Fumetti/Cartoni americani > Gravity Falls
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Autore: randomnessUnicorn    26/03/2017    0 recensioni
❝ Egli si presentò a noi comuni mortali come Il Salvatore, come colui che avrebbe liberato la razza umana dall'illusione della realtà, facendoci vedere ciò che si nasconde al di sotto del velo dell’inconoscibile e dell’imperscrutabile. La conoscenza assoluta. Chi non l’avrebbe mai desiderata? (...)
Molti lo chiamarono l’Occhio della Provvidenza, che tutto vedeva e sapeva; l’aria di mistero che lo circondava avvalorava la teoria per cui lui non provenisse da questo mondo, ma da una dimensione parallela che la nostra mente inconsapevole non sarebbe nemmeno in grado di concepire. ❞
Genere: Angst, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Bill Cipher, Dipper Pines, Mabel Pines
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Incompiuta, Violenza
Capitoli:
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Lo scrutatore del Caos
 

ⅤⅠ. Memorie
 
 
“Perché lavorate? Non potreste limitarvi a vivere ed essere contenti? E se vi affaticate solo per potervi affaticare di più, quando troverete la felicità? Voi dite di lavorare per vivere, ma la vita non è fatta di bellezza e canzoni? E se non sopportate fra di voi un cantore, dove vanno i frutti di tanto lavoro? Lavorare senza divertirsi è come fare un viaggio interminabile senza meta. Non sarebbe meglio morire? „
 
(Citazione di H. P. Lovecraft, da La Ricerca di Iranon.)
 
 
~  ~
 
 
L’estate quest’anno si sarebbe rivelata diversa dal solito per noi due gemelli.
L’avremmo trascorsa all’insegna della scoperta e di nuove avventure nella piccola cittadina di Gravity Falls dove viveva il nostro prozio Stan. Egli teneva un’attività particolare –per non dire di dubbia legalità considerando gli ideali che abbracciava ed i suoi trascorsi poco felici con la legge-. Scoprimmo ben presto, e con travolgente sorpresa, che fosse il gestore d’una trappola acchiappa turisti, chiamata “Mistery Shack”: il Regno del Mistero. La sua casa era una specie di museo degli orrori dove si potevano ammirare artefatti e oggetti misteriosi provenienti dai più enigmatici luoghi di Gravity Falls. In realtà la natura di tali manufatti non era affatto occulta, poiché erano comuni cianfrusaglie e oggetti vari dalla forma bizzarra, rielaborati da Stan allo scopo di renderli stravaganti. Il prozio metteva a punto una sorta di “Ready-Made” su qualunque cosa trovasse in giro, modificando e mescolando gli oggetti tra loro fino a che non ne creava di nuovi. Essi assumevano così un aspetto strambo e, appunto, oscuro oltre che un significato del tutto diverso dall’originario. Non che fosse un inventore, il suo talento artistico era ben altra cosa e toccava aspetti differenti dalle arti convenzionali però, senza alcun dubbio, possedeva una fantasia smisurata. La sua immaginazione sfrenata non si limitava solo a creare artefatti fasulli, difatti era un vero e proprio genio delle truffe- tale definizione non è da considerarsi per niente un eufemismo. Lui stesso si vantava della propria abilità in questo ambito, tanto che si faceva chiamare il mago indiscusso del raggiro. Tutti, stranamente, sembravano cascarci, ciò mi portò a dubitare delle capacità deduttive dei suoi clienti. Oppure, semplicemente, svolgeva bene il suo “lavoro”.
C’era però qualcos’altro che attirava i turisti qui, difatti non decidevano di trascorrere le vacanze in un posto simile solo per far visita al Mistery Shack. Le ragioni erano ben altre e le avrei scoperte da lì a poco. Era la stessa città ad emanare un’aura insolita e, al tempo stesso, paradossale. Ogni elemento appariva normale, ma spesso le cose non sono quel che sembrano. La realtà è come un iceberg che al di sotto della superfice del mare nasconde abissi di segreti e oscurità. Avevo avuto già da prima, mentre attraversavo il confine che separa il mondo reale da Gravity Falls, l’impressione che la stessa cittadina racchiudesse dei misteri e nascondesse un arcano segreto che nessuno però aveva il coraggio neppure di evocare alla mente. In quell’ attimo un brivido mi percorse la schiena ma credetti che fosse solo un colpo di freddo improvviso, ed ignorai la cosa fino a questo momento.
I cittadini, malgrado le loro bizzarre personalità, sembravano persone per bene. Loro apparivano del tutto ignari delle presunte stranezze che avvolgevano le loro vite. Forse ero solamente io colui che continuava a riempirsi la testa d’ inutili paranoie, elaborando le più assurde e stravaganti teorie su Gravity Falls degne del più folle cospiratore. Chissà, magari anche io, come tutti quei turisti, mi ero lasciato abbindolare dalle storielle fasulle del prozio Stan. La passione che avevo per la fantascienza e il sovrannaturale aveva avuto la meglio sulla mia razionalità, ispirandomi a tal punto da farmi illudere che qualcosa di straordinario e anomalo potesse esistere sul serio.
Il mio flusso di pensieri sconclusionato venne poi interrotto dalla voce stridula e pimpante di mia sorella. Ella mi stava chiamando da un pezzo dall’altra parte della sala, muovendo le sue braccia come due bandiere. Erano circa le 8:00 di mattina e tra mezzora il negozio avrebbe aperto. Stavamo facendo le consuete pulizie mattutine, io ero intento a spolverare uno scaffale su cui erano riposte delle fedeli –e inventate- riproduzioni di teschi di gnomo e alcuni barattoli contenenti dei denti di vampiro sotto vuoto. Non sapevo se stupirmi dal fatto che i loro prezzi fossero esorbitanti o dal fatto che queste ciarlatanerie andassero letteralmente a ruba. Forse questi erano gli unici reali misteri su cui dovevo interrogarmi.
Le penetranti urla della mia gemella si intensificarono, giacché le sentii veramente vicine alle mie orecchie. Infatti mi stava letteralmente strillando a pochi centimetri di distanza dall’ apparato uditivo, frantumandomi così i timpani, «Dipper!!! Sveglia! Hey!», dopo si perse in una delle sue solite buffe e allegre risate, mentre io mi stavo riprendendo dallo stupore, e raccogliendo lo spolverino che avevo distrattamente fatto cadere a terra. Sospirai afflosciando le braccia lungo i fianchi, «Sì, ci sono. Potevi però evitare di urlarmi nelle orecchie in quel modo!?», lei non si tolse quel sorrisino dalla faccia, anzi, mi diede una pacca sulla spalla, consolandomi –anche se in realtà si stava soltanto prendendo gioco di me-, «Ah, fratellino! Da ore che ti chiamo. Pensavo fossi diventato sordo così ho voluto verificare di persona.», alzò le spalle ridacchiando. I suoi comportamenti non mi erano certo nuovi, in fondo era mia sorella e la conoscevo meglio di chiunque altro, «Eri sul punto di riuscirci, povere mie orecchie.», tentai di apparire sarcastico eppure dal mugolio che uscì dalle mie labbra diedi l’impressione di essere allarmato.
Non mi ero nemmeno reso conto del tempo che passava, difatti fu il vocione dello zio Stan a ricordarci che tra cinque minuti avrebbe aperto le porte del negozio. Il tempo è denaro, aveva ribadito. Mia sorella non gli prestò attenzione e incominciò a parlarmi di tutt’altro argomento, «Lo sai che ho conosciuto un ragazzo molto simpatico? Al primo sguardo ho capito che eravamo fatti l’uno per l’altra.», lei unì le mani all’altezza del cuore assumendo l’espressione d’una sognatrice a tempo perso. I suoi occhi puntavano verso il soffitto come se il suo nuovo presunto fidanzato fosse appeso lì, il che mi fece scappare una piccola risata. Non avevo nessuna voglia di alimentare le sue illusioni visto che non era la prima volta che diceva di essersi innamorata ed aver trovato la sua anima gemella. Ero consapevole che il periodo pre-adolescenziale fosse pieno di dubbi e di stati emotivi alterati dunque, proprio per questa ragione, era necessario prestare la dovuta attenzione e non costruirsi castelli tra le nuvole destinati ad essere soffiati via dal vento della realtà.
Lei mi apparse più presa del solito da questo nuovo ragazzo, ciò quasi mi fece credere che fosse una cosa seria. Ma non dovevo giungere a conclusioni affrettate senza nemmeno conoscere questo ragazzo, essendo il fratello di Mabel era ovvio che provassi verso di lei un innato senso di protezione.
I clienti iniziarono ad affluire all’interno della struttura, ma Mabel aveva deciso di continuare a parlare di quel tipo, dicendo quanto fosse meraviglioso, simpatico, anche se un po’ timido e silenzioso, «Ah, Dipper! Dovresti proprio vederlo. È alto, affascinante. E così romantico!», emise una manciata di quei sospiri che di solito le ragazze fanno quando vedono qualcosa che fa battere loro il cuore. Un po’ come quelle persone che amano i gatti e quando ne vedono uno iniziano a parlare in falsetto producendo versetti isterici e per nulla comprensibili.
Cercai di farle presente che dovevamo metterci a lavorare, o lo zio Stan si sarebbe lamentato ma, in fondo, non eravamo incentivati da nessuno stipendio dunque una chiacchierata più lunga potevamo concedercela, nonostante l’argomento ragazzi non ispirasse molto la mia fantasia.
 «Il suo nome è Norman. Usciremo domani sera, sono troppo emozionata! Penso proprio che sia quello giusto!», mi mostrò addirittura una fotografia che raffigurava lei abbracciata ad un ragazzo, dedussi che fosse il Norman di cui parlava. Egli appariva alto, castano, la sua fisicità mi era difficile da dedurre dal momento che indossava una felpa veramente molto larga, era anche incappucciato e un ciuffo gli copriva un occhio anch’esso castano; sembrava essere circondato da un’aura misteriosa e cupa. C’era qualcosa in lui che non mi convinceva.
Tentai di dissuaderla da quel suo atteggiamento irrazionale. Ma in risposta ricevetti solo uno sguardo torbido, «Come fai a dirlo? Da quanto lo conosci? Da un giorno? Un’ora?», lei, del tutto contrariata, gonfiò le guance socchiudendo lo sguardo, «Ah, sii un po’ meno scontroso. Prova ad appoggiarmi una volta tanto.», allargò le braccia sbuffando talmente forte da sputarmi in faccia, così mi pulii con la manica la saliva del suo sputo, che si era attaccata al mio viso, disgustato risposi, «Ah, ti sto soltanto dicendo che dovresti tenere a freno gli ormoni, e di conoscere bene le persone prima di dire di esserne innamorata, e di girare meno film mentali in quella tua testa irrazionale!», lei posò le mani sui fianchi oscillando come quei pupazzi a molla che si attaccano al cruscotto dell’auto. Sembrava che stesse facendo roteare un ulaop intorno alla sua vita. Ma lei era solita assumere comportamenti carichi d’assurdo od esagerati –per non dire infantili-. Spesso i suoi modi risultavano talmente tanto teatrali che era difficile prenderla sul serio.
«Ma i tuoi discorsi sono irrazionali, sei veramente noioso quando fai così, Dipper! Secondo me dovresti lasciarti più andare e non pensare che tutto sia un complotto! Vivi la vita con più flow!», alzò le braccia e le spalle, scuotendo la testa, ma non smise di oscillare come un budino di gelatina, poi continuò con la sua solita vocina acuta, «Non dobbiamo mica sposarci domani… Cioè, non è detto. E ti ricordo che sei anche tu un adolescente. Nemmeno il prozio Stan è così paranoico. Ed è lui il vecchio, qui.», i suoi movimenti oscillatori per fortuna cessarono mentre il suo sguardo si fece più serio.  Presi una boccata d’aria e ribattei, «Lui è un caso a parte, e non si tratta di essere anziani, o di avere flow. Ma di essere prudenti! Ti sto solo dicendo di usare di più il cervello, e valutare le persone prima di costruirti tutti quei castelli in aria. La tua impulsività ti farà cacciare nei guai. In fondo quel Norman potrebbe essere benissimo un individuo poco raccomandabile, che ne sai tu?», mentre parlavo gesticolavo nervosamente. Lo sguardo di Mabel si fece duro e di ghiaccio, raro che il suo viso assumesse un’espressione simile. Perfino la sua voce uscì secca e dura dalle sue labbra asciutte, «Dipper, è quello che stai facendo anche tu, adesso. Stai supponendo come lui potrebbe essere. E non l’hai mai nemmeno visto in faccia.», oscillò una mano in aria come se dovesse mostrare qualcosa, anche se non c’era nulla da mostrare se non il suo scontento. Il mio ovviamente era solo un esempio, non stavo di certo supponendo nulla riguardo quel ragazzo, se fosse buono o cattivo. «Mi stai mettendo in bocca cose che non ho detto!», la indicai, e mi resi conto di stare alzando la voce un po’ troppo. Dei clienti che gironzolavano accanto a noi si erano addirittura voltati guardando nella nostra direzione allarmati. Successivamente uno di essi mi si avvicinò chiedendomi delle informazioni riguardo il tour del Mistero. Risposi con professionalità e chiarezza a tutte le sue domande, congedandomi poi con un cordiale sorriso e augurandogli una buona permanenza nel Regno del Mistero. Mi accorsi solamente dopo che nel frattempo mia sorella era sparita. Aveva approfittato della mia distrazione per darsela a gambe e non affrontare la conversazione da persona matura. Ma lei non era una persona matura, rammentai.
Per distrarmi decisi di continuare il lavoro dando spiegazioni ai clienti, accompagnandoli nelle sale del museo, improvvisandomi una guida turistica. Tutto quel che dicevo era inventato di sana pianta, ma in quel momento non mi importò molto di risultare un ciarlatano o un imbroglione. Pensavo solo a Mabel e alla sua reazione. Sospettavo d’averla offesa profondamente, soprattutto perché le ho urlato contro. E le persone mature dovrebbero discutere e non alzare la voce l’una sopra l’altra. Ma ormai non è più solo una questione di maturità, di non essere in grado d’accettare una critica o un parere contrario al proprio, è diventata una faccenda personale. Ammetto di aver agito con troppa severità.
Non era la prima volta che noi due avessimo una conversazione simile riguardo quest’argomento.
Era quasi una routine che Mabel si prendesse una cotta per qualcuno, dunque mi ero abituato a sentire i suoi discorsi rispetto al romanticismo e al colpo di fulmine. Ma il colpo di fulmine non può essere qualcosa di frequente, perderebbe anche il proprio senso se lo fosse. Lei continuava a ripetermi che io non capivo nulla perché non mi era mai successo. Iniziò a praticare su di me una psicologia inversa allo scopo di farmi credere che, visto che io non mi ero mai innamorato tramite un colpo di fulmine, non avevo il diritto d’ esporre nessun giudizio razionale e cosciente su questa tesi. Le mie deduzioni sarebbero apparse superficiali per via della mia mancanza d’ esperienza sul campo. Ma ciò non aveva alcun senso.
Una delle caratteristiche più rilevanti di mia sorella era proprio la testardaggine: se si metteva in testa qualcosa era difficile farle cambiare idea. Per me era come parlare al vento, sotto questo aspetto mi dimostravo testardo quanto lei poiché ero determinato a farle comprendere che essere un po’ più razionali e meno impulsivi non era tanto terribile, anzi, l’avrebbe aiutata a rendere la sua vita più semplice. In questo modo avrebbe smesso di correre dietro a ogni ragazzo, costruendosi illusioni di carta che l’avrebbero solo fatta soffrire. Alle mie critiche, con tutto ciò, continuava a rispondere in malo modo, accusandomi di parlare come un adulto e di essere noioso. Non mi stavo godendo gli anni migliori della vita, mi diceva. E io le ripetevo che non era affatto vero, che vivevo la mia esistenza in maniera equilibrata e sana. A volte si tappava addirittura le orecchie pur di non ascoltarmi. Tutto ciò non faceva altro che aumentare la mia frustrazione.
Oltre alla testardaggine vi era un’altra sua peculiarità che la rendeva una personalità fuori dal comune. Ella era un’inguaribile sognatrice. Non si poneva nessun ostacolo e tentava anche le soluzioni più improbabili e bislacche pur di raggiungere il proprio obbiettivo. Non ho mai conosciuto una persona con un’immaginazione abbondante come la sua –e il prozio Stan non conta poiché egli pur di guadagnare soldi farebbe di tutto ma, pensandoci bene, avrebbe senso pensare che Mabel avesse ereditato questo talento fantasioso proprio da lui.  
Il giorno dopo Mabel avrebbe avuto un appuntamento con quel tale, e io non sapevo cosa fare per riappacificarmi con lei. Forse dovevo solo dare tempo al tempo, aspettare qualche giorno che le acque torbide tornassero placide e navigabili. Continuava a guardarmi con quello sguardo duro e offeso da farmi sentire in colpa. Mi ignorò per tutta la mattinata.
Per passare il mio tempo decisi di fare una scampagnata all’aria aperta, ne approfittai per visitare meglio la zona intorno al Mistery Shack. Presi la mia telecamera e mi avventurai per la foresta di Gravity Falls, o ovunque mi portasse l’intuizione, in cerca di nuove emozioni e avventure.
Non mi aspettavo di trovare mostri o creature mitologiche o paranormali, magari qualche animale particolare o insetto raro. Quasi mi sentivo un documentarista con la telecamera in mano, uno di quelli che si vedono in televisione che affrontano la natura selvaggia e tutte le sue insidie. Non potevo dire di trovarmi in un film horror visto che era mezzogiorno e il sole splendeva alto nel cielo. I suoi raggi dorati attraversavano i rami e si specchiavano sulle foglie creando piccoli arcobaleni di luce gialla. L’atmosfera sembrava quasi quella d’un sogno, come se mi trovassi all’interno di una fiaba per bambini. Non mi sarei stupito di trovare gnomi o fatine, sarebbe stato molto bello. Scrutavo il mondo dinnanzi a me con l’occhio dell’obbiettivo. Zoomai su un alto ramo sui cui vi era uno scoiattolo che sgranocchiava una ghianda e mi guardava incuriosito. Dopodiché ne apparvero altri, le loro testoline sbucavano da dietro le chiome degli alberi o dei cespugli. Uno stormo d’uccelli blu poi volò via, diretti chissà dove. Sembrava si fossero accorti di me visto che fuggirono via spaventati. La mia presenza però non era tanto molesta, non avevo fatto alcun rumore, facevo attenzione ad ogni mio passo.
Dal fitto della foresta provenivano dei suoni ambigui e sospetti, proprio quelli che avevano preoccupato i volatili tanto da farli scappare. Curioso di scoprire di che cosa si trattasse, mi avvicinai lentamente con passo felpato e circospetto. Nascosto dietro un cespuglio, con ancora la telecamera in mano, iniziai a spiare quel che accadeva davanti a me. Dovetti trattenere un sussulto di sorpresa, e mi tappai la bocca con le mani, per quel che vidi. Trovai Norman. Il ragazzo di cui Mabel si era innamorata. Mi chiesi che diavolo ci faceva nei meandri più oscuri di una foresta. Rimasi inebetito.
Ebbi l’impressione che stesse parlando con qualcuno malgrado non ci fosse nessun altro lì con lui. Soffriva di un qualche disturbo psicofisico, ne ero certo. Forse i miei sospetti, anche se erano più che altro battutine provocatorie indirizzate a mia sorella, non erano così infondati. Fino ad ora non avevo mai veduto nessuno parlare da solo nel bel mezzo d’una foresta. A meno che non fosse una specie di ambientalista che parlava con gli alberi. Questa alternativa mi provocò una sensazione di disagio difficile da tollerare –preferii di gran lunga scartare questa ipotesi-. Dunque scrollai il capo togliendomi quell’assurdo pensiero dalla mente. Intanto quel ragazzo continuava a parlare da solo ma non avevo la più pallida idea di cosa stesse farneticando giacché lo spazio che ci separava era esteso e il terreno era ricoperto da rovi e piante. Come avevo fatto prima per osservare gli animali della foresta, utilizzai lo zoom della telecamera per inquadrare meglio l’ambiente circostante, magari avrei compreso le sue parole tentando di decifrare i movimenti delle sue labbra. Leggere il labiale non era una delle mie specialità, però potevo provarci.  Ma questa non si rivelò per niente una soluzione vincente.
In seguito Norman smise di parlare da solo e si allontanò sparendo poi al di là della fitta vegetazione. Il suo passo era lento e quasi innaturale, sembrava quello di una macchina, ma non di una macchina funzionante se non rotta e arrugginita. I suoi piedi strisciavano sul terreno, e le sue braccia sembravano essere sorrette da uno scheletro di cartone, sembrava dovesse spezzarsi da un momento all’altro. L’impressione che ebbi nel vederlo non sono in grado di spiegarla. I suoi movimenti parevano quelli di una persona passata a miglior vita e poi risorta. Erano i movimenti d’ uno zombie. Subito provai una sensazione d’inaspettato terrore e confusione, non perché credessi nell’esistenza dei non morti, ma iniziavo a pensare seriamente che quel ragazzo nascondesse qualcosa e fosse un tipo del tutto insano. Dopo aver costatato ciò me ne tornai a casa per rivelare a Mabel quel che avevo visto.
Giunto al Mistery Shack non ebbi il tempo di dare spiegazioni a mia sorella che mi ignorò, non avevo nessun dubbio sul fatto che mi avesse negato il saluto. Mi avvicinai a lei, afferrandole una spalla, «Mabel! Non fare finta di ignorarmi, vorrei parlarti!», lei si voltò donandomi un’espressione scocciata, come se l’avessi disturbata o non fossi degno di riceverla; il suo atteggiamento ricordava quello d’ una principessa che aveva ben altre faccende a cui prestare attenzione, invece di badare ai commenti sconclusionati di un servitore qualunque quale ero io. «Sì, Dipper?», posò le mani sui fianchi aspettando che io parlassi.
Lei conosceva già l’argomento della discussione, non c’era bisogno di girarci intorno, «Riguarda Norman, cioè… Non ho intenzione di dirti quel che devi o non devi fare, ma ho la sensazione che quel ragazzo nasconda qualcosa, questa mattina l’ho visto nel bosco, parlava da solo e si comportava in maniera singolare, per non dire sospetta, e…», lei posò il suo indice ossuto e magro sulle mie labbra, reprimendo le mie ultime parole, «Ancora con questa storia? E che ci facevi nel bosco? Non dirmi che lo stavi pedinando!?», fece cadere le braccia lungo i fianchi chiudendo le mani a pugno. Io, in tutta risposta, scrollai la testa mantenendo comunque un tono deciso ma inalterato, non volevo apparire arrabbiato o innervosito dai suoi atteggiamenti immaturi, «Stavo facendo una normale passeggiata quando l’ho visto per caso…», ma venni nuovamente interrotto, «E hai deciso di spiarlo, eh?», tentai di spiegarle che mi trovavo lì per sbaglio e ho accidentalmente assistito a quella particolare scena che lo riguardava: l’avevo veduto interagire con la vegetazione circostante senza un minimo di senso e scopo. I suoi atteggiamenti ricordavano quelli di una persona in preda alla follia, per non parlare del suo strano modo di camminare e muoversi. Quel ragazzo sembrava non aver nulla che ricordasse un essere umano sano.
Dopo averle raccontato la mia testimonianza, lei emise un profondo sospiro, difatti le mie parole non la scossero neppure un poco, anzi, sembrava ancora più curiosa di conoscerlo, di scoprire quel lato della personalità di Norman. Ciò non mi stupì per niente visto che mia sorella aveva un debole per le cose bizzarre, ella stessa era una ragazza eccentrica e definita “stramba”, forse, sotto questo punto di vista, Norman poteva rivelarsi sul serio l’anima gemella di Mabel.
Completamente sconfitto e amareggiato, me ne tornai in camera a leggere e scrivere qualcosa per distarmi un poco. Un lungo e asfissiante pomeriggio mi attendeva e non avevo concluso completamente niente. L’ultima cosa che sentii fu lo sbattere della porta, Mabel uscì di casa per andare all’appuntamento con Norman e io rimasi vinto e solo.
 
Il pomeriggio trascorse in maniera lenta e pigra senza Mabel, di solito svolgevano una miriade di attività insieme. Siamo sempre stati dei gemelli molto uniti e affiatati, riuscivamo a comprenderci a vicenda anche solo con uno sguardo. Il nostro legame è sempre stato profondo e unico nel suo genere. Ma, in fondo, non era nemmeno un mio dritto immischiarmi nella sua vita privata, né tanto meno farle delle stupide scenate come fossi un fidanzato geloso. Anche se lei avrebbe dovuto capire e ascoltarmi senza la necessità di alzare nessuna barriera comunicativa su di me come aveva fatto. Ora non dovevo fare altro che aspettare il suo ritorno così mi sarei scusato e avremmo chiarito questo disguido comunicativo.
Le ore passavano e ancora Mabel non faceva ritorno a casa, forse mi stavo facendo prendere un po’ troppo dall’ansia come mio solito e immaginavo le più improbabili catastrofi quando non ce ne era affatto bisogno. Decisi, quindi, per distrarmi da questi pensieri pessimistici, di andare a vedere la TV giù di sotto in salone in compagnia del prozio Stan. In televisione stavano dando Duck-Detective, uno dei nostri show preferiti. Eravamo soliti guardarlo tutti insieme, ma oggi sarebbe stato diverso.
L’orologio segnava le undici di sera e Mabel ancora non si era fatta viva, e nemmeno aveva mandato un messaggio o fatto una chiamata per avvertirci del suo ritardo. Tra le tante cose, mi accorsi che fuori stava piovendo, strano che non me ne accorsi prima; la mia mente era talmente distratta da non reagire nemmeno ai fenomeni esterni o a quello che capitava intorno a me. Per questo decisi di andare a cercarla, montai in sella alla mia bicicletta e pedalai verso una destinazione ignota. In realtà non avevo idea di dove dirigermi o dove cercarli, immaginavo si trovassero da qualche parte in città, in un ristorante o in un locale a cena. Non mi era dato sapere il posto preciso né la via da percorrere. Giravo completamente alla cieca e, sotto la pioggia, era difficile orientarsi e mantenere il mezzo in equilibrio senza rischiare di scivolare sulla stradina bagnata. Ad un certo punto sentii dei suoni molto forti provenienti dalla foresta, inizialmente pensai che fossero dei tuoni –anche se non avevo visto lampi o bagliori-, ma erano dei suoni sospetti e difficili da descrivere, allora decisi di seguirli malgrado fosse rischioso. Perdersi nel bosco con questo tempaccio non era una delle alternative più magnifiche del mondo, le probabilità di smarrirsi erano altissime.
La foresta appariva tetra e surreale, non sembrava la stessa che avevo varcato questa mattina. Pedalai ancora più veloce urlando invano il nome di Mabel come se fossi sicuro di trovarla nei paraggi. Come se avessi una sorta di sesto senso che mi guidava, giunsi fino ad una sorta di radura dove non c’era assolutamente nulla. Solamente dopo mi resi conto che quello era lo stesso posto dove stamane avevo visto Norman. Dunque avevo percorso lo stesso identico tragitto.
Decisi di parcheggiare lì la mia bicicletta, giacché era un luogo che più o meno conoscevo avrei rammentato dove ritrovarla. Così m’incamminai verso l’ignoto seguendo principalmente il mio istinto. La pioggia non batteva forte poiché il suo flusso veniva deviato dalla fitta vegetazione, le foglie fungevano da piccoli ombrelli che mi riparavano dalle intemperie climatiche. Sembrava come trovarsi sotto ad una tettoia naturale.
Dopo aver camminato per non so quanto tempo mi sentii chiamare, era più che altro un sussurro che invocava il mio nome. Guardai in ogni direzione in cerca del destinatario di quella voce finché non riconobbi mia sorella che si era nascosta all’interno d’un tronco d’albero aperto, ricoperto di rami e foglie. Corsi subito da lei che mi fece cenno di entrare all’interno dell’albero cavo.
Nel momento in cui entrai compresi che qualcosa di terribile le era successo: la trovai sconvolta, confusa e in lacrime. Non potevo immaginare lontanamente quel che le era accaduto, nemmeno sforzandomi con tutta la buona volontà avrei mai potuto concepire qualcosa di tanto assurdo. Si trattava di qualcosa al di fuori della mia concezione e visione del mondo.
Tornati a casa lei non mi parlò e se ne andò subito a letto. Era fin troppo abbattuta da riuscire a concepire anche una sola frase sensata. Non ebbi il coraggio di chiederle nessuna spiegazione a proposito del suo appuntamento né che fine avesse fatto Norman.
Una cosa mi lasciò del tutto stupito, ossia le uniche frasi che pronunciò appena mi vide venire in suo soccorso. Mabel continuava a ripetermi: “Portami in salvo, per favore. Prima che loro tornino, portami via da qui”. Queste parole sconnesse erano state accompagnate da un tono di voce spaventato e attonito, e da uno sguardo completamente sfatto e terrorizzato. Come se avesse visto un fantasma, o un mostro spaventoso. Non riconoscevo più mia sorella perché da quel giorno cambiò in maniera radicale. La Mabel che conoscevo era completamente scomparsa e non l’avrei più rivista se non nei miei sogni.
Mi interrogai a lungo su quelle misteriose parole visto che erano state le uniche che aveva rivelato da quando l’avevo trovata nel bosco infreddolita e impaurita. Dentro di me provavo un’infinità di emozioni diverse tra loro tra cui rabbia, dolore, un sentimento di impotenza inaudito misto ad un senso di colpa per non essere riuscito ad aiutarla prima, o a dissuaderla ad andare a quell’appuntamento. Non so cosa quel Norman le abbia fatto o mostrato per terrorizzarla così, ma io stesso sentivo di esserne colpevole per non aver indagato abbastanza sul suo conto. Ma era decisamente troppo tardi per piangersi addosso e, senza conoscere neppure il motivo del suo stato sofferente, sarebbe stato difficile risolvere la faccenda. L’unica cosa che avevo dedotto, ricordando le parole da lei pronunciate, era che un gruppo di persone voleva farle del male. A quel punto la mia mente incominciò a vagare tra angoscianti pensieri, pensando che fosse stata aggredita da un gruppo di brutti ceffi, probabilmente l’avevano attirata con l’inganno. Ma in quel momento non avevo il coraggio necessario di pensare cosa le avessero fatto poiché la mia rabbia sarebbe esplosa e sarei uscito di senno.
Il prozio Stan era andato a letto da un pezzo, decisi di non svegliarlo per non metterlo in ansia, vedere Mabel in quelle condizioni l’avrebbe reso nervoso e, conoscendolo, non ci avrebbe pensato due volte ad andare in quella foresta in piena notte in cerca di quei loschi individui per conciarli per le feste. Era meglio rimandare la faccenda al giorno successivo, dopo aver sentito le spiegazioni di Mabel in merito all’accaduto. Malgrado fossi nervoso e arrabbiato non avevo intenzione di rendere le cose più difficili. Domani, insieme e con più calma, avremmo meditato sulla questione e riflettuto sul da farsi contattando anche la polizia se fosse stato necessario.
Però, prima di andare a letto, la mia attenzione venne attirata da un oggetto che fuorusciva dallo zaino di Mabel, lasciato a terra accanto al suo letto. Avvicinandomi per scrutare meglio di cosa si trattasse, notai che era solo un libro, un diario, per l’esattezza. Era un diario molto strano e sembrava particolarmente vecchio. Mi colpì la sua rilegatura e il disegno stampato sulla copertina: una mano a sei dita che ricordava vagamente la mano di Fatima ma ciò era solo frutto della mia suggestione. Su questo simbolo vi era riportato il numero 2 –ciò mi fece intendere che fosse il secondo di non so quanti altri-. Non avevo mai visto mia sorella leggere questo libro, neanche sapevo che lo possedesse. Forse era semplicemente il suo diario segreto e non avevo nessun diritto di sfogliarlo.
Senza perdere altro tempo, me ne andai a dormire, consapevole che domani sarebbe stata una giornata pesante e piena di faccende complicate sulle quali riflettere.
 
La mattina dopo mi alzai prima di tutti gli altri, ammetto di non essere riuscito a dormire un granché bene, ho addirittura avuto degli incubi ma non ricordo nessun dettaglio riguardo essi.
Mabel era ancora rannicchiata sotto le coperte e sembrava tranquilla, ne fui lieto. Speravo che il sonno l’avesse rinvigorita, permettendole di recuperare le energie perse ieri sera. Essendo molto presto decisi di svolgere un po’ di faccende domestiche e di preparare la colazione per tutti, questo mi aiutò a distrarmi, la mia mente ancora vagava verso imprecisati e oscuri pensieri. Successivamente, udii dei passi pesanti provenire dalle scale, immaginai fosse il prozio Stan, non l’avevo riconosciuto solo dai suoi movimenti pachidermici ma dai grugniti che ogni mattina emetteva, il risveglio non era mai lieto per nessuno. Rimase alquanto sorpreso di trovare la tavola imbandita e la colazione pronta, non ci pensò due volte a tuffarsi sul buffet e gustare i piatti che avevo preparato. Mabel si trovava ancora tra le braccia di Morfeo, non ero sicuro se svegliarla o meno, però andai a controllare che stesse bene e che dormisse serena come prima. Gli avvertimenti di cui mi aveva parlato ieri riaffiorarono nella mia memoria: se qualcuno fosse stato sulle sue tracce sarebbe stato mio dovere proteggerla e non lasciarla sola, soprattutto durante il sonno quando la mente e il corpo si trovano in uno stato d’ invulnerabilità. Entrato nella camera che condividevamo, fui felice di vederla ancora dormire nel medesimo modo di prima; appariva così calma e innocente che, per un momento, dimenticai tutte le preoccupazioni che mi assillavano. Durante il sonno si muoveva fiocamente, i suoi respiri erano regolari e flebili, e il mio sguardo incantato da quella visione non si mosse dalla sua figura dormiente. Per svegliarla, la chiamai dolcemente per nome scrollando piano la sua spalla. In risposta borbottò di voler dormire per altri cinque minuti, quella era la Mabel che conoscevo. Mi illusi che tutto fosse tornato alla normalità, ma dovevo ancora venire a conoscenza della verità che nascondeva il suo volto calmo e affabile. Una maschera di quiete e spensieratezza che ingannava il mio sguardo, abituato da sempre a rimanere vigile e attento in ogni circostanza.
Mabel abbandonò il mondo dei sogni e rimase a contemplare il mio volto come mai l’avevo vista fare prima. Sembrava persa tra i propri pensieri, non mi stava vedendo sul serio, la sua mente vagava verso mondi a me sconosciuti. «Mabel?», la chiamai sventolando la mia mano davanti al suo volto in modo da attirarne l’attenzione, «Oh, Dipper… Ciao…», la sua espressione era la medesima, distante e contemplativa, non vi era nessuna sfumatura interrogativa nella sua voce ma parve stupita di vedermi. Come se non mi avesse riconosciuto e volesse domandarmi se io fossi realmente suo fratello.
«Stai bene? È ora di alzarsi, dormigliona!», chiusi le mani a pugno parlando con un tono di voce frizzante e allegro come lei spesso faceva con me. La sua reazione non fu quella che mi aspettavo, mi accontentai, «Uhm… Sì, penso di sì.», non mi disse null’altro. Avevo la sensazione che non volesse confidarsi con me di quel che le era accaduto ieri. Non avevo idea di come introdurre l’argomento, non era mia intenzione forzarla o farle rievocare brutti ricordi. In fondo si era appena svegliata ed era normale essere un poco storditi e insonnoliti di prima mattina. «Ho preparato la colazione, i pancakes che tanto piacciono a te. Quindi è meglio che ti dia una mossa se non vuoi che il prozio Stan se li pappi tutti quanti!», dissi con quel tono gioioso che avevo deciso di adottare, dopo mi diressi verso la porta, per poi sentirmi tirare nella direzione opposta. Mabel aveva afferrato il lembo della mia maglietta, «No, non andare, per favore. Non voglio stare qui da sola…», mi guardò con uno sguardo illuminato di una luce malsana, pieno di spavento, la sua stessa voce era roca e tremolante. Mi voltai e mi sedetti sulla sponda del suo letto, «Ehm… Ok, è successo qualcosa? Ieri sembravi stravolta…», pensavo che fosse arrivato il momento giusto per introdurre l’argomento. Si mise a giocherellare con il lenzuolo guardando in basso, mugolando, in cerca delle parole giuste da utilizzare. Evidentemente era difficile anche per lei parlarne, «Beh… Tu credi nel paranormale, Dipper?», i miei occhi si spalancarono e balbettai qualcosa di incomprensibile. Qualunque genere di domanda mi aspettavo tranne che questa. Che Mabel avesse vissuto un avvenimento soprannaturale nella foresta? Trovandomi in una città come Gravity Falls questa teoria non mi apparve così folle e infondata e mi ritrovai incuriosito. Alla sua domanda io annuii, senza dire nient’altro, le feci un altro cenno con il capo esortandola a continuare, «Avevi ragione tu, Norman non era affatto la persona che pensavo… Si è rivelato essere tutt’altro…», la interruppi, «Eh? Davvero? Oh, mio Dio. È colpa sua allora… Quel…», poi tornai ad ascoltarla, borbottando il resto della frase tra i denti, «Sinceramente non so come sia successo. Tutto mi sembrava così perfetto, fin troppo da poter essere reale. Sono stata una vera sciocca e ti ho anche trattato male, mi dispiace molto…», mi confessò dispiaciuta, non c’era nessun motivo di scusarsi visto che io stesso desideravo chiederle perdono per primo.
I fatti che Mabel visse in quella foresta ieri notte erano degni di qualunque film dell’orrore tanto che credetti mi stesse raccontando la trama di una pellicola di Sam Raimi. All’inizio ebbi difficoltà nel seguire il suo discorso poiché mi parve fin troppo assurdo e irreale da poter essere definito veritiero. Superava di gran lunga le mie fantasie –e quelle erano già abbastanza catastrofiche e stravaganti-.
Come avevo previsto, Norman non era una persona come tutte le altre dal momento che pareva non essere nemmeno umano. Mia sorella lo descrisse come “un gruppo di gnomi mascherati da adolescente”. Stentai a credere ad un’idea tanto strampalata, mi sembrò fin troppo pazzesca anche per una cittadina misteriosa come Gravity Falls. Eppure non sembrava che mia sorella stesse mentendo, il trauma che aveva subito era concreto come la paura che ieri le avevo letto nello sguardo. Quella notte, grazie anche al favore delle tenebre e della tempesta battente, Mabel era riuscita a nascondersi e a pedinare i suoi aggressori –di qualunque entità si trattassero-. Essi infatti le avevano proposto di diventare la loro regina e di sposarli –il che mi provocò un sentimento di disagio indescrivibile e rimasi scioccato più di prima.
Lei, ovviamente, rifiutò la loro proposta ma, non accettando un no come risposta, i cosiddetti gnomi decisero di usare le maniere forti minacciandola e seguendola per tutto il bosco. Lei corse per la fitta vegetazione in cerca di una via d’uscita finché non scoprì un albero cavo dove rintanarsi. Al suo interno trovò uno strano diario, per quale motivo si trovasse lì era un mistero. Fatto sta che Mabel rimase nascosta all’interno dell’albero fino al mio inaspettato arrivo.
In lontananza, mentre Mabel era ancora nascosta, era in grado d’ udire le urla degli gnomi iracondi che le giuravano di tornare a prenderla e renderla la loro regina. Ecco spiegato il significato di quelle frasi sconnesse che ad un primo approccio sembravano non avere nessuno senso, anche se, considerando la situazione, continuavano a non averne poiché si trattava di una storia fin troppo fuori dal normale.
Io stesso mi ritrovai spaesato e attonito da questo racconto che oltrepassava i confini della realtà –e forse anche dell’irrealtà-. Mia sorella ha sempre posseduto un’immaginazione florida e vivace, tant’è che pensai si fosse inventata tutto. Non credevo mi avesse mentito o si stesse prendendo gioco di me, non in questa occasione, almeno, credetti che avesse avuto delle allucinazioni visive. La mia mente incominciò a razionalizzare l’evento tentando di trovare una soluzione logica a tutto ciò. Non esistevano prove tangibili dell’esistenza degli gnomi –e le cianfrusaglie che vendeva il prozio Stan non erano reali oggetti magici-. Non confessai a Mabel il mio scetticismo perché lei si fidava di me e aveva bisogno di una spalla su cui piangere e le avevo promesso che l’avrei aiutata a sconfiggere quei mostri, e l’avrei protetta anche a costo della mia stessa vita, il che era la verità. Se esisteva qualcuno là fuori intenzionato a fare del male a mia sorella se la sarebbe vista con me.
Giunsi alla conclusione che Mabel fosse stata ingannata da Norman e attirata verso il bosco dove nessuno li avrebbe trovati e scoperti. Con qualche sotterfugio le avrà fatto ingurgitare qualche sostanza allucinogena in modo da renderla mansueta. Saranno poi giunti suoi amici ma, fortunatamente, lei è riuscita a fuggire in tempo. Forse quegli individui erano talmente bassi da poter essere confusi con degli gnomi, oppure si saranno finti tali per confonderla, aiutati anche dal fatto che lei avesse assunto delle droghe, rendendole in questo modo difficile distinguere la realtà dalle illusioni ottiche. Un sentimento di nausea prese possesso del mio corpo al solo pensiero di ciò che avrebbero potuto farle ma, per fortuna, non sembrava aver subito lesioni o ferite.
Questa fu la teoria più logica che mi venne in mente rispetto a ciò che le era successo, la mia mente si rifiutava categoricamente di credere alla storia degli gnomi travestiti da adolescente.
Mi disse anche d’aver avuto degli incubi questa notte, ma non era in grado di definire quei sogni poiché le sensazioni che le avevano evocato erano particolari, quasi fossero emozioni da lei mai sperimentate prima. Quegli incubi le erano parsi più reali del reale, per questo non era sicura se la parola “sogno” fosse esatta, oppure erano dei semplici sogni lucidi dove una persona ha il pieno controllo dell’esperienza onirica e manovra il sogno a suo piacimento. Ma non ci pronunciammo troppo su questo dettaglio visto che non lo ritenemmo importante ai fini della risoluzione del problema “gnomico”.
Questo è tutto ciò che Mabel mi raccontò riguardo quella disavventura nel bosco, neanche quel ragazzo, Norman, si era fatto più vedere, e lei sembrava essersi ripresa e, pian piano, stava tornando la ragazza allegra e vivace di sempre. Il suo sguardo era però ancora oscurato da un’ombra di preoccupazione, nella sua mente continuava ad udire gli avvertimenti che quei malintenzionati le avevano lanciato. Avevo la sensazione che questa fosse solo la suddetta quiete dopo la tempesta e i problemi grossi sarebbero dovuti ancora arrivare. Oltre a questo, ella di rado si allontanava dal Mistery Shack, di solito mi chiedeva di accompagnarla, soprattutto quando aveva necessità di dirigersi in luoghi deserti o fuori dall’area sicura di casa; ciò era molto strano dal momento che lei era sempre stata una ragazza curiosa e piena d’iniziativa. Nella sua mente si annidava un trauma che sarebbe stato difficile cancellare.
Il pomeriggio dopo quell’avvenimento avevamo fatto rapporto alla polizia raccontando loro ogni dettaglio sulla questione, parlandogli anche di Norman. Quei due strambi poliziotti ci risposero di non essere la CIA o l’FBI e che nessun cittadino corrispondeva a quella descrizione. Non c’erano stati altri casi simili, anzi, nell’ultimo periodo aveva regnato una pace quasi innaturale e sospetta su questa città. Setacciarono anche il bosco e interrogarono alcuni abitanti della zona, ma nessuno aveva assistito a nulla di scandaloso o fuori dal normale.
Dopo questo deludente approccio con le autorità, la frustrazione di Mabel sembrava essersi amplificata, ma lei aveva deciso di non mollare nella ricerca dei colpevoli. Ma seguitava ad impuntarsi sulla storia degli gnomi, allora le rivelai la mia personale idea, come mi ero immaginato fossero andate realmente le cose, che quelli erano solo loschi individui e non veri gnomi.
Averle raccontato quel che pensavo davvero di tutta questa faccenda la rese ancora più paranoica, mi disse che lei non aveva affatto mentito su quegli esserini che l’avevano aggredita e minacciata. Il mio scetticismo l’innervosì ulteriormente tanto che decise di chiudere la conversazione prima di rischiare di cadere in preda alla collera. In realtà ero stato io ad illuderla fin dall’inizio, annuendo ad ogni suo discorso fantastico e facendola sentire una povera sciocca. Però non avrei mai potuto credere ad una storia simile. Qualunque essere umano dotato di raziocinio avrebbe storto il naso nell’ascoltare una vicenda così surreale.
Per di più i suoi incubi sembravano essere peggiorati tanto che, pur di non addormentarsi, aveva cominciato a bere una quantità industriale di caffè, si teneva sveglia con ogni mezzo.
Le uniche cose che rammentava dei suoi sogni erano figure indistinte e psicodeliche, entità poco riconducibili al mondo umano poiché sognava paesaggi surrealisti, figure geometriche complesse o semplici, oppure sognava di nuotare nello spazio sconfinato come fosse una sorta d’astronauta onirica. Sentiva addirittura delle voci che la chiamavano, le stesse dei suoi assalitori che le rammentavano che, prima o poi, sarebbero venuti a catturarla e renderla la loro regina. Altre voci echeggiavano il suo nome o si sovrapponevano fra di loro fino a creare panorami sonori inquietanti e sinistri. Oltre al fatto che passava la notte a sfogliare le pagine di quello strano diario come fosse una sorta di confidente, malgrado non scrivesse nulla al suo interno, si limitava a leggicchiarlo e guardare le figure. Mabel non era mai stata un’assidua lettrice di romanzi a causa del suo basso livello di concentrazione, non era per nulla portata per certe attività intellettuali, al massimo leggeva riviste o fumetti, volumi che non richiedevano un così grande sforzo mentale. Era la prima volta che la vedevo così presa dalla lettura d’un libro, tanto che le domandai di cosa si trattava e se voleva condividere con me le sue idee e riflessioni riguardo quegli argomenti. Tentava sempre di raggirare le mie domande dicendo che non stava realmente leggendo quel diario, lo sfogliava e ne osservava le figure senza soffermarsi troppo sul significato delle immagini o delle parole. Non sapeva perché lo facesse, non provava un vero e proprio interesse nei confronti di quel volume.
“È come se quel diario leggesse me, non il contrario”, mi aveva confessato, “come se scrutasse all’interno della mia anima e fosse in grado di percepire ogni mio pensiero ed emozione. Ciò mi inquieta ma, al tempo stesso, mi affascina a tal punto da non riuscire a scollare lo sguardo da esso”.
Su di lei quel diario aveva come un effetto ipnotico, quasi sovrannaturale. Il suo stesso tono di voce era distante ed enigmatico ogni volta che accennava ai suoi effetti su di lei.
A quel punto la mia curiosità divenne talmente grande da non poter resistere: dovevo leggere quel diario e scoprire il motivo per cui Mabel ne fosse tanto suggestionata.
Approfittando di un suo momento di distrazione, non volevo farmi scoprire e dubitavo me lo avrebbe lasciato sfogliare liberamente, raccolsi il misterioso volume dalla sua scrivania incominciando a leggere. Rimasi a dir poco sorpreso perché non avevo mai visto nulla di simile. Al suo interno vi erano riportate descrizioni accurate, oltre che una notevole raccolta di disegni e foto, di creature straordinarie. Alcune di esse evocavano miti e leggende delle più svariate culture popolari terrestri, come vampiri e lupi mannari, mentre altre di quelle creature mi furono del tutto nuove. Ogni cosa mi comparse così interessante e sorprendente che non potei fare a meno di continuare a leggere, la mia sete di conoscenza su quel mondo ignoto e di mistero era incontentabile. Ogni pagina descriveva con una minuziosità quasi maniacale creature che nessuno avrebbe mai immaginato potessero esistere al mondo. E alcune di esse erano parecchio strane, sembravano delle vere e proprie figure geometriche, le stesse che Mabel aveva visto in sogno. Forse era stata influenzata a tal punto da queste illustrazioni da fare apparire tali mostri nei propri sogni.
Nel manoscritto vi erano riportate addirittura formule esoteriche in grado di evocare entità ultra dimensionali che abitavano lo spazio cosmico inesplorato. Molte delle parole riportate lì appartenevano a una lingua arcaica sconosciuta ai terrestri.
Quel diario sembrava essere una vera e propria enciclopedia del mistero, era scritto interamente a mano, dunque quella doveva essere l’unica copia esistente. Pareva che l’autore avesse realmente avuto a che fare con gli esseri descritti, non compresi se fosse tutto frutto della sua fantasia o se esistesse un fondo di verità a queste storie.
All’improvviso, una voce squillante mi fece sobbalzare, era quella di mia sorella che mi aveva beccato a leggere il suo diario. Non la prese per niente bene, anzi, era sconvolta. Forse non dovevo leggerlo senza il suo permesso, dunque lo riposai sulla scrivania scusandomi con lei. Nel suo volto permaneva quell’espressione di fastidio misto a sconcerto che mi provocò un imbarazzo inspiegabile. Nemmeno avessi letto il suo personale diario segreto. Però non mi disse nulla, neppure una parola, anche se quello sguardo mi aveva comunicato in una maniera molto eloquente il suo pensiero di disapprovazione, e che non avrei dovuto leggere di nascosto nulla di quel che c’era scritto lì sopra. Il suo comportamento, man mano che passavano i giorni, peggiorò in una maniera irreversibile. Durante la notte dormiva veramente molto poco, alcune volte l’avevo sentita parlare da sola o con chissà quale entità invisibile in una lingua straniera mai udita prima; dalla sua bocca fuoriuscivano versi senza significato, del tutto inventati e che mi inquietarono parecchio.
Non mi confessò nulla riguardo i suoi pensieri, mi aveva detto che non l’avrei capita e che avrei giustificato qualunque cosa lei avesse detto con il mio solito modo di fare del “so tutto io”. Ogni fiducia che riponeva in me era stata perduta per sempre.
 
 
Era passata circa una settimana da quell’avvenimento e dal cambiamento radicale di mia sorella.
Mentre mettevo in ordine la nostra stanza, notai dei fogli sparsi in giro, sembrava fosse passato un ciclone di volantini dalla finestra e li avesse sparsi per tutta la camera. I fogli erano tutti gettati sulla scrivania e sul letto di Mabel, dunque era lei l’artefice del misfatto, nessun altro abitava questa camera oltre a noi. Su quei fogli erano raffigurate le più svariate immagini: triangoli di diverso tipo; degli occhi aventi delle orbite scure e vuote; linee rette, a zig zag o ondulate; numeri e codici incomprensibile; e delle vere e proprie frasi scritte al contrario che non avevano nessun senso logico poiché rimandavano alla solita lingua a me sconosciuta. Tutto ciò sembrava essere stato disegnato in una condizione emotiva alterata, infatti molti di quei fogli apparivano graffiati o bucherellati; aveva utilizzato la matita come un coltello per pugnalare la carta. Quei disegni somigliavano a quelli di una bambina turbata e traumatizzata da qualcosa di oscuro e spaventoso che aveva vissuto o visto, un po’ come quelle bambine che dicono d’aver avuto un incontro ravvicinato con l’uomo nero e descrivevano l’esperienza tramite una rappresentazione visiva.
Un disegno in particolare mi lasciò piuttosto turbato: sulla parte sinistra del foglio vi era disegnata la sagoma di una bambina che puntava lo sguardo verso un’entità misteriosa, questa era un’altra sagoma dalla forma pseudo-triangolare, sembrava una di quelle creature presenti in quel diario misterioso, mentre quella bambina era senza ombra di dubbio Mabel. Lei stava tendendo la sua mano verso questa ambigua entità, la creatura triangolare stava facendo lo stesso con lei. Non seppi ovviamente interpretare questo disegno malgrado rimasi ad osservarlo a lungo.
Alla fine decisi di buttarli nella spazzatura, fu un gesto istintivo che compiei a causa del disagio che quelle illustrazioni mi provocarono. Avevo come la sensazione di essere osservato.
Mabel in ogni caso non disse nulla al riguardo e non si arrabbiò neppure del fatto che li avessi gettati via senza il suo permesso, forse non se ne era neanche accorta.
 
Quella stessa notte mia sorella si comportò in modo strano, più strano del solito. Si alzò e uscì dalla camera diretta chissà dove. Prima di aprire la porta e di scomparire nel buio più tenebroso, come se si fosse accorta del mio sguardo scrutatore, mi disse sottovoce di non preoccuparmi perché stava solo andando in cucina a prendere un bicchiere d’acqua. La sua voce innaturale nascondeva altre intenzioni ed ebbi l’impressione che tenesse qualcosa in mano ma, a causa dell’oscurità, non riuscii a comprendere di quale oggetto si trattasse. Non le risposi e finsi di dormire. Non mi mossi da lì, completamente bloccato da una paura che non ero in grado di dominare. Ella poi varcò la porta della nostra camera da letto e scese le scale fino in cucina. Un fitto silenzio, quasi sacrale e mistico, incombeva quella notte; qualsiasi suono veniva soffocato per poi essere disperso nel nulla fino a divenire esso stesso silenzio. La paura legava ogni mio arto come una corda stretta e soffocante, i miei movimenti erano limitati e i miei stessi respiri divenivano man mano sempre più pesanti. Tentai di svuotare completamente la mente, infatti quelle catene si trovavano solo nella mia mente. Non erano reali! Riuscii infine a liberarmi in parte dal terrore che mi controllava e scesi le scale con cautela. All’improvviso, da quel silenzio imprescindibile, udii il tonfo secco della porta che si chiudeva. Chiamai Mabel con voce tremolante, incamminandomi verso la cucina dove non trovai nessuno. Mi affacciai alla finestra ma, oltre alle chiome degli alberi mosse dal vento e a qualche animaletto che correva lungo il prato, non c’era assolutamente nulla. Dov’era finita mia sorella, rimase per me un mistero. Le mie furono solo mere domande poste al vento visto che Mabel, la ragazza che conoscevo e con la quale avevo condiviso la mia intera vita, era già scomparsa, mutata in qualcosa di estraneo o sovrannaturale.
 
La mattina seguente mi risvegliai sul divano dolorante ed inerme.
L’orologio appeso alla parete segnava le sette di mattina, quasi mi ero dimenticato di quel che era successo la scorsa notte, la testa mi doleva a tal punto da rendere la formulazione d’ogni pensiero un’immane fatica.  Rimasi a contemplare il soffitto per cinque minuti realizzando solamente dopo la realtà. La mia coscienza si svegliò insieme ai mille dubbi che la sera prima mi avevano reso difficile riposare. Subito scattai in piedi come una molla e corsi fino in camera mia alla ricerca di Mabel che ieri era scomparsa nel nulla lasciandomi completamente solo e senza spiegazioni. Il letto di mia sorella era sfatto, la camera interamente vuota, regnava una calma sospetta e placida, che venne poi interrotta da una voce acuta, assordante, e familiare, «Hey, hey! Dippy!», mi voltai e vidi il volto sorridente e paffuto di Mabel. La fissai incredulo, sentendomi anche piuttosto sciocco, poiché quella sembrava essere la Mabel di sempre. La mia Mabel. Era dunque guarita da quel cupo stato mentale che l’aveva colpita negli ultimi giorni? Tentai di parlare ma dalla mia bocca uscirono solo dei balbettii, «M-mabel? S-stai bene?», lei ridacchiò e mi pizzicò una guancia, «Oh, ma quanto sei carino quando balbetti. E non sono mai stata meglio.», sorrisi imbarazzato di fronte al suo atteggiamento che, nonostante tutto, mi pareva quello della vera Mabel.
Dentro di me, però, si celava una sensazione strana e di dubbia interpretazione. Lo sguardo di lei era uguale ma, allo stesso tempo, differente. Il suo comportamento era mutato dal giorno alla notte in una maniera incredibile, quasi innaturale. Avrei desiderato anche venire a conoscenza di ciò che era successo ieri notte, «Sicura? Questi giorni ti sei comportata in modo a dir poco strano. E dove sei stata ieri notte? Sei uscita di casa?», mi scrutò come se quelle domande le avessero provocato fastidio, ma senza togliersi quel beffardo sorrisino dalla faccia, «Ah, non mi sono sentita un granché bene, hai presente? Quel particolare periodo del mese?», allargai lo sguardo emettendo un sospiro di sorpresa di chi aveva compreso qualcosa all’ultimo momento, la mia reazione ritardata la fece ridere, «Oh, scusami…», abbassai lo sguardo nascondendo il rossore del mio viso grattandomi una guancia, «Ah, non c’è di che, piccolo Pine—Ehm…», spalancai gli occhi spostando lievemente il capo da un lato, «Cosa?», lei scrollò la testa mantenendo la sua aria allegra, «Niente, volevo dire che sei un piccolo sciocchino, ti preoccupi per ogni singola cosa. Tuttavia ieri sera non sono andata da nessuna parte, ho preso solo una boccata d’aria fresca in giardino, poi me ne sono tornata in camera mia, tutto qui.», non risposi alle sue parole. Eppure quella brutta sensazione non scomparve e non c’entravano solo le mie ansie.
 
Qualcosa nel comportamento di mio sorella non tornava, non era in lei.
Quella ragazza condivideva l’aspetto di Mabel ma non lo era veramente. Come fosse la parodia di sé stessa, i suoi gesti, le sue parole e i suoi pensieri appartenevano ad un’identità altrui. Tutti avrebbero detto che fosse realmente lei, tranne io. Io che la conoscevo meglio di chiunque altro, in fin dei conti ero il suo gemello, un legame profondo e indissolubile univa le nostre esistenze. Come se le nostre menti fossero congiunte da comuni pensieri e da un destino che, malgrado la lontananza che avrebbe potuto dividerci, non avrebbe mai ostacolato il nostro rapporto. Dentro di me percepivo qualcosa di sbagliato, un errore che non riuscivo a scorgere. Un codice che ancora dovevo decifrare.
Non avevo confessato a nessuno questo mio presentimento, avrebbero pensato che fossi uscito di testa semmai l’avessi rivelato a qualcuno. La mia vita ormai era all’insegna di dilemmi e congetture, la realtà stava prendendo forme incomprensibili e insane. Ciò che doveva essere solo fantasia non lo era affatto, non più. Le regole che governavano questo mondo avevano subito un mutamento radicale in un tempo impercettibile, di cui non avevo conoscenza e controllo.
Tra le tante cose, quel diario misterioso, che Mabel leggeva ogni sera, era scomparso. Avendomi incuriosito in modo particolare, avevo intenzione di leggerlo in maniera più approfondita (avevo la sensazione che avrebbe potuto darmi delle risposte in merito alla metamorfosi di mia sorella). Lo cercai dappertutto, ma invano. Quel volume esplicava segreti e formule utili per decifrare la realtà assurda di Gravity Falls. La scomparsa del diario non era solo una mia impressione poiché la stessa Mabel mi disse di non sapere dove fosse finito. Lei non mi stava prendendo sul serio, lo compresi dal solito sguardo beffardo che aveva stampato in faccia. Disse che quel libro era stupido e al suo interno c’erano scritte una miriade di sciocchezze complottistiche senza alcun fondo di verità. Mi avrebbe reso stupido leggere tali idiozie, aveva detto, e che non erano letture intellettuali adatte ad un ragazzo intelligente e razionale come lo ero io.
Il destino che era stato riservato a quel libro, rimase un mistero, ma non lo sarebbe stato per molto, proprio come quello di mia sorella. Rapita e portata chissà dove e in balia di forze oscure inimmaginabili. Divorata dalla follia, assistevo alla sua completa disfatta, compieva azioni assurde e che da lei non mi sarei mai aspettato. Comportamenti autolesionisti e del tutto fuori di testa, inaspettati da una persona come Mabel che era sempre stata una ragazza amante della vita e dell’amore. Inconcepibile che una come lei assumesse un atteggiamento tanto violento: Si conficcava delle forchette nella pelle delle mani; rideva estasiata cadendo –volontariamente- giù per la rampa delle scale; sbatteva più volte la testa contro il muro come fosse la cosa più divertente al mondo; saltava dal letto e poi si lanciava a terra gridando “Banzai”, come se cadesse su un tappeto elastico e non sul pavimento freddo e duro.
Più volte le chiesi per quale motivo si comportasse così, di smetterla e che il suo modo di agire non era per niente sano e normale. Le consigliai di parlarne con qualcuno che avrebbe potuto aiutarla in qualche modo, se non voleva confidarsi con me. Lei non faceva altro che ridere di fronte alle mie preoccupazioni, come se fossi io il pazzo, qui. Il dolore è così spassoso, diceva. Il suo era vero e proprio masochismo, se pensava che il dolore recasse divertimento e gioia agli esseri viventi. La sua empatia si era persa insieme a tutto il suo individualismo. Ormai non era più nemmeno un essere umano.
Mabel trascorreva le sue intere giornate all’insegna dell’assurdità, oppure se ne andava in giro per il bosco o per la città a svolgere commissioni misteriose o ad incontrare persone di dubbia morale. Liquidava le mie domande dicendo che non mi sarei dovuto intromettere nei suoi affari perché non ne avevo nessun diritto, né lei aveva il dovere di informarmi riguardo ogni aspetto della sua vita. Quello che anche la vera Mabel mi avrebbe detto. La difficoltà comunicativa non era mutata affatto, anzi, era addirittura peggiorata. Non parlò nemmeno più degli gnomi e della loro minaccia, come fosse acqua passata, e non avesse mai subito alcun trauma. In risposta ai miei quesiti sul suddetto argomento lei rideva a crepapelle come se le avessi raccontato una barzelletta. Tra l’altro, aveva iniziato a frequentare uno strano individuo di nome Gideon Gleeful, una sorta di mago da strapazzo bambino nonché acerrimo nemico di nostro prozio Stan. Quest’ultimo, inizialmente, aveva pensato di rendere Mabel una talpa, un' agente sotto copertura che avrebbe appreso una grande quantità d’informazioni sulla losca attività di Gideon dimostrandosi interessata romanticamente a lui, per finta. Non era un ragazzo che la vera Mabel avrebbe mai frequentato. Mia sorella era completamente cambiata, ogni sua scelta di vita era priva di logica -all’apparenza-, dunque anche il fatto d’uscire con quello svitato si dimostrò “normale”. Mabel aveva un piano in mente. Quella follia l’aveva resa subdola e maniacale, il suo stesso sguardo, quando incrociava il mio, mi metteva i brividi. Quando non rideva e non scherzava la sua espressione era sinistra ed enigmatica.
I fatti sconvolgenti capitati in seguito mi fecero supporre ci fosse dietro il suo zampino e che lei avesse messo a punto quel suo diabolico piano.
Un giorno, tutto d’un tratto, non si sentì più parlare del piccolo Gideon, come se i riflettori su di lui si fossero spenti all’improvviso e la sua fama si fosse dissipata dal giorno alla notte. Solo una confessione era stata rilasciata alla stampa da parte del padre del bambino prodigio, aveva dichiarato che il figlio era caduto nel “blocco del mago”, dunque non era più in grado di esibirsi. Poteva anche trattarsi di una mancanza d’ispirazione -ogni artista prima o poi affronta una fase simile-, ma la verità era ben altra. A quanto pare qualcuno gli aveva sottratto un oggetto a lui molto caro, si trattava dell’oggetto che gli donava i poteri sovrannaturali e lo rendevano il magico Gideon, ma ora era solamente Gideon, il solito ragazzino ricco, viziato e paffutello. Aveva così deciso di andare via da Gravity Falls per un tempo indeterminato. Scappare da Gravity Falls fu la decisione più saggia e sicura che avrebbe mai potuto fare. Molte persone avrebbero dovuto prendere il suo esempio e darsela a gambe finché erano ancora in tempo. Un’aura ancora più oscura circondava la cittadina e il conto alla rovescia che ci avrebbe portato alla catastrofe aveva già iniziato a rintoccare.
Alcuni giorni dopo Mabel scomparse nel nulla portando con sé ogni mia speranza, illusione o gioia.
 
 
***
 
Come un disco rotto che suonava al contrario, nella mia mente si sovrapposero suoni e immagini insensate. Rumori assordati e dalla difficile comprensione mi provocarono conati di vomito e un profondo malessere interiore. Paranoie che non riuscivo a vincere. Problemi a cui non riuscivo a porre rimedio.
Nel mio stomaco un fuoco divampava come un incendio, i miei torbidi pensieri ne alimentavano la consistenza e l’ardore come carburante. Le maestose fiamme salivano sempre più in alto, annebbiandomi la vista e soffocando ogni mio respiro. Un calore si propagava per tutto il mio corpo. Lo sentivo nel cervello, nelle viscere, nel petto. In ogni cellula che plasmava l’essere umano che ero. Ma, ormai, sentivo di non essere più nulla di tangibile, se non un ricordo effimero di me stesso.
 
«Hey…», un saluto echeggiò dall’aldilà delle mie memorie. Memorie che pensavo fossero morte e sepolte avevano ripreso vita, «Ci sei?», tentai di divincolarmi in modo da scorgere il volto di colui che mi stava chiamando, «Dipper!», una voce familiare mi riportò alla realtà.
In risposta a tutti quei richiami, aprii gli occhi rimanendo a fissare il soffitto rivestito di metallo sopra di me, che venne poi coperto dal faccione confuso di McGucket, «Ben svegliato!», in risposta alle sue parole, mugolai strofinandomi gli occhi ancora insonnolito.
Quel viaggio era stato più lungo del previsto, siamo stati anche costretti a fermarci per ricaricare la batteria del robot, forse era stato in quel momento che mi addormentai, ancora scosso dalle visioni di quella notte insonne e drammatica.
 Il mio cuore seguitava a battere all’impazzata a causa di quelle emozioni, ormai lontane, ma sembravano così reali. Come se fossi andato indietro nel tempo, quei ricordi, vissuti nel sogno, erano così vividi e dettagliati da farmi credere che fossero accaduti un istante fa. Il vecchio McGucket mi guardò con quei suoi occhietti vispi, «Hai avuto un incubo, ragazzo? Eh?», abbassai lo sguardo, a voce bassa dissi, «No, non proprio. Ho rievocato delle memorie del passato, è strano… Sembrava tutto così reale.», mi grattai il capo, non sapevo esattamente il perché avessi sognato quegli avvenimenti, forse era un modo che usava il mio inconscio per comunicarmi quanto ancora quello shock fosse in me indelebile. L’uomo emise un sospiro che si tramutò poi in un pesante sbuffo, «Ah, i sogni. Che mondo affascinante! L’ultima volta che ho sognato ho rischiato di venire ucciso… Da un armadillo gigante a tre teste…», il suo sguardo si perse nella contemplazione di qualcosa d’invisibile-forse nella mente gli era apparsa la figura di quell’armadillo, il che mi lasciò perplesso-. Scrollai la testa ricordando il motivo per cui mi trovavo qui: per vedere il prozio Ford, «Ma ci manca ancora molto per arrivare a casa del prozio Stanford?», il vecchio alzò le spalle, fissandomi, per poi dire col tono di chi diceva un’ovvietà, «Ma siamo già qui. Siamo qui da un bel pezzo.», io, sobbalzando, risposi, «Cosa? E da quando?», egli si grattò il capo pensandoci su come se gli avessi posto una domanda troppo complessa, «Aaaah. Da più di un’ora.», più scioccato dissi, «Come da più d’un ora? Perché non mi ha svegliato prima?», lui scosse la testa parlando con tono più calmo, mettendosi un dito nel naso, «Hai mai assaggiato la zuppa d’armadillo? Non è male, meno saporita di quella d’opossum ma accompagnata da delle verdurine ti assicuro che è una prelibatezza.», rimasi senza parole da quel commento, scossi il capo agitandomi, la mia voce tremeva, «Ah, ma cosa sta dicendo? Basta perdere tempo qui. Andiamo dal prozio Ford!», lui, come se nulla fosse, con quel tono calmo, proclamò, «Ma potevi dirlo subito!», decisi di non rispondere perché ciò avrebbe comportato l’ennesima perdita di tempo.
Una botola si aprì al centro della camera di comando dove ci trovavamo, la stessa da cui eravamo entrati, il vecchio fece cadere una scala e scese giù per primo, io lo seguii, impaziente di poter finalmente incontrare il mio misterioso prozio Stanford e di poter apprendere i più arcani segreti di Gravity Falls.


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{ Grazie mille per aver letto questo nuovo capitolo.
Non avrei mai pensato di riuscire a dedicarmi in modo costante ad una long, di solito non le prediligo. Scrivere questo capitolo è stato particolarmente ostico perché ad un certo punto l’ispirazione è venuta meno. È stata una fatica immane. Ma spero sia stato di vostro gradimento.
Molti degli avvenimenti qui descritti sono diversi da quelli della serie, in fondo è un AU, poi ho pensato fosse più interessante inserire qualcosa di nuovo. Se qualcosa non è chiara potete chiedere -non spoilers sul continuo, ovviamente-.
Sarei felice se lasciaste una recensione, pareri e consigli di ogni tipo, ogni pensiero è gradito.
 
Grazie e alla prossima~ }
   
 
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