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Autore: lady lina 77    26/03/2017    0 recensioni
Seguito di Without you. Un anno dopo la nascita di Isabella-Rose, Ross e Demelza vivono una vita serena e felice a Nampara, insieme ai loro tre figli. Ma il destino si sa, è malefico. E un incidente scombinerà di nuovo le carte, facendoli precipitare in un tunnel di dolore, incertezza e difficoltà.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Demelza Carne, Ross Poldark, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Si svegliò che ancora era buio e fuori nevicava incessantemente. L'alba era ancora lontana e sarebbe stata presumibilmente una giornata di gennaio freddissima e scura, con poca luce.

Ross si stiracchiò, attento a non svegliare Demelza. Quella mattina doveva recarsi alla miniera prestissimo, era una giornata importante e i suoi uomini più fidati probabilmente lo stavano già aspettando sul posto.

Avevano scoperto un nuovo filone di rame nelle parti più profonde della Wheal Grace e per raggiungerlo dovevano far saltare con la dinamite un pezzo di parete al terzo livello di profondità. Non era la prima volta che facevano qualcosa del genere ma mai così in basso. Il pericolo di crolli o incidenti era dietro l'angolo ma il gioco valeva la candela. Quel filone, unito allo stagno, avrebbe aumentato gli introiti della Wheal Grace e con essi, gli stipendi dei suoi minatori.

Si voltò verso Demelza, dandole un leggero bacio sulla fronte. La sera prima avevano discusso, sua moglie non era per niente contenta del fatto che lui andasse di persona a seguire i lavori, era in ansia e lo riteneva un irresponsabile a mettersi sempre in prima fila davanti al pericolo. Ma lui l'aveva baciata, le aveva garantito che si sarebbe svolto tutto nella massima sicurezza e aveva affermato che si sarebbe divertito come un pazzo. Aveva un po' bleffato, lo sapeva, in realtà era ben cosciente che sua moglie aveva ragione e che avrebbe dovuto fare più attenzione, ma da sempre era stato attratto dalle emozioni forti, dall'accarezzare il pericolo, dall'essere accanto ai suoi uomini che lavoravano per lui. Questo non sarebbe mai cambiato, avrebbe sempre fatto parte del suo essere e in fondo lo sapeva, Demelza lo amava anche per questo. Certo, ora era un marito e un padre, doveva ponderare i pericoli molto più di un tempo quando era solo, ma non sarebbe mai diventato una persona tranquilla e sonnecchiosa e sicuramente sua moglie non lo avrebbe nemmeno desiderato o preteso.

Attento a non fare rumore, le rimboccò le coperte, si alzò, si diede una lavata al catino e si vestì. La stanza era avvolta dalla semi oscurità ed era illuminata solo dal bagliore del camino che scoppiettava allegramente.

"Stai già uscendo?".

Preso alla sprovvista dalla voce di sua moglie, sussultò. "Scusa, non volevo svegliarti".

Demelza, assonnata, si mise a sedere sul materasso, stringendosi nella coperta. "Ho il sonno leggero stanotte. Sono in ansia".

"Per cosa?".

Sua moglie gli lanciò un'occhiataccia che finse di ignorare. "Resta a casa, Ross. Ho un brutto presentimento, lascia perdere la vena di rame. Esistono i picconi, potrete raggiungerla anche così".

"Ci metteremmo anni".

"Ma ci arrivereste VIVI".

Ross sorrise, si avvicinò al letto e si sedette accanto a lei, baciandola sulle labbra. "Andrà tutto bene, lo abbiamo fatto un sacco di volte, no?".

"E se ti dicessi che mi sentirei sola, se uscissi adesso?".

Le diede un altro bacio sulle labbra. "Mi farò perdonare la prossima notte".

Demelza lo guardò storto, buttandosi sul cuscino. "Mi farai venire i capelli bianchi prima del tempo".

Gli sorrise, stropicciandole i riccioli rossi sparsi sul cuscino. "Su, dormi. E' prestissimo e non hai motivo per stare sveglia". Si alzò dal letto e si avvicinò alla culla di Bella, stupendosi di trovarla sveglia e sgambettante. Probabilmente era stata svegliata dal suo colloquio con Demelza e ora se ne stava con gli occhi spalancati, tutta scoperta e felice di vederlo. La piccola gli fece un enorme sorriso a cui non seppe resistere. La prese in braccio, la baciò sulla fronte e la mise nel lettone, accanto a Demelza. "Su, tieni compagnia a mamma che si sente sola" – disse, scherzando.

La bimba rise, allungando la manina verso il suo mento. "Pa-pààà".

L'espressione di Ross si addolcì. "Ride sempre, non è mai scontenta" – osservò, guardandola con occhi innamorati.

Demelza abbracciò la figlia, stringendola al suo petto sotto le coperte. "E' una bimba felice".

Ross annuì. "E tu, sei felice?".

Demelza lo guardò negli occhi, seria. "Ne riparleremo stasera, quando tornerai a casa vivo, sano e salvo".

"Sembra una minaccia" – osservò lui.

"Lo è!".

Con un sospiro, Ross si tirò su dal letto. Le diede un altro bacio sulle labbra, le sorrise e, dopo averla salutata, uscì dalla stanza.

Nampara era avvolta dal buio e dal silenzio della notte e anche fuori i rumori erano attutiti dalla neve.

Di soppiatto andò nella camera dei figli più grandi. Entrambi dormivano profondamente, rannicchiati sotto le coperte. Diede loro un bacio sulla fronte, affranto dal fatto che sarebbe tornato a casa in tarda serata e per quella giornata non li avrebbe praticamente visti, poi scese al piano di sotto per fare colazione con del pane e marmellata che Demelza gli aveva preparato la sera prima.

Mangiò in silenzio e alla fine, pronto per uscire, si avvicinò alla cassapanca per prendere il suo tricorno. E a quel punto si accorse di non essere solo.

Sulle scale, davanti a lui, vestita con una camicina da notte bianca, comparve Clowance. Era assonnata e i lunghissimi capelli rossi le ricadevano disordinati sulle spalle e sulla fronte. Sembrava una bambolina spettinata ed era semplicemente adorabile. "E tu che ci fai qui?" - le chiese, stupito.

"Andavi via senza salutarmi?" - si lamentò la bimba.

Ross fece qualche scalino, si sedette e le fece segno di avvicinarsi. "Stavi dormendo, non volevo svegliarti".

Clowance non parve molto convinta della sua risposta. "Ma io voglio che mi saluti quando esci. Mamma ieri sera non era tanto contenta del lavoro che devi fare oggi".

"Mamma è un po' ansiosa. Ma lo sai, se oggi andrà tutto bene, in fondo alla Wheal Grace troveremo...".

"Un tesoro?" - chiese la bimba.

Ross scosse la testa, mascherando un sorriso. "No, semplicemente del rame. I miei tesori sono altri".

Clowance fece un sorrisetto furbo. "La mamma! La chiami sempre 'Amore mio', quindi è lei il tuo tesoro".

Le sorrise, dolcemente. Sua figlia era una grande osservatrice del mondo che la circondava, delle persone, e sapeva interpretare a volte meglio degli adulti i sentimenti altrui. "Certo, la mamma è il mio tesoro, è la donna che ho sposato e che amo, è la mia migliore amica, la mia compagna e la mamma dei miei bambini".

Soddisfatta da quella risposta, Clowance annuì. "Stai attento oggi o il tuo 'tesoro' stanotte ti manda a letto senza cena come fa con noi quando siamo cattivi".

"Lo prometto" – le rispose, lottando per non ridere.

"Papà, ma stasera quando torni, mi aiuti a imparare a scrivere il mio nome?".

Ross le accarezzò i capelli, la prese fra le braccia e se la mise sulle ginocchia. La casa era avvolta dal silenzio dell'alba, dormivano ancora tutti, anche Demelza doveva essersi riaddormentata ormai. "Oggi dovremo far saltare un tunnel con la dinamite alla miniera e tornerò davvero tardi, tu sarai già a letto. Ma domani starò a casa tutto il giorno e ti insegnerò".

Clowance sospirò. "Si ma... la maestra vuole che imparo! A me non piace la scuola, è difficile e mi annoio. Jeremy invece è contento di andarci e sa già scrivere il suo nome in corsivo. E io non ho voglia di imparare a scriverlo nemmeno in stampatello. A che mi serve scrivere?".

A Ross venne da ridere. Clowance odiava la scuola con la stessa intensità con cui Jeremy l'amava. In effetti suo figlio era uno scolaro modello mentre la sua principessa faceva molta fatica ad abituarsi a quella nuova avventura iniziata in autunno. "Ma tu non vuoi essere più brava in tutto? Se ti eserciti, presto diventerai brava a scrivere quanto Jeremy".

"Ma papà!" - sbottò lei. "Io sono già più brava di Jeremy in tante cose, fa niente se mi batte almeno nella scrittura! Mica posso essere perfetta!".

Ross la guardò e trovò che era fantastica. Arguta, intelligente, furba e con una notevole faccia tosta. Era sicura di se stessa, sapeva come far girare le cose a suo favore e sapeva stare al mondo sicuramente meglio di quanto sapesse fare lui. "Facciamo così, domani staremo tutto il giorno insieme e scriverò con te. Vedrai, ci divertiremo e impareremo insieme a scrivere meglio".

"Davvero?".

"Davvero".

Clowance annuì. "Anche perché tu papà, ne hai bisogno. Non scrivi mica bene come la mamma".

Ross rise. "Hai ragione! Allora a domani, va bene?". La mise a terra e si alzò in piedi, stava diventando tardi. "E ora dai, torna a letto o prenderai freddo".

Clowance sospirò e poi fece uno scalino. Infine si voltò verso di lui. "Anche se torni tardi stasera e io sto già dormendo, vieni a salutarmi lo stesso?".

"Anche se dormirai e dovrò svegliarti?".

"Si".

"Va bene".

Clowance sorrise, gli si avvicinò, gli prese la mano e la strinse. Poi gli saltò fra le braccia, dandogli un bacio sulla guancia. "Ti voglio bene papà! E ti aspetto".

La guardò correre su per le scale, verso camera sua. Era incredibile quanto adorasse quella bambina, quanto sapesse renderlo sereno e tranquillo quando gli era vicina e quanto si sentisse legato a lei, forse più che con gli altri suoi figli. Erano anime affini lui e Clowance, stesso carattere, stessa testa dura, stesso modo di fare orgoglioso. Ed era bellissima, somigliava a Demelza in maniera incredibile e ci avrebbe scommesso tutti i suoi soldi: sua moglie, da bambina, doveva essere identica a lei d'aspetto, anche se di certo Clowance era più pulita, curata e raffinata di quanto non fosse stata Demelza a quell'epoca.

Con un sospiro, rammaricandosi di lasciare il tepore domestico, uscì di casa, salì sul suo cavallo e si avviò verso la Wheal Grace.

Nevicava forte, incessantemente. Le zampe del suo cavallo affondavano nella neve e i fiocchi gelidi gli ferivano il viso e gli occhi.

Quando arrivò alla miniera, i suoi dieci compagni d'avventura erano già la.

"Capitano!" - disse Zachy, avvicinandosi per prendere il cavallo – "Ben arrivato! Cominciavamo a temere che Demelza ti avesse legato al letto per impedirti di venire".

Ross rise. "Credo le sia anche passato per la testa, sai?".

Zachy annuì. "Ah, lo so! La signora è una che sa quel che vuole, dicono che quando è a Londra conclude affari con la stessa facilità con cui noi leghiamo fascine di fieno".

"Si, è molto brava, ci sa fare con gli affari". Ross lasciò all'amico il cavallo e con gli altri minatori entrò in miniera, aprendo la botola per scendere ai piani sottostanti. "Avete preparato le cariche?" - chiese, scendendo gli scalini.

Paul, dietro di lui, annuì. "Certo, ieri sera, come ci avevate chiesto".

"Ottimo".

Ross scese nei tunnel più profondi, facendosi luce con una torcia. Toccò la parete, osservandola con sguardo clinico per trovarne i punti più deboli e friabili. Poi andò in fondo alla parte di tunnel già scavato, fermandosi in fondo. Una volta fatta saltare la parete laterale con la dinamite, da quella posizione avrebbe raggiunto agevolmente il punto venuto allo scoperto dopo l'esplosione. "Ok Paul!" - urlò all'amico dall'altra parte del corridoio – "Chiama Zachy e Sven e dì loro di procedere con la dinamite".

"Certo! Ma non è rischioso per te rimanere lì?".

Ross alzò le spalle. "Ma no! Al massimo mangerò un po' di polvere, ci sono abituato".

"D'accordo! Allora procediamo immediatamente" – rispose il minatore, sparendo sulla scaletta che portava al piano superiore.

Rimasto solo, Ross si aggrappò alla parete, in attesa che la dinamite facesse il suo lavoro.

Improvvisamente, tutto tremò attorno a lui. Fumo, detriti e una forte detonazione che gli ferì le orecchie, lo investirono in pieno. Chiuse gli occhi trattenne il fiato ed aspettò che gli effetti dell'esplosione, arrivata improvvisa e violenta come solo la dinamite sapeva fare, cessassero.

Sentì le braccia e il viso bruciargli per la polvere e i sassi che lo colpivano con violenza, si chinò e si rannicchiò per salvarsi il viso e per riuscire a respirare, chiuse gli occhi e attese, mentre le orecchie gli fischiavano per il frastuono generato dall'esplosione.

Improvvisamente, la parete contro cui si era rifugiato scricchiolò. Aprì gli occhi, sentendola improvvisamente crollare davanti a lui e non trovando più in essa un punto di appoggio e di riparo, perse l'equilibrio. Imprecò, maledicendosi per quel malcalcolato effetto collaterale. La parete, in quel punto, avrebbe dovuto rimanere integra...

Ma non fece in tempo a pensare a come ritrovare l'equilibrio per non cadere. Una voragine si aprì davanti a lui e cadde nel vuoto. All'ultimo riuscì ad aggrapparsi a uno spuntone di roccia ma sotto di se aveva il vuoto, la polvere lo avvolgeva e non c'era nessuno abbastanza vicino per aiutarlo.

Guardò sotto di se, con le gambe penzoloni nel nulla. Era buio, scuro, non si vedeva il fondo... Tentò di tirarsi su, di riguadagnare il tunnel ma la roccia a cui era aggrappato gli stava ferendo la mano e i postumi dell'esplosione lo avevano stordito.

Per un attimo pensò a Francis e a quello che doveva aver provato quando, nel buio di quella stessa miniera, solo, aveva trovato la morte. E poi pensò a Jeremy a cui aveva promesso di insegnare a cavalcare un vero cavallo, alla vocina di Bella che lo chiamava 'pa-pààà', al suo colloquio di poco prima con Clowance, la sua bellissima principessina. Se fosse precipitato non avrebbe potuto mantenere la parola data con nessuno di loro, non li avrebbe visti crescere, non avrebbe visto Jeremy farsi uomo e non avrebbe difeso le sue bimbe dalla fila di corteggiatori che sicuramente avrebbero avuto di lì a qualche anno.

Non voleva morire, non ora che era tanto felice, non in maniera tanto stupida. Non era per se, ma per il dolore che avrebbe procurato a chi amava. Non poteva essere, non poteva permetterlo. Tentò di tirarsi su, di risollevarsi, ma la roccia del tunnel prese a sbriciolarsi.

Improvvisamente, sentì che stava perdendo la presa sullo spuntone. Tentò di urlare, di chiedere aiuto, ma dalle sue labbra uscirono solo flebili suoni coperti dalla tosse causata dalla polvere.

Le dita persero la presa sulla roccia, cadde giù per quelli che gli sembrarono istanti infiniti, abbracciato solo dal vuoto.

Il suo ultimo pensiero razionale fu per lei, Demelza, il suo amore, la sua stella, la vera luce della sua vita. Ancora una volta non l'aveva ascoltata, ancora una volta aveva avuto ragione lei... Lo avrebbe odiato, lo avrebbe maledetto a vita e sì, ne avrebbe avuto mille ragioni... Non l'avrebbe più vista, abbracciata, baciata, amata... L'avrebbe lasciata sola con tre figli da crescere... "Perdonami, amore mio" – pensò. Poi impattò contro qualcosa di molto duro e fu come rompersi in mille pezzi.

E infine anche l'ultima immagine di Demelza, dolce e rassicurante, sparì dalla sua mente. E tutto si fece buio e immobile, lontano... Perso per sempre, come se una cortina di nebbia e oscurità fosse calata fra lui e il mondo circostante.

  
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