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Autore: Princess_of_Erebor    26/03/2017    18 recensioni
May è una giovane donna che vive nel XXI secolo. Un giorno si ritrova magicamente nella Terra di Mezzo, vedendo così realizzato il suo sogno più grande. Si unirà alla Compagnia dei Nani di Thorin Scudodiquercia e combatterà al loro fianco; vivrà esperienze uniche e incontrerà l'amore della sua vita.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Fili, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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CAPITOLO V

Un nuovo amico







May lasciò scivolare dolcemente la mano sul pelo lungo di un bell’esemplare di pony: era nero come la notte scura senza stelle, con un’elegante striscia bianca che, partendo dalla nuca, sfumava in mezzo alle narici. Era stato Kili a portarlo da lei, su ordine di Thorin.
Gandalf e gli altri avevano già percorso un bel tratto di strada quando lei e Bilbo li avevano raggiunti, ansimanti e accaldati; tirava una leggera brezza primaverile, ma era quasi mezzogiorno e il sole picchiava forte.
“Benvenuta nella compagnia di Thorin Scudodiquercia, straniera! Guarda guarda: ci sai fare con gli animali!”. Kili osservava con evidente curiosità May e il pony, il quale strusciava il muso contro la guancia della nuova padrona, quasi volesse darle il benvenuto. Lei pensò di dovergli dare un nome, dal momento che l’avrebbe cavalcato per giorni interi.

“Se fossi in te, non mi affezionerei troppo… E’ solo un animale, senza contare che potrebbe andare smarrito nel corso della spedizione!”.
May alzò gli occhi e vide Thorin che la guardava, seduto sul suo pony color caffellatte: il capo della compagnia aveva indovinato i suoi pensieri e quello sguardo, come il tono della voce, tradiva una leggera disapprovazione.
“Grazie di avermi illuminato, zio! Ho sempre sospettato di essere un animale, ma spero proprio che non mi perderete durante la spedizione!”.
Tutti i nani, eccetto Thorin, esplosero in una risata fragorosa e May fece altrettanto; sentiva che tutti loro avrebbero avuto bisogno delle allegre facezie di Kili nei giorni a venire. La fanciulla montò il suo pony, aiutata dal giovane nano, e si meravigliò di quanto fosse semplice cavalcare; all’inizio si sentì un pò goffa, ma non ci volle molto per accorgersi che le veniva naturale. Lo trovava assolutamente piacevole.

“Quel cavallino ti adora! Hai già deciso come lo chiamerai?”.
Kili trottava al fianco della giovane compagna e sembrava studiarne ogni singolo movimento; quella graziosa straniera, come gli piaceva chiamarla, aveva dei modi singolari che lo facevano sorridere. Un po’ più avanti, Gandalf e Thorin cavalcavano l’uno accanto all’altro, in testa alla fila.
“Chi ti dice che gli darò un nome?”, chiese May di rimando.
“Tutti i cavalieri affibbiano un nome all’animale che montano, sempre che non ne abbia già uno. I meno dotati di fantasia sono soliti optare per hey bello, oppure piccolo, o amico…”, precisò Kili.
“Ma hey bello non è affatto un nome!”, obiettò May con una smorfia.
In quel mentre, un oggetto scuro volò sopra la sua testa per atterrare prontamente tra le mani di Gandalf.
“E quello cos’è?” domandò, rivolgendosi a Kili.
“Un sacchetto di monete”.
“Che significa?”. May naturalmente conosceva la risposta, ma pensò che sarebbe stato divertente sentirla da lui.
“Hum, hanno fatto scommesse…” rispose Kili sogghignando, “Se tu e Bilbo sareste o no ricomparsi. La maggior parte, devo confessarlo, ha puntato sul no”.
“E tu che pensavi?”.
“Kili, avanti! Paga!”. La voce di Nori alle loro spalle giunse con la risposta alla domanda di May.
Lei lanciò un’occhiata di finto biasimo al giovane nano e sorrise con ironia: “Ah è così, dunque!”.
“Non crucciarti, straniera. Qui ci sono alcuni che non hanno dubitato di voi neanche un secondo!”.
Gandalf per esempio, pensò May.
E Fili? Aveva scommesso anche lui? Da quando ella aveva raggiunto la compagnia non gli aveva rivolto nemmeno un’occhiata, presa com’era dal pony e tutto il resto. Si voltò: lo vide cavalcare tranquillo a metà della fila, alla sinistra di Bilbo. Quando si accorse che May gli sorrideva, Fili distolse lo sguardo, senza l’accenno di un sorriso o di un saluto.
Il volto della giovane donna si rabbuiò di colpo: perché tanta freddezza? Poche ore prima avevano riso e scherzato insieme, come se si conoscessero da sempre. Sentiva che tra loro si era creata una strana intimità… Era solo un’impressione? Aveva letto una certa delusione negli occhi di lui, nel momento in cui gli aveva confessato di non aver firmato il contratto; adesso che lei era lì – e sarebbe rimasta con loro fino alla fine – non c’era motivo di non ricambiare uno straccio di sorriso!
“Te la stai prendendo troppo”, si rimproverò. “Magari era semplicemente sovrappensiero!”.

“Etciù!”.
Lo starnuto di Bilbo la fece quasi sobbalzare e May considerò che quella sovrappensiero, dopotutto, era lei: non si era accorta di aver rallentato l’andatura, rimanendo così in fondo alla fila insieme a lo hobbit, che ora le cavalcava accanto. C’era da ridere, nel vederlo così sofferente e impacciato sul suo pony recalcitrante! Avrebbe voluto dargli qualche buon suggerimento ma non disse nulla, per non ferire i suoi sentimenti; del resto, il viaggio era appena iniziato e i consigli potevano aspettare.
“Il crine di cavallo, sai… Mi fa reazione!”. Bilbo tirò su con il naso, frugando nelle tasche.
“Ecco, prendi il mio fazzoletto. Ne porto sempre uno di riserva con me, non si sa mai!”.
May era felice di potergli essere utile. Lo hobbit ringraziò e sorrise: quella fanciulla dai modi gentili sarebbe diventata un’ottima compagna di viaggio.
“Temo che per qualche tempo dovremo fare a meno di comodità quali fazzoletti da taschino e tante altre cose”, sospirò lei pensierosa. “Casa è ormai alle nostre spalle!”.
“A proposito di casa: com’è andato l’incontro clandestino della scorsa notte? Spero che tu e il tuo amico abbiate trovato la mia dispensa di vostro gradimento!”.
Senza attendere risposta, Bilbo cavalcò avanti con un sorrisetto malizioso, lasciando May a bocca aperta e rossa in viso.


-s-s-s-


Il paesaggio era mutato: le verdi e ridenti contrade abitate dai mezzuomini avevano ceduto il posto alle Terre Solitarie, dove – di giorno e di notte – non si scorgeva anima viva.
La compagnia si era accampata in una piccola gola rocciosa nei pressi di Colle Vento e, dopo una cena frugale, si preparava a coricarsi. C’era chi fumava la sua pipa con lo sguardo fisso nel buio; chi contava le stelle, carezzandosi la pancia (più o meno piena); chi sonnecchiava rumorosamente – come Bombur – e chi parlottava coi compagni riuniti attorno al fuoco. Bilbo era troppo irrequieto per prendere sonno mentre Thorin, in piedi e leggermente staccato dal gruppo, fissava con le mani dietro la schiena le cupe colline coperte dagli alberi che si ergevano a poca distanza da loro.
May aveva mangiato un boccone di malavoglia ed ora sedeva in disparte nell’oscurità che l’avvolgeva, con la schiena appoggiata contro la gelida roccia e una coperta che la copriva dal mento ai piedi; era tutta indolenzita dalla cavalcata e si sentiva stanca, benché non abbastanza da riuscire a dormire. Era turbata. Quella sera aveva colto l’occasione per porgere a Fili una ciotola di brodo fumante preparato da lei, ma lui l’aveva presa dalle sue mani senza guardarla negli occhi, ringraziandola appena.
May non nutriva più alcun dubbio sul fatto che Fili la stesse evitando, ma per quanto si sforzasse di formulare ipotesi, proprio non riusciva ad immaginare quale fosse la causa di un tale comportamento.
Era completamente immersa nelle proprie riflessioni quando Kili si avvicinò, sedendosi in terra di fronte a lei.

“Hey, straniera! C’è una bella fiamma di là, non vuoi venire a scaldarti?”, domandò sorridendo.
“Sto bene qui, grazie!” rispose lei, ricambiando il sorriso. Si era accorta che Fili aveva preso posto davanti al fuoco e avrebbe preferito morire di freddo, piuttosto che andare a sedersi accanto a lui.
“Sicura di stare bene?”.
“Certamente. Sono solo stanca… Capirai che non sono abituata alle lunghe cavalcate!”.
Kili la scrutò per qualche istante, aggrottando le sopracciglia: non era brava a mentire.
“Hum, non mi ritengo un gran conoscitore delle donne, tuttavia sono pronto a scommettere che qualcosa ti preoccupa”.
May chinò il capo, fissando il suolo. Non poteva rivelare a Kili i sentimenti che provava per suo fratello, come non poteva lamentarsi con lui del fatto che Fili non le rivolgeva la parola. Si vide costretta a mentire ancora, ma questa volta lo avrebbe fatto meglio.
“Ebbene, lo confesso: è la missione che mi preoccupa" sospirò, evitando di guardare il suo interlocutore. "Voglio dire, siamo soltanto sedici viaggiatori partiti per rivendicare una Montagna e nessuno di noi ha idea dei pericoli che ci attendono lungo il tragitto, a parte il drago naturalmente. Che accadrà se falliremo? E se alcuni di noi restassero feriti? O peggio…”. May abbassò le palpebre, piegando il capo da un lato. In fin dei conti, non stava mentendo.
“Straniera, adesso ascoltami”. Kili si fece più vicino e posò una mano sulla spalla di lei; parlava sottovoce, e il suo tono era dolce e rassicurante.
“E’ vero, siamo soltanto sedici, ma tra di noi ci sono dei guerrieri che messi insieme valgono quanto un esercito dei Colli Ferrosi!”. Gli occhi del giovane nano brillavano come lance alla luce della luna e May vi lesse tutto l’orgoglio combattivo tipico della sua razza.
“Oltretutto, devi considerare che un esercito vero e proprio non passerebbe inosservato, mentre il nostro è un incarico di grande segretezza. Ci aiuteremo proteggendoci l’un l’altro, vedrai. E non dimenticare che abbiamo zio Thorin come capo della compagnia, per non parlare dello stregone! Andrà tutto bene, devi avere fiducia!”.
May annuì lentamente e un timido sorriso curvò le sue labbra. “Grazie, Kili. Avevo bisogno di sentirmelo dire!”.
“Credo ci sia dell’altro, vediamo se indovino”, riprese lui fissando il cielo. “Hai nostalgia di casa. Gandalf ci ha detto che vieni da una terra molto, molto lontana da qui”.
“Sì, è così. A dire il vero, mi mancano i miei amici. Avrei voluto salutarli uno ad uno prima di partire, ma purtroppo non ce n’è stato il tempo”.
Il sorriso di May scomparve. Kili si morse il labbro: non avrebbe dovuto tirare fuori l’argomento e si affrettò a rimediare. “Oh, ma un giorno non troppo lontano li rivedrai e allora moriranno tutti d’invidia, quando ascolteranno le avventure che gli racconterai! In più, adesso hai dei nuovi amici: pensa che uno è seduto proprio qui, davanti a te!”.
Kili strizzò l’occhio allegramente strappando a May un altro sorriso.
“Temo che noi due potremo essere amici solo quando la smetterai di chiamarmi straniera!” dichiarò lei, in finto tono offeso.
“Se è questo che vuoi, straniera, dovrai prima ridarmi indietro i miei stivali!”, ridacchiò Kili.
“Sono troppo grandi e pesanti per me, perciò te li rendo volentieri!”.

Un grido di qualche strana creatura – probabilmente un uccello – simile ad un lamento stridulo, fece trasalire May. Bilbo scattò in piedi. “C-che cos’era?”.
“Orchi”, mormorò Kili in tono sinistro, volgendosi verso di lui.
“O-orchi?!”. Quella parola bastò per far tremare lo hobbit di paura.
“Sgozzatori. Ce ne sono a dozzine, là fuori… Le Terre Solitarie ne brulicano. Colpiscono nelle ore piccole, quando tutti dormono. Lesti e silenziosi, niente grida: solo tanto sangue!”.
Kili lanciò a May un’occhiata complice, accompagnata da un sorrisetto divertito. Lei rise.
“Lo trovate divertente? Un’incursione notturna degli orchi è uno scherzo, per voi!”.
Thorin era in piedi dinanzi a loro; il suo sguardo era duro, non meno della sua voce.
“Non intendevamo dire niente…” si scusò Kili.
“No, infatti. Non sapete nulla del mondo!”.
“Non fateci caso, ragazzi. Thorin ha più ragione degli altri di odiare gli orchi!”. La voce di Balin fece voltare Kili e May: il nano dalla barba bianca era in piedi alla loro sinistra, il gomito appoggiato alla roccia, e li guardava con affettuosa indulgenza.
Raccontò loro della battaglia contro gli orchi che ebbe luogo tempo addietro nei pressi dei cancelli orientali di Moria, ai piedi delle Montagne Nebbiose; di come egli vide Thorin affrontare da solo l’orco pallido Azog il Profanatore, il quale aveva giurato di sterminare la stirpe di Durin. Thorin brandiva soltanto un ramo di quercia come scudo e vendicò la morte di suo nonno Thrór amputando il braccio sinistro di Azog.

“E allora pensai fra me e me: là c’è uno che potrei seguire. Là c’è uno che potrei chiamare re!”.

A quelle parole, Thorin – che fissava pensoso il cielo, dando le spalle ai compagni – si voltò lentamente; molti dei nani si erano alzati in piedi e fissavano il loro capo in silenzio, con un misto di venerazione e rispetto. Lo sguardo di Thorin incontrò quello di Balin. Vi era una mesta gratitudine, nel sorriso che il principe dei nani rivolgeva al vecchio amico e guerriero: il sorriso di chi ha pagato un prezzo troppo alto per la vittoria del suo popolo.
Per May, fu come vedere Thorin per la prima volta: quasi per incanto, percepì tutta la maestosità del suo essere. Sentì che lo avrebbe seguito persino nella gola del drago, se lui glielo avesse chiesto.
Quella notte, la fanciulla sognò imponenti montagne che lentamente si curvavano in cerchio fino a formare una gigantesca corona, le cui punte si stagliavano nel cielo rosso del tramonto. Era la sua prima notte nelle Terre Selvagge. La bisaccia da viaggio era il suo cuscino.
 





  
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