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Autore: Margo_Holden    26/03/2017    0 recensioni
Con un passato travagliato alle spalle, mai del tutto superato, Hazel si trascina ogni giorno nel diner in cui lavora come cameriera, cercando di evitare tutti, perfino la vita stessa. Ma il destino è inarrestabile ed imprevedibile.
Così un giorno mentre si reca a lavoro, incontra lui.
Alex è un criminale, con una montagna di cicatrici e tatuaggi che parlano per lui, del suo passato, che come una tempesta lo ha corrotto dentro, fino a divorarlo, a distruggerlo, a cambiarlo.
Queste due anime che sembrano pianeti opposti, finiranno per convergere, nel modo più improbabile possibile.
Ma il loro non sarà amore, perché il cuore di Hazel è infestato dal veleno della vendetta, che l'acceca e la rende sorda. Nel suo personale inferno infatti, torreggia come un re, fra tutti i mostri, Alexander.
Così mentre una guerra tra gang divampa per la grande mela, e mentre Hazel sente su di sè, la costante presenza di due losche figure che sembrano reclamare il proprio sangue, i due riusciranno finalmente a lasciarsi il fantasma del passato alle spalle, per tornare a vivere?
[DA REVISIONARE]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Capitolo 20


Una volta rientrata in macchina, Alex accese il motore e si allontanò dal Diner.

Non era per niente dispiaciuto per quello che aveva fatto alla ragazza, lui era fatto così e Hazel faceva bene a mettersi l'anima in pace.

Per un attimo pensando a lei, si voltò a guardarla. La vide che tremava silenziosamente, non per il freddo. L'aveva scossa con quel suo gesto. Aveva le mani intrecciate sul grembo e lo sguardo perso verso il finestrino. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter entrare nella sua mente e leggere i suoi pensieri, sentire quello che provava, bearsi del suo spirito ingenuo e coraggioso.
Poi riprese a guardare la strada.

─ Almeno potevi cambiarti! Hai indosso ancora la divisa da lavoro!

Le disse più per fare conversazione che per altro.
Ma non ricevette nessuna risposta, se non un alzata di spalle.

Hazel guardava assorta il panorama sfrecciare fuori dal finestrino, ma senza veramente prestarci attenzione. La testa le scoppiava e le faceva davvero male, così si sporse per prendere la borsa nera in pelle vicino ai suoi piedi. Una volta afferrata, cominciò a rovistarvi dentro cercando di scovare una qualche pasticca antidolorifica, ma niente, aveva lasciato tutto a casa. Frustrata, sbuffò e buttò di nuovo a terra la sua borsa.

Quei gesti non erano passati inosservati agli occhi di Alex, che li aveva seguiti passo dopo passo.

─ Qualcosa non va, cerbiattino?

Odiava quando la chiamava in quel modo, le sembrava uno sfotto.
Questa volta si girò nella direzione dell'uomo e visibilmente scocciata, gli rispose:
─ Ho una forte emicrania e cercavo una pasticca per il mal di testa, ma non sono riuscita a trovare un bel niente.

Alex sorrise impercettibilmente mentre l'occhio gli cadde sulle gambe scoperte della ragazza. A quel punto, rendendosi conto che anche gli altri potevano osservare le sue gambe nude all'interno di quello schifosissimo posto di lavoro, serrò la mascella infastidito.

Ma che diavolo ti sta accadendo, A?! Ti rendi conto che sei geloso?! E di chi si è gelosi A, è di chi?! 

─ Questa gonna non è troppo corta? 
Al suono di quelle parole, Hazel spostò il viso sulle gambe, rialzandolo subito dopo, visibilmente infastidita.
─ No, è una divisa come tutte le altre.
Ingenuamente Hazel aveva risposto a quella stupida domanda, accorgendosi subito dopo della nota di fastidio nella voce dell'uomo. I suoi occhi si accesero di una strana luce. Non era malizia, nemmeno rabbia, c'era altro dietro quel grigio. C'era la consapevolezza che quelle parole suonavano tanto di gelosia e si era gelosi di una persona, solo quando si teneva ad essa. Che la vedesse come una sorella o una sua potenziale amante, non le interessava perché a lei importava solo fargli male, tanto male come lui aveva fatto a lei.

Hazel aveva una cicatrice lungo il cuore che non era mai stata rimarginata, e sanguinava come la prima volta che era stata incisa. C'era dolore, tristezza, rabbia e odio, in quel sangue che colava da dodici lunghi anni. In tutti quegli anni aveva cercato avidamente di andare avanti, di dimenticare, senza mai riuscirci veramente.

Quando però era arrivato lui, allora lei aveva scoperto un modo per ricucirla, quella maledetta ferita. Sarebbe stato proprio il sangue di Alex il russo dagli occhi di ghiaccio, a farla rinascere. Sarebbe stato l'uomo di cui per un attimo, credeva di essersi innamorata, a farla tornare a respirare.
Per quanto era immersa nei suoi pensieri, si accorse quando ormai era troppo tardi, che avevano passato da un pezzo l'hotel abituale, così chiese dove fossero diretti.

─ A casa mia.

Quella fu la risposta che non ammetteva repliche di Alex.

─ Ti fidi così tanto di me? Sei così sicuro che io non corra dalla polizia a raccontare dove sta la casa?

Era una prova, una prova che stava facendo a l'uomo, ma anche se stessa.

─ Non lo faresti mai e lo sai perché? ─ rispose allargando gli angoli della bocca in un dolce e amaro sorriso.

─ Perché?

─ Perché non ce la faresti, arriveresti lì e te ne andresti, ma non perché non sei abbastanza coraggiosa, ma perché è così, punto e basta.

Improvvisamente quelle parole così dannatamente vere, la fecero vacillare. Se voleva fargli del male, anche prima di aver scoperto la verità, glielo avrebbe fatto, ma l'aveva solo rincorso in quella strana corsa contro il destino. Ancora una volta l'uomo aveva ragione.

Poi stettero zitti entrambi, chiusi nel loro mutismo carico di significato.

Due ore dopo e la macchina arrivò nel distretto di Manhattan, più precisamente, a Midtown. Hazel c'era stata lì, una sola volta per vedere una mostra di un amico di Chris. In quell'occasione avevano fatto un salto anche all'Empire State Building, dalla cui terrazza si poteva ammirare quell'immenso fiume di palazzi, di grattacieli che imponenti andavano a scontrarsi contro il cielo o a parlare con Dio, nessuno poteva saperlo con certezza.
Se Orwell fosse stato ancora vivo,  avrebbe sicuramente definito quei lunghi rettangoli di cemento,  l'occhio del grande fratello, che tutto comanda e tutto controlla.

Il quadro, che le si presentava ritratto dietro il finestrino dell'auto, aveva disegnato il grigio di quegli alti palazzi; i colori dei semafori; la gente coperta dai lunghi e pesanti capotti, dai caldi cappelli di lana, dagli stivali invernali a protezione dei tre gradi che aleggiavano nell'aria; il giallo dei taxi; il bianco delle strisce; i colori vivaci delle insegne e quelli delle macchine che sfrecciavano come treni in corsa.
Poi giunsero in prossimità del palazzo in cui abitava Alex.
Frastornata per la sorpresa e il lusso che già si poteva intravedere da fuori, Hazel scese dalla macchina agitata mentre muoveva quei suoi occhi impazientemente sulla figura del grattacielo.

─ Andiamo!

Fu la voce bassa dell'uomo a farla tornare alla realtà, mentre con una mano poggiata sui reni, la intimava a camminare.

Entrano dalla porta in vetro e più che un condominio, ad Hazel diede l'impressione di un Hotel, con la reception che faceva da portierato.

Alex salutò l'uomo dietro il bancone e si diressero verso un ascensore.
Le porte si aprirono e, dopo aver atteso che una coppia uscisse, vi si insediarono.
Una volte che le porte furono chiuse, l'uomo digitò il numero tre.

Sentiva su di sé, ancora una volta, gli occhi glaciali del russo che attento, non si lasciava sfuggire nemmeno un suo movimento. Sentendosi sotto pressione, Hazel cominciò a guardarsi intorno. Era una cabina quadrata, ampia, con la moquette nera e le pareti lastricate in marmo bianco.

Alex spazientito da quel comportamento infantile, le si avvicinò.
Le dita si sfiorarono e a quel contatto, Hazel ebbe un sussulto.
L'uomo si piegò fino ad arrivare all'altezza del suo orecchio.
Scansò i capelli dal lato sinistro e diede un leggero bacio nell'incavo del collo.
La sua pelle calda profumava di cocco e mandorle, sapeva di buono, di dolce, sapeva di Hazel.

─ Voglio fare l'amore con te.

Tremò.

Il suo corpo esile fu scosso da mille tremori, da cento scariche elettriche che dalla testa arrivavano fin sotto le sottili caviglie. Chiuse gli occhi, e nemmeno se ne rese conto, tanto era immersa in quella bolla di erotismo che Alex aveva creato solo con il suono roco e basso della sua seducente voce, e con il suo caldo respiro che sapeva di caffè e menta.

Aprì gli occhi quando le ante elettriche dell'ascensore si aprirono, facendosi annunciare con quel vispo din.

Hazel non aspettò che l'uomo gli dicesse di continuare a camminare, ben sì, trovando quella spavalderia che un tempo l'accompagnava come un ombra, si incamminò e una volta uscita da lì, si girò a guardare l'uomo.

Alex l'aveva lasciata fare. Aveva visto come si era irrigidita e quindi voleva dargli il giusto spazio per come dire, riprendersi. Ma non avrebbe mai immaginato di incontrare sul suo viso quello sguardo da vincente.

Hazel infatti, sfoggiava uno sguardo tutt'altro che innocente e inesperto.

C'era malizia e lussuria nei suoi occhi, ma se li guardavi meglio, c'era anche determinazione.

Hazel buttò a terra la borsa di camoscio nero e sinuosamente, indietreggiò. Lo stava invitando a quel dolce e succoso banchetto, che era il suo corpo.
Alex le si buttò letteralmente addosso, mentre la circondava con le sue imponenti braccia la stretta e magra vita, e le divorava la bocca.

Si erano messi a nudo con un solo bacio.
Avevano lasciato fuori la loro voglia di vendetta e si erano concentrati solo su quel bisogno animale, carnale tipico degli uomini.

L'aveva per come dire, braccata nella sua passione, nella sua violente a brutale passione. Perché Alex quando amava, lo faceva con tutto il suo corpo.

Indietreggiarono fino ad arrivare all'isola in marmo della cucina.
Con enfasi, la presa dai fianchi e l'appoggiò sul ripiano.

Fecero l'amore lì, vestiti perché l'unica cosa che in quel momento desideravano era essersi ritrovati. Ce ne avevano messo di tempo, ma alla fine ce l'avevano fatto.

Hazel strinse le sue gambe corte sui fianchi dell'uomo , lasciandosi scappare di tanto in tanto, qualche mugolio di piacere ed Alex come ipnotizzato, la guardava ammirato e incantato.

In tutto quello, le loro anime danzavano instancabili fuori da quella bolla che si erano creati. Se avrebbero potuto, non avrebbero mai smesso, ma sapevano benissimo che quegli attimi di profonda libidine, sarebbero finiti molto presto e che la vendetta, sarebbe tornata prepotente nei loro cuori, nel cuore ormai annerito di Hazel.

Alex le stringeva con fare morboso le cosce e in una muta richiesta di amore, poggiò la sua fronte sudaticcia su quella di Hazel.

Di nuovo, calò quel mutismo che era solito accompagnarli come un'ombra.

Gli occhi di Alex gridavano perdono, perdono per l'uomo che aveva scelto di essere. Gli occhi di Hazel invece, chiedevano pietà per quell'amore che non avrebbe mai potuto restituire.


***

Per molto tempo, Hazel si era chiesto cosa si provava a vivere in una casa del genere.
Erano passati ormai dodici anni dal giorno in cui aveva perso tutto. Il ricordo dello sfarzo e dell'oro, erano stati ormai sepolti da tempo.
Ora, immersa nell'acqua tiepida di quella vasca bianca in vetro resina appartenete ad un'altra epoca, che si poggiava sul pavimento di cotto panna, grazie a dei piccoli piedini in argento lavorato, piano piano, quei ricordi nascosti dietro la nebbia, stavano riaffiorando.

Aveva voluto fare quel bagno per lasciare andare l'odore del mafioso e del sesso, che appiccicatisi addosso come un maglione in micro-fibra a collo alto, l'aveva destabilizzata e con la quale se ne era poi pentita, perché aveva dimenticato per un istante, l'odio che covava nei suoi confronti. 
Tutto per poter accontentare quel puro istinto viscerale, primitivo che risiedeva in lei, dal primo momento che aveva posato i suoi occhi su di lui.

Alex era entrato, silenzioso, dannoso e fatale.

A passi cadenzati, si era avvicinato a lei, che giaceva rilassata in quel mare di schiuma bianca e profumata di fiori tropicali.
Non si era pentito per niente di quello che era successo solo un'ora prima anzi, era stato proprio lui a volerlo.
Ma ora, ancora una volta, aveva lasciato che il risentimento prevaricasse nel suo cuore sbandato e così, ora era lì, a riscuotere quello che gli era dovuto.

─ Hazel, moya malen'kaya luna, belyy kak sneg i letal'nyy kak lyubov'.
(Hazel, mia piccola luna, candida come la neve e letale come l'amore.)

In quell'esatto momento, la protagonista di quella triste e stridula storiella aprì i suoi occhi. Lo guardò stordita. Immediatamente un leggero velo di rossore calò sulle sue guance, al pensiero dell'uomo che inginocchiato vicino la vasca, la scrutava in tutta la sua sbocciata nudità.

Alex sorrise tirato. Era lontano, non era lì. La sua mente viaggiava verso l'inverno gelido della sua madre patria, verso gli occhi stanchi e arrossati della sua bellissima madre, verso i pugni e il sorriso sadico di quell'uomo indegno che rappresentava per la legge e la natura, suo padre.

Intravide alterate attraverso l'acqua, le gambe nude di Hazel, delicatamente ne prese una e la poggiò sul bordo della vasca e prese a fare su e giù su di essa, con quei suoi polpastrelli ruvidi e gelati.
Era morbida e da vicino la sua pelle bianca, risaltava ancora di più

Tastò uno ad uno, quei piccoli disegni intravedendo prima un orologio da taschino, poi quattro piccoli rondinini, una scritta in latino e altri disegni con un significato ben preciso.
All'altezza della coscia si fermò e la guardò.

Quelle languide carezze le stavano piacendo così, impavidamente riprese lentamente il percorso per arrivare lì, dove vi era stampata in rosso la vergogna di Hazel.

Le sue mani erano esperte, forse troppo esperte.
Fu proprio in quel momento che Hazel si rese conto che l'uomo non solo sapeva maneggiare molto bene le armi, ma sapeva anche far godere e rendere felice una donna.
 Era diventata ancora una volta, una corda di uno strumento, una chitarra forse, che lui maneggiava e faceva cantare a suo piacimento.
Nemmeno si rese conto di aver chiuso gli occhi, di aver aperto la bocca e di essersi aggrappata al freddo bordo della vasca.

 

Le stava facendo provare delle vere emozioni.

In quella masturbazione non c'era niente di spinto, forse era un piacevole gioco erotico, ma alla fine quello che contava veramente, era la passione e la tenerezza che ci metteva nel farlo. 
Ad un tratto quelle carezze come erano venute, svanire nel vento che in quell'istante, era portatore di cose nocive e pericolose.

La prese di nuovo al collo e questa volta,  la forza divenne maggiore.

Hazel strabuzzava gli occhi mentre la testa finì sotto l'acqua, che ormai era diventata fredda. Come fredde erano quelle mani calcolatrici, che come ruspe, portavano solo alla distruzione e alla morte.

Si sentì come se fosse stata tradita, per la seconda volta.

Ci era ricascata, aveva di nuovo abbassato la guardia e il cuore, aveva subito un'altra stilettata da quel pugnale ormai insanguinato e arrugginito.

Il corpo, o forse quel pezzetto di lei che ci teneva alla vita, fecero si che le sue piccole mani, si andassero a scontrare con quelle di lui. E graffiavano, pungevano senza però, ottenere niente.

Alex intanto, cominciò una cantilena che sapeva di devastazione e di morte.
Possibile che ci fosse sempre e solo quella costante nella sua vita?

Lasciò andare la presa, per portarle sulle guance del visino di lei e la riportò in superficie.
Un capello biondo bagnato, si insinuò sul viso, quasi dividendolo a metà.
Hazel lentamente riprese a respirare, dopo aver tirato un primo profondo respiro.
Lo guardava con occhi sgranati e sorpresi, increduli mentre riusciva a leggere rabbia nei suoi.
Indietreggiò con la testa, ma non riuscì ugualmente a sottrarsi dalla sua presa, così poggiò poi le sue mani su quelle di lui.
Fu quel tocco a far rinvenire Alex da quel brutto incubo che lui stesso si era creato.
─Credevi davvero che non lo venisse a scoprire?! Credevi davvero che ti avrei diviso con qualcun'altro?! È Hazel?! Sei mia, hai capito, mia! ─ urlò, in preda alla collera e alla disperazione.

Non riusciva ad afferrare le sue parole. 
Inizialmente aveva pensato che il suo segreto era stato svelato, ma le parole che seguirono poi, oltre a non avere senso, andavano a scontrarsi contro esse, come le onde del mare fanno sugli scogli.

Nel corpo di Alex, nel leggere sul viso di lei confusione e smarrimento, si accese una furia ceca che si tramutò poi, in un gesto dettato da quel furore. Prese la ragazza dalla vita, andando a immergere anche le mani e metà braccio nell'acqua, l'alzò in piedi e lui con lei, e la scaraventò per terra.

Il contatto con le piastrelle fu doloroso ma non freddo, perché l'uomo aveva installato in casa il riscaldamento termico. Le braccia saettarono a coprire le parti più intime del corpo di una donna, ma nonostante ciò, non ebbe nemmeno il tempo necessario per mettersi seduta perché Alex la fece alzare di nuovo.

Questa volta lui la stringeva nelle sue braccia, mentre lo sguardo di lei rimaneva terrorizzato e sorpreso. Sempre plasmandosela addosso, si piegò leggermente verso sinistra, per prendere il grande asciugamano posto sul mobiletto e adagiarlo sul suo corpo tremante.
Poi l'abbracciò in un gesto così inaspettato

Hazel rimase interdetta per alcuni istanti, ma poi ricambiò l'abbracciò, o almeno era quello che credeva l'uomo. Con una mano risalì dalla schiena per arrivare alla nuca, per andare a stringere in pugno i suoi capelli neri. Poi si mise sulle punte e avvicinò la bocca all'incavo del collo e morse, così forte da sentire il sapore rugginoso del sangue mischiarsi con quello della saliva. Infine, si allontanò dall'uomo, sfoggiando un sorriso di meritata vittoria.

 

─ Una volta passa, la seconda no, russo!

Sputò quell'ultima parola con fare derisorio, ma Alex in qualche modo era felicemente sorpreso per quel piccolo attimo di ribellione, certo il collo gli bruciava, ma in quel momento non gli interessava, no, perché in quel momento desiderava ardentemente sentire di nuovo le sue labbra su le sue, la sue mani sul suo corpo e questa volta, voleva assaporare tutto il suo corpo, non solo una parte. Anche il suo amichetto lì sotto, scalciava per poter essere accontentato.
La sfiorò, la guardò per un attimo e poi la sbatte al muro alle loro spalle.

─ Ti scoperò fino al punto che non ricorderai nemmeno più chi è quel finocchio di Frank, o dovrei dire Clash? ─ il tono di voce usato era basso e roco, mentre negli occhi una luce di entusiasmo e fervore, si accese incandescente per andare ad illuminare il buio dentro di essi.

Improvvisamente Hazel comprese il significato dietro quelle parole iraconde e cattive. 
Aveva visto l'amico uscire di casa una delle tante volte in cui si erano visti, si erano sballati e poi erano finiti a fare sesso, con i sensi distorti e la mente annebbiata.
Sorrise strafottente, perché gli occhi furono aperti.
Non era l'uomo a tenere le redini su di lei, ma era lei a tenere le redini su di lui, anche se lui ancora non l'aveva capito, perché c'era l'orgoglio da dominatore a dividerli, a predominare.

Questo voleva dire inoltre, che l'uomo sarebbe caduto nel momento in cui lei l'avrebbe fatto cadere; sarebbe sopravvissuto nel momento esatto in cui lei, l'avrebbe salvato; avrebbe provato dolore e sofferenza sulla sua pelle, nel momento in cui lei avrebbe spinto quel coltello più in profondità, fino a lacerare la pelle e gli organi. 
E il sangue sarebbe scivolato a fiumi giù per le vene e la carne dilaniata, avrebbe macchiato le mani, ma placato la sete di vendetta.

─ Allora devi farlo bene, perché Clash è stato davvero, davvero bravo, forse il migliore con cui sono stata fin ora. ─ e nel dirlo, fece scivolare maliziosamente l'asciugamano ai suoi piedi.

Alex invase con prepotenza la sua bocca, il suo spazio, il suo corpo.
Fremente di libidine, Hazel aprì la camicia bianca dell'uomo con uno scatto animalesco, mentre una pioggia di piccoli bottoni bianchi si schiantarono sul pavimento lucido, che rifletteva in maniera distorta e poco chiare, le figure dei due amanti intenti a unirsi nell'atto più antico, più viscerale e senza epoca, come l'unione di due corpi.

   
 
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