Dioniso, bevendo un sorso di Diet Coke dalla lattina posta accanto a sé.
“Già. Beh, volevo solo accertarmi che foste vivi… o con ancora tutti gli arti” spiegò, con leggerezza, quasi stesse parlando del tempo “Ma non divaghiamo: è quasi ora di cena e immagino tu voglia darti una ripulita”
“Si, però… non ho niente con me” rispose lui, che indossava ancora la divisa scolastica bruciacchiata, piena di polvere e sangue.
“Oh, questo non è un problema, il Campo ha una scorta di vestiti di emergenza nel capanno delle armi. Manami, lo accompagni tu?” chiese.
“Certo” rispose lei.
“Perfetto! Noi adulti dobbiamo discutere di alcune cose, quindi non vi dispiacerà se vi mando via?”
“Oh, si figuri” rispose lui, scesero il portico e Okuda lo accompagnò fino al capanno delle armi. In una stanza interna c’era il più vasto assortimento di jeans e magliette tutte uguali che lui avesse mai visto; le magliette erano arancioni e recavano la scritta CAMPO MEZZOSANGUE, i jeans erano disponibili in due colori: neri e blu.
“Siamo attrezzati per ogni evenienza” spiegò Okuda “Abbiamo qualsiasi taglia, dalla XS alla XXXL” illustrò. Karma non era mai stato un granché a scegliersi i vestiti, in genere li prendeva un po’ cadenti così che gli dessero un’aria vissuta, ma quelle taglie spaccavano il centimetro. Prese un paio di magliette e un jeans per ogni colore.
“Mi darete anche un’arma?” chiese. Okuda sembrò esitare.
“Beh, penso di sì” rispose “Ma per il momento lasciamo perdere: la scelta di un’arma non è semplice. Magari più avanti” aggiunse.
Lo riaccompagnò nella Casa Undici e lo lasciò per tornare alla propria. Uno dei ragazzi di Ermes, Masayoshi Kimura, lo prese in custodia e gli mostrò il bagno dove il ragazzo si fece una doccia ed infilò i vestiti nuovi (che tutto sommato gli stavano bene) poi lo accompagnò alla Casa Grande.
Era priva di soffitto, con colonne sparse sui bordi e venti lunghi tavoli allineati nel mezzo. Il tavolo Uno era occupato da una sola ragazza coi capelli castani raccolti in una coda e gli occhi di un azzurro intenso, che parlava fitto fitto con una donna vestita di verde che non sembrava nemmeno umana. I tavoli Due e Otto erano deserti. Al tavolo Tre era seduta Megu Kataoka in compagnia di Karasuma, anche loro immersi in una conversazione che aveva l’aria di non dover essere interrotta. Al tavolo Tredici vi era la ragazza vista quella mattina sotto il portico, concentrata nella lettura di un libro dall’aria macabra. Il tavolo Sedici era occupato da una ragazza dai lunghi capelli verdi che chiacchierava con un ragazzo dall’aria simpatica, intento a masticare una lattina di Diet Coke… aspetta, cosa?
“Vieni, il nostro tavolo è quello” Nakamura lo spinse verso il tavolo Undici, affollato e chiassoso come lo era la Casa. Karma si sedette tra lei e un ragazzo minuto, sui dodici anni, che sembrava voler sparire sotto il tavolo.
“Uhm… quel tizio sta mangiando una lattina?” domandò, perplesso. Nakamura gli gettò solo un’occhiata.
“Oh, sì. È un satiro” spiegò, prendendo il calice “Succo ai mirtilli” scandì: quello si riempì di un leggero liquido viola che lei bevve.
“Un… cosa?” chiese, lo guardò di nuovo e si rese conto che gli spuntava qualcosa tra i capelli biondi “Quelle sono corna?” esclamò, allibito. La ragazza rise.
“Non gli hai ancora visto le gambe” ridacchiò.
“E come… cioè, come hai fatto?” domandò, spostando l’attenzione sul calice.
“Sono magici. Chiedi quello che vuoi e te lo darà” rispose.
“Oh” Karma prese il proprio calice e lo guardò, diffidente “Latte alla fragola” disse. Il calice si riempì immediatamente sotto i suoi occhi “Forte” esclamò “Funziona anche coi piatti?”
“Si, ma in genere le nereidi cucinano i piatti principali e noi… sai, non volgiamo offenderle” rispose lei, indicando il fondo della Sala da cui apparvero una ventina di donne vestite di verde con vassoi pieni di pizza, bistecche alla griglia e verdure. Solo in quel momento Karma si rese conto di star morendo di fame. Si servì un paio di bistecche e del riso con verdure, ma aveva appena preso la forchetta che Nakamura gli afferrò il braccio.
“Aspetta” lo ammonì, poi gli indicò il fondo della sala: un braciere di bronzo ardeva di fronte ad ogni tavolo. La ragazza del tavolo Uno si alzò portando il proprio piatto, infilzò un grosso involtino primavera e lo gettò nel fuoco che divampò.
“Zeus” mormorò, chinando il capo, poi tornò al proprio posto. La stessa operazione fu ripetuta da tutti gli altri ragazzi.
“Vieni” Nakamura si alzò, prendendo il proprio piatto e Karma la seguì, mettendosi in fila dietro di lei.
“Perché bruciamo il cibo?” chiese, sottovoce.
“Come offerta agli Dei” rispose lei “Ne apprezzano l’odore ed è il momento migliore per parlare o chiedere aiuto ai nostri genitori” spiegò.
La fila avanzò abbastanza velocemente. Nakamura gettò una fetta di pizza nel fuoco, chinò il capo e mormorò “Ermes” prima di tornare al proprio posto.
Karma indugiò un attimo davanti al focolare, poi prese la bistecca più grossa e la gettò nel fuoco: un denso aroma di erbe selvatiche e carne alla piastra lo investì.
Chiunque tu sia: se mi mandassi un segno sappi che non mi offendo, disse prima di tornare al proprio posto.
La cena si consumò tra chiacchiere e risate, i ragazzi della Casa di Ares diedero spettacolo quando due di loro si azzuffarono per chi avesse compiuto le imprese migliori… che finì solo quando la capogruppo, una ragazza dall’aria molto pericolosa, li divise con la forza.
Tutto sommato, una serata divertente.
Kimura aveva rimediato un sacco a pelo e, dopo aver garantito che all’interno non ci fosse nulla di pericoloso, glielo sistemò nell’angolo ‘maschile’. Karma ci s’infilò proprio mentre Nakamura usciva dal bagno con indosso il pigiama e ordinava di spegnere le luci, dirigendosi verso il proprio letto.
Il ragazzo rimase a lungo sveglio a fissare il soffitto buio, rivivendo la giornata come se fosse stato un film particolarmente interessante, infine si addormentò con la certezza che d’ora in poi la sua vita sarebbe stata tutt’altro che normale.
 
 
 
 
Angolino Scarlatto:
Un crossover tra Percy Jackson e Assassination Classroom… perché no?
L’idea è venuta da sé ed ho deciso di svilupparla poiché il mio istinto mi diceva così, e il mio istinto ha (quasi) sempre ragione u.u
Beh, che dire, spero piaccia, ci lavoro da mesi ed un parere esterno sarebbe molto gradito nonché utile ^^
Baci,
bambolinarossa98
P.S.: mi trovate anche qui https://m.facebook.com/groups/195102060851984?tsid&ref=bookmarks
e qui https://m.facebook.com/My-Life-is-a-Fiction-1780447005510967/?ref=bookmarks ❤
   
 
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