Anime & Manga > Daiku Maryu Gaiking
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Autore: BrizMariluna    25/03/2017    5 recensioni
Il Gaiking, il Drago Spaziale e il loro equipaggio vagamente multietnico, erano i protagonisti di un anime degli anni settanta che guardavo da ragazzina. Ho leggermente (okay, molto più che leggermente...) adattato la trama alle mie esigenze, con momenti ispirati ad alcuni episodi e altri partoriti dai miei deliri. E' una storia d'amore con incursioni nell'avventura. Una ragazza italiana entra a far parte dell'equipaggio e darà filo da torcere allo scontroso capitano Richardson, pilota del Drago Spaziale. Prendetela com'è, con tutte le incongruenze e assurdità tipiche dei robottoni, e sappiate che io amo dialoghi, aforismi, schermaglie verbali e sono romantica da fare schifo. Tra dramma, azione e commedia, mi piace anche tirarla moooolto per le lunghe. Lettore avvisato...
Il rating arancione è per stare dal canto del sicuro per alcune tematiche trattate e perché la mia protagonista è un po' colorita nell'esprimersi, ed è assolutamente meno seria di come potrebbe apparire dal prologo.
Potete leggerla tranquillamente come una storia originale :)
Con FANART: mie e di Morghana
Nel 2022/23 la storia è stata revisionata e corretta, con aggiunta di nuove fanart; il capitolo 19 è stato spezzato in due capitoli che risultano così (secondo me) più arricchiti e chiari
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Gaiking secondo me'
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~ 18 ~ 
FESTIVITA’, CANZONI E…

 
 
“I dream about you,
Heaven only knows I do,
I dream about you,
every single night it’s true,
I dream about you…”
(Simple Plan feat. Juliet Simms - I dream about you)
 
 
 
I giorni successivi furono impegnativi: il Drago, il Gaiking e Balthazar necessitavano di riparazioni notevoli, soprattutto il leone, che era uscito alquanto ammaccato e malconcio dal salvataggio in extremis attuato dal Capitano Richardson. Il lavoro e i turni di guardia assorbirono la maggior parte del tempo di tutti loro; Briz e Pete si incrociarono giusto un paio di volte nei corridoi, e si scambiarono un paio di messaggini in cui decidevano chi dei due si sarebbe occupato dei cavalli.
Ma il terzo giorno, quello della vigilia di Natale, si presero quasi tutti un attimo di pausa; Briz scomparve per l’intero pomeriggio, dicendo che aveva delle cose da fare in città: nessuno scoprì quali fossero, queste misteriose cose.
Quella sera, dopo cena, quando arrivò in sala comune, nonostante fosse già piuttosto tardi ci trovò Midori che, con un sorriso, le fece segno di andare a sedersi accanto a lei. Forse, finalmente, avrebbero avuto il tempo per due chiacchiere tra amiche, e Briz obbedì, non prima di aver posato in un angolo un voluminoso scatolone che aveva portato con sé.
– Vieni qua, eroina! Stai bene? – le chiese l’amica.
– Ma che eroina, sono stanca morta! Ma almeno questi ultimi avvenimenti mi hanno tirato un po' su di morale.
– Già… soprattutto aver baciato il nostro bel Capitano – celiò Midori maliziosa.
– Ma ti prego, era solo un bacetto a stampo, una roba da asilo d’infanzia, così per scherzo! Non cominciare a farti certi filmini mentali, okay? – sbottò Briz con un po' troppa foga.
– Nessun grande amore, all’orizzonte, quindi? È sempre valida la teoria degli ormoni sconvolti e basta?
– Mettiamola così: è solo un gioco, Dori. 
– No, perché sai, allora, dai tuoi vaneggiamenti di qualche sera fa, sarebbe una motivazione più che sufficiente per scegliere proprio Pete, come potenziale padre per i tuoi futuri figli – la prese in giro Midori che, riflettendoci sopra, aveva capito benissimo che, qualche sera prima, l'amica aveva esagerato apposta – Oltretutto, – proseguì poi, convinta – esemplari come voi due produrrebbero senza dubbio bimbi di una bellezza sconvolgente.
A Briz balenò per un attimo nella mente l'immagine di due bambini: una femmina dai capelli biondo scuro e gli occhi verdi, e un maschietto con i capelli castano scuro e gli occhi azzurri. Con una scrollata di testa si riscosse da quel pensiero, che definire folle sarebbe stato poco.
– Andiamo, Midori, lascia perdere: ho già ammesso di aver detto un mucchio di stronzate, lo sai. Non metterei mai al mondo, volutamente, un figlio senza padre, ma se l’unico uomo disponibile dovesse essere Pete, fidati che piuttosto farei senza!
Ciò che stupì Midori, fu che quest'ultima frase non venne pronunciata con astio, ma ridendo spensieratamente. Le suonò davvero un po’ strano, ma annuì e tacque qualche secondo, prima di cambiare argomento e chiederle, a bruciapelo:
– Briz, chi è Diego?
L’amica la guardò sconvolta.
– Come fai a conoscere questo nome? Non te ne ho mai parlato.
– Infatti… Invece, qualche giorno fa, Pete mi ha chiesto se io, visto che ti conosco meglio, sapessi chi sia. Perché lui conosce questo nome e io no? – indagò Midori.
– Ehi, sembra quasi che tu sia gelosa! Lo sa perché lo ha trovato scritto dentro un cuore, sfogliando uno dei miei vecchi libri. E non te ne ho mai parlato perché è solo una cazzata da adolescenti, esattamente come ho detto a lui. Perché Pete voleva saperlo?
– Secondo lui, è qualcuno che ti ha fatta soffrire.
– Bah, di certo non ne sono morta, come vedi.
– Già… ma ti ha convinta che quando un uomo dice ti amo, è solo una bugia ben riuscita.
– In linea di massima, sì; ed è inutile che fai la paternale a me, quando nemmeno tu vuoi sentirtelo dire! E ha poco senso, scusa: tu e Sanshiro potreste essere davvero una coppia!
– Siamo in guerra, Briz: non c’è tempo per cose come promesse, progetti o… altro, che renderebbero tutto più…
– …più cosa, Midori? Impegnativo? Profondo? Reale? Ha! E poi quella strana sarei io?
– Cosa faresti tu? Sentiamo!
– Ci sono molti se, in questa già ipotetica situazione. Cosa farei se io fossi una che si innamora, e se avessi qualcuno che mi ama davvero? E se volessi una circostanza del genere? È tutto alquanto improbabile, ma nel caso… io vorrei promesse! Tante! E vorrei progetti! Vorrei tempo insieme… Vorrei amore, passione, fedeltà, tenerezza, eternità! Vorrei giorni… e notti. Vorrei tutto, Dori, tutto il possibile, perché non sarei disposta a dare niente di meno; a maggior ragione quando tutto potrebbe finire da un momento all'altro. Ma, ribadisco, io non mi innamoro facilmente, non cerco un uomo, e, soprattutto, non stiamo parlando di me! Io spero con tutto il cuore che non succeda niente a te o a Sanshiro, ma se davvero hai tanta paura che uno di voi due possa morire, vuoi davvero correre il rischio che accada… senza nemmeno sapere come sia fare l'amore con lui?
– Briz! – esclamò Midori scandalizzata, rossa come un'aragosta.
– Ma non fare la scolaretta, Dori, siamo grandi: e quando si è innamorati certe cose succedono, lo sai benissimo! Ed è esattamente quello che siete, tu e Sanshiro: innamorati, anche se tu non vuoi considerarla in questo senso.
– Ma senti, ha parlato l'esperta! Sei davvero forte, tu: quella che solo una settimana fa aveva dubbi su come potrebbe finire questa guerra e che non crede nell'amore e nelle promesse degli uomini!
– E io ti ho appena detto che non è di me, che parliamo; tantomeno di me e Pete. E detto questo… chissà: magari da qualche parte, là fuori, in qualche posto… c'è davvero un bravo ragazzo, disposto a prendersi, un giorno, una pazza sconsiderata come me per tutta la vita e a fare con me due o tre bambini… in modo tradizionale!
In quel momento la porta si aprì, e Pete entrò trascinandosi dietro un ramo di abete. Briz e Midori si guardarono per un attimo, e Fabrizia si rifiutò di vedere ciò che gli occhi dell’amica parvero suggerire: “A proposito di bravi ragazzi… eccone qui uno”.
– Ah, sei qua, fanciullina! Che ne dici di darmi una mano, visto che questa cosa me l'hai commissionata tu? – esordì lui, vedendola.
– Da quanto tempo sei lì, dietro quella porta? – gli chiese Briz, serissima, andando ad aiutarlo.
– Da adesso, mentre parlavi di un povero bravo ragazzo al quale non oso pensare cosa faresti passare, se davvero avesse la disgrazia di incontrarti!
– Faccio finta di non aver sentito; qui lo dico e qui lo nego, potresti anche avere ragione – tagliò corto lei in tono scherzoso, apprestandosi a sistemare il ramo verde in un grande vaso pieno di terra che aveva preparato in precedenza, non essendosi dimenticata che, quel giorno, era la vigilia di Natale.
Poi tirò fuori, dallo scatolone che aveva portato, una profusione di palline natalizie e ghirlande luccicanti, tutte sui toni del blu e dell’argento.
– È questo che sei andata a fare oggi pomeriggio? Comprare decorazioni natalizie? – chiese Midori.
– Uhmm, sì… Fra le altre cose… – rispose Briz, enigmatica.
– Ti do una mano – disse Pete – Anche se dall'ultimo albero che ho addobbato è passata una vita.
Non c’era bisogno di essere un genio per capire che l’ultima volta dovesse averlo fatto con la sua famiglia.
In quel momento arrivarono Sakon e Jamilah, gli unici altri due che non seguivano riti orientali, seguiti a breve distanza da Sanshiro.
– Ehi, che bello, l’albero di Natale ci voleva proprio, qui al Centro! – esclamò Jami.
– Effettivamente, credo fosse l’unico posto di Omaezaki in cui mancava. Certo che siete forti, voi giapponesi – commentò Pete, rivolto a Sanshiro – In Giappone i cristiani saranno sì e no due milioni, il resto siete buddisti, scintoisti o atei, ma festeggiate il Natale come gli occidentali, con immensi alberi addobbati, Babbi Natale e luminarie come non ne ho mai viste nemmeno in America. Anche se per voi, in realtà, è… una specie di San Valentino.
– Hai ragione, è proprio così – convenne l’amico – Ma io, Midori e gli altri conosciamo il significato del vostro Natale, e lo rispettiamo. Anzi, devo dire che ha anche un certo fascino.
Intanto, nonostante l'ora tarda, erano arrivati anche Daimonji e gli altri ragazzi, che si avvicinarono incuriositi: sembrava che nessuno, quella sera, avesse voglia di andare a dormire, e Fabrizia scoprì che, sebbene avessero un'altra religione, o magari nessuna, i loro amici erano contenti di condividere con loro quella notte.
Nel giro di un altro quarto d'ora l’albero era finito, e Briz pensò che, per quanto quelle decorazioni fossero semplici, almeno creavano l’atmosfera. Mentre gli altri parlavano, prese un oggetto dallo scatolone; voleva darlo a Pete, ma si bloccò, sentendo dall'esterno un suono in lontananza: una campana! Se ne uscì sulla grande terrazza per sentirla meglio.
Pete la vide andar fuori e la seguì: la notte era frizzante, ma non gelida, e tutte le stelle sembravano essersi date appuntamento in quel pezzo di cielo sopra le loro teste; la neve, a parte qualche chiazza tra gli alberi, era ormai solo un ricordo.
– Che fai qua fuori al freddo, fanciullina?
– Senti? Le campane… Mi viene un po’ di nostalgia di casa, a sentirle, ma adesso sì, mi sembra davvero Natale. Tieni, questo è per te – e gli allungò l'oggetto che teneva in mano: un contenitore cilindrico, di quelli che di solito servono per contenere rotoli di progetti… o disegni
– In realtà avrei voluto dartelo per il tuo compleanno, ma il ventuno è stata una giornata un po'… impegnativa.
– Sì, giusto un po' – concordò lui, con un sorriso – Ma me lo avevate già fatto, un regalo – aggiunse, mostrandole il ciondolo di lucido acciaio a forma di drago, appeso al laccetto di cuoio che portava al collo, che gli amici gli avevano dato un paio di giorni prima, in uno dei pochi, brevi momenti di calma.
– Questo è da parte mia, al mio Miglior Nemico. Diciamo che è diventato un regalo di Natale.
Pete aprì il contenitore e srotolò il foglio che conteneva. Alla luce che filtrava dalle vetrate, si ritrovò a guardare il disegno che aveva fatto Briz: era lui sull'ala del Drago, che guardava il tramonto sul deserto del Sinai, con parte della testa del Drago Spaziale che si intravedeva alle sue spalle.
– Sei riuscita a farlo a memoria, alla fine – si stupì.
– M-mm… La cosa più difficile è stata ricordare i colori. E tu… mi sei venuto bene, devo ammetterlo, ma non fare il presuntuoso: non sei l'unico a cui ho fatto un ritratto.
– Grazie, è davvero molto bello. E io… non ho un regalo per la mia Miglior Nemica.
– Direi che avermi salvato la vita è stato un pensiero carino, da parte tua – rispose, girandosi a guardare il cielo stellato per nascondere il proprio imbarazzo.
Pete si accorse di avere, tutto a un tratto, un bisogno assurdo e impellente di toccarla, necessità nella quale il profumo di biancospino, che aveva cominciato a stordirlo, aveva avuto un ruolo di primo piano: la sua mano si mosse quasi da sola verso le spalle della ragazza, ma l'aveva appena sfiorata alla base del collo, che lei si ritrasse.
– Ahia! No! – esclamò quasi sobbalzando.
– Ehi, scusa! Che cos'hai? – le chiese, ritraendo il braccio a tutta velocità e mettendosi le mani in tasca.
– È che… sono ancora tesa e indolenzita dalla nostra ultima missione: ho male dappertutto.
Pete non disse niente: anche lui aveva ancora i muscoli tesi e doloranti da tre giorni, però non fino a quel punto! Dopotutto, l'aveva appena sfiorata. Mah… in fondo, Briz era la ragazza dei mille misteri.
– Pete, senti… c'è un'altra cosa che voglio dirti: Tom studia Medicina, è uno dei migliori del suo corso; e quella J. di cui mi chiedesti “Chi, o cosa è”
– Sì…? – la incalzò lui.
– Jessica. Una bella ragazza, e anche brava; ha un anno in meno di lui, ma studiano insieme, perché è andata a scuola un anno prima.
– Dove, non è dato sapere, vero?
– Non dipende solo da me, lo sai: ho fatto una promessa.
Pete annuì e non insistette.
– Non avrei mai immaginato che Tom desiderasse diventare medico… Sono felice di saperlo.
Vedendo che lei non aggiungeva altro, concluse: – Si sta facendo freddissimo: torniamo dagli altri.
Lei assentì in silenzio, passandogli accanto; con un movimento rapido, ma gentile, Pete la fermò.
– Grazie, per avermi detto di Tom.
Le accarezzò lievemente il viso, le fece scivolare la mano dietro la testa e le diede un leggerissimo bacio sulle labbra; un istante, non di più: un bacetto come quello che gli aveva rubato lei pochi giorni prima, solo un po' meno brusco.
Il tempo di realizzare cosa stesse succedendo, ed era già finito. Briz sollevò lo sguardo sconcertato in quello di lui, che le teneva ancora la mano tra i capelli.
– M-ma p-perché? – gli chiese incerta, senza sapere cosa pensare.
Pete sorrise, un'espressione tra il dolce e l'ironico, mentre la lasciava andare e si allontanava di due passi.
– Perché mi andava. Pensavi di avere l'esclusiva? E non siamo nemmeno andati in pari, se consideriamo quello con cui mi hai svegliato dall’ipnosi.
– Ah… oh, uhm… okay – fu l'unica cosa che Briz riuscì ad articolare, prima di rientrare dagli altri.
Una volta dentro, lei rimase appoggiata alla sua solita vetrata, guardando fuori; in realtà guardava il riflesso di sé stessa e, per la prima volta, ciò che vide in quel riflesso fu incredibilmente piacevole. Si passò la lingua sulle labbra secche, col cuore in tumulto, ripetendosi uno dei suoi mantra.
"Sta giocando. Sta giocando. Sta giocando".
– Ehi, sei andata in screen-saver? – le chiese l’oggetto dei suoi pensieri, vedendola assorta e strappandole un sorrisetto.
– Non so… è che… per la prima volta, quello che vedo qui riflesso non mi dispiace.
– Credevo vedessi solo una… perticona insignificante.
Briz osservò i propri jeans aderenti con un paio di strappi strategici, gli stivaletti bassi sulle caviglie e decorati con fibbie e borchie argentate, e il cardigan di lana nero, un po' abbondante, col cappuccio sulle spalle. Quell’abbigliamento era tutto fuorché elegante, ma i capelli appena lavati erano morbidi, lucidi, avevano una parvenza di ordine, e gli occhi erano luminosi: strano, ma si piaceva davvero.
– Sai, Pete, la nostra ultima missione, e un altro paio di piccoli avvenimenti, hanno cambiato la mia percezione delle cose. Ti comunico, ufficialmente, che oggi ho ucciso Fabry-froggy! Sai chi vedo al suo posto? Una tipa alta, tosta e pure carina!
– Che tu abbia fatto fuori Froggy è una gran bella notizia! E, per la cronaca, quello che vedo io è esattamente quello che vedi tu: una tipa alta e tosta, e molto, molto bellina.
– Wow! Vedi che me l’hai fatto un regalo di Natale? La mia autostima ha raggiunto i valori massimi e ringrazia!
"E se stai solo giocando… beh, gioca quanto ti pare: ci sto, purché non si esageri. Spero solo di non uscirne massacrata" pensò, stupita di sé stessa.
– Bene… e adesso vieni qua con noi, prima di montarti la testa – concluse Pete trascinandola a sedersi su uno dei divani, in compagnia degli altri.
Ben presto, tra una risata, il racconto di un aneddoto e qualche futile chiacchiera, si accorsero che Sakon era invece piuttosto taciturno.
– A cosa pensi, Sakon? – gli chiese Sanshiro vedendolo così pensieroso.
– Ah, niente, così… Pensavo che mi dispiace che l'unica cosa capace di far cessare i conflitti più sanguinosi sulla Terra, sia stata una guerra ancora più grande, addirittura contro un altro pianeta.
– E poi, cosa credi? – disse Briz – Che se finirà tutto bene, l'umanità rimarrà tutta unita in un abbraccio fraterno? Le do cinque anni, ed esagero; poi qualcuno ricomincerà a spararsi addosso.
– Oh, no! – intervenne Pete, seduto accanto a lei – Questo mi rifiuto di crederlo! Non voglio e non posso pensare che gli uomini saranno così stupidi da ricominciare a combattersi e a uccidersi, dopo una prova del genere! L'umanità dovrà imparare, da tutto questo!
Fabrizia lo osservò, dubbiosa: Pete, forse, non aveva tutti i torti, solo che, detto da lui… era strano.
– Da quando sei diventato così ottimista e fiducioso, Pete? – gli chiese il dottor Daimonji.
La risposta fu data in tono leggero e divertito:
– Doc, è colpa sua: è stato lei a costringermi a passare il mio tempo libero con un'ottima maestra.
A quel punto scoppiarono tutti a ridere, ricordando che Briz, la settimana precedente, aveva usato nei suoi confronti la medesima espressione, anche se in modo molto duro e in senso decisamente più negativo.
– Davvero hai fiducia nel genere umano, Pete? Davvero credi che ne usciremo tutti migliori? – gli chiese.
– Perché non dovrei? Sì, ci voglio credere, o per lo meno ci spero – disse serissimo.
– Richardson, in versione ottimista sei davvero irresistibile, sappilo! Il mio replicante si fa davvero vivo, ogni tanto: sono io, che ho creato un mostro! – esclamò Briz, schioccandogli uno scherzoso baciotto rumoroso su una guancia.  
Pete la guardò un po' di sguincio scostandosi appena, un sopracciglio sollevato in un’espressione tra il perplesso, lo stupito e l'imbarazzato.
– Beh, fanciullina, non ti ci abituare: un cuore di ghiaccio non si scioglie con un po' di ottimismo, e il replicante ha fatto atto di presenza solo perché è la notte di Natale. Ragazzi, – annunciò poi, alzandosi in piedi – non so voi, ma io domattina, anche se è festa, comincio il turno di guardia alle sei: anche Capitan America ha bisogno di qualche ora di sonno, ogni tanto. Buonanotte!
Un attimo ed era sparito. Briz rimase qualche secondo a fissare la porta, poi le sfuggì un sorriso: chi era più abile, tra loro due, in materia di fughe ad effetto?
– Ehi, piccoletta! – tuonò Yamatake – Dai, senza scherzi: che succede tra te e Capitan Richardson?
La domanda di Yamatake la fece ridere, mentre gli rispondeva:
– Proprio un bel niente, Godzilla! È il mio Miglior Nemico, come sempre!
– Ah, ma certo, si capisce: è perché siete nemici, che ogni due per tre gli salti addosso e te lo sbaciucchi!
 
***

La sera del trentun dicembre non aveva l'aria di essere particolarmente diversa dalle altre: anche in quell’ultima settimana i lavori sui mezzi da guerra avevano impegnato a fondo tutto l’equipaggio.
Erano passati dieci giorni dalla distruzione della Tana del Diavolo, e tutti stavano ricominciando a sentirsi in pericolo. Non che ci fosse uno schema temporale preciso, negli attacchi degli Zelani: era successo ancora di dover combattere due giorni di fila, o che passassero anche venti giorni fra una battaglia e l'altra. In ogni caso, la guardia non era mai abbassata anche se, con l'annientamento della stazione da guerra, Darius, i quattro generali e scagnozzi vari, avevano preso una gran brutta suonata.
Una festa di Capodanno vera e propria era fuori discussione, ma a due chiacchiere in compagnia, gli auguri a mezzanotte e un po' di musica, nessuno disse di no. Quando Briz arrivò nella sala comune col suo computer portatile, Midori stava già rovistando tra i vecchi CD e le chiavette che contenevano le loro musiche preferite.
Sakon, Jamilah e Pete arrivarono dopo un po'.
Il cuore di Fabrizia tentò una capriola nel vedere il suo Capitano, e lei faticò non poco a rimetterlo al suo posto. Oltretutto indossava un maglione di lana azzurro, lavorato a trecce e con il collo alto, che gli stava una meraviglia, e lei per un attimo si pentì di essersi accontentata dei soliti jeans e di una maglia nera a maniche lunghe, con la scritta Rock sul davanti in grandi lettere a colori fluo e persino glitterati. Non che lei, nel suo armadio, avesse qualcosa di più elegante, ma anche Midori e Jamilah si erano tolte dai soliti stracci di ogni giorno, indossando camicette carine; l’amica mulatta sfoggiava addirittura una minigonna nera e stivali con i tacchi. Ma pazienza… lei e i vestiti eleganti e femminili non erano mai andati molto d’accordo.
Da quando Pete le aveva salvato la vita, i loro rapporti avevano subito una piccola svolta, non tanto per quel paio di bacetti che si erano scambiati per scherzo, e che lasciavano il tempo che trovavano, quanto perché dovere la vita a qualcuno, te lo faceva per forza vedere in modo diverso. Il fatto che lei fosse anche a un passo dal ritrovarsi stracotta come una zucchina lessa era un’altra faccenda, solo un dettaglio, che se ne stava in un compartimento del suo stupido cuore, chiuso a tenuta stagna. Con un po’ di fortuna, forse, un giorno, la famosa cosa strana le sarebbe passata: ci credeva ancora, in questa possibilità. Così gli sorrise con noncuranza, e tornò a trafficare con il computer e le tracce musicali.
Sakon, dal canto suo, si guardò attorno in silenzio e osservò Jamilah che rideva con le amiche: ce l'aveva sotto agli occhi da quanto…? Da quando si era iscritta al corso di cui lui era docente all'università di Auckland… e quando Doc, quasi due anni prima, lo aveva contattato per occuparsi insieme a lui del Drago Spaziale, dicendogli di scegliersi un collaboratore che lo affiancasse, lui non aveva esitato un attimo: Jamilah Nyong’o era stata la scelta più facile, intelligente e dotata com'era. Poi un giorno Pete, la persona più improbabile tra tutti i suoi compagni, gli aveva detto di guardarla bene. Si era sempre reso conto dei suoi pregi: Jami era, oltre che intelligente, anche simpatica, leale e coraggiosa.
– Vedo che stai seguendo il mio consiglio, professor Gen – disse Pete, quasi gli avesse letto nel pensiero.
– Almeno quanto tu stai seguendo il mio, direi – fu la pungente risposta di Sakon, vedendo che lui osservava Briz.
Pete non rispose, limitandosi a guardare l'amico sollevando un sopracciglio in un gesto eloquente; Sakon recepì il messaggio e tornò a guardare Jamilah: oltre alle qualità di cui aveva appena preso atto, Jami era anche bella da togliere il fiato! Era così diversa, sia per aspetto fisico che per carattere, dalle donne con cui aveva avuto a che fare fino a quel momento… Beh, meglio dire dalla donna, visto che Lisa era stata una cometa, una stella cadente rapida e tragica, con la quale non c’era stato tempo per nulla. E l’unica altra con cui avesse, invece, condiviso parte della sua vita, Alison, era stata una cosa totalmente diversa, chiusa da tempo e a cui non aveva più voglia di ripensare. Non aveva motivi per sentirsi legato a nessuna, tuttavia, per qualche strano motivo, sul quale non si sentiva ancora pronto per interrogarsi, nei confronti di Jamilah si sentiva come… frenato.
– Jami, non pensi di allietarci con la tua ugola d'oro anche stasera, vero? – chiese Yamatake con fare scherzoso.
– Per questa volta vi risparmio, contenti? Ma magari, se l’Orrore Nero attaccasse, potrei improvvisare qualcosa, sarei una perfetta arma impropria: li metterei in fuga in un nanosecondo! – rispose Jamilah ridendo; sapeva stare al gioco e conosceva i suoi limiti: era stonata e pace, non ci poteva fare niente.
– Non si può aver tutto, dalla vita, Jami – disse Sakon, intuendo i suoi pensieri.
Era evidente che il sottinteso stava a significare che lei, di qualità, ne avesse già a bizzeffe; Jamilah accettò il complimento con un sorriso e un cenno del capo, mentre si accomodava al tavolo che Sakon divideva con Yamatake.
Vedendo le altre due ragazze che trafficavano ancora con le musiche nel computer portatile di Fabrizia, Pete chiamò Midori che lo raggiunse.
– Dori, fai cantare Briz – le suggerì.
– Briz? Ma lei non canta.
– Questo lo credi tu – e dicendo così, si diresse lui stesso ai microfoni e ne mise uno sull'asta, piazzandolo davanti a Fabrizia che, avendo sentito lo scambio di frasi fra i due amici, lo squadrò inorridita.
– Ma non ci pensare nemmeno – dichiarò semplicemente.
Lui non raccolse il netto rifiuto e rimase piantato davanti a lei, bloccandola lì con il microfono davanti alla faccia.
– Ti prego, Pete, non farmi questo – lo supplicò Briz, con due occhi che avrebbero impietosito un sasso.
– Oh, un attacco di avvilimento? Quando imparerai a credere nei tuoi talenti? Dov'è finita la strepitosa? 
Briz tergiversò… Era un’altra sfida, un altro gioco: tirarsi indietro era assolutamente impensabile!
– Okay, lo faccio, ma a tuo rischio e pericolo, perché te la farò pagare! Ne sei consapevole, vero?
Pete sorrise ironico: – Non vedo come, ma correrò il rischio.
La base musicale partì: la canzone era “Set fire to the rain”, di Adele, quella che le aveva sentito cantare, tempo addietro, alle scuderie.
Briz attaccò al momento giusto, seppur nervosissima e rigida come un manico di scopa, e la voce le tremò un paio di volte: non aveva mai cantato davanti a qualcuno. Ma quando arrivò in fondo, gli amici non poterono fare a meno di applaudire, stupiti di aver scoperto una cosa del genere: per essere solo un'autodidatta, Briz il maschiaccio aveva davvero una discreta voce.
Midori in particolare era rimasta senza parole! E a quanto pareva, anche stavolta, come per la faccenda di Diego, Pete lo sapeva… e lei no! Questa cosa la sconvolgeva.
Briz si affrettò a spostare il microfono per andarsene, guance in fiamme e cuore in gola.
– Dove vai? Non crederai mica di aver finito? – le disse Pete, afferrandola per un braccio e riportandola al suo posto.
Lei sbuffò e lui, per tutta risposta, le mostrò un altro titolo sul monitor del computer.
– Avanti, questa l'hai cantata da Dio col manico del forcone, figurati con un microfono vero. Alla peggio fingi che ci sia solo io, che tanto ti ho già sentita cantarla.
Briz mollò una risata di gusto: – Ahahah! Non è possibile! – esclamò rivolgendosi agli amici – Ci credereste? Mi ha appena chiesto di concentrarmi su di lui… per cantare “I dream about you”!
Lo guardò un attimo, poi afferrò il microfono, a metà tra il deciso e il rassegnato.
– Forza, dai, prima inizio, prima finisco. E levati di qui… credo che terrò gli occhi chiusi.
Mentre le risate degli amici si spegnevano, la musica partì e Briz abbassò le palpebre e cominciò a cantare, tenendo davvero le palpebre abbassate. Giunta al ritornello, riaprì gli occhi e… vide Pete tranquillo e rilassato, appoggiato al muro con una spalla, le mani in tasca e un mezzo sorriso, che la guardava; così continuò a cantare con lo sguardo fisso su di lui, facendo tutto il possibile per farlo sentire in imbarazzo.
Pete si sentì osservato: in effetti gli amici guardavano alternativamente lui e Briz e, quando la canzone finì, dovette togliersi dall'impaccio in qualche modo.
– Sai anche recitare bene, oltre che cantare, Cuordileone: avresti convinto chiunque che davvero “Mi sogni tutte le notti”.  
Briz accennò un ghigno e ribatté:
– Paura, eh? Bah, sono talmente stanca ultimamente, che non so nemmeno più cosa voglia dire sognare, figuriamoci sognare te! – mentì senza pudore, preparando sul computer un'altra base musicale.
– Aiutami un secondo, per favore, qui c’è qualcosa che non va! – brontolò, pestando sulla tastiera del PC.  
Lui la raggiunse e, quando vide il titolo evidenziato sul monitor, mangiò la foglia e fece per andarsene; Briz lo afferrò per un braccio e con l'altra mano gli trascinò il microfono sotto il naso.
– Ma sei suonata? Io non…
– “Tu non” un cavolo: ti avevo avvertito che me l'avresti pagata!
– Ma non sai nemmeno se so fare, a cantare! Ti sembro il tipo?
– Intanto ho i miei informatori, e poi… ti ho sentito anch'io, giù alle scuderie, quando pensavi di essere solo! La prima volta, parecchio tempo fa ormai, canticchiavi soltanto; così ti ho tenuto dietro e ho scoperto due cose: uno, che sei piuttosto bravo, e due, che c'è un complesso al quale non riesci a resistere. E, fra parentesi, non posso nemmeno darti torto, visto che li adoro anch'io. Credevi di essere l'unico con la vocazione di spia? Fra l'altro sono stata anche più brava di te: io non mi sono fatta sgamare a spiarti. E adesso zitto e canta!
– Ah, “Zitto e canta” è proprio un bel discorso: l'ossimoro principe! Ma andiamo, Briz, è da quando avevo diciotto anni che non faccio qualcosa del genere! – protestò lui.
– Shh! Bugia: l’ultima volta t’ho sentito nemmeno una settimana fa, giù dai cavalli!
– Ma non è la stessa co…
La base musicale partì, interrompendolo: la mitica introduzione, piuttosto lunga, di “What I've done”, dei Linkin Park. Pete afferrò con un sospiro l’asta del microfono e la fulminò con un'occhiataccia, sentendosi con le spalle al muro, ma nemmeno lui era il tipo da tirarsi indietro davanti a una sfida.
– Giochi sporco, fanciullina, sapevi che non avrei resistito… – commentò con un mezzo ringhio.
– Ah, gioco sporco, eh? Indovina da chi ho imparato – mormorò Briz, facendo per allontanarsi, ma lui la bloccò di nuovo davanti all'altro microfono, stringendole un braccio.
– Qui ti tocca, che credevi? – disse Pete, con uno sguardo diabolico.
– Cosa pensi, di farmi un dispetto? Tanto, ormai… – rispose lei, decisa a stare al gioco.
Vide Pete prendere un respiro, e cominciare a cantare.
E se Briz aveva stupito gli amici, lui li lasciò addirittura annichiliti: se c'era qualcosa che non avrebbero mai pensato di trovare nel loro Capitano, era un'anima rockettara, tantomeno una voce come quella. Quando giunse al ritornello, la voce di Briz si unì alla sua. Quelle dei Linkin Park erano due voci maschili, Chester Bennington e Mike Shinoda, ma quelle di Fabrizia e Pete sembravano fatte apposta per fondersi l'una con l'altra: il taglio personalizzato che diedero alla canzone fu quantomeno originale, ma di certo non ne uscì snaturata, anzi!
Alla fine del brano rimasero per qualche secondo ansanti, le mani strette sui microfoni, a guardarsi negli occhi senza riuscire a credere di aver fatto una cosa del genere.
Briz si girò verso gli amici: – Ne volete un'altra? Sì, vero?
Pete alzò gli occhi al cielo, tra l’esasperato e il divertito.
– Briz, tu sei come quei suonatori che volevano un dollaro per cominciare e dieci per smettere!
– Perché tu, invece?! Si vede lontano un miglio che non vedi l'ora!
– Ma come ho fatto a cacciarmi in questo casino? – si lamentò Pete, che in realtà cominciava a divertirsi.
– Sei stato tu a cominciare, Richardson! Hai voluto la bicicletta? Adesso pedala! Che ne dici di questa?
– “Burn it down”… La so, ma c'è un pezzo di rap che si sovrappone alla voce di Bennington.
– E tu canta Bennington: alla parte rap ci pensa Briz Shinoda. 
A quella battuta Midori uscì di corsa e piombò nello studio di Daimonji, dove il dottore era ancora impegnato in alcune ricerche. La musica a volume alto arrivava fino lì: non era molto il suo genere, lui era più il tipo da musica classica, ma tutto sommato non la trovava nemmeno terribile, e pensò che i ragazzi avevano bisogno, ogni tanto, di qualche distrazione, altrimenti sarebbero impazziti.
– Doc, devi venire subito! – esclamò agitata la sua figlioccia.
– Ma che succede?
– Sono Pete e Fabrizia…
– Oddio! Litigano un'altra volta!? – chiese Daimonji preoccupato.
– No, no…  Però questa non te la puoi proprio perdere!
Doc la seguì incuriosito ed entrò nella sala, dove i due in questione… stavano cantando! Insieme!
Pete stringeva il microfono, gli occhi serrati, concentratissimo: sempre lui, insomma. Briz invece interpretava la parte più parlata, agitandosi come un vero rapper e, quando taceva, mimava gli strumenti musicali: in quel preciso momento afferrò l’asta del microfono di traverso, fingendo di suonare la chitarra.
Insomma, la solita buffona.
 
sing-a-song  

Per più di mezz'ora l'inedito duo cantò, una dietro l'altra, diverse canzoni dei Linkin Park e dei Simple Plan.
Alla fine, quello che più di ogni altra cosa stupì il dottore e i loro amici, a parte l'innegabile fatto che entrambi erano bravi, fu il modo in cui interagivano l'uno con l'altra. Gli bastava un'occhiata o un gesto appena accennato per capirsi: comincio ioentra tufinisci tucontinua. Erano affiatati come se non avessero mai fatto altro che cantare insieme.
Pete e Fabrizia si portavano dentro ancora parecchi segreti e se, a prima vista, sembravano diversi come il giorno e la notte, Daimonji era sicuro che fosse solo apparenza: i due ragazzi avevano molte cose in comune, avevano affrontato entrambi lutti e tragedie, e ciò che li rendeva diversi non era tanto il dolore, che doveva essere molto simile per entrambi, quanto il modo in cui lo affrontavano.
Ma di una cosa era certo: non aveva mai visto Briz così disinvolta e sicura di sé stessa come in quel momento; ed era altrettanto sicuro di non aver mai visto Pete sciolto e sorridente come quella sera.
Dopo l'insolito exploit canoro del Capitano Richardson e del Comandante Cuordileone – costretti, a un certo punto, a dare forfait, ormai senza fiato e con le corde vocali provate – la serata proseguì con qualche tranquilla canzone cantata da Midori, seguita poi da chiacchiere e risate.
Finché, all’improvviso, un botto pazzesco, come una specie di esplosione, li zittì e paralizzò tutti quanti per alcuni di secondi. I ragazzi si precipitarono verso il tavolo sul quale tutti avevano appoggiato le loro pistole laser, che non abbandonavano mai.
– Co-cos'è s-stato? – balbettò Briz, con la pistola in pugno, pallida come un cencio.
– Calma, Briz… – disse Pete toccandole un braccio, anche lui con la pistola spianata.
Un altro botto si ripeté, facendo tremare le vetrate: una cascata di luci riverberò nel cielo scuro, al di sopra degli alberi. Tutti tirarono un sospiro di sollievo e uscirono sul terrazzo, tranne Briz che rimase indietro, tentando di dominare il tremito che l'aveva travolta.
– Ma porca trota… – imprecò, più che altro contro sé stessa.
Gettò la pistola sul divano con un gesto stizzoso, lasciandocisi poi cadere seduta, coprendosi il viso con le mani. Fuori, i botti continuavano e le fontane di luci colorate riempivano il cielo; a Briz venne quasi da piangere.
Pete era rimasto sulla soglia del terrazzo e si voltò, credendo di averla alle spalle; quando la vide là seduta la raggiunse, comprendendo il motivo per cui si fosse spaventata.
– Briz… sono solo fuochi d'artificio.
– Eh, ma grazie, sì? Adesso lo so! Merda, mi è quasi preso un colpo!
– Senti, lì per lì ci siamo impauriti tutti, ma è stato un momento. Su, vieni fuori con gli altri – le disse tendendole una mano.
Fabrizia gliela prese, si alzò, ma non si sognò di mollarlo, mentre uscivano.
– Quanto dovremo andare avanti così, ancora? Io mi sento quasi in colpa per aver abbassato la guardia ed essermi divertita per una sera, e i cittadini di Omaezaki hanno il coraggio di sparare fuochi artificiali!? Non so se ho voglia di vedere e sentire esplosioni! – brontolò, senza sapere se essere arrabbiata o sollevata.
Pete le lasciò la mano e le circondò le spalle col braccio, notando per un attimo che non aveva più dolore alla base del collo; qualunque cosa fosse, che le faceva male la notte di Natale, sembrava fosse passata, però aveva ancora una bella tremarella: i botti l'avevano davvero scossa.
– Briz, se ci pensi bene, non è una brutta cosa… i fuochi, intendo: vuol dire che la gente ha ancora speranza, e che da quest'anno che sta iniziando si aspetta qualcosa di meglio.
– Come se ci volesse molto – rispose lei – e poi questi non sono ragionamenti molto da te, sembrano più considerazioni by Cuordileone: mi devi il copyright!
Lui le sorrise, sollevato nel sentirla scherzare: il brutto momento sembrava passato e Briz cambiò argomento.
– Sai, non sei male nemmeno tu, come attore: quando abbiamo cantato “Not alone”… mi hai quasi convinto che “Non sono sola”.
Pete le posò due dita su una guancia e con dolcezza le girò il viso, costringendola a guardare il gruppo dei loro amici, diversi passi davanti a loro, intenti a guardare i fuochi e a chiacchierare tra loro.
– Ti sembra di esserlo? – le chiese.
Briz osservò gli altri ragazzi, sorrise, poi tornò a guardare lui.
– No, hai ragione, non mi sento più sola già da un po': questa, insieme ad Anita e Filippo, è la cosa che più si avvicina a una famiglia, da quando ho perduto la mia. E… mi sono divertita un sacco, a cantare con te, stasera. Mi sentivo, non so… me stessa, dopo tanto tempo. Mi sentivo… a casa. 
– È vero, è stato molto divertente: mi sembrava quasi di essere tornato al liceo – poi la sua espressione diventò più seria, prima di proseguire – Ed è vero anche… quello che hai detto sul fatto di esserti sentita a casa, e che il nostro equipaggio sembra quasi una famiglia: anche per me è diventato così, da qualche tempo.   
Però! Era un’affermazione niente male, per il tipo ombroso e solitario che era stato fino a qualche mese prima.
Quell'ammissione la sorprese un po'; di certo non quanto la sorprese il piccolo bacio che le rubò all'improvviso, nel buio, sapendo che gli altri non li vedevano. Come le altre volte, fu solo una questione di labbra che si toccarono, anche se durò un po' di più.
Si staccarono bruscamente, consapevoli che, se non l'avessero fatto, sarebbe potuto diventare un bacio di tutt'altro genere, che avrebbe sollevato troppi interrogativi: non sarebbe più stato un gioco, lo sapevano entrambi. Briz lo guardò di sottecchi.
– Beh, che succede? Dall’asilo d’infanzia siamo passati alle scuole medie? – scherzò.
– È solo perché è Capodanno, e poi… adesso siamo pari, no? Rilassati, fanciullina: nemmeno io ti sogno la notte, fidati!
– Scemo! – ridacchiò lei sottovoce, spintonandolo leggermente con una spalla.
Doc era rimasto in disparte, guardando l'eterogeneo gruppo di giovani che formava il suo equipaggio: era evidente che Fabrizia e Pete non si erano accorti di lui, ma lui aveva visto e sentito loro.
La faccenda gli si palesò piuttosto chiara, alla luce di ciò che aveva visto una settimana prima – dopo il salvataggio di Briz dalla Tana del Diavolo – e ora su quel terrazzo: quei due potevano negarlo al mondo e perfino a sé stessi, ma era ovvio che si piacessero un bel po’.
Tuttavia, sembravano lontani anni luce dal soffermarsi a considerare la cosa seriamente, proprio come Sanshiro e la sua figlioccia e, con ogni probabilità, anche Sakon e Jamilah.
Era anziano, ma non era uno stupido: certe cose le notava anche lui; ma in fondo poteva comprendere tutte le loro indecisioni, remore e reticenze, considerando ciò che erano costretti a vivere ogni giorno: capiva chiaramente che non erano pronti, per almeno un milione di motivi, ad affrontare, e tantomeno accettare, sentimenti impegnativi.
Quello che ciascuno di loro, compreso il dottor Daimonji, non poteva ancora immaginare, in quel momento di tregua e relativa pace, era che presto non ci sarebbe stato più tempo né per i fuochi d'artificio, né per i giochi, né per le canzoni; tanto meno per i baci, dati o presi a tradimento che fossero.
E che dall’indomani in poi, per più di due mesi, quella sarebbe stata, per tutti, l'ultima sera spensierata.
                                                  
> Continua…




Note della scrittrice… autrice… matta schianta:
Sì, lo so, è un capitolo strampalato, ma spero non noioso: mi è venuto così e così l’ho lasciato, davvero avevo bisogno, di farli ridere e divertire tutti. 
Il prossimo capitolo è particolare, forse un po’ ostico, o almeno lo è stato per me. Ci saranno alcuni flashback che racconteranno cose che io ritenevo importanti al fine della narrazione, ma se avessi fatto dei capitoli veri e propri, sarebbe venuta una lungaggine infinita. Poi, per diversi capitoli, i nostri ragazzi parleranno…

Se a qualcuno dovesse interessare quali canzoni ho immaginato cantassero questi due, oltre a quelle citate, vi do un elenco. Su You Tube le trovate senz’altro. 


LINKIN PARK: Final Masquerade, Leave out all the rest, Iridescent, New Divide, Numb, Roads untraveled, In my remains, Powerless, Castle of Glass, Until it’s gone, Burning in the skies.

SIMPLE PLAN: Welcome to my life, Take my hand, This song saved my life, Astronaut.

E se state ancora aspettando i disegni dei baci… beh, aspettate. Scusate, ma vi sembrano baci degni di un disegno, questi? XD
Grazie per la vostra presenza, o voi che leggete con pazienza i miei deliri!
  
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