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Autore: Lady Aquaria    27/03/2017    1 recensioni
Estratto dal capitolo 1:
Certo che voleva Camus, dentro di sé non aveva mai smesso di provare per lui qualcosa di più del semplice affetto; anche se a sé stessa lo negava, per Camus provava ancora amore.
"Io e papà ci siamo amati, un tempo."iniziò, cercando le parole più adatte."Amare, Lixue, capisci? È qualcosa di molto più forte del volersi bene."
"Quanto forte?"
Forte abbastanza da indurre una ragazza nemmeno ventenne a rivolgere fredde parole cariche d'odio all'altro. Un sentimento così intenso da indurla a restare a letto per giorni dopo il suo abbandono, tanto potente da spingerla a prendere a pugni il fratello che le aveva proposto di abortire.
EDIT: Storia completamente revisionata! Vale
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aquarius Camus, Dragon Shiryu, Nuovo Personaggio, Shunrei / Fiore di Luna
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le vie del Destino'
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capitolo 36
36.
How would it be?
What have I done?
What if it's too late now?
Did I do all I could, did I?
Did I make it all good, did I?
Somehow it doesn't feel right
Is it really all over?
Did I think it through, did I?
What if all I want is you?
[How would it be? – Lene Marlin]
 
Nell'aria fredda le nuvolette di fumo impiegano più tempo a dissolversi, rimanendo sospese nel vuoto per qualche secondo prima di disperdersi con tutta calma, un po' come il fiato che si condensa e si intravede con chiarezza durante una giornata d'inverno con le sue temperature rigide.
In effetti, a dirla tutta, all'undicesima casa sembrava di essere in pieno inverno nonostante all'esterno il Santuario fosse ad aprile inoltrato.
Camus assaporò il gusto pieno e deciso della Gauloises Blonde e il suo retrogusto amarognolo, guardando il pacchetto blu posato sul tavolino di fronte a sé, indeciso se fumarne una seconda oppure no. Lo faceva tutte le volte in cui era nervoso o arrabbiato, quando era sul punto di perdere il controllo, per evitare di commettere sciocchezze come quella di qualche ora prima quando aveva mandato sottozero Aquarius.
Milo lo osservava silenzioso da qualche minuto, incerto se palesarsi ed entrare nel salotto dove Camus, con indolenza, era sprofondato nella sua poltrona, o tornare indietro lasciandolo solo con i suoi pensieri: armato di un pesante cardigan, aveva trovato il coraggio di entrare in quella che lui definiva ghiacciaia, ma si sentiva stranamente a disagio.
"Sei lì da dieci minuti, o ti manifesti o esci." lo redarguì Camus, di malumore. "Detesto essere spiato."
"Non ti stavo spiando." rispose Milo, avvertendo il disagio crescere di un altro po'. "Volevo dirti che Mei si è ripresa una decina di minuti dopo che te ne sei andato e che ora è alla settima casa. Shunrei mi ha incaricato di portare qui i suoi vestiti sporchi e prenderne altri."
Sbuffando, Camus spense il mozzicone nel posacenere.
"Serviti pure."
"Il problema è, Camus, che mi sento a disagio all'idea di mettere le mani tra la biancheria intima di una donna che non è la mia." proseguì Milo. "Se mi facessi la cortesia di darmi quanto richiesto, esco e ti lascio in pace, promesso."
Un altro sbuffo seguì quelle parole, quindi Camus si alzò e lo precedette; i piedi nudi, i capelli legati alla bell'e meglio in una crocchia all'altezza della nuca, una vecchia e ormai informe tuta blu col logo del Paris Saint-Germain e lo slogan Ici c'est Paris! quasi sbiadito.
"Ma si può sapere che ti prende? Lei e i bambini stanno bene e quell'altra è stata rimessa a posto, non è questo che conta?"
Prese un astuccio dalla tasca della giacca e si ficcò in bocca un chewing-gum, per evitare di accendersi una seconda sigaretta.
"Il fatto è che io non sto bene. Conta anche questo oppure è irrilevante? E non intendo male fisicamente, ma per quello che mi ha detto e per come l'ha detto. E pensare che proprio lei, per ciò che le avevo detto quella volta, mi aveva rinfacciato le sue sofferenze citandomi Hegel: le parole sono spade, possono uccidere. Da che pulpito è arrivata la predica."
"Beh, quella volta fosti piuttosto brutale."
"Davvero paragoni queste due situazioni? La mia fu una bugia a fin di bene, una menzogna per salvarle la vita. Lei invece mi ha gettato addosso quelle parole per ferirmi, è diverso. E, dannazione, ci è riuscita anche parecchio bene."
"Sei rimasto male perché lei ha ribadito che decide di testa sua e che tu non sei suo padre e di conseguenza non puoi decidere per lei? Sei in questo stato solo per questo? Shaina la pensa allo stesso modo eppure non mi butto giù così."
"Non per quello, per l'altra cosa."
Milo fece mente locale.
"Oh. Ma dai, non l'ha detto con l'intenzione di ferirti, era sottosopra, era arrabbiata, era agitata per quanto stava succedendo..."
Non gli rispose. Impilò ordinatamente i vestiti e gli oggetti che avrebbero potuto servirle e glieli consegnò insieme a dei cambi per Lixue.
"Devo dirle qualcosa da parte tua?"
"No." arrabbiato com'era, non sarebbe stato un bel messaggio.
Ascoltò i passi di Milo allontanarsi, quindi una volta rimasto solo, decise di uscire dalla bolla d'indolenza e darsi da fare.
Ripose il pacchetto di sigarette nel suo astuccio d'alluminio e le nascose nel solito posto, nello studio, quindi si spogliò, decidendo di farsi una doccia.
"Credo sia giunta l'ora di sostituirti, vecchia mia." pensò a voce alta, guardando i pantaloni della tuta sformati e lisi all'altezza delle ginocchia. Tuttavia, la ficcò in lavatrice insieme ai vestiti sporchi di Mei, dopo aver rivoltato tutte le tasche. Si stupì un poco nel trovare quella strana busta ingiallita nella tasca del pigiama; avviò il ciclo a freddo e si sedette sullo sgabello del bagno, incuriosito, estraendone dei fogli accuratamente piegati e due libriccini.
"Ufficio di Stato Civile - 10eme Arr., Atto di Nascita di Fabien Larousse, nato a Parigi il 7 febbraio 1985 da Yves e Nicole Larousse."  lesse a voce bassa, tra sé e sé. Un uomo della sua età o quantomeno, un uomo che avrebbe dovuto avere la sua età, dato che il foglio seguente –strappato da un volume piuttosto vecchio dato il giallo della carta- e redatto in greco, riportava la sua morte all'Undicesima Casa, avvenuta a poco più di vent'anni d'età, nella primavera del 2005 in seguito alla scalata del Santuario.
Li ripose ordinatamente così come li aveva trovati e prese uno dei libriccini, scoprendo che si trattava di un passaporto francese vecchio modello con le pagine quasi tutte piene di timbri: l'ultimo risaliva al febbraio 2005, quando Fabien aveva varcato la frontiera greca di ritorno dal Canada. A quanto pareva avevano visitato entrambi gli stessi luoghi, eccezion fatta per qualche Stato –in Argentina o in Belize, ad esempio, non c'era mai andato-. A colpirlo maggiormente fu, però, la fotografia apposta sul passaporto.
"Miei Dèi..."
 
*
 
"Posso entrare?"
Quando Mei sentì la voce di Hyoga nell'ingresso, fece capolino dalla cucina.
"Qualcuno dovrebbe somministrare un calmante alla tua fidanzata, è il decimo messaggio whatsapp che mi manda... quante volte le devo rispondere che per me le peonie vanno benissimo purché non siano bianche? Se lo ricorda che detesto il bianco, vero?"
Lui corrugò la fronte.
"Peonie?!"
"Quelle per l'acconciatura e da mettere al polso. Non è per questo che sei qui? Non ha ricevuto la mia risposta?"
Capelli ancora sciolti come la mattina precedente, un hanfu verde smeraldo indossato sopra il pigiama, scarpe di tela ai piedi, Mei aveva sì l'aspetto di una nobildonna cinese dei tempi andati, ma anche due grandi occhiaie grigie sotto gli occhi.
"Assomiglio a Chien Po, lo so... non farci caso."
"A chi?"
"Non conosci Mulan? Ahi ahi ahi. Pazienza, che cosa volevi dirmi del matrimonio?"
"Ah. No, no, non sono qui per i dettagli del matrimonio. È che ho saputo che non sei stata bene. Sono qui di mia iniziativa, non mi ha mandato nessuno."
Mei sorrise stanca.
"Avevo la pressione un po' alta e Shiryu nel panico ha chiamato Aphrodite."
"Un po' alta, dice lei. Novantacinque su centoquarantadue e lei la definisce un po' alta." interloquì Shunrei.
Hyoga intercettò la boccetta prima che Mei potesse nasconderla nelle tasche della vestaglia.
"...e ti ha dato degli ansiolitici? Non dev'essere stata una cosa piacevole, me ne rendo conto, ma non va bene assumere certe cose in gravidanza... non sono un medico però..."
"Non dev'essere stata piacevole? Tu credi? La testa mi scoppiava, il cuore pompava forsennato e loro tre qui dentro scalciavano peggio di Beckham ai mondiali, secondo te com'è stato? Aphrodite ha detto che il rischio è minimo, e che comunque l'intero mondo potrebbe costituire un pericolo per loro. Tante cose non sono piacevoli eppure accadono, che vuoi farci? Quando riuscirai a sentire la futura sposa, dille che le peonie vanno benone, che le misure che le ho dato si riferiscono alla mia taglia abituale e che non ho bisogno di un insegnante di balli da sala."
"Oh sì che ne hai bisogno. Quando avrai partorito, tu e Camus imparerete il valzer, a costo di insegnarvi io stesso."
Mei scosse la testa, a metà tra il divertito e l'arrabbiato.
"Come si vede che non avete un accidenti da fare, voialtri ricconi." sospirò. "Ci sono altre belle notizie?"
 
"Ti chiedo scusa per come mi sono comportato l'altro giorno, non ce l'avevo con te. Ahem... ti andrebbe un kebab per pranzo? L'ho preso giù ad Atene, nel tuo locale preferito. Ce n'è anche per Shaina, se le va di venire."
Milo riascoltò il messaggio vocale tre volte prima di decidersi ad accettare il suo invito; Shaina al contrario diniegò, preferendo scendere a Rodorio insieme a Marin per mangiare qualcosa al volo prima di fare due compere per il bambino. Indossò sciarpa e cardigan e si recò all'undicesima casa munito di birre.
La tuta sformata era sparita, così come il puzzo di sigaretta, grazie anche a un gradevole incenso acceso da qualche parte.
"Posso entrare o corro qualche rischio mortale? Anch'io dovrò morire, ma preferirei non morire congelato, possibilmente."
"Entra." sospirò Camus. "Vai in cucina, è la stanza più calda di casa."
Milo prese l'apribottiglie e stappò due birre, prima di sedersi a tavola.
"Dov'eri finito? Dohko mi ha detto che Mei ti ha cercato più volte, ma non le hai risposto."
"Non potevo risponderle, ieri ho dato un esame e quindi sono tornato qualche ora a Parigi."
"Hai studiato con tutto il trambusto degli ultimi giorni? Come diavolo hai fatto?"
"Abitudine. Ho avuto accesso al livello HSK6 di Cinese Mandarino." rispose Camus, tutto contento. "Al termine del quale sarò in grado di parlare quasi in maniera fluente, come un madrelingua."
"Mei come la pensa a riguardo della tua ultima affermazione?"
"Non lo so, ancora non le ho detto niente. Ma ci vorranno anni di pratica per parlare come un nativo." rispose, disfacendo il cartoccio a portar via con il kebab. "È l'arabo che mi preoccupa, credo che lo lascerò stare per poter studiare meglio il giapponese. E tu? Come procede il tuo francese?"
Milo spizzicò una patata fritta.
"Abbiamo cambiato insegnante, adesso c'è un tuo concittadino tutto altezzoso che parla solo ed esclusivamente in lingua senza concederci un minuto di tregua."
"Ovvio, altrimenti come faresti a imparare? Potrei aiutarti con la pronuncia, che ne dici? A quale livello Delf sei arrivato? A2? B1?"
"Dico che vai troppo veloce, rallenta. Sono ancora all'A2, comunque." rispose Milo, rimboccandosi la sciarpa. "Ultimamente non vi parlate molto, voi due. Avete intenzione di fare qualcosa a riguardo o no? Perché a quanto pare preferisce parlare con DeathMask piuttosto che farlo con te. È alla quarta casa in questo momento, sai?"
Camus azzannò il proprio panino.
"Je le sais."
"E quindi?"
"E quindi, quando sarà il momento torneremo a parlare. Nelle tasche del suo pigiama ho trovato delle cose."
"Di che genere?"
"Dei documenti e un album fotografico, di un uomo che non sono io. Un souvenir dell'altra dimensione. Uscito dall'università ho provato a seguire un paio di tracce trovate su un paio di foto, ma entrambe hanno portato a delle piste morte." spiegò Camus, armeggiando con lo smartphone.
"In che senso?"
Mentre cercava una foto tra le cartelle salvate sul cellulare, gli mise davanti una fotografia, che gli fece sgranare gli occhi.
"Ma...!"
"...già. Dovrei essere io, ma fatico a riconoscermi in quei tratti... comunque, ho attraversato in lungo e in largo la via indicata nel passaporto, e l'edificio di questa fotografia non esiste."
"Magari è stato demolito."
"No, in quel preciso punto c'è un ristorante algerino aperto negli anni '50 che non ha mai chiuso battenti: tra le fotografie appese su un muro del locale ce n'è addirittura una che ritrae il proprietario con Dalida, che per inciso è passata a miglior vita nell'87. Vedi? Questo qua. L'edificio della foto, nella mia città, non è mai esistito." proseguì Camus, mostrandogli una foto che ritraeva Lixue sul marciapiede di fronte al ristorante in questione, con in mano un cartoccio contenente del cibo. "Buon ristorante, tra l'altro, la tajine di tonno era superba, Lixue ne ha spazzolata più della metà, ed era una tajine da 32 cm di diametro, non so se mi spiego. Ma a parte questo, c'è qualcosa che stranamente mi affascina di tutto questo: mi sarebbe piaciuto sapere qualcosa in più dell'altro me, ma ovviamente non sarà più possibile. Mi domando com'è stata la sua vita da quando ho trovato queste foto. I luoghi che ha visitato, dove ha abitato, cosa ha studiato... come ha conosciuto la sua donna."
Gliene mostrò un'altra. Una giovane Mei, familiare e sconosciuta al tempo stesso: i capelli sempre neri, ma tagliati alle spalle, gli occhi gentili e pieni d'amore. Dietro di lei, l'altro Camus.
"Perdiana, sembrate davvero voi due." commentò Milo.
"Già. È stata scattata a casa, ma non riesco a capire... qui, nella prospettiva tra gli Invalides e il Sacrè Coeur, c'è una costruzione che non esiste da noi. E qui, ad esempio... in fondo a questo infinito asse dovrebbe esserci il Grande Arche, ma... non c'è! E ti assicuro che conosco molto bene la mia città."
"O semplicemente non compare in foto..."
"Non è possibile. Louvre – Concorde - Triomphe - Defénse." elencò Camus. "In prospettiva sono infilati tutti uno dietro l'altro, non puoi sbagliare. Questa foto è stata scattata dalla terrazza panoramica dell'Arc de Triomphe, alle loro spalle non ci sono gli Champs Elysées, quindi dovrebbe esserci il quartiere finanziario e di conseguenza l'arco ben visibile. Ma sto tergiversando... non è questo il vero problema."
"M-mh. Chissà che cosa è successo nella loro dimensione: a volte conosciamo a malapena la nostra storia, come possiamo conoscere anche quella di altri mondi?"
Camus annuì ancora, alle parole di Milo.
"Sapevo di questi sogni e ne conoscevo la veridicità perché Mei ne descrisse alla lettera uno in particolare che io avevo avuto e del quale non avevo mai fatto parola con nessuno. Sapevo che anche la faccenda delle anime affini nelle altre dimensioni era vera, ma qualcosa nel profondo mi ha sempre spinto a dubitarne. Però di fronte a questo, credo di non avere più dubbi."
Gli porse il passaporto e le altre foto, tenendo da parte i documenti privati.
"Beh, alla buon'ora." fu il commento di Milo.
Foto scattate ad Atene, al Santuario, in Russia. Primi piani di una donna molto bella che però non riusciva proprio ad associare all'amica. Un bacio. Una foto un po' troppo privata.
"Come fanno certe persone a fotografarsi in certe situazioni? Bada, non mi imbarazzo facilmente, ma..."
"Me lo son chiesto anche io... non so te, ma in quei momenti non riesco neanche a ricordare il mio nome, figuriamoci se riesco a scattare foto o posizionare la videocamera da qualche parte." convenne Camus. "Preferisco tenere per me certe cose."
Milo ridacchiò.
"Foto non ne faccio, ma video, qualche volta mi è capitato."
"E fammi capire, dopo che cosa ne fate? Li rivendete come porno di terza categoria o li riguardate per...non so, migliorare?" gli domandò Camus.
"Ciò che è già ottimo non si può migliorare."
"Cala le arie."
 
*
 
Dopo un pomeriggio trascorso in compagnia di Google Maps puntato su Parigi e le fotografie del suo omonimo, Camus scese fino a Libra subito dopo cena.
"Mei è in casa?"
Senza permettergli di entrare, Dohko lo fissò con un'aria a metà tra il serio e il sarcastico.
"Sai che è in casa, dove credi che possa andare una donna nelle sue condizioni? In giro per locali?"
"Non volevo mancarvi di rispetto, Maestro." Camus si affrettò a chiedere scusa.
"Lo so."
"...e non voglio farlo neanche nei confronti di mia moglie, non le ho mai fatto del male e non intendo certo iniziare."
"Lo credo bene ragazzo, anche perché torneresti a casa con qualche dente in meno." precisò Dohko, stavolta completamente serio.
"Diciamo pure senza denti."
Camus levò mentalmente gli occhi al cielo, mentre Shiryu, dietro Dohko, aveva preso a guardarlo con uno sguardo di fuoco.
"Shiryu, stavolta ti faccio male, lo giuro." sibilò, aumentando involontariamente il Cosmo fino a lasciare un sottile strato di ghiaccio ai suoi piedi.
"Ah, ma davvero? Ascoltami un po', razza di pallone gonfiato: questi trucchetti forse funzionano con gli altri, non con me. Lo sai che l'hai fatta incazzare così tanto che le è salita la pressione alle stelle e Aphrodite le ha dovuto somministrare un calmante? Ha dormito quasi ventiquattr'ore ininterrotte e quando si è ripresa, stamattina, era ancora inebetita! Un calmante a una donna incinta, ma ti rendi conto? Mia sorella è qui per..."
"Tra moglie e marito non mettere il dito." lo redarguì Dohko. "Se c'è qualcuno qui che deve fare la ramanzina, sono io, visto che ho più anni ed esperienza di te. Dai, torna dentro."
Attese che Shiryu li lasciasse soli, quindi tornò a dedicare attenzione a Camus.
"Vorrei solo parlarle. Posso entrare?"
Dohko uscì, accostando la porta dietro di sé.
"Questa volta dovrò farti quel famoso discorso da padre preoccupato, quello che non ti feci anni fa, ricordi?" al cenno affermativo di Camus, Dohko si schiarì la voce. "Per onestà devo ammettere che al tredicesimo tempio ero dalla parte di Mei. Non mi interrompere, ho appena iniziato. Spero tu abbia tempo, devo raccontarti qualcosa."
"Non ho nulla da fare."
"Bene, perché è una faccenda un po' lunga. Quando la precedente guerra sacra si concluse del tutto e finalmente il suo... chiamiamolo regista, Yōma, fu sconfitto, io e Shion ci separammo per condurre il resto delle nostre esistenze secondo gli ordini impartiti da Athena: Shion a capo del Santuario, io come guardia delle Stelle Malefiche. Questo dovresti saperlo, però, Volya dovrebbe averti insegnato anche la storia del santuario e delle precedenti guerre sacre."
"L'ha fatto, in effetti."
"Bene. Correva l'anno 1755, avevo superato la tua età da un bel pezzo e in un certo senso mi ero preparato a trascorrere i successivi anni in solitudine: avevo un amico che di tanto in tanto mi dava una mano e ciò mi bastava. Finché un giorno non arrivò lei. Non fare quella faccia, ho condotto un'esistenza solitaria, non monacale." 
"Ed era dunque con questa lei che utilizzavate l'antro dietro la cascata." sorrise Camus.
"Questa tua insolita e pacata insolenza deriva da Mei, so che non è farina del tuo sacco. Ma tant'è, si dice che chi va con lo zoppo impara a zoppicare, no? Rispondendo alla tua domanda, sì." replicò Dohko, a metà tra il serio e il faceto. "Poco più che sedicenne, mi disse che vagava da giorni attraverso i boschi e che era scappata da un corteo di giovani fanciulle destinate all'harem imperiale: dato che già una delle sorelle maggiori era diventata una moglie di terzo rango sopravvivendo ai rigidi e spietati meccanismi di corte, lei era finita in mezzo a una trentina di altre fanciulle aspiranti concubine. Una vita che non desiderava affatto fare, ma del resto, come darle torto? Il mio amico mi mise in guardia credendola una volgare ladruncola, ma guardandola meglio, osservando i suoi modi di fare e i vestiti che indossava -sporchi ma ricamati e di ottima fattura- decisi che quanto mi aveva raccontato corrispondeva a verità e acconsentii ad aiutarla."
"E diceva sul serio il vero?"
Dohko sorrise, perso in qualche ricordo.
"Le giovani fanciulle destinate all'harem erano accuratamente selezionate tra le giovani più belle dei villaggi e ti posso assicurare che lei lo era. Diamine, se lo era. Capelli lunghi e neri, due occhi cosí profondi che ti ci potevi perdere e, cosa per me importante, stranamente non era stata ancora sottoposta alla barbarie dei piedi fasciati. Non ho nemmeno un ritratto, ed è un peccato perché avresti dovuto vederla, era bellissima. Ti risparmio il racconto del tempo che ci è voluto per superare la differenza d'età e arrendermi a ciò che provavo per lei e arrivo fino al punto cruciale." raccontò Dohko. Presa la sua mano destra, gl'indicò la cicatrice con lo sguardo. "Ne avevo una uguale, purtroppo col tempo è sbiadita fino a scomparire. Il tempo trascorso insieme fu indescrivibile ma destinato a durare poco: morì a ventidue anni, pochi giorni dopo il parto."
"E vostro figlio?"

"Weizhe nacque morto, probabilmente strozzato dal proprio cordone. Lei invece è stata sopraffatta dal dolore provato quel giorno."
Camus si schiarì la voce, colpito dal racconto.
"Non oso nemmeno immaginare che cosa avete provato."
"Non puoi, e ti auguro di non doverlo mai provare. Rimpiango quel tempo da duecentocinquantun anni, ma so che quando arriverà la mia ora, saremo insieme, tutti e tre."
"Sono desolato, Maestro."
"Mingxia era per me ciò che Mei è per te. Considero lei e Shunrei alla stregua di figlie di sangue, come se le avessi avute dalla mia defunta sposa. Tutto ciò per dirti che sebbene sia dalla sua parte perché per me lei e Shunrei sono le figlie che non ho mai avuto, sono anche dalla tua parte perché comprendo il tuo punto di vista e la tua preoccupazione. So che cosa vuol dire struggersi per chi ami e tentare in ogni modo di proteggere quella persona: le tue intenzioni erano buone e normali, per un uomo che ama la sua donna, perciò non ti biasimo. Ma non trattarla più come se fosse una stupida incapace: quando ha preso quella decisione sapeva bene che cosa stava facendo, altrimenti son sicuro che avrebbe cambiato idea. L'anello che porti al dito e la cicatrice sul palmo della tua mano testimoniano che Mei è tua moglie, non una tua proprietà. È di sopra, terza porta, l'ultima in fondo al corridoio. Vai prima che ti prenda a calci nel sedere."
"Xièxiè." ringraziò Camus, entrando. Salì svelto le scale e raggiunse la porta indicata da Dohko, quindi bussò dopo qualche secondo.
"Avanti."
"Eccoti. Sei qui, dunque."
Seduta al centro di un letto a baldacchino di foggia tipicamente cinese, Mei abbassò il volume della tv e gli dedicò attenzione.
"A quanto pare."
"Posso entrare?"
Mei fece spallucce, spiluccando un biscotto.
"Prego. Me ne sono andata da sola prima che tu potessi cacciarmi di nuovo. Sai, dati i precedenti..." gli rispose, stringendosi nell'hanfu. "Mi spiace per il tuo smisurato ego, non ti darò mai più una soddisfazione del genere."
"Mei, la mia pazienza ha un limite oltre il quale è meglio non andare e tu l'hai già messa a dura prova."
"Oh ma davvero? La mia invece l'hai già esaurita. Sei venuto a esercitare i tuoi presunti diritti su di me? Okay, posso tornare all'undicesima in tutta discrezione o hai intenzione di mettermi i ceppi? In effetti potrei sempre scappare...o meglio, rotolare."
Dall'altra parte della stanza, Degél scosse la testa con disapprovazione, e Camus sospirò, premendosi due dita alla radice del naso.
"Non ti sopporto quando dici certe stupidaggini." sbottò.
"Sono desolato, Mei, ma ha ragione." interloquì Degél.
"Ci sono tante cose che io non sopporto ma che sono costretta ad accettare, mio caro: un po' per uno non fa male a nessuno." replicò lei, avvertendo poco dopo gli sforzi che Camus stava facendo per non perdere la pazienza.
Per amore, mia cara, bisogna saper scendere anche ad accordi che facciamo fatica ad accettare.
"E va bene, scusami." aggiunse poco dopo. "Avevo bisogno di stare un po' da sola, dopo il trambusto di questi giorni. A dire il vero avrei voluto parlarti ma non ho trovato che le tue spalle e un muro di silenzio."
"Ero arrabbiato."
"Ma davvero? Tu mi tratti come una povera mentecatta incapace di decidere per sé stessa e osi anche essere furioso?"
"Cercavo di scegliere la soluzione migliore."
"Già una volta hai deciso al posto mio e sappiamo com'è andata. Bado a me stessa da quando avevo dodici anni, ho praticamente cresciuto mio fratello e una figlia, e rispondevo agli ordini di due soli uomini, Dohko e mio padre. Tu, mi spiace ricordartelo, non sei né l'uno né l'altro: a maggior ragione se il tuo concetto di nella buona e nella cattiva sorte  prevede il lasciare tua moglie e i tuoi figli da soli in un momento critico: l'ultimo ricordo che ho prima che DeathMask iniziasse tutto sei tu che ti allontani!"
Camus corrugò la fronte.
"...è questo che ti hanno detto? DeathMask ti ha informata male, dunque, perché sono tornato subito indietro e ti sono stato accanto tutto il tempo."
"Ah, ecco. Sei rimasto con me e sei tornato all'undicesima prima che mi risvegliassi, ora capisco. Molto, molto maturo da parte tua. E tanto per la cronaca, DeathMask non ha detto proprio nulla."
Aveva esternato un paio di cosette che non era il caso di ripetere.
Camus si appoggiò all'intelaiatura di ciliegio del letto e ne seguì con le dita i complicati intarsi.
"Tornate a casa?"
"Dipende. Che temperatura ha raggiunto l'undicesima?"
Lui si schiarì la voce.
"Ehm... è salita a un paio di gradi sopra lo zero."
"E allora Lixue e io rimarremo qui finché non torna ad essere vivibile. Sabaka è abituata ai freddi siberiani, noi due no."
"Non mi piace dormire da solo."
Mei indicò con un cenno l'altra parte del letto.
"A me nemmeno."
"...d'accordo, vado a prendere due cose e torno subito." capitolò Camus.
"Ho sentito che Shiryu è sul piede di guerra... ignoralo, non dargli corda." disse infine Mei, porgendogli un mazzo di chiavi. "Quella blu apre la porta sul retro, entra da lì."
Camus accettò le chiavi, ma ignorò l'avvertimento.
"Entrerò dalla porta principale perché non sono un amante clandestino, ma tuo marito. E per quanto riguarda Shiryu, è giunto il tempo di smettere di ignorare le sue provocazioni, ne ho le tasche piene. Sono stufo di questa-..." s'interruppe.
Mei assottigliò lo sguardo.
"Sei stufo di cosa?" mormorò. "Di questa famiglia? Era questo che stavi per dire? Sei stufo di questa famiglia, o di me?"
Avvertì la prima fitta farsi largo tra le tempie.
"Vuoi davvero una risposta? Perché potrebbe non piacerti."
"Rispondi."
"Sono stufo marcio di questa situazione, e del fatto che qualunque cosa accade, tuo fratello cerca di metterti contro di me. E odio quando riesce a farlo." sbottò lui. "Torno subito."
Quando tornò circa dieci minuti dopo, aveva già spento la tv ed era già sistemata a letto, pronta a dormire –o quantomeno, provarci-. Lo guardò spogliarsi per infilarsi il pigiama, resistendo all'impulso di allungare una mano alla sua schiena.
"Hai mangiato abbastanza in questi giorni?"
"M-mh."
"Mi sembri un po' sciupato."
"È una tua impressione." rispose stringato, prima di distendersi accanto a lei, dandole la schiena. "Buonanotte."
Nei successivi minuti, la tensione non accennò a diminuire; Mei si girò a fatica su un fianco e lo indusse a girarsi a sua volta.
"Quoi?" [Che c'è?]
Cercò la sua mano e se la portò al volto, baciandone il palmo più volte.
"Mi sei mancato." ammise Mei infine.
"Abbiamo già dormito separati, non è la fine del mondo."
"Sì, ma non dopo aver litigato. Mi dispiace moltissimo averti detto quelle cose."
"Per quanto tu possa essere dispiaciuta, le hai comunque dette." rispose Camus. "E hanno anche colto nel segno. Come te, neanche io merito di pagare lo scotto di quella decisione per il resto della mia esistenza."
"Mi dispiace."
"L'hai già detto."
Lasciò la sua mano, girandosi di nuovo.
"Allora buonanotte."
Un'altra fitta alle tempie, stavolta forte.
"...vogliamo andare avanti così? Io dirò una cosa, tu ne dirai un'altra e ci arrabbieremo a vicenda?"
"Non so cosa dirti. Ti ho chiesto scusa, ho riconosciuto i miei errori... più di così non so che cosa devo fare. Devo inginocchiarmi supplice ai tuoi piedi e implorare la tua clemenza? Sono stata sgradevole, ho rivangato un passato che deve restare dov'è e ho detto cose che non avrei dovuto dire, lo so. Ero sottosopra, stanca e agitata. Neanche tu hai tenuto la lingua al suo posto, se non sbaglio." sbottò Mei. "Anzi no, la lingua l'hai tenuta a posto eccome, ti ho mandato tanti di quei messaggi ieri, avessi ricevuto una risposta, dannazione."
Lui sbuffò.
"Miei Dèi, ero a Parigi per un esame! Non potevo risponderti perché ero all'Università."
"Ah."
Mei spense la luce, decidendo di tacere.
Camus sentì il suo respiro farsi regolare col passare del tempo. Incapace di prender sonno in quel catafalco mascherato da letto, si mise lentamente a sedere e le sistemò i cuscini dietro la schiena, soffermandosi a pensare. Com'era stato il rapporto tra i loro... doppi, nella loro dimensione? Anche loro avevano riso, scherzato, litigato, nella loro quotidianità? E quanto doveva essere orrenda la vita dell'altra Mei, per tentare di appropriarsi di una vita che non le apparteneva?
"Non riesci a dormire?"
Camus tentò di metterla a fuoco nel buio della stanza.
"Questo letto è claustrofobico, mi sembra di soffocare." borbottò, schiarendosi la voce. "E tu perché non dormi?"
"Charles." rispose Mei, con uno strano tono di voce.
"Chi?"
"La ragione per la quale il mio alter ego ha perso il senno e ha provato a prendere il mio posto."
"L'altro me non si chiamava Fabien?!"
"Sì, ma non parlavo di lui. Charles è un bambino di sette anni, il loro unico figlio."
Camus corrugò la fronte.
"Come fai a saperlo?"
"Ho letto un atto di nascita e poi... prima che Turi... DeathMask, la..." s'interruppe, cercando di non pensare al destino riservato all'altra Mei "...lei ha condiviso qualcosa con me, dei ricordi. Da quel che ho potuto vedere, pare essere un bambino acuto e promettente, affettuoso e molto affezionato a sua madre, il solo genitore che abbia mai conosciuto. Ho percepito lo stesso potente sentimento che mi lega a te e a Lixue, un legame molto forte. Ma Charles ha anche sviluppato lo stesso Cosmo di suo padre e dato che nella dimensione temporale della mia alter ego Hades si deve ancora risvegliare e il Santuario è sguarnito, è stato strappato alle braccia di sua madre per l'addestramento. È in quel momento che lei ha iniziato seriamente a cercare un... come dire...posto alternativo nel quale vivere: perdere il suo uomo l'aveva gettata nella disperazione e perdere suo figlio è stato troppo."
Per qualche istante Mei non udì altro che il suo respiro regolare.
"...ti sei addormentato?!"
"No. Posso comprendere il suo stato d'animo ma... non dovresti difenderla, ha cercato di toglierti di mezzo. Te l'ho già detto, ha sperato fino all'ultimo e le cose non sono andate come desiderava, ma non è una buona sc-..."
Mei accese una luce –una sorta di lampadina d'emergenza più che una lampada vera e propria, avvitata in quello che era il soffitto del baldacchino- e lo guardò, seria.
"Tu parli così perché non hai idea di come ci si sente. Sei mai stato così disperato da non riuscire a pensare? O hai mai provato un dolore così atroce da mozzarti il respiro? Io sì. Non hai idea di come ci si senta mentre cerchi di impedire con tutte le tue forze qualcosa anche se sai perfettamente che non puoi fare nulla. Ti senti come se ci fosse qualcosa che ti stringe la gola e il cuore nello stesso tempo, è qualcosa che non auguro a nessuno, l'essere inerme, impotente e del tutto alla mercé del dolore." gli rispose. "Non riesco ad essere arrabbiata con lei, abbiamo patito entrambe lo stesso strazio, abbiamo entrambe provato quella sensazione di soffocamento, ci siamo entrambe sentite inermi e disperate. A me è andata bene, tu sei qui e posso parlarti e toccarti, lei invece ha seppellito il suo Camus e nessuna divinità è più intervenuta. E ora la loro creatura è completamente sola, senza più neanche sua madre. Come farà d'ora in poi?"
"Supererà anche questa, come abbiamo fatto tutti, qui. O ti arrendi e ti lasci sopraffare o tiri fuori le unghie e reagisci."
"...sì, certo. Come se fossimo tutti uguali."
"In questo luogo, lo siamo." la contraddisse. "Tutti noi qui al Santuario non ci siamo arresi ai nostri destini, tutti noi abbiamo tirato fuori le unghie e preso di petto la vita, o saremmo morti il primo mese d'addestramento. Se mi fossi arreso, sarei morto di polmonite... se Aphrodite, o Milo, si fossero arresi, sarebbero morti avvelenati. Persino DeathMask ha lottato. O sarebbe morto come la sua famiglia, quel lontano giorno. Charles dovrà tirare fuori i denti e le unghie se vorrà sopravvivere, non ha altra scelta: lottare o arrendersi, vivere o morire."
"È solo un bambino, ha la stessa età di Lixue, potrebbe essere nostro figlio, ci hai pensato? Ho subito pensato a lei e a loro, qui dentro: non oso nemmeno immaginare come potrei reagire se qualcuno provasse a portar via uno dei miei figli, la rabbia e la disperazione sarebbero così potenti che potrei uccidere senza alcuna pietà." mormorò Mei. "E non fare quella faccia: per onestà devo avvertirti che sarei capace di uccidere anche te se solo provassi a farmi una cosa del genere, sarebbe un tradimento troppo profondo da perdonarti."
"..."
"E ricordati che per me sarebbe facile avere la meglio su di te e farti assaggiare il pugnale di mio padre, perché lo farei quando meno te l'aspetti e in un momento nel quale non saresti in te. Ti costringerei a vivere sempre all'erta."
"Lo so bene, ti conosco."
Mei sogghignò.
"Oh no. Tu pensi di conoscermi bene. Se come dicono l'anima di una donna è come un iceberg, tu sei ancora alla punta della parte emersa."
"Confortante." commentò quindi Camus.
Tacque un attimo prima di scoppiare a ridere.
"Stai tranquillo, conosco mille altri modi per mettere fuori uso una persona senza l'uso di armi da taglio. Un colpo al collo e via, pronto per l'altro mondo."
"Ciò dovrebbe rincuorarmi?"
"Direi di sì, perché non ho intenzione di tagliuzzarti ancora, hai abbastanza cicatrici addosso."
"...come...?!"
Mei allungò la mano ai suoi pantaloni, tirandoli giù fino a scoprirgli il fianco ferito.
"Punto primo: a differenza di mio fratello, la mia vista è perfetta e quel cerottone non è invisibile. E poi beh, non è da te dormire vestito né darmi le spalle quando ti svesti. Punto secondo: ci sento ottimamente, e ieri ho sentito Dohko chiedere informazioni ad Aphrodite circa la ferita che ti avrei inferto l'altra notte. Punto terzo: perché diavolo non mi hai detto niente?"
Sorpreso da quanto ascoltato –pensare che aveva fatto di tutto per non farle sapere niente- Camus si scostò dal cuscino e si levò la maglietta.
"Okay, allora questa non serve più. Un po' d'aria, per la miseria, qui dentro si soffoca."
"Lo so, è un letto antico, se non ci sei abituato fa quest'effetto." disse Mei. "E allora?"
"Non ti ho detto niente per non farti preoccupare."
"Ma davvero? E secondo te non mi sono agitata comunque? Ti ho quasi sventrato, secondo te non mi sono preoccupata?"
"Cerco sempre di proteggerti, lo sai."
"E su questa cosa arrivo al quarto punto: domani mi porterai a casa e lascerò il tantō nella stanza degli avi. Non posso correre di nuovo rischi del genere. Ti sei fatto vedere da un medico?"
"Aphrodite basta e avanza, non trovi? Stai tranquilla, sto bene, sto prendendo gli antibiotici."
Mei annuì.
"D'accordo. Fai qualcosa per riportare casa a una temperatura decente, perché mi manca il nostro materasso, questo è troppo morbido per i miei gusti."
"Quindi torni a casa?"
"Se vuoi resto qui, così sarai costretto a convivere anche con Shiryu."
Camus sgranò gli occhi.
"Vedrò che cosa posso fare."
 
**
 
"Bentornata a casa."
Mei alzò lo sguardo dal libro e si strinse nella felpa dei Kiss ricevuta in dono anni prima, per proteggersi dall'aria ancora freddina che aleggiava in casa.
"Vi ringrazio, monsieur." rispose, prima di terminare la tazza di tè.
Degél sorrise.
"Bach."
"Come, prego?"
"La musica che state ascoltando, l'aria della Suite n°3 in re maggiore... è di Johann Sebastian Bach."
"Sì, lo so."
"Anche se preferisco il preludio della Suite n°1 in sol maggiore... sapete, quella suonata al violoncello. Non immaginavo vi piacesse anche Bach."
Mei sciacquò la tazza e la ripose.
"La musica barocca non è tra le mie preferite, a dire il vero. È che ho impostato una playlist di musica classica su Youtube perché pare sia il solo modo di tenerli tranquilli tutti e tre e... oh, non importa." spiegò, imbarazzata. "Ma adoro le opere liriche."
"Sì, lo sapevo. Comunque, per quanto sia interessante discorrere di musica con voi, non è per questo che sono qui. Posso rubare un po' del vostro tempo?"
"Ma certo." gli sorrise in risposta.
"Allora, vogliate seguirmi, prego. Oh, prendete le chiavi della biblioteca, per favore."
Lo vide raggiungere la doppia porta che conduceva alla biblioteca dietro gli appartamenti privati. Richiuse la porta alle proprie spalle, restando come sempre affascinata dagli scaffali alti diversi metri, zeppi di libri, e dall'odore che emanavano, mischiato al profumo della cera d'api.  
"E adesso?"
"Continuate a seguirmi."

Facile per lui, essendo incorporeo non doveva faticare poi tanto. Sospirò prima di decidersi a salire la scala a chiocciola che saliva sinuosa lungo la parete, fermandosi a un passo da Degél che l'aveva condotta fino all'ultimo piano, a circa dodici metri da terra.
"Dove mi state portando?" gli domandò. Degél era intento a cercare qualcosa lungo una porzione di parete priva di scaffali. "Non mi direte che state cercando un passaggio segreto?"
"Qualcosa di simile: ho tratto ispirazione da Versailles. Avete mai visitato la reggia? Si narra che i re, soprattutto Luigi XIV e il bisnipote Luigi XV li utilizzassero per far visita alle amanti: Madame de Pompadour e Madame Du Barry, per citare le più famose."

"La reggia è visitabile solo in parte, e sicuramente i passaggi segreti non sono inclusi negli itinerari turistici. Comunque voi utilizzavate da solo questa stanza?"
Degél sollevò un sopracciglio.
"Stavo scherzando." ribatté Mei. "Non avete l'aria di esser stato un libertino."
"Sacrebleu, non direi proprio."
"Lo so. Eppure dal ritratto giù in casa, eravate un bel giovane."
"Dite? Potrei sbagliarmi, ma se non vi conoscessi, direi che siete infatuata di me." le sorrise, scoccandole un'occhiata allegra.
"Affascinata semmai, è diverso." lo corresse. "Amo un solo uomo, monsieur, e non siete voi."
"Ne sono lieto." rispose Degél. "Anche perché la differenza d'età è ragguardevole –duecentosessantaquattro anni sono un po' troppi, avete idea dello scandalo che seguirebbe?- e perché ho amato una sola donna e quel sentimento l'ho riservato solo a lei. Ma poi... che sorta di relazione sarebbe la nostra...vediamo...platonica? Dopotutto sono uno spirito senza corpo." 
Mei scoppiò a ridere.
"Noto che la vostra audacia ha fatto passi da gigante. Dunque, oltre a essere di bell'aspetto siete anche audace."
"Come oggi, anche all'epoca esistevano artifizi per migliorare l'aspetto di una persona: quel ritratto non è del tutto veritiero."
"Questo lasciatelo giudicare a me, se non vi dispiace. Certo, se potessi vedervi meglio di come posso vedervi ora, vi darei un giudizio più accurato."
Lui corrugò la fronte, fermando le dita a un certo punto.
"L'assunzione di una forma più materiale è un aspetto al quale sto lavorando da tempo, Mei. Oh, eccoli qui." rispose lui. "Li vedete?"
Due chiavistelli abilmente celati nella modanatura della parete: faticando un po', Mei riuscì a sbloccarli e ad accedere al locale dietro il pannello girevole. Un locale grande quanto la camera da letto di Camus, che a una prima occhiata aveva bisogno d'una gran pulita.
"È tutto come l'avevo lasciato prima di partire per Blugrad, nessuno ha mai più messo piede qui dentro." le spiegò. "Oh, guardate. C'è persino l'ultimo libro che lessi qui. Questo era... come dire... il mio posto privato."
"Catullo. Scelta interessante." commentò Mei, sbirciando la copertina del libro dopo aver rimosso la polvere con una passata di mano.
"Chiedo venia, perché interessante?"
"Non so. Voi custodi delle energie fredde non vi abbandonate ai sentimenti, eppure Camus adora i grandi classici russi zuppi d'amore e sentimenti, mentre voi leggete Catullo."
"Rammentate quanto vi dissi anni fa, sulle due facce che noi guerrieri siamo obbligati a mantenere. Qui dentro potevo permettermi di essere solo Frédéric e nessun altro."
Scostato un telo, Mei si sedette su una poltroncina, stanca.

"Vi chiamate Frédéric?"
Degél annuì, quindi trovato ciò che stava cercando, lo indicò a Mei.
"Riguardo ciò che mi avete detto l'altro giorno..."
"Vogliate perdonarmi, non ero in me ed ero arrabbiata."
"Non importa, non sono in collera con voi. Posso chiedervi una gentilezza? Nel cassetto più piccolo di quel secretaire c'è una chiave, prendetela. Lo farei io stesso, se potessi."
Fece quanto chiesto, quindi, seguendo le sue indicazioni, aprì il baule accanto a lui: al suo interno, sotto uno strato di mussola, intravide degli abiti.
"Posso?" gli domandò: pur essendo uno spirito erano comunque oggetti di sua proprietà.
"Prego."
Un sontuoso abito di broccato azzurro chiaro a decori d'argento, dal bustino stretto e le maniche aderenti che si aprivano in un tripudio di pizzi all'altezza del gomito. Mei se lo drappeggiò addosso, constatando quanto fosse stretto.
"D'accordo, al momento sono incinta e perciò ho le misure un po' allargate, ma miei Dèi, come facevano le donne della vostra epoca a indossare bustini tanto stretti?"
"Come facevano le donne del vostro Paese a sopportare la fasciatura dei piedi?" ribatté Degél.
"Giusto." convenne Mei. "Paese che vai, tortura che trovi."
Mise da parte l'abito femminile, passando per un elegante completo da uomo in velluto blu notte, dalla giacca rifinita di volute e ricchi ricami dorati.
"Ammetto che preferisco la moda maschile a quella femminile: corsetti e panieri non hanno mai attirato le mie simpatie. Ma le giacche da uomo, come questa... e questi? Un tantino trasparenti per un galantuomo come voi: riesco a vederci attraverso." gli disse, sollevando un paio di braghe bianche, dal tessuto leggero.
"...per essere onesti, Mei, li indossavo, ma... come la camicia, c'era e non si vedevano."
Arrossì violentemente.
"Volete dirmi che erano le vostre... mutande?" mormorò Mei, imbarazzata.
"E voi volete dirmi che non avete mai toccato biancheria da uomo?"
"Sì, quella di mio fratello o di mio marito quando faccio il bucato, ma..." s'interruppe e si schiarì la voce. "D'accordo, lasciamo da parte i vestiti e passiamo a qualcosa di più neutrale... questa, ad esempio." prese la scatola intagliata sul fondo del baule, scoprendo un medaglione portafoto, una collana di perle e un cofanetto.  "Beh, non proprio neutrale. Non ne faccio una giusta a quanto pare."
"Apritelo."
Ancora sottosopra per vari motivi, in primis per il modo in cui aveva trattato Degél, Mei aprì lentamente la scatolina di velluto rovinata dal tempo. Al suo interno, un anello.
"Oh."
"Si chiamava Seraphina e quell'anello di fidanzamento era destinato a lei."
A distanza di due secoli ricordava ancora le sensazioni provate quando aveva acquistato quel gioiello, a come aveva fantasticato sul momento della proposta... tutte cose perdute in un istante.
"E quegli abiti... li avevo acquistati per noi, per il nostro matrimonio, prima che... beh, non ha più importanza, comunque. Il Destino ha voluto diversamente. Ho riflettuto a lungo sulle vostre parole e sono giunto alla conclusione che in parte avevate ragione. Sono scomparso all'età di ventidue anni senza aver provato l'ebbrezza della passione, senza aver conosciuto il calore delle braccia di una donna, senza aver...amato nel senso puramente carnale del termine. Ma vi ho detto che ho amato anche io, ed è vero. Un'amica d'infanzia, sorella di un mio grande amico: ci è voluto un po' di tempo per farmi comprendere la vera portata dei miei sentimenti e non c'è stato che un solo bacio tra di noi, ma fu sufficiente. Avrei fatto qualunque cosa, avrei dato la mia vita per lei. Non ho raggiunto la vostra età e rispetto a voi sono inesperto, forse non so che cosa voglia dire vivere a stretto contatto con una persona, dormire o fare l'amore con essa e avere dei figli, ma posso comprendere, anche troppo bene, che cosa voglia dire soffrire e disperarsi per chi si ama."
La perdita della persona amata era un dolore inimmaginabile e Mei sentì qualcosa spezzarsi dentro, pensando a quanto dolore Degél aveva dovuto sopportare.
"Oh, Dèi." mormorò, con la voce tremula. "Non potevo immaginarlo, ho parlato senza pensare a ciò che dicevo. Mi dispiace veramente tanto aver risvegliato il vostro dolore con la mia mancanza di tatto. Vi prego di perdonarmi, monsieur."
Un altro sospiro triste.
"Non avete risvegliato nulla, mia cara, perché quel dolore non si è mai sopito." mormorò Degél.

Si domandò come facesse a convivere con quel dolore tutto il giorno, tutti i giorni, da decenni: lei l'aveva provato per poco tempo ed era stato terribile, atroce, incredibilmente difficile.
"Un giorno vi parlerò di lei, ma... in questo momento non mi è proprio possibile."
"Non ve l'avrei chiesto, a dire il vero." rispose, iniziando poi a riporre pian piano ciò che aveva tirato fuori dal baule. Piegò con estrema cura il velo e la sua acconciatura di perline, sfiorandole con le dita, pensando a quant'era stata fortunata Seraphina ad aver avuto accanto un ragazzo come Degél.
"L'avevo detto, eravate un bel giovane." proruppe diversi minuti dopo, cercando di stemperare la tensione. "Questo ritratto è diverso da quello appeso in corridoio."
"Voi mi lusingate. Potete tenerlo, se vi fa piacere."
"Non posso accettare, è troppo prezioso per voi."
"Allora diciamo che lo terrete in custodia finché non tornerò a riprenderlo, che ne dite?"
"D'accordo." annuì Mei, sorridendo. Il ritratto sull'altra metà del medaglione ritraeva una splendida ragazza: facile indovinarne il nome. "In quanto a Seraphina, i miei complimenti, monsieur. Era davvero molto bella."
Gli occhi di Degél s'illuminarono, le labbra piegate in un caldo sorriso melanconico.
"Oh no. Lei non era solo bella, lei era il Sole."

***

Lady Aquaria's corner:
Riguardo la lunghezza del capitolo, lo ammetto, la cosa mi è sfuggita un tantinello di mano, ma non volevo spezzarlo in due.
I personaggi accennati qui –Mingxia, Weizhe, Volya, Fabien e Charles- sono miei OC, ma non compariranno mai, se non nei ricordi dei loro cari.
Proseguo con le note:

-Gauloises Blondes: sigarette francesi (non scelte a caso, lo devo ammettere: queste sigarette erano le preferite di Albert Camus, a quanto pare dalla sua biografia).
-Ici c'est Paris!: è uno degli slogan della più famose squadre di calcio di Parigi, il Paris Saint Germain, della quale Camus è tifoso.
-HSK6, Delf e livelli A2-B1: riguarda la conoscenza delle lingue cinese mandarino e francese; qui una spiegazione più accurata.
-Dalida: meravigliosa cantante franco-italiana, famosissima soprattutto in Francia: a Parigi ha persino una piazzetta intitolata a suo nome.
-Tajine: particolare pentola di terracotta in uso soprattutto nei paesi della fascia nordafricana.
-Grande Arche: il moderno "arco" costruito nel quartiere finanziario di Parigi.
-Louvre – Concorde - Triomphe – Defénse: Camus si riferisce all'asse che unisce (asse non esattamente allineato, a dire la verità) questi quattro punti a partire dalla piramide di vetro del Louvre fino al moderno arco della Defénse attraverso l'obelisco di Place de la Concorde e l'Arco di Trionfo in Place de l'Ètoile.
-Harem imperiale cinese: gli imperatori potevano contare su centinaia di concubine, separate per "gradi" secondo un complesso sistema di caste interne; molte imperatrici passate alla storia per la loro crudeltà o per il loro potere si fecero strada nello spietato mondo dell'harem. Tra loro, ad esempio, Cixi.
-Nell'antica Cina era in uso un particolare tipo di letto a baldacchino dalla struttura chiusa: Camus lo definisce catafalco (feretro) appunto perché a differenza dei letti ai quali siamo abituati, non è aperto. Nel collegamento troverete un esempio.
-Infine... per me Degél e Seraphina avevano una storia. Voglio dire, so che non è scritto da nessuna parte, ma a me personalmente piace pensare che tra loro ci fosse qualcosa. Ad ogni modo Degél nacque nel 1721 (per morire poi ventidue anni dopo, nel 1743), quando in Francia regnava Luigi XV, bisnipote del Re Sole, che reintrodusse nella moda dell'epoca la sobrietà che in qualche modo era mancata durante il regno del suo predecessore; alcuni elementi, ad esempio, persero lo sfarzo amato da Luigi XIV. Degél (pur avendo trascorso la stragrande maggioranza della vita in Grecia o in Russia) lo vediamo, soprattutto nel Gaiden a lui dedicato, indossare splendidi completi alla francese in stile rococo, e gli abiti che ho descritto ricalcano quello stile. Pur avendo fatto diverse ricerche, anche su libri cartacei, non sono del tutto sicura dell'uso della biancheria intima (reintrodotta nel 19° secolo), ma preferisco pensare che Degél ne facesse uso, insieme alla camicia da notte lunga e la classica camicia bianca indossata sotto il panciotto. Non riesco a immaginare monsieur Degél in una situazione alla "sotto il vestito, niente". Proprio no.Vorrei ringraziare chi continua a leggere e quelle poche anime pie che ancora recensiscono. Mille fois merci.
 

Lady Aquaria

 

   
 
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