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Autore: simocarre83    27/03/2017    1 recensioni
Secondo racconto che parte dopo l'epilogo del primo. quindi se volete avere le idee chiare sarebbe, forse, il caso di leggere anche il primo. Ad ogni modo, una brutta notizia che presto diventano due, due vittime innocenti, loro malgrado, nuovi personaggi e purtroppo nemici che compaiono o RIcompaiono. Ma sempre l'amicizia che ha, come nella vita, un ruolo fondamentale.
Genere: Drammatico, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La dura realtà

Simone si risvegliò da quello stato di trance seguito alla fine del racconto di quella storia. Man mano che la raccontava aveva visto le espressioni delle due donne e dei quattro giovani che si rendevano sempre più serie. Arrabbiate.
“Cioè vuoi dire che ci avete cacciato in questo macello, che ci avete portato qui nonostante il pericolo che correvamo, decidendo di cancellare volontariamente parte dei vostri ricordi, altrimenti non ci avreste condotti qui?” chiese Maria, ripensando al fatto che forse anche lei non aveva capito pienamente la sua domanda.
“Si!” cercò di rispondere Simone “E di questo vogliamo chiedervi scusa!”
“Ma quale scusa e scusa!” urlò Anna, anche lei seriamente arrabbiata “Ma vi rendete conto? Ci avete messo deliberatamente in pericolo!”
“Questo non è propriamente vero!” rispose gentilmente Giuseppe.
“Non è propriamente vero? Non è propriamente vero? Marco e gli altri, in questi due giorni avrebbero potuto raggiungerci in qualsiasi momento e farci quello che volevano! Anche questo non è propriamente vero?!”
Simone e Giuseppe ascoltavano quella cosa a testa bassa.
“Però non l’hanno fatto!” rispose Michele.
“Eh! Non l’hanno fatto! E che centra, come se voi avreste saputo che non l’avrebbero fatto!” disse Maria.
“Io lo sapevo!” rispose Michele, abbassando lui, a questo punto, lo sguardo.
Simone e Giuseppe immediatamente si interessarono a quella nuova frase, assolutamente inaspettata.
“Come sarebbe a dire?!” chiese, visibilmente alterato, proprio Giuseppe.
“Sarebbe a dire che per tre mesi ho fatto finta di non essermi ricordato nulla. C’era bisogno di qualcuno che tenesse d’occhio costantemente le attività della banda. E io ero il più vicino. Quando poi ho visto che non hanno mai più usato qualcosa che assomigliasse alla riproduzione delle tute, non hanno volato, non hanno modificato la memoria di nessuno, allora mi sono convinto della possibilità di farvi scendere. E con l’aiuto di Frem ho costantemente monitorato la situazione!”
Giuseppe gli si gettò al collo. E, decisamente, non fu per ringraziarlo. Simone riuscì a separarli, mentre i ragazzi assistevano impotenti a tutta quella scena.
“Frem!?” chiamò Simone.
“EHM… SI?!”
“Ridai a tutti la memoria completa!!” ordinò Simone.
E agli ordini Frem non poteva disubbidire.
Un sibilo si levò su tutta la stanza. Simone, Giuseppe, Michele, Maria, Anna, Francesca, Roberto, e gli altri due ragazzi, soffrirono tutti quanti per qualche secondo. Poi tutti si ricordarono tutto.
“È spaventoso!” osservò Maria.
La prima cosa che accadde fu che, evidentemente, Francesca e Giuseppe si osservarono. Nessuno dei due, però, sentì altri nella stanza dire qualcosa al riguardo. E probabilmente fu perché Frem diede a ciascuno la sua fetta di memoria, e quindi, a parte loro, gli unici che potevano ricordarsi qualcosa erano Simone Junior e Roberto.
Ora che tutti erano a conoscenza della situazione, Simone e Giuseppe, volevano fare il punto.
“Michele, a che punto sono le indagini sulla morte di Francesco e Emanuele?”
“Hanno emesso un mandato di cattura per Marco, Amaraldo e Cosimo, ma per il momento sono irreperibili!” rispose Michele.
“Ma scusa, se hai appena detto che la banda non ha fatto niente, fino a questo momento, significa che sai dove sono!” incalzò Giuseppe, rivolgendosi direttamente a Frem.
“NI! NEL SENSO CHE IO POSSO, ATTRAVERSO I MIEI SENSORI, RILEVARE L’ATTIVITà DI VOLO SU TUTTA Policoro. POSSO SCOPRIRE IN UN ATTIMO SE Marco O QUALCUN ALTRO USA LA TUTA, SE EMETTE DEI CAMPI MAGNETICI ANOMALI, MA FINCHÉ NON SUCCEDE NON POSSO INDIVIDUARLI!” fu la risposta di Friem.
“Ci potrebbe essere un modo per eludere i tuoi sensori?”
“ANCORA UNA VOLTA… NI! NEL SENSO CHE PER ELUDERE I MIEI SENSORI DEVONO MUOVERSI IN UNO SPAZIO SCHERMATO DAI CAMPI MAGNETICI, PER ELIMINARE QUALSIASI LORO TRACCIA. MA QUESTO RENDEREBBE LE LORO TUTE INUTILIZZABILI. SAREBBE UN PO’ COME CERCARE DI USARE UN CELLULARE SOTTO SORVEGLIANZA SENZA FARSI SCOPRIRE CHIAMANDO IN UNA GABBIA DI FARADAY. NON TI RINTRACCIANO, MA TU NON TELEFONI!”
“Ho capito! Beh! Direi allora che a questo punto potremmo non preoccuparci della situazione. D’altra parte finché ci sono i sensori di Frem e i controlli della polizia non dovrebbero esserci problemi!” rispose Giuseppe.
Il problema era che ci credeva.
Il problema era che ci credevano tutti e nove. Mai avrebbero, però, potuto immaginare che si sarebbero pentiti di aver pensato una cosa del genere.
Tutto accadde nel giro di dieci minuti. I dieci minuti peggiori della loro vita.
Stavano tornando a casa dal mare, era circa l’una del pomeriggio. Era passata più o meno una settimana dal loro arrivo, era venerdì, il 9 Agosto. E come ogni volta che ce n’era bisogno, Anna, Francesca e Maria tornavano dal mare con una macchina. Simone J. solitamente stava con loro per aiutarle, perché andavano a fare la spesa.
Dal mare, invece, Simone, suo figlio, Giuseppe, Michele e Roberto, si recavano direttamente a casa, dove potevano già farsi la doccia. E poi incominciare a preparare quello che gli avevano ordinato le donne.
Tutto, dicevamo, accadde in quel viaggio di ritorno dal mare.
Improvvisamente, le trasmissioni radio si interruppero. Una sola voce uscì dall’altoparlante dell’autoradio dell’auto di Simone.
“ATTENZIONE! PERIC…”. Poi l’auto e la radio si spensero. I tre adulti compresero immediatamente quello che stava accadendo. Fu per quello che, una volta ferma, cercarono di uscire dalla macchina. Senza riuscirci. Delle spranghe di ferro volanti ruppero i finestrini dell’auto e dei coltelli si avvicinarono alle loro gole.
“Se state fermi non vi accadrà nulla, ora!” disse una voce. Simone, voltandosi verso il luogo di origine di quella voce, riconobbe immediatamente Amaraldo e Dorian che, con le loro tute, manovravano da un lato e dall’altro della strada quelle armi di ferro. E tenevano ben sigillate le macchine. Poi Simone si unì ai suoi altri amici a vedere quello che stava succedendo davanti a loro. i Tre Fratelli avevano fatto fermare la macchina delle donne e le avevano fatte uscire dall’auto. Degli anelli di acciaio accerchiarono i polsi di ciascuno dei quattro e a tutti loro fu intimato di entrare nelle altre due auto che si fermarono in quel momento al lato della macchina di Giuseppe, guidata fino a qualche istante prima, da Anna.
Simone e Anna salirono in una macchina, Maria e Francesca nell’altra. Appena Maria e Francesca entrarono, Massimo si mise al posto di guida e le portò via, girando al semaforo successivo, a destra.
Appena partita la prima macchina, anche quella con Anna e Simone partì guidata da Cosimo. Giovanni, invece, volò via. E con lui tutti e due i “carcerieri improvvisati” degli uomini. Poco prima di partire, Amaraldo fece cadere, all’interno dell’abitacolo della vettura, una busta.
L’altra macchina, invece, appena ripartita girò a sinistra, andando, apparentemente, nella direzione opposta.
Appena le armi erano cadute, solo pochi secondi dopo essere partiti, Simone e Giuseppe si voltarono per vedere come erano sistemati gli altri.
“Papà! Cos’è successo?!” disse Giuseppe, incominciando anche a respirare affannosamente.
“Stai calmo!” rispose Simone “vedrai che tutto si sistemerà!”
“Stai calmo?! Stai calmo?!?! Hanno rapito la mamma, Anna, Simone e Francesca e tu mi dici di stare calmo?” ribatté, a questo punto completamente in preda al panico. Michele lo abbracciò, per cercare di calmarlo. Abbracciò anche suo figlio. In realtà tutti in quella macchina avevano una paura fortissima. Enorme. Indescrivibile. Solo i più grandi riuscivano a dissimularla, e pure male.
Un attacco così. in pieno giorno. E che aveva coinvolto tutti. La cosa peggiore era che tutti si erano quasi dimenticati di quel pericolo. Lo avevano sentito troppo lontano. Ed ora, nel giro di pochi minuti era crollato addosso a loro tutto.
L’unico a provare vera e genuina rabbia era Simone. Aveva deciso di venire meno all’avviso lanciato a Marco 24 anni prima. Gliel’aveva detto, che se Marco avesse fatto del male a chiunque dei suoi amici l’avrebbe trovato e gli avrebbe fatto del male. Ora che Marco era venuto meno a quell’avviso, ora che, oltre ogni ragionevole dubbio, Marco si era opposto all’unica cosa che gli aveva chiesto, dopo aver ottenuto la vittoria, era più che mai fermamente convinto a fargli del male. In realtà, contemporaneamente, si stava dando dell’idiota per aver sottovalutato Marco, e del cretino per non aver considerato la possibilità dell’utilizzo del generatore di impulsi. Ed ora erano lì. Seduti, che piangevano impotenti, senza sapere dove Marco aveva portato i loro parenti. Le persone che, più di ogni altro, amavano. Quelle dalle quali, più di ogni altro, erano amati.
Ora, per la prima volta dall’estate del 2000, Simone era ancora e veramente solo.
Giuseppe aveva paura. paura allo stato puro. Le persone più violente e malvagie che avesse mai conosciuto avevano contemporaneamente rapito suo figlio e sua moglie, senza la possibilità di fargli capire dove si erano recati. Senza la possibilità di sapere come comportarsi, dove andare. Anche per lui erano 24 anni che non sentiva quelle sensazioni, ma anche lui credeva che ormai sarebbero appartenute per sempre al passato.
Michele era ancora incredulo. Avevano permesso a Marco di fare tutto quello che aveva fatto. Senza battere ciglio. Non che potessero farlo, battere ciglio. La superiorità numerica, le maggiori energie, l’effetto sorpresa non gli avevano lasciato scampo. Però, l’incredulità non gli permetteva di ragionare. Non stava capendo più niente. Come se da pochi minuti a quella parte, oltre a tutti gli oggetti elettrici ed elettronici, anche il suo cervello si fosse spento. E questo, non solo non gli piaceva, ma lo faceva sentire ancora più impotente.
Roberto era spaventato. Vedere quell’arma puntata alla sua gola aveva cancellato qualsiasi tipo di paura potesse considerare forte prima di quel momento. L’unica cosa che riusciva a fare era cercare di fare respiri lunghi e profondi, sperando, contemporaneamente, di riuscire a rilassarsi un po’ e diminuire in questo modo la frequenza cardiaca. Poi pensò a sua sorella. Pensò a Francesca a cui voleva bene. E scoppiò a piangere, come un bambino di tre anni, quando si sveglia da un incubo.
Quello messo peggio di tutti era il piccolo Giuseppe. Riuscì ad aprire la porta in tempo per vomitare fuori dalla macchina. Sua mamma. Aveva visto sua mamma scomparire in quella macchina. Aveva visto quella macchina scomparire dalla sua vista. Si era accorto che quando Maria era entrata in macchina aveva rivolto uno sguardo verso la loro, di macchina. Stava piangendo. E quella scena l’aveva colpito così profondamente che, in risposta, aveva incominciato a piangere anche lui. Ed erano un paio di minuti che non riusciva a smettere di farlo. A quello si era aggiunto il rapimento di Francesca. E, sapendo quello che quelle persone erano capaci di fare, sapeva che non avrebbero risparmiato sua mamma solo perché era sua mamma. E non avrebbero risparmiato Francesca solo perché era la persona a cui voleva bene. Il risultato di quei pensieri angoscianti fu che gli impedirono ancora di più di smettere di piangere.
Il primo che riuscì a riacquistare un po’ di razionalità in quel disastro di proporzioni cosmiche, fu Simone. Che, per prima cosa, afferrò la busta con il preciso intento di leggere la lettera che conteneva. Ci mise una trentina di secondi. Poi, vide l’orologio dell’automobile riaccendersi. E così accese la macchina. E accelerò come un pazzo alla volta di casa sua. Dove poté spiegare tutto agli altri quattro. Cosciente del fatto che, come gli era stato ordinato, doveva per forza includere in quella conversazione anche Giuseppe e Roberto.
I quattro scesero dall’auto e seguirono Simone in casa.
Frem ancora non si era riattivato. Il led del televisore era ancora rosso, mentre tutti ormai sapevano che quando Frem era attivo, quello stesso led era verde.
“Dunque. Hanno rapito i nostri cari!” esordì Simone. Attirando immediatamente l’attenzione di tutti gli altri.
“Questa è la lettera che ci ha fatto lasciare Marco!” disse, gettandola sul tavolo.
 
“Ciao Simone, Giuseppe, Michele, Roberto e Giuseppe,
Vi abbiamo tolto tutto, famigliari, orgoglio e dignità. Incontriamoci questa sera alla radura. Alle 18. Se verrete, dovrete essere da soli e con le tute. Stasera questa storia deve finire una volta per tutte. Noi e altri amici vi aspetteremo fino alle 18.05. poi Maria, Anna, Francesca e Simone termineranno le loro sofferenze
Marco”
 
Giuseppe e Michele guardarono immediatamente Simone, che altrettanto immediatamente dimostrò di aver compreso il loro sguardo.
“Si! è perfettamente identica nella forma a quella che noi, a suo tempo, scrivemmo a lui. E questo vuole essere un ulteriore presa in giro. E un modo come un altro per collegare ulteriormente le due cose! Evidentemente Marco è riuscito, non sappiamo come, a costruire le tute e forse anche il dispositivo per la manipolazione mentale!”
“Come ‘Non sappiamo come?!’” chiese suo figlio “Si sono rubati i progetti!”
“Si! ma comunque dalla loro parte ci deve essere anche qualcuno in grado di interpretarli quei progetti, che non sono per niente semplici. E qualcuno in grado di costruire praticamente la strumentazione, cosa ancora più complessa!”
“E poi cosa ne sappiamo della realizzazione della macchina per il controllo mentale?” chiese Michele.
“Beh! Con i materiali a disposizione è molto più difficile costruire le nanotecnologie contenute nelle tute, piuttosto che il dispositivo acustico. Quindi conviene decisamente partire dal presupposto che loro ce l’abbiano!” concluse Simone.
“ECCOMI! HO VISTO E SENTITO TUTTO QUELLO CHE AVETE DETTO. MA COME PENSATE DI VINCERE CONTRO DI LORO, CON DEGLI OSTAGGI? E POI HO AMPLIATO LE RILEVAZIONI DEI SENSORI. LA RADURA NON E’ COME PRIMA. OGNI TANTO, ED E’ SUCCESSO ANCHE NEGLI ULTIMI CINQUE MINUTI, VIENE RILEVATA LA PRESENZA DI UN DISPOSITIVO ELETTRONICO. COME SE SI TRATTASSE DI UN ASCENSORE. COMPARE E DOPO CIRCA DIECI SECONDI SCOMPARE, SPROFONDANDO NEL TERRENO. SOLO CHE I CAMPI MAGNETICI RILEVATI SONO NELL’ORDINE DI ENERGIA DI UN CELLULARE. QUINDI TROPPO DEBOLI PER ESSERE FILTRATI!” disse un Frem quasi completamente ristabilito nelle sue funzioni principali.
“Un ascensore in quel posto può solamente scendere. Frem! Quali sono le condizioni del terreno in quel punto?” chiese Michele.
“DOPO UNA DECINA DI METRI DI SABBIA E ACQUA, SI ARRIVA ALLA ROCCIA. DOPO UN CENTINAIO DI METRI, DI ROCCIA, SI GIUNGE, COME IN QUASI TUTTA LA REGIONE, A UNO STRATO DI ROCCIA IMPERMEABILE MA CAVA, DI CIRCA UN CHILOMETRO. DOPO PRATICAMENTE SOLO GAS E PETROLIO”
“Lo strato impermeabile ma cavo, secondo me, è il nascondiglio perfetto. Anche se non sappiamo come hanno fatto, secondo me l’ascensore li conduce fino a lì” concluse Giuseppe.
“Si! ma cosa c’è lì sotto lo scopriremo solo quando arriveremo lì!” concluse, anche in questo caso Simone.
“Dobbiamo andarci tutti?!” chiese Michele.
“La lettera parla chiaro! Tutti! Compresi i due ragazzi!” disse Simone.
“Si ma anche se con le tute, non possiamo sperare neanche lontanamente di competere con loro!” lamentò Roberto.
Simone, Giuseppe e Michele si guardarono. Poi Michele prese la parola.
“Non preoccupiamoci adesso di questo. Tanto, non sapendo quello che c’è li sotto, non possiamo comunque preparare un piano per combatterli. Siamo soli contro di loro. E l’unico modo per riportare i nostri cari fuori da quella radura è portarli fuori noi. Perché solo noi possiamo salvarli. Dobbiamo, però, tutti e cinque, stare attenti ad una cosa. La più importante!”
“Quale?!” chiese Roberto.
“Tutti coloro che incontreremo alla radura, a partire da Marco, fino a Dorian e chissà chi altro, tutti loro, sono capaci di usare le parole per manipolare i nostri pensieri. Qualunque cosa ci accada, qualsiasi cosa vediamo, qualsiasi cosa dovesse accadere a noi, ai nostri cari o a coloro che avremo davanti, ragazzi, per favore, non ascoltate quello che i nostri nemici vi diranno!” rispose Michele, guardando fisso negli occhi Roberto e Giuseppe.
Simone e Giuseppe, consci di quel pericolo, con la mente erano ritornati a molto tempo prima, nella stessa radura, allora solo un pezzettino della spiaggia di Policoro.
“Voi non potete neanche lontanamente immaginare quello che sono capaci di convincervi a fare quelle persone con i loro ragionamenti distorti. Ci siamo passati tutti, alla vostra età o anche più giovani!” continuò Simone “E solo uno di noi non ha ceduto, seppur sopportando indicibili sofferenze, al desiderio di fare quello che volevano farci fare loro!”. in quel momento lo sguardo di Simone si posò su Giuseppe.
“A costo di indicibili sofferenze. Ricordatevi sempre questo. Arriverà il momento in cui i nostri nemici potranno farci scegliere tra soffrire noi o far soffrire gli altri. Ricordatevi che c’è sempre una strada giusta. Da scegliere. E non sempre è quella che ci piace di più!” disse allora Giuseppe.
In quel momento un sibilo pervase la cucina. Il giovane Giuseppe, a questo punto, cadde in ginocchio a terra, cercando di tenersi la testa, preda di un fortissimo dolore.
“SCUSATE MA LUI ERA L’UNICO CHE ANCORA NON SAPEVA USARE LA TUTA!” disse Frem.
Giuseppe si rialzò. Sapeva tutto. Era spaventato, ma al tempo stesso si rendeva conto di quelle che erano le reali forze a sua disposizione.
“SUGGERISCO DI ANDARE AD ALLENARVI. IO PREPARERò QUALCOSA PER GARANTIRVI UN PO’ Più DI AUTONOMIA E DI POSSIBILITA’” disse Frem. Tutti furono d’accordo.
Dopo aver mangiato qualcosa, per rimettersi in forze, tutti e cinque uscirono. Andarono alla discarica ad allenarsi, come avevano fatto, pochi mesi prima, solo Michele, Giuseppe e Simone. Adesso c’era anche Roberto che si allenò con forza e convinzione. E c’era anche Giuseppe che, per forza di cosa, si era unito alla compagnia. In modo da apprezzare, anche lui, quel nuovo potere messo a sua completa disposizione da quelli che, comunque, rimanevano due sconosciuti.
Per le sedici, come da istruzioni di Frem, ritornarono verso casa.
“QUESTE SONO DELLE PICCOLE MA POTENTISSIME    PILE!” spiegò Frem, mostrando ai cinque i piccoli cilindretti che comparvero nel forno in quel momento “PERMETTONO DI UTILIZZARE PER UN ORA OLTRE IL POSSIBILE LA TUTA, SEPPUR IN COMPLETA OSCURITA’. PURTROPPO NON SONO RICARICABILI, MA NE HO ORDINATO UN ALTRO CENTINAIO. TENETE PRESENTE, PERO’, CHE DOPO UN’ORA DALLA FINE DELLA CARICA NORMALE, LE TUTE RISULTERANNO ESSERE COMPLETAMENTE INUTILIZZABILI FINO ALLA VOSTRA FUORIUSCITA AL SOLE! INOLTRE HO PREDISPOSTO CIASCUNA DELLE VOSTRE TUTE CON UN GADGET DIVERSO, CHE PENSO POTRA’ ESSERVI UTILE IN QUESTA BATTAGLIA”. Così dicendo un suono prese tutti e cinque e li rese edotti sulle nuove possibilità delle tute, possibilità che avrebbero di certo, avuto modo di utilizzare nel corso della battaglia che stavano per affrontare.
“Grazie Frem!” disse Simone, stupendosi ancora una volta di come gli venisse naturale parlare con un computer.
Alle sedici e trenta, erano tutti pronti per la partenza della missione. Per Simone, Giuseppe e Michele, era qualcosa che avevano già fatto. Per Roberto, in parte ci era già passato, quando aveva, con sua sorella, liberato i suoi due amici. Per Giuseppe, che non aveva mai fatto una cosa del genere, quella era un’avventura. Una spaventosa avventura, nella quale non si sarebbe mai voluto cacciare.
Tutti e cinque, come era ormai loro abitudine, sfregarono tra le dita il ciondolo con la moneta. La cosa che avevano tutti in comune.
“chissà se sta facendo la stessa cosa anche Simone!” chiese Giuseppe.
“Lo sapremo presto!” rispose suo padre sorridendogli. Facendo l’unica cosa che poteva obiettivamente fare in quel momento.
“Te lo prometto, Giuseppe! Tra due ore sarà tutto finito e ti godrai questa vacanza. Come mai prima d’ora!” concluse poi Simone.
Uscirono di casa, prima Michele, poi Giuseppe, poi Roberto e Giuseppe, i due giovani. E poi Simone. Che si fermò ad osservare un attimo quella casa.
“UNO PER TUTTI, TUTTI PER UNO! POTESSE PARLARE QUESTA CASA, QUESTO DIREBBE!” disse una voce, proveniente da un punto imprecisato della casa.
“Hai ragione!” rispose Simone “Peccato che uno si rende conto degli amici, dei veri amici che ha, solo quando è in queste situazioni critiche!”
“SE SIETE GIA’ STATI IN BAGNO, ALLORA I VERI AMICI SI SONO Già VISTI NEL MOMENTO DEL BISOGNO!” rispose Frem.
Simone guardò il lampadario e si mise a ridere. Quel computer aveva citato una delle battute preferite dal tredicenne Francesco, nelle sere interminabili a giocare a nascondino al contrario, quando Giuseppe non si riusciva a trovare e a lui scappava di andare in bagno. di solito avvisava suo fratello che saliva in casa, Emanuele ci diceva che Francesco andava a cercare Giuseppe nel suo bagno di casa, e Francesco lanciava questa battuta. Che faceva sempre sorridere tutti.
E Simone uscì da quella casa.
Dirigendosi all’auto per andare al lido Torremozza. Dove c’era la radura, la loro vita, i loro cari, tutti in pericolo. Un pericolo che loro dovevano temere, ma che dovevano scongiurare. A tutti i costi.
Simone lo sapeva. E per questo partirono.
Giunsero alla radura che erano quasi le cinque. Avevano ancora un’ora di tempo. Che passò velocemente. Cercarono in tutti i modi di scoprire qualcosa di particolare nella radura. Ma nulla faceva pensare a qualcosa di specificatamente sospetto, a tal punto da pensare a qualche passaggio segreto.
Almeno fino a quando un terremoto sembrò colpire la spiaggia. In realtà, più che tremare, la zona circostante vibrò. Quattro paletti ed una piattaforma circolare salirono a quel punto all’altezza del suolo. La piattaforma ed i paletti non erano soli.
Su di essi c’era Dorian. Con in mano il solito telecomando.
“Non ho intenzione di usarlo ma sono costretto a farlo, se non levate immediatamente i caschi, disattivando le tute. E se lo faccio, i dispositivi elettronici che garantiscono la sopravvivenza dei nostri ostaggi si spengono e vengono sepolti da tonnellate di acqua. Loro. Quindi vi conviene salire sulla piattaforma, dopo aver spento le tute e non fare scherzi. Se non rileva la piattaforma in discesa entro due minuti o se rileva che mi avete fatto arrabbiare e le mie pulsazioni sono aumentate, questo stesso dispositivo viene innescato da mio fratello! A voi la scelta!”
Tutti, ovviamente, scelsero di ubbidire alla sua richiesta. Spensero le tute, levarono i caschi e salirono sulla piattaforma.
Premendo il pulsante di un altro telecomando, la piattaforma si mosse. E incominciò a sprofondare. Delle grondaie raccoglievano la sabbia che cadeva dai lati del foro praticato nel terreno, per il tempo necessario a farli abbassare. Poi un portello si richiuse e sprofondarono nel buio. L’unica fonte di una flebile luce era il casco attivo della tuta di Dorian.
Scesero per circa novanta secondi. Poi giunsero in una stanza di circa dieci metri di lato. Al centro di ciascun lato c’era una porta. la piattaforma si fermò.
Sopra ciascuna porta c’era un nome, di uno dei quattro, tranne Simone.
“Ciascuno di voi si deve avvicinare alla porta che ha sopra scritto il suo nome. Tu Simone rimani qui sulla piattaforma!” disse Dorian.
I due Giuseppe, Michele e Roberto guardarono Simone. Ad un suo cenno affermativo i tre si incominciarono a spostare verso le porte assegnate a ciascuno di loro. E Dorian continuò la descrizione di quella cosa spaventosa.
“Aldilà di quelle porte troverete la vostra prova. Dovrete sconfiggere la o le persone che saranno oltre la porta. Se ce la farete entro un’ora da quando le porte si apriranno, dovrete prendere, da coloro che avrete sconfitto, la chiave della porta che vi condurrà verso la persona tenuta prigioniera in quella stanza. Se non ci riuscirete la cella del prigioniero verrà inondata dall’acqua del mare, uccidendolo. Come potete notare la struttura è completamente di metallo. I dispositivi di inondazione sono al di fuori delle stanze, quindi non potrete interagire con essi in alcun modo per disattivarli. Inoltre le celle dei prigionieri sono di materiale perfettamente amagnetico. Quindi non potrete usare le tute per aprirle!” disse Dorian.
Immediatamente dopo aver finito di parlare, delle paratie metalliche calarono dal soffitto della stanza, dividendola in cinque. Separando ciascuna persona dagli altri. A quel punto, per Michele, Roberto e i due Giuseppe, l’unica possibilità era uscire dalla porta posta sul lato della stanza rimasto accessibile.
Una paratia circolare aveva, infine, isolato la piattaforma che li aveva condotti giù. La piattaforma con sopra ormai solamente Simone e Dorian. Una piattaforma circolare di quattro metri di diametro. Un’ulteriore paratia divise quella piattaforma in due parti. Dividendo definitivamente anche Dorian da Simone. Quest’ultimo notò inoltre che quella paratia, sembrava rimbombarsi al centro. Per circa 50-60 cm. Sentì un rumore e comprese che quella era un’ulteriore piattaforma. Sentì che un motore la stava spingendo ulteriormente verso il basso. Evidentemente, pensò, doveva portare via Dorian. Pensò questo, perché pochi secondi dopo la sentì risalire. Tutto questo, ovviamente, nel buio più assoluto. Perché l’unica luce presente ad illuminare la piattaforma era dalla parte opposta rispetto alla paratia che, scendendo, aveva diviso in due la piattaforma stessa. Quindi da circa un minuto Simone era rimasto completamente al buio.
Pensò anche a come, nonostante i suoi occhi non riuscissero a vedere nulla, tutti gli altri sensi erano completamente al lavoro per permettergli di, sopra ogni altra cosa, avere il maggior numero di informazioni. Ma soprattutto di una cosa era certo Simone. Quello che stava per succedere riguardava tutti loro. E sebbene soli, tutti loro avrebbero dovuto rimanere uniti e lottare, con la mente e con il cuore, per lo stesso obiettivo. Uscire, vivi, da quel posto malefico. Capì che, per cominciare, poteva indossare il casco e accendere la tuta. ma era troppo tardi. Sentì tre delle quattro porte sbloccarsi, e il piccolo ascensore circolare roteare, invadendo quella metà della piattaforma di luce, che proveniva proprio dall’ascensore. Luce che, contemporaneamente, illuminava un’altra persona, la peggiore che potesse aspettarsi: Marco. Con la tuta. Accesa, che con un piccolo gesto costrinse l’armatura metallica della sua tuta, a comprimersi verso il muro della paratia, impedendogli qualsiasi movimento. Se solo avesse acceso la tuta qualche istante prima, probabilmente l’avrebbe già ucciso. Simone, riconosciutolo, poté solo digrignare i denti verso di lui. E sentì pronunciargli le parole più spaventose della sua vita.
“Che comincino i giochi!” disse, sorridendogli, Marco.

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Buongiorno!! eccoci in questo nuovo capitolo. Le cose stanno precipitando e spero che "vi faccia piacere" nel senso buono... ovviamente:)
Apprezzo moltissimo le vostre impressioni, quindi continuate a trasmettermele che non mi può che fare bene!!
  
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