5. Maura: Lunga è la notte
Ci sono delle notti che nel gergo comune si definiscono “disturbate”. Credo non sia corretto definirle propriamente in questi termini; l personificazione di un oggetto (se così si può chiamare) è una tecnica che si addice alla narrativa o al senso comune, a non ha nulla a che vedere con la realtà. Eppure, che il termine sia appropriato o meno non importa, questa notte è stata DISTURBATA. Jane non era con me. Per la prima volta da quando si è trasferita a Washington, non era al mio fianco e una notte, come tutte le altre, è divenuta anticamera di incubi e timori più reconditi. Nella mia mente hanno cominciato a riaffiorare ricordi del passato ormai stipati: mio padre ferito, i killer, il carcere, la morte di Angela, le innumerevoli volte in cui Jane ha rischiato di morire. Mi sento il cuore chiuso in una morsa, specialmente qui e ora, nel letto freddo e vuoto che ci appartiene. E mi sento sempre impotente di fronte a lei, inutile, superflua. Non posso fare niente ora che lei è a mille miglia da Boston e non ho potuto fare niente allora, quando ha deciso di buttarsi in quell’impresa folle, che ha portato la nascita di quella meravigliosa creatura dagli occhi di ghiaccio, che ha riempito le mie giornate grigie, dando colore alla mia vita, portando la luce nel mio mondo ombroso.
Mi alzo e vado in camera sua; la vedo assopita nel suo lettino di ciliegio: sopra al pigiamo indossa la maglietta di MISS FBI, un regalo che mi fece Jane, ma che poi convenimmo si adattasse più al suo stile che al mio. E adesso ricopre il corpicino di mia figlia, lambendole le ginocchia nodose. Jane manca molto anche a lei.
- Charlotte…- le sussurro dolcemente all’orecchi, lasciandole un bacio sulla guancia calda. Lei storce il naso, poi apre un occhio e mi guarda. E io mi perdo nel suo cielo.
- E’ ancora presto…-le mormoro io: -Volevo passare un po’ di tempo qui con te.- le accarezzo il capo scompigliato. Lei allunga le braccia e le cinge intorno al mio collo. Con un movimento esperto la sollevo dal letto, lei si arpiona ai miei fianchi con le gambe sottili che fanno capolino da quella buffa maglietta. La porto nel nostro letto e la lascio riposare; mi stringo dolcemente a lei, sento i miei occhi inumidirsi, ma li chiudo, fermando le lacrime sul nascere. E finalmente riposo anche io.