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Autore: emmegili    25/03/2017    2 recensioni
- Hai intenzione almeno di dirmi come ti chiami o dovrò tirare ad indovinare?
- Hai intenzione di smettere di interrompermi mentre leggo o devo imbavagliarti?
- D’accordo, tirerò ad indovinare.
- D’accordo, mi toccherà imbavagliarti.
- Sei davvero adorabile, te l’hanno mai detto?
- Sei davvero un rompipalle, te l’hanno mai detto?
--
Ma Oliver... Oliver non muove un muscolo, nemmeno gli occhi. Mantiene lo sguardo fisso nel mio, come un salvagente nel mare in tempesta. Ogni volta che sto per affogare, mi aggrappo alla sua sicurezza.
--
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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And I'll be here until you fall asleep.
The storm is getting closer, I won't leave.
All the words I sing are whispers in your dreams.

When I said I wanted it all, I wanted it all.
It hurts more than ever, I won't give up now.
And all that you are is all that I need,
I promised forever.

So tell me it hurts, tell me it burns,
Tell me it's love and that you're ready to fall
Into my arms or into the ground,
It's lost or it's found,
Whatever you need to say, say it now, say it now, say it now.

​Say It Now - We The Kings

48.
 
Oliver
Me la stringo al petto, affondando il viso tra i suoi capelli.
Mi perdo a guardare il mare, seduto sul dondolo del portico. Rachele si accoccola a ridosso del mio petto, accarezzandomi i pettorali con la punta delle dita.
La osservo con un mezzo sorriso, poi intreccio le sue dita alle mie, portandomele alle labbra.
Lei sospira, mi guarda sorridendo.
- Non hai idea di quanto mi senta fortunata a conoscerti. –sussurra.
- Be’, se non ti avessi rotto le scatole quei primi giorni sull’autobus, ora non saremmo qui. –ridacchio, perdendomi a giocherellare con una ciocca dei suoi capelli.
Rachele sbuffa una risata.
- Eri così ostinato. –ricorda, baciandomi la mascella. Amo quando lo fa.
- Avresti dovuto vedere la tua faccia la sera del compleanno di Arianna. –rammento con un sorrisetto –Credo mi odiassi un poco.
- Un poco? Non ti potevo vedere. –sottolinea, inarcando un sopracciglio.
- Oh, andiamo. Ti scioglievi come un cioccolatino ogni volta che mi vedevi! Ti sei messa a balbettare quando ti ho chiesto se volessi bere qualcosa con me dopo la festa e, quando la mattina dopo ci hanno trovati addormentati insieme sul divano, eri tutta rossa e gongolante.
Sorride, pensierosa.
- Che bei ricordi. –soffia solo, sottovoce –Sembrano passati anni, non è vero?
Si lascia prendere dalla malinconia, e affonda il viso nel mio petto.
- Sembrano passati secoli. –convengo, in un sospiro.
Restiamo qualche minuto in silenzio, mentre Blue continua a giocare in riva al mare, saltando ogni volta che una nuova onda si infrange sulla sabbia.
- Sai, una relazione è fatta per sostenersi a vicenda. E direi che io e te siamo in una relazione fino al collo. –tento titubante, in attesa della sua reazione.
Rachele alza il capo, mi osserva.
- Che vuoi dire? –chiede esitante.
Prendo un respiro profondo e mi sistemo meglio sul dondolo, allontanandomi da lei. Continua a guardarmi, in attesa, mentre la preoccupazione si fa strada nei suoi occhi verdi.
Le prendo la mano sinistra e la stringo.
- Ti va di parlare un po’? –domando.
- Stiamo già parlando, Oliver, non...
- Lo sai cosa intendo. –la tronco sul nascere, osservandola con un piccolo sorriso ammonitore.
Lei posa lo sguardo sull’anello che le ho regalato e pare riflettere per qualche secondo. Poi, con una smorfia, fissa i suoi occhi nei miei.
- Mi sento una persona orribile, Oliver. –confessa, e tutto il dolore che teneva dentro pare sfociare fuori come un fiume dalle sue parole, dai suoi occhi –Mio padre sta morendo ed io non ho nemmeno la più pallida idea di come si senta. Ho abbandonato mia madre e mio fratello. Sono scappata, Oliver. Come una vigliacca.
Vorrei poterlo fare. Vorrei poterle dire che non stava bene per davvero, che i suoi, in un attimo di debolezza, la avevano abbandonata a sé stessa. Che ho dovuto salvarla, che non deve affatto sentirsi in colpa. Passo trenta secondi a domandarmi cosa faccia più male, se il senso di colpa o una bugia.
- Non sei stata una vigliacca... –ribatto flebilmente.
Lei socchiude gli occhi e mi osserva.
- Cosa c’è che non mi hai detto, Oliver? –sussurra spaventata.
E così ormai mi ha beccato. Non posso continuare a mentirle.
Chiudo gli occhi e cerco di mettere ordine nella testa.
- Non stavi bene, quando siamo venuti qui.
- Sì, be’, era piuttosto evidente... –borbotta confusa.
- No, non hai capito. Eri malata. –deglutisco –Ti ricordi? I tuoi genitori ti avevano fatto vedere un medico.
Annuisce lentamente.
- Avevano detto che era tutto a posto.
- Non era vero. Avevi... Avevi un esaurimento nervoso, baby girl. –mi costringo a non piangere.
Incassa il colpo ritraendosi di scatto, lo sguardo ferito.
- I tuoi non me l’avevano detto. Ho dovuto scoprirlo da tuo fratello. Ho consultato chiunque si potesse consultare. L’unica soluzione era portarti via. E quando tu me l’hai chiesto, io... Non ho potuto fare altro che portarti qui.
Si alza di scatto, le lacrime che le rigano copiose le guance.
- Come hai potuto? –singhiozza –Come hai potuto non dirmelo? Si trattava della mia salute, Oliver. Della mia vita. Non ne avevi alcun diritto.
Mi alzo a mia volta.
- Lo so. Lo so, okay? Ma avevo paura. Avevo una paura folle di perderti. –ribatto con voce rotta.
Mi guarda, mi guarda negli occhi, tremando.
- Alla fine mi hai perso comunque. –sussurra, piangendo.
Le sue parole mi tagliano, mi squartano, mi uccidono.
Resto lì, imbambolato, vuoto, a pregare che non si volti, che non se ne vada.
- Baby girl. –la chiamo, piano.
Lei scuote la testa.
- Siete tutti dei bugiardi. Non ce n’è uno che sia sincero fino in fondo. –gracchia solo, per poi superarmi e scendere dal portico.
Osservo la sua figura camminare lungo la riva fino a quando non sparisce all’orizzonte.
 
- Cavolo.
Quello di Scott è un sospiro esausto, mentre si passa le mani sul viso. Aspetto che dica qualcosa.
- Era sconvolta. –riesco solamente ad aggiungere.
Lui fa una smorfia di dolore, poi fissa le pareti dello studio, ricoperte di cornici con dischi di platino e chitarre.
- Ragazzi? –Sue spunta dalla stanza accanto, un sorriso dispiaciuto sulle labbra.
- Sì, abbiamo finito. Un minuto solo. –la ringrazio. Lei annuisce e scompare.
Scott mi guarda, preoccupato.
- Si sistemerà tutto, vedrai. –mi abbraccia.
Lo spero davvero. Mi saluta e si dirige verso la porta, mi lancia un sorriso teso prima di uscire.
Mi lascio cadere sul divanetto. Massaggio le tempie, nervoso.
- Buongiorno giovane canadese! –Shelia entra nella stanza, sprizzando gioia da ogni poro. Alzo lo sguardo, cercando di sorridere.
- Oh, no. Che c’è che non va? –mi raggiunge e si siede accanto a me, preoccupata. Mi posa una mano sulla schiena, in attesa.
- Ho litigato con Rachele. –confesso –Be’, più che altro lei si è incavolata. L’ho delusa. Dio, cosa ho combinato, Shelia?
Lei stira le labbra, dispiaciuta.
- Oh, Shelia. Bene! Possiamo iniziare a lavorare? –domanda Sue, comparendo nel mio campo visivo.
- No, no, no. –scatta in piedi la ragazza, con una determinazione tale da lasciarmi a bocca aperta –Oggi troveremo una soluzione a questa cosa. Ti aiuterò io. A costo di stare qui tutta la notte. Scusami, Sue.
Il sorriso angelico che regala a Sue conquisterebbe chiunque. La donna sospira e annuisce.
- D’accordo. Se avete bisogno di me, sapete dove trovarmi.
- Bene. Andiamo.
Shelia mi prende per un braccio e mi trascina letteralmente fuori dalla stanza.
- Dove stiamo andando? –le chiedo.
- A risolvere i tuoi problemi, Oliver, ecco dove stiamo andando.
 
Rachele
Quando apro la porta e mi ritrovo davanti Scott, per poco non scoppio a piangere di nuovo.
Lui mi sorride debolmente.
- Vuoi venire a fare due passi? –domanda dolcemente.
Annuisco, prendendo un respiro profondo.
Ci incamminiamo lungo la riva del mare, mentre il sole inizia a tramontare oltre l’orizzonte.
- Cosa c’è, Scott? –gli chiedo.
Non so cosa lui sappia, non ho idea di come lui si sia comportato. Ma proprio non riesco ad arrabbiarmi anche con lui.
- Volevo parlarti. –annuncia, sedendosi sulla sabbia. Dopo un po’ di esitazione, mi siedo accanto a lui.
Attira le ginocchia al petto, poi comincia a parlare.
- Lo sapevo, okay? Tutti lo sapevamo, Bay. –sussurra –E tutti volevamo farti stare meglio. Se fossi rimasta in Italia, le cose sarebbero solo peggiorate. So che sei incazzata. So che era un tuo diritto sapere. Hai ragione. Ma ti saresti sentita impotente, ti saresti fatta un sacco di paranoie e le cose non sarebbero migliorate di un centimetro.
Annuisco, concedendogli un briciolo di ragione.
- Oliver ha sacrificato tutto. Avrebbe dovuto cominciare a lavorare, ma ha pregato il signor Reynold di aspettare. Voleva prima starti vicino, farti guarire. E l’ha fatto. Si è dedicato completamente a te.
Gli occhi cominciano a pungermi, mentre cerco di calmarmi.
- E sai perché l’ha fatto?
Lo guardo negli occhi, non sentendomi pronta per la risposta. Perché per quante volta possa già avermelo detto, sentirlo da qualcun altro fa tutt’altro effetto.
- Perché ti ama. –esclama Scott, deciso –Ti ama. E’ così. Non puoi farci niente. Sei il suo primo pensiero quando si sveglia, l’ultimo quando va a dormire e quello che occupa tutto lo spazio in mezzo. Qualunque cosa faccia, la prima persona a cui pensa sei tu. Sei la sua intera esistenza, Bay.
Ormai le lacrime mi rigano le guance, silenziose.
- E puoi odiare me, puoi odiare Arianna. Anche Jay. Puoi odiarci tutti per non averti detto la verità. Ma non Oliver. Perché qualunque decisione lui abbia preso, l’ha fatto nel tuo interesse. Quando ha deciso di non dirtelo, è stato solo ed esclusivamente per il tuo bene. Per te. –Scott continua a parlare con tono dolce, amichevole.
Quando si volta a guardarmi, mi asciuga le lacrime con la manica della felpa.
- Lo amo anche io. Tanto. –sussurro, la voce rotta dal pianto.
Scott sorride, poi allarga le braccia. Mi ci butto a capofitto, come se non controllassi più i miei muscoli. Lui mi accarezza la schiena, mi stringe forte.
- E io? –domanda –Sono perdonato anche io?
Sorrido tra le lacrime.
- E’ impossibile arrabbiarsi con te, idiota. –strascico le parole, facendolo ridacchiare.
- Forse dovresti andare. Ho sentito una macchina. –Scott si guarda alle spalle, un sorriso dolce sulle labbra.
Mi abbasso e gli bacio la fronte.
- Grazie mille.
- Figurati, piccolina. Vai, adesso.
Corro verso la casa e spalanco la porta. Oliver, nel soggiorno, si volta di scatto. Il suo viso pare rilassarsi, probabilmente si era preoccupato non trovandomi a casa.
- Rachele. –dice il mio nome, riprendendo a respirare.
Chiudo la porta alle mie spalle, poi, a lunghi passi, lo raggiungo.
- Mi hai fatto preoccupare, io... –inizia, affannato. Si blocca, chiude gli occhi e si calma.
- Scusami. –ricomincia da capo, cercando i miei occhi –Avrei dovuto dirtelo, hai ragione. Mi dispiace tanto. Non voglio... Non posso perderti.
Faccio una smorfia, rendendomi conto del peso delle parole che gli ho detto.
- Possiamo mangiarci cento barattoli di panna montata, fare maratone di High School Musical, qualunque cosa. Se vuoi prendiamo un aereo e lasciamo tutto. Ce ne andiamo ai Caraibi, scappiamo via da qui. Sono disposto persino a una gara di karaoke. Ma ti prego, ti prego, non te ne andare.
E’ distrutto. Lo dicono i suoi occhi, il suo tono, le sue parole.
- Non volevo dire quello che ho detto, prima. –sussurro, scuotendo la testa –Ho esagerato, ti chiedo scusa. Non potrei mai lasciarti. Sei tutto ciò che mi rimane.
Sorrido, accarezzandogli una guancia.
- Prometto di non mentirti più. –bisbiglia.
- E io ti prometto che ce la faremo. Diventeremo vecchi e sordi insieme. –assicuro, asciugando con un pollice una piccola lacrime solitaria che gli traccia una linea bagnata sulla guancia.
Oliver sorride.
Gli vibra il telefono e lo tira rapidamente fuori dalla tasca dei jeans.
- E’ Jay. –mi informa, leggendo il messaggio –Chiede se stasera usciamo con lui e Arianna.
Sospiro innocente, sbottonando il primo bottone della camicetta.
Oliver inarca un sopracciglio, divertito.
- Be’, in fondo forse dovremmo lasciargli il loro spazio. –decide risoluto, rispondendo al messaggio e spegnendo il cellulare. Poi mi guarda, con un sorrisetto.
- Che gli hai detto? –domando, avvicinandomi.
- Che avevamo altre cose importantissime da fare. –sorride sornione, circondandomi la vita con le braccia.
Attacco le sue labbra alle mie e lo bacio, come se lui fosse aria ed io non riuscissi a respirare.
 
ANGOLO AUTRICE

Eccomi!
​Chiedo scusa per l'aggiornamento mancato di sabato scorso, ma il capitolo non era pronto e non me la sentivo di aggiornare con una vera e prorpia schifezza fatta di fretta, solo per aggiornare. A dirla tutta, anche questo capitolo non è che mi piaccia, ma non sapevo proprio come metterlo giù...
​Riguardo ai prossimi capitoli, posso dire solo che ci saranno colpi di scena!
Grazie mille e scusate ancora,
​emmegili
   
 
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