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Autore: Novalis    27/03/2017    2 recensioni
Jane Ryan è una ragazza di ventisette anni, è una giornalista per l'Edinburgh Fashion Magazine, e tra le serate con gli amici e la sua pazza coinquilina Abbie, vive una vita tranquilla, ma forse fin troppo monotona, nella bellissima capitale scozzese, Edimburgo.
Terence Ashling è l'ultimogenito di una famiglia ricca e snob. E' cieco e per la sua disabilità è scontroso, solitario e antipatico, o meglio lo è con chi non conosce. Non sa cosa sia l'amore, fatta eccezione che per quel sentimento d'affetto che gli ha dato sua madre.
Riusciranno questi due cuori così diversi ad incontrarsi e a dar vita ad una storia tutta loro?
E ricordate :"Si vede bene solo con il cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi."- Antoine De Saint Exupery-
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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AD OCCHI CHIUSI

-EPILOGO-

 

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Musica consigliata per leggere il capitolo: https://www.youtube.com/watch?v=HP6SHn2fZhk 

“Lo amavo tanto, più di quanto io stessa potessi ammettere,

 più di quanto potessi esprimere a parole.”- J. Eyre- C. Bronte-

 

Non andavo in un cimitero da tanti anni, quando l’ultimo dei miei nonni, il padre di mio padre, ci aveva lasciati. Era stato un giorno triste quello.

Nonostante qui, ad Edimburgo, i cimiteri fossero vere e proprie attrattive turistiche per via dei diversi personaggi famosi che vi erano sepolti e per la tranquillità che emanavano, essendo presenti in mezzo alla città,  e non in luoghi tetri e nascosti, a me non erano mai piaciuti, in quanto sinonimi di perdite e di tristezza.

Quando Terence mi aveva chiesto di accompagnarlo al Cimitero di Greyfriars, presente nella Old Town, ero rimasta alquanto sorpresa.  Avevo pensato simpaticamente, che un cimitero non fosse proprio un luogo appropriato per un appuntamento, ma poi avevo capito che l’invito di Terence era più di un appuntamento. Era una richiesta. Una mano che mi stava chiedendo per essergli vicino in un momento delicato.

Avevamo camminato in silenzio, e sempre senza spiccicare una parola, eravamo giunti fino a una tomba. Bianca e adornata da fiori freschi e colorati, che Terence aveva sostituito con un mazzo di profumate rose bianche.

-Era bellissima, non trovi?- ruppe il silenzio, stringendo forte la mia mano.

Elizabeth Sinclair Ashling ci guardava sorridente, da una piccola foto incisa sua una lapide chiara. Mi fu sufficiente guardarla per pochi secondi per ricordarmi di averla già vista a casa Ashling, nella stanza di Terence, in un ciondolo a forma di cuore appartenente a una collana, su cui era incisa la lettera “E”. E, che ora capii, essere di Elizabeth.

-Hai ragione. Era bellissima, e sai… le assomigli molto.- gli risposi, continuando a guardare quel bellissimo volto sorridente, circondato da una cascata di riccioli biondi.

E non scherzavo. Terence aveva gli stessi lineamenti di sua madre, dolci ma decisi, gli stessi occhi chiari, e quello sguardo sbarazzino che lo contraddistinguevano tanto.

-Credo che una delle cose più brutte dell’essere diventato cieco, sia stata non poter vedere più nessuna sua foto. Conservavo, e conservo tutt’ora, una sua collana, infatti, che le regalai per il suo quarantesimo compleanno e che, poco prima di andarsene, mi aveva restituito, dicendomi di darlo a quella persona che mi avrebbe fatto sentire speciale come io avevo fatto con lei. Al suo interno c’era una sua foto che mio padre le aveva scattato quando era incinta di me. Da quando persi la vista, però, non ebbi più modo di guardare quella foto e ricordare il suo volto, e ora finalmente eccomi qui...- sospirò. Sentii la sua voce leggermente incrinata, come se volesse piangere ma si stesse trattenendo.- Ti ringrazio per essere venuta oggi, Jane.

Lo guardai, per poi posare il capo sulla sua spalla. Non sapeva che io quella collana l’avevo già vista.

-Non devi affatto ringraziarmi, perché sono io che devo farlo. Grazie Terence per avermi permesso di conoscere tua madre.

Lui mi accarezzò i capelli.

-Lei era una persona meravigliosa. Una di quelle di cui ti basta ascoltare solo la voce, e che ti basta guardare negli occhi, per capire come sia fatta. Un raggio di sole caldo, confortevole, tenero, e dolce. Spero che mi abbia perdonato, per tutte le cretinate che ho fatto.- la sua voce era triste.

-Credo che non avesse nulla da perdonarti, Terence.- strinsi più forte la presa delle nostre mani.- Ti amava, e continua a farlo anche se… da lassù.- puntai un dito verso il Cielo.

-Ne sei sicura?- si voltò verso di me.

I suoi occhi erano lucidi, ma luminosi. Terence non aveva ricevuto molto amore nella sua vita, se non quello di sua madre e del suo autista. Aveva quindi molte più insicurezze.

-Certo che lo sono. Non perché una persona non è più viva, non ci è più vicina. La sua anima non morirà mai e quella sarà sempre al nostro fianco. Non mi hai detto che ti è apparsa anche in sogno?- gli ricordai.

-Sì, è vero. Solo che, a me… a me non bastano i ricordi o i sogni. Io avrei voluto averla qui, con me. Avrei voluto abbracciarla, stringerla tra le mie braccia, per dirle quanto la ami profondamente e per ringraziarla per avermi voluto sempre bene. Avrei voluto farla ridere e vedere i suoi capelli fluttuare nel vento d’estate. Avrei voluto assaggiare tutti quei dolci che bruciava nel forno, su cui poi rideva come se avesse fatto una marachella da bambini. Avrei voluto presentarti a lei…- sospirò di nuovo.

Io ingoiai un groppo che mi si formò in gola. Non volevo piangere, ma quando Terence smise di parlare, sentii una goccia scorrermi lungo la guancia, fuori dal mio controllo.

-E io avrei voluto conoscerla.- gli risposi.

Poi rimanemmo in silenzio.

Sulla lapide era inciso “In memoria di Elizabeth, madre amorevole, moglie devota”.

Rimasi a guardarla, facendo più di una preghiera silenziosa. Ringraziai Elizabeth per aver dato alla luce un figlio meraviglioso come Terence. Per avergli  insegnato i veri valori della vita, per averlo fatto diventare l’uomo di cui mi ero innamorata, a poco a poco.

-Ti manca tua madre Jane?- mi chiese, dopo un po’.

Socchiusi leggermente le labbra sorpresa da questa domanda, poi sospirai e risposi.

-Mi è mancata. Ora non più.- mormorai.

Mia madre aveva abbandonato me quando ero poco meno che un’adolescente, e mio padre, sebbene lui l’avesse sempre amata, rispettata e onorata. Ci aveva lasciati, senza alcun preavviso, lasciando solo uno stupido biglietto scritto a matita, e senza farsi mai sentire. Mai, neanche una volta.

-A mancare sono le cose che ti fanno stare bene, non ciò che ti fa stare male. Quando ero una ragazzina, mi è mancata. Ma non lei, perché lei non è mai stata una madre modello, ma l’idea di madre. Mi mancava l’idea di avere una figura materna che mi amasse come le altre madri facevano con le mie coetanee. Poi, sono cresciuta e anche l’idea di madre non mi è più mancata. Ho conosciuto Abbie, ho avuto le mie piccole grandi soddisfazioni nella vita, e ho mio padre, la persona più adorabile e bella che conosca.- conclusi.

Non avrei voluto confidarmi in questo modo, ma era come se tutte le parole che avevo pronunciato fossero uscite da sole dalle mie labbra. E non sapevo neanche se ciò che avevo detto fosse vero. Sapevo che non mi mancava mia madre, ma non ero sicura che non mi mancasse una figura materna, a cui fare affidamento sempre e comunque. D’altronde, soprattutto quando ero una ragazzina, per quanto amassi mio padre, lui non poteva rispondere a tutte le mie domande.

-E se ti chiedesse scusa e ritornasse da te, adesso?- continuò, voltandosi verso di me.

Il suo viso era triste, ma allo stesso momento, interessato a conoscere le mie risposte.

-Penso che le accetterei, ma non subito. Le concederei il perdono, perché non sono una persona così spregevole da non farlo, ma in ogni caso non le permetterei di ricucire con me, né con mio padre, un rapporto che sarebbe solo… una maschera utile a coprire un suo errore madornale. Nella vita tutti facciamo degli errori, ma ce ne sono alcuni per cui è opportuno pentirsi in tempo. Lei il suo tempo l’ha avuto e non lo ha usato.- risposi, rendendomi conto di quanto duro e… triste fosse uscito il mio tono.

-È la stessa cosa che penso di mio padre.- aggiunse Terence a bassa voce.- Comunque, Jane, penso che le tue parole siano dettate dalla rabbia. Da una giusta rabbia, sia chiaro, ma da rabbia. Tua madre, senz’altro ha fatto un’azione deplorevole a lasciare te e tuo padre, ma se un giorno si ripresentasse alla tua porta, credo di essere abbastanza sicuro che tu gliel’apriresti. D’altronde, se c’è una cosa che ho capito nella vita, è che tutto è imprevedibile. Basta poco che tutto nasca. Basta poco che tutto crolli. Basta poco che la tua vita cambi del tutto. E io non so cosa darei per avere mia madre con me.

Lo guardai, trovandomi il suo sguardo, adesso caldo e rassicurante, ad accogliermi.

-Forse hai ragione tu.- feci sottovoce.

In questo luogo sacro, al momento visitato solo da me e Terence, e da una signora che sorrideva di fronte a una tomba, le parole andavano solo sussurrate.

-Deduco, quindi, che anche tu perdonerai tuo padre, se un giorno venisse a bussare alla tua porta?

Continuai a guardare la foto di Elizabeth sulla tomba. Così giovane e bella.

-Sì, Jane, lo farei. Lui è una di quelle persone che mi ha fatto più male nella vita, se non il peggiore, ma… lo ascolterei e, un giorno, magari non subito , come hai detto tu, gli darei il mio perdono più sincero. E poi, non è anche Jane Eyre che dice a sua zia: “Amatemi, allora, o odiatemi, come più vi piace. Io vi perdono liberamente e pienamente: chiedete il perdono di Dio; e siate in pace.”?

Mi voltai a guardarlo, stupefatta che si ricordasse a memoria un passo del mio libro preferito.

-Come fai a ricordare a memoria una citazione intera?- feci curiosa.

-Anche se preferisco la letteratura russa, come ti ho già detto, non ho mai sdegnato quella inglese. Ho letto Jane Eyre tre volte, una delle quali poco prima di scriverti la lettera, e ho un’ottima memoria fotografica.- mi spiegò.

-È una frase bellissima. Quello di Jane Eyre è un gesto toccante.- gli risposi.

-Lo è, in effetti.- continuò.

Poi, calò nuovamente il silenzio su di noi. Terence osservava la tomba con sguardo attento, come se volesse fotografare la foto di sua madre fin dentro la sua anima.

-Penso che tu un po’ le somigli, Jane.- continuò.- Avete lo stesso candore, la stessa purezza, la stessa dolcezza. E sono felice che oggi vi siate incontrate.

Mi ritrovai a sorridere, felice e profondamente colpita per le sue parole.

-Sono orgogliosa di assomigliarle, allora.

Terence mi sorrise, poi avvicinò le sue dita prima alle labbra e poi alla foto di sua mamma, come a volerle lasciare un bacio.

-Vuoi parlare un po’ con lei, da solo?- gli domandai.

-No, Jane. Le ho detto tutto quello che volevo dirle. E poi, ho deciso di venire a salutarla ogni giorno della settimana.- fece un mezzo sorriso.

-E io verrò con te, se vorrai.- lo guardai.

***

Un anno- e qualche mese -dopo…

 

-Non ci posso credere! Ma che meraviglia! Un bambino, sul serio?- strillò Abbie per la centesima volta.

-Sì Abbie, un bambino. Un bebè, un infante, un fagottino cuccioloso.- le spiegai paziente.

-Oddio che bello. Sono tanto felice per Barbara. È incredibile la gioia che si possa provare quando si sa dell’avvento di una nuova nascita.- si commosse leggermente.

Era appena tornata da un breve viaggio fatto con il suo Thomas. Avevano visitato alcune cittadine spagnole, tra cui Madrid e Barcellona.

-Hai proprio ragione. Ce l’ha detto ieri mattina in ufficio. Ha scoperto di essere incinta di tre settimane. Questa sera andremo tutti insieme al “Queen Victoria” per festeggiare la bella notizia.

Abbie mi sorrise, piegando alcune magliette e mettendole dalla valigia all’armadio. Era leggermente abbronzata e i suoi occhi erano ridenti.

-Comunque,- continuai,- com’è andato il viaggio? Ti sei divertita?- mi avvicinai a lei, per aiutarla a riporre alcune cose ancora presenti nel trolley.

-Benissimo. Tom è stato meraviglioso. Mi ha portato a vedere tutti i monumenti più belli della città, abbiamo mangiato in ristoranti stupendi, ho comprato diversi souvenir e ovviamente ho scattato delle foto troppo belle.- fece un sorriso a trentadue denti.

Fui molto contenta per lei.

-E tu?- continuò,- cos’hai fatto con Terence in questa settimana? Non è che anche tu sfornerai un bel bambino, a breve?- mi fece l’occhiolino, maliziosa.

Io arrossii per la sua allusione.

-Abbie!- la ripresi, infatti.- Potrei chiederti la stessa cosa?- la sfidai con lo sguardo.

Fu il suo turno di arrossire. Poi, ridemmo subito dopo.

-Comunque è andato tutto bene. Ci siamo visti meno questa settimana, perché è stato impegnato con le lezione all’ Accademia. Quest’anno, come sai, ha iniziato il tirocinio e si sta dividendo tra la radio e un museo.- risposi.- In compenso, la settimana prossima per festeggiare il mio compleanno, ha detto di aver organizzato una giornata solo per noi due.- finii entusiasta.

-Che bellezza. Sono troppo felice.- posò un pantalone e poi mi abbracciò da dietro.

-Lo sono anch’io. E poi sai, mio padre ha finalmente deciso di dare una chance alla signorina Ford, la donna che lo interessava. È da qualche mese che fa il vago durante le nostre telefonate, ma sono abbastanza sicura che siano usciti insieme già alcune volte.- ridacchiai, posando le mie mani sulle sue.

-Se lo merita proprio tanto.- la sentii sorridere.

Era bella la presenza di Abbie nella mia vita. Sempre positiva, frizzante, allegra, pronta ad ascoltarmi e a essermi vicina nel momento del bisogno e non. Se non fosse stato per lei non avrei probabilmente vissuto tanti momenti meravigliosi nella mia vita. Mi piaceva considerarmi una persona forte, ma non sempre era facile esserlo, era allora, in quei momenti, che Abbie mi dava la carica per superare tutto, al meglio.

Ricordavo ancora quando l’avevo incontrata la prima volta. Dopo la laurea, avevo deciso di trasferirmi definitivamente da Aberdeen ad Edimburgo. Avevo voglia di cambiare vita, di diventare autonoma e indipendente. In più, avevo letto dell’Edinburgh Fashion Magazine, una delle riviste verso cui puntavo, ed avevo tutta l’intenzione di mettermi in gioco e di provare.

Ovviamente non avevo chissà quale disponibilità economica con me, e di certo non volevo pesare su mio padre che già mi aveva prestato del denaro per finanziare gli studi e le prime spese. Fu così che andai alla ricerca di una casa in affitto che mi permettesse di dividere i diversi pagamenti con qualcun altro. Trovai un annuncio scritto proprio da quella che adesso era la mia migliore amica. Quando bussai alla sua porta, mi accolse con i bigodini nei capelli scuri, gli occhialoni da vista calati sugli occhi, e con una mano smaltata di viola. Ammetto che mi destò subito simpatia.

-Bene. Finisco dopo di svaligiare le mie cose. Vado a farmi una doccia, così dopo passiamo una serata da ragazze. Ci stai?- mi propose, poi allontanandosi da me.

-Ci sto. Ma il film lo scelgo io.- le feci la linguaccia.

***

Okay, era tutto pronto.

Terence non aveva voluto anticiparmi nulla sull’uscita che aveva organizzato per noi due. Inutile dire che mi sentivo elettrizzata all’idea di quello che mi sarebbe aspettato.

-Ehi ventottenne sei pronta? – fece la sua entrata trionfale la mia migliore amica.

-Credo di sì.- sorrisi, chiudendo la zip della mia borsa e osservandomi un’ultima volta allo specchio.

Per fortuna la giornata era luminosa e un caldo sole faceva capolino nel cielo.

Terence mi aveva detto di vestirmi in una maniera comoda, così avevo optato per un paio di jeans, scarpe da tennis nere e una camicetta verde acqua. I capelli mossi, irrimediabilmente sciolti e un filo di lucidalabbra rosso completavano il tutto.

-Sei bellissima, ma adesso esci dalla tua camera, ché il tuo bel tenebroso è appena arrivato.

-È già arrivato?- feci sorpresa.- Non mi dà neanche il tempo di spruzzarmi due gocce di Chanel n.5?- strabuzzai gli occhi, prendendo in giro la mia amica, e prendendo un po’ del mio profumo (no, non Chanel) fruttato.

-Jane, visto che ne hai parlato tu… ti abbiamo realmente regalato uno Chanel n.5.- Abbie si morse le labbra, con gli occhi ridenti.

-Cosa?- sgranai gli occhi,- ma se prima mi hai detto che per il vostro regalo dovevo aspettare domani.- posai una mano sul mio fianco.

-Beh… è vero. Te lo daremo domani, ma visto che te lo sei auto spoilerato…- lasciò la frase in sospeso.

Io scossi il capo, ma poi mi avvicinai a lei e l’abbracciai forte.

-Beh allora grazie mille. Non dovevate spendere tutti quei soldi per un semplice regalo di compleanno.

La mia amica mi scostò leggermente da sé.

-A parte che hanno collaborato al regalo anche i tuoi colleghi, e quindi il costo finale non è pesato a nessuno, ti meriti questo e altro, baby.- mi strizzò l’occhio.

-Grazie.- le diedi un bacio sulla guancia.

-Su, ora fila dal tuo Terence. Ti aspetta fuori, nella sua macchina figa.- mi diede un pizzicotto sulla guancia, prima di spintonarmi fuori la porta della mia stanza.

Quando raggiunsi l’ingresso, la salutai ulteriormente, e poi uscii.

Il mio ragazzo era appoggiato alla sua auto, una Peugeot nera, con gli occhi puntati verso un libro, e una mano nella tasca dei pantaloni. Avrei voluto avere una macchinetta fotografica solo per scattargli una foto in questo momento.

-Ehilà bell’imbusto.- lo salutai, avvicinandomi a lui.

-Ciao Jane Ryan.- ricambiò il saluto, sorridendo leggermente e richiudendo il libro.

Notai che il romanzo in questione era “La mite” di Dostoevskij. Gliel’avevo regalato per il precedente Natale.

-Pronta?- mi domandò, avvicinandomi a sé, per poi lasciarmi un leggero bacio, prima  sulle labbra e poi sulla mia mano. Questi suoi gesti da cavaliere d’altri tempi mi mandavano fuori di testa.

-Se non mi dici dove stiamo andando, non posso sapere se sono pronta.-gli risposi, puntandogli il dito contro.

-Credo che tu lo sia.- mi lasciò un bacio sui capelli, e poi salì in macchina.

Io sospirai e mi accomodai al suo fianco, in poco tempo.

Ci mettemmo la cintura di sicurezza e poi accese la radio, da cui si trasmisero le note di  Sultan of Swings” dei Dire Straits. Beh, almeno il viaggio partiva bene.

-Quindi non mi dirai nulla di nulla, finché non saremo arrivati in questo famigerato posto?- presi a guardarlo.

Indossava una camicia azzurra arrotolata fino ai gomiti e dei blue jeans. Mi soffermai sul suo profilo elegante e poi sulle sue mani da pianista. Una sul volante e una sullo sterzo. Erano belle, forti e curate. Davano un senso di sicurezza.

-Esattamente.- si voltò un attimo verso di me, sorridendomi di uno dei suoi mezzi sorrisi.

-Bene. Ma mi vendicherò Terence Ashling, è una promessa.- gli feci una linguaccia.

Lo sentii ridere.

-Comunque, ho notato che stavi leggendo il libro che ti ho regalato a Natale. Ti sta piacendo?- domandai, curiosa.

-Assolutamente sì. Dostoevskij rimarrà sempre il mio preferito.

Sorrisi soddisfatta, poi presi a guardare fuori dal mio finestrino.

Man mano che l’auto procedeva iniziai a riconoscere i luoghi che ci circondavano.

-Ti dico solo, e lo faccio solo perché è il tuo compleanno, che ci metteremo poco più di tre ore per arrivare in questo posto.- mi disse, quando si fermò ad un semaforo.

-Ah sì?- cercai di indagare,- quindi è fuori da Edimburgo. Interessante!- constatai, mettendomi una mano sotto il mento.

-Brava piccola Sherlock Holmes. Se vuoi, prova ad indovinare.- mi lanciò uno sguardo di sfida.

Ci pensai su. Erano diverse le cittadine che distavano circa tre ore da Edimburgo, quindi non era facile indovinare.

-È troppo poco un indizio, Terence. Proprio perché è il mio compleanno dovresti aiutarmi di più.- mi lamentai come una bambina.

-Devi solo pazientare Jane Ryan. Nel frattempo, leggi il libro che mi hai regalato a Natale.- rise, facendo finta di non ascoltare il mio tono lamentoso.

-Cosa? Io? Dostoevskij?- fu il mio turno di ridere,- non è il mio genere, lo sai.

-Lo so! Ma devi provarci. È un romanzo avvincente e, fidati ,che leggendolo il tempo trascorrerà più in fretta. Ti lancio il guanto di sfida.

-Bene. Facciamo quindi che a ogni capitolo che finisco di leggere, mi dai un aiutino?- stetti al suo gioco.

-E sia.- mi sorrise.

Fu così che presi “La mite” e iniziai a leggerlo.

***

Quando Terence parcheggiò vicino ad un posto, rialzai la testa dalle pagine del libro. Tirai su col naso e mi asciugai una lacrima dalla guancia.

Alla fine i capitoli mi avevano così preso che non gli avevo chiesto neanche un indizio. Il romanzo era davvero avvincente e molte scene mi avevano portato, inevitabilmente, a commuovermi.

-Mi sembra quasi che tu non voglia più smettere di leggere, vero Jane Ryan?- Terence mi stava aprendo la portiera.

Annuii con la testa, poi misi il libro in borsa.

-Mi sa che non te lo restituisco più.- presi la sua mano e in men che non si dica mi trovai all’aperto.

Osservai ciò che mi circondava, cercando di capire dove fossimo.

-Oddio non sarà mica Inverness?- feci incredula, mentre Terence chiuse lo sportello dietro di me. Notai che in un mano aveva un cestino da pic-nic, preso chissà quando, e che una montatura da sole gli copriva gli occhi.

Era strano vederlo con gli occhiali da sole. Mi ricordava il Terence che avevo conosciuto.

-Credo proprio che lo sia.- mi sorrise, prendendomi per mano e iniziando a camminare.

-E ora dove andiamo?- domandai.

-Ti porto ad incontrare il mostro di Lochness.- rispose, senza voltarsi verso di me.

Il sole era alto nel cielo, c’erano poche persone disseminate per le strade e una leggera brezza iniziò a farci ondeggiare i capelli nell’aria.

Decisi di non chiedere altro, e di seguirlo in silenzio.

Terence camminava deciso, lasciando qualche ragazza a bocca aperta, mentre io me la ridevo sotto i baffi per essere la fortuna che gli era accanto.

Non ci volle molto prima che si fermasse, di fronte al lago più famoso di tutti i tempi.

-Benvenuta a Lochness, Jane Ryan.- mi sorrise, voltandosi verso di me, gli occhi chiari ben oscurati dalle lenti.

Rimasi a guardare il panorama mozzafiato che mi circondava, schiudendo le labbra e chiedendomi perché Terence avesse scelto questo posto.

-Perché mi hai portato qui?- diedi voce ai miei pensieri, guardandolo.

Il sole di mezzogiorno rischiarava i suoi capelli e colorava la sua carnagione.

-Perché è un bel posto e io amo la bellezza. Un giorno, quando venni a pranzo a casa tua, ti dissi che non avevo mai visto questa città. Così ho deciso di portarti con me.- mi rispose, sorridente.

Io continuai a fotografarmi con la mente il panorama da mozzafiato che mi si stagliava di fronte.

-Grazie. È splendido qui.- gli risposi.

Terence di risposta, rimase prima a fissarmi, per poi circondarmi la vita con un braccio. Appoggiai  automaticamente il capo sulla sua spalla.

-Ti propongo questo itinerario: passeggiata per la città alla ricerca dei luoghi più belli, picnic di fronte al lago per l’ora di pranzo, e infine gita sul lago di Lochness.- vidi con la coda dell’occhio che mi guardò.

-Ci sto.- gli risposi, sorridendo.

Così detto, rimanemmo qualche altro istante a farci accarezzare dal fresco vento primaverile, per poi iniziare a camminare.

Sebbene Terence non avesse mai visitato la città,  sembrava molto sicuro dei suoi passi e delle direzioni in cui mi stava conducendo.

Mi portò prima a visitare la Church Street, la via più antica della città, dominata dalla torre campanaria, piena di negozietti sfiziosi e colorata da diverse persone che passeggiavano con spensieratezza.

Poi mi condusse verso l’ Inverness Museum and Art Gallery, un museo ricco di tesori risalenti ai vichinghi. Terence fu felice di mostrarmi le sue abilità artistiche descrivendomi ciò che ci fronteggiava meglio di una qualunque guida turistica. Quando parlava di arte, diventava ancora più bello. I suoi occhi si illuminavano e brillavano come le stelle di agosto. In più spiegava tutto con incredibilità facilità e spontaneità. Già me lo immaginavo in un museo a fare la guida, con tutte le ragazzine a guardarlo adoranti. Poi ci fermammo in alcun negozietti di souvenir, da cui uscimmo con un paio di cartoline del luogo, una calamita da frigorifero, e due braccialetti che ci scambiammo.

Il tempo trascorse incredibilmente in fretta, tant’è che l’ora di pranzo si fece vicina in men che non si dica. Terence mi chiese di scegliere tra due monumenti quale visitare, prima del pic-nic, e io optai per il Cawdor Castle, un castello che sapevo essere legato alle vicende del Macbeth di Shakespeare. Questa volta fui io la più esperta tra noi due. Ricordavo ancora come amassi il famoso poeta inglese al liceo, e come avessi divorato numerose sue opere fin dall’adolescenza. Facemmo in tempo ad osservarlo all’interno, con i suoi passaggi segreti, le sue prigioni e con persino un albero cresciuto all’interno delle mura. Infine, prima di andare a pranzo, ci facemmo coinvolgere dalla bellezza dei giardini esterni, colorati dalla primavera.

Felici ma un po’ stanchi, poi, ci avviammo nuovamente verso i paraggi di Lochness.

Quando arrivammo, Terence scelse un posto un po’ appartato, vicino a un grande albero. Posizionò una tovaglietta che prese dal suo cestino e poi uscì alcuni tramezzini, della frutta di stagione, e delle bevande.

-Wow Terence Ashling… questa volta ti sei superato! Hai preparato tutto nei minimi dettagli.- gli sorrisi, divorando con lo sguardo ciò che mi si presentava davanti.

-E non hai ancora visto il dolce. – si sfilò gli occhiali da sole che appoggiò sul colletto della camicia, mi fece l’occhiolino, e si sedette vicino a me.

-Il dolce?- domandai, curiosa.

Mi voltai verso di lui. Mi erano mancati i suoi occhi.

-Certamente Jane. Che compleanno sarebbe senza dolce?- disse, prima di sorridermi.

Sorrisi anch’io felice e serena. Era così bello essere qui, in questo momento, con una persona speciale come lui.

-Bene, da dove vuoi cominciare?- mi chiese, invitandomi con gli occhi a prendere qualcosa.

Feci vagare il mio sguardo, per poi optare per un tramezzino al tonno. Terence ne scelse uno al prosciutto.

Mangiammo in silenzio, osservando tutta la bellezza che ci stava abbracciando.

-Perché mi chiami spesso Jane Ryan?- gli chiesi, dopo un po’.

Terence prese  a fissarmi, curioso per questa domanda.

-Come dovrei chiamarti?- fece, senza capire.

-No, dico, perché aggiungi anche il mio cognome dopo il nome?- spiegai meglio.

-Ah…- continuò,- perché è bello. Semplice, breve, e dolce. Ha un bel suono e mi piace chiamarti così. Ti dà fastidio che lo faccia, Jane Ryan? - mi sorrise.

-Assolutamente no, signor Ashling.- gli sorrisi, anch’io.

In effetti la mia era una domanda che desideravo chiedergli da tempo.

Poi mangiammo in silenzio. Nella nostra zona, avanti a dove eravamo noi, iniziarono ad arrivare turisti che armati di macchine fotografiche, scattavano il lago più leggendario di sempre.

Dopo aver finito di consumare i panini, mangiato alcune pere e dell’uva gialla, infine Terence si schiarì la voce annunciando il dolce. Si avvicinò al cestino del picnic e ne estrasse, in pochi secondi, una piccola torta al cioccolato decorata con alcune piccole fragole.

Appena la vidi battei le mani, come una bambina. Era bellissima. Mi ricordava tanto una torta che mi aveva fatto mio padre per i miei 12 anni. Parlando di lui, ci eravamo sentiti la mattina per telefono, ma la prossima domenica ci saremmo visti di persona, perché aveva insistito per incontrare Terence, di cui gli avevo tanto parlato. Non vedevo l’ora di abbracciarlo e di incontrare la signorina Ford.

Poi, con mia somma gioia, Terence pose due candeline che unite davano il numero ‘28’, sullo strato superficiale di cioccolato.

-L’ho fatta cucinare dalla compagna di Harrison. Spero ti piaccia.- aggiunse, accendendo con un accendino le candeline.

Il vento fece muovere leggermente le fiammelle, ma per fortuna non si spensero.

-Buon compleanno, Jane. Esprimi un desiderio.- mi diede due baci sulle guance, poi prese la mia mano poggiata sulla tovaglietta e mi sorrise.

Rimasi qualche istante a guardare prima gli occhi profondi di Terence e poi le candeline. Un desiderio? Avevo già tutto quello che potevo desiderare, ma… forse c’era una cosa che avrei voluto che accadesse.

Espressi il mio desiderio e poi soffiai le candeline.

-Fatto.- sorrisi entusiasta.

-Bene.- sciolse la presa dalla mia mano, in seguito tagliò due fette di torta che mise in due piattini di plastica arancioni.

-Grazie.- gli risposi quando mi diede la mia fetta, riferendomi anche a tutto il resto.

Lui, di risposta, mi scoccò un bacio sulla guancia, facendomi arrossire.

-Sono io l’unico che deve dire grazie, Jane Ryan.- continuò, incredibilmente serio.

Io feci un mezzo sorriso e poi presi a mangiare la mia torta.

-Mi hai detto che l’ha fatta la compagna di Harrison?- domandai.

-Esatto. Non ti ho parlato mai di lei, se non un accenno al fatto che si trovi in un pensionato. Ricordi?

Ci pensai un attimo su.

-Sì. Me lo dicesti il giorno in cui andammo al centro di riabilitazione, per la prima volta.

-Giusto. Beh… diciamo che, anche se non parlo con mio padre da più di un anno, il mio cognome ha ancora un certo fascino alle orecchie delle persone, così sono andato a fare una chiacchierata con i tizi del pensionato, permettendo che la signora uscisse. Pare che non abbia più famigliari. Come sai, da qualche mese vivo nella casa dello studente vicino all’università, così possono vivere insieme a casa di Harrison.- mi spiegò, portandosi alle labbra un pezzo di torta.

Questo dolce era incredibilmente buono.

-Harrison, insieme a te, è l’unico che mi sia rimasto vicino e devo fare di tutto per renderlo felice e non pesargli troppo sulle spalle. Sai quanto lui abbia fatto per me, ed è giusto che ora inizi a ripagarlo dei suoi sforzi. Non mi aveva mai parlato dell’esigenza di voler rivedere la donna di cui è innamorato, ma ora che abbiamo vissuto insieme un po’ e che non lavora più per mio padre, ho capito che dovevo fare qualcosa per unirli. In più ho anch’io la necessità di sentirmi completamente indipendente.

Lo guardai, annuendo.

-Secondo me potresti provare a mandare alcuni curricola a dei centri d’arte. Ti posso assicurare che le tue conoscenze artistiche sono molto elevate e che il modo in cui spieghi è sublime.- gli feci sincera.

Lo vidi arrossire leggermente. Non succedeva spesso che si imbarazzasse, visto che il più delle volte era lui ad imbarazzare me, ma quando succedeva diventava immensamente dolce.

-Ho intenzione di farlo a breve. Credo che il proprietario del museo presso cui sto facendo il tirocinio, mi abbia preso in simpatia, quindi vedrò di battere il ferro finché è caldo.

-Ottima idea.- mi trovai d’accordo con lui.- Comunque ringrazia questa signora e dille che la torta è buonissima.

-Sarà fatto.- mi sorrise.

Continuammo a mangiare il dolce, in silenzio, facendoci cullare dal vento e dalla melodia delle risate dei bambini che passavano da lì, tornando da scuola.

Dopo che finimmo di mangiare, ripulimmo tutto e sistemammo le varie cose nel cesto.

-Ho prenotato una barca per le quattro del pomeriggio. La guiderò io.- mi disse, prendendomi per mano e iniziando a passeggiare nei dintorni. -Comunque Jane, c’è una cosa che non ti ho mai detto.- si schiarì la voce.

-Ah sì?- lo guardai, in attesa e anche un po’ in ansia.

Tra le cose più belle dell’esserci messi insieme, c’era sicuramente il fatto che Terence fosse diventato aperto con me. Mi raccontava tutto di quello che gli succedeva, come andava a lavoro, quando si sentiva giù di morale e qualsiasi cosa gli andasse di farmi ascoltare. Certo, quel suo lato un po’ sfuggente e solitario, tornava ogni tanto a farsi sentire, ma d’altronde faceva parte del suo carattere, e a me andava bene così.

-Mi ha contattato mio fratello, circa quattro mesi fa.- disse soltanto, quasi sussurrando, fermandosi e volgendo lo sguardo verso il lago.

Sgranai gli occhi.

-Tuo fratello? Heathcliff?- riuscii solo a dire.

Che domanda intelligente avevo fatto. Dieci punti a Grifondoro.

-Proprio lui.- tornò a volgere il suo sguardo verso di me.

-E perché non me l’hai mai detto?- corrugai la fronte.

Avevo appena finito di pensare che mi piacesse il suo essere diventato aperto con me, e adesso venivo a sapere che mi nascondeva delle cose?

Lui si toccò i capelli in imbarazzo.

-Diciamo che volevo prima capire le sue intenzioni e capire il perché si fosse messo in contattato con me. Se fosse stato un tentativo per farmi tornare a casa di mio padre non te l’avrei detto, in quanto non degno di nota, se invece avessi visto qualcosa di positivo nel suo contattarmi, ti avrei avvisato. Ho impiegato un po’ di tempo per capirlo.

Annuii, in attesa di altre informazioni.

-E cosa ti ha detto?- continuai, curiosa, inarcando le sopracciglia.

-Si è scusato con me.- mormorò, tornando a guardare frontalmente a sé.

-Wow.- abbassai il capo, permettendo ai capelli di ricadermi ai lati del volto.

Avrei voluto aggiungere altro, ma per il momento non riuscivo a spiccicare parola. Heathcliff, il fratello gemello che insieme a Catherine aveva fatto tanto male al mio Terence, ora si era scusato con lui.

-Ha sorpreso anche me. Non so come abbia fatto ad avere il mio numero, fatto sta che mi ha telefonato qualche tempo fa. Mi ha proposto di andare a bere qualcosa con lui, diverse volte, e io… l’ho fatto. Sentivo che dovevo farlo. Abbiamo parlato un bel po’…

Mi voltai per incontrare il suo sguardo.

-Quindi si è scusato. E come… cosa ti ha detto esattamente?- ripetei la mia precedente domanda.

Terence fece spallucce. Poi spostò con la scarpa un sassolino sotto di lui, con sguardo basso.

-Semplicemente che è stato un grandissimo idiota e che gli dispiace per aver contribuito alle mie sofferenze. Mi ha detto che ha smesso di parlare con Catherine, che, ha aggiunto, essere stata la causa di tanti suoi comportamenti.

-Troppo facile così, però. Ha dato tutta la colpa a tua sorella?- feci io.

-No. Si è assunto la sua responsabilità, dicendomi di essere stato uno stupido, ma sottolineando quanto si sentisse più affezionato a nostra sorella, e di come molte volte le sia andato troppo dietro, ascoltando ogni suo suggerimento.- rispose.- Mi ha detto poi che l’impresa di mio padre è ancora in piedi grazie ad un fidanzamento tra mia sorella e un tizio che neanche conosco. Avevo letto qualcosa in giro, ma ammetto che non mi ero mai interessato.- continuò, con voce fintamente distaccata.

Da quando Terence si era separato dalla sua famiglia, non avevamo più parlato della Ashling Corporation, né di suo padre o dei suoi fratelli. In più avevamo provato a stare lontani dalle tv o dai giornali che potessero parlarne, per non rimmergerci in faccende spiacevoli. Sapere che ora suo padre aveva pensato di manipolare sua figlia Catherine, come aveva fatto l’anno prima con Terence, mi fece capire come certe persone non cambino mai perché non vogliano farlo.

-E come mai si è deciso a scusarti solo adesso? Voglio dire, è passato più di un anno dall’ultima volta che l’hai visto in ospedale…- lasciai la frase in sospeso.

Terence sospirò, mettendo le mani nelle tasche. Poi volse lo sguardo verso il lago.

-Credo che abbia trovato il coraggio di farlo solo adesso.- rispose.

Io lo guardai, ferma al suo fianco.

-E a te sta bene come cosa?- gli domandai.

Lui annuì con il capo.

-Penso di sì,- continuò,- di certo non dimentico i nostri attriti ma…,- si fermò,- credo di aver bisogno anche di lui, di una persona che abbia il mio stesso sangue, nella mia vita. Ci siamo incontrati diverse volte in questo periodo, e ho cercato di capire se fosse sincero. Jane,- si voltò verso di me.- tu mi hai insegnato tante cose, lo sai?

Rimasi impalata, con le labbra leggermente socchiuse a guardare quegli occhi verdazzurri che mi guardavano come se fossi un gioiello prezioso.

-Sì?- mi uscì soltanto.

Lui sorrise.

-Sì. Mi hai insegnato che nella vita non è bello stare soli, ma è bello avere al proprio fianco qualcuno che ci voglia bene e che ci ami.- concluse.- Io voglio credergli, voglio avere fiducia che mio fratello possa voler realmente allacciare un rapporto con me. D’altronde non avrebbe alcun interesse a fingere.- fece un mezzo sorriso.

Io lo guardai , annuendo.

-Sono felice per te Terence. Sono felice che tu abbia imparato a dare fiducia al prossimo. Sono felice che tu abbia deciso di aprire il tuo cuore. Sono felice che tuo fratello abbia fatto questo passo.- lo abbracciai di slancio.

Lui ricambio la stretta, affondando il suo sorriso nei miei capelli profumati del mio shampoo alla pesca.

-Mi spiace avertene parlato solo adesso, ma prima non mi sembrava il momento adatto, sapendoti impegnata anche al Giornale.- aggiunse.

-Non fa nulla, ma comunque non devi farti alcun problema Terence. Ci sarò sempre per te, tutto il resto passerà sempre in secondo piano.- gli feci sincera.

Lui mi strinse più forte a sé.

Rimanemmo così a lungo, con il vento che ci danzava attorno, e con le nuvole che ci sorridevano dal cielo turchese.

Poi ci scostammo, entrambi felici.

-Vieni, andiamo a fare il nostro giro in barca. Ho una cosa da chiederti.- mi prese per mano.

-Cosa?- feci curiosa, seguendolo.

-Sei poco paziente Jane Ryan.- rispose continuando a camminare. Poi mi condusse verso un molo. C’erano attraccate diverse barche e un uomo anziano era seduto su una sedia in legno, con un giornale in mano.

Intanto cercai di capire cosa volesse domandarmi.

-Salve signore. Sono Terence Ashling, il ragazzo che le ha telefonato il mese scorso…

Il mese scorso? Terence aveva organizzato questa giornata già da così tanto tempo? Sorrisi.

-Ah sì sì, ho capito chi è lei.- il signore gli fece un occhiolino.

Cosa? Un occhiolino?

-Sì…- Terence lasciò la frase in sospeso, insospettendomi.- Possiamo usare la barca per un’ora giusto?

-Sì, signore. Prego,- disse alzandosi e avvicinandosi a una barca a remi dipinta di rosso, e con la scritta “Penelope” verniciata di bianco su un fianco.

Slegò una corda che la teneva legata al molo e ci invitò a salirci su.

Terence mi prese per mano, salendo per primo con agilità e poi aiutandomi a salire insieme a lui. Non ero mai stata su una barca a remi, e appena  ballò un po’ sotto il mio peso, mi spaventai leggermente, ma quando Terence strinse forte la presa sulle mie mani, mi tranquillizzai e mi sedetti di fronte  a lui.

-Non allontanatevi troppo, signori. Questo è il biglietto con le tariffe e gli orari. – ci disse l’uomo dandoci un bigliettino bianco.- e fate attenzione al mostro di Lochness… non si sa mai quando potrebbe fare la sua comparsa.- ci strizzò l’occhio, prima di spintonare la barca per farla andare a largo.

Terence ridacchiò, io… un po’ meno. Nessuno aveva prove che il mostro fosse vero, ma neanche che non lo fosse.

-Non sapevo che tu sapessi guidare una barca a remi.- osservai, guardandolo muovere i remi lentamente.

-Infatti non è che abbia chissà quale esperienza. Un giorno ti raccontai che d’estate, quando io e i miei fratelli eravamo piccoli, la mia famiglia passava le vacanze a Nairn. Qui andavamo spesso al mare, e … mio padre ci insegnò ad andare in barca.- spiegò, abbassando un attimo lo sguardo, quasi… dispiaciuto nel rinvangare certi ricordi.

Allora suo padre non era sempre  stato una persona fredda e calcolatrice.

-Capisco.- gli risposi, sorridendogli leggermente.

Poi feci volgere il mio sguardo su ciò che ci circondava. Sembrava di essere all’interno di un affresco o di una fotografia.  Degli uccellini cantavano sulle fronde degli alberi in lontananza, le nuvole bianche si spostavano lentamente sopra di noi, assumendo le forme più strane, e una piacevole brezza ci sfiorava la pelle ed i capelli. Mancava un concerto di violini e di violoncelli, e mi sarebbe sembrato di essere in un film.

Amavo la mia Scozia. Così bella. Così leggendaria. Con i suoi castelli, i suoi monumenti, i suoi paesaggi mozzafiato, le sue musiche e le sue tradizioni. Non avrei abbandonato la mia terra per nulla al mondo.

-E se davvero uscisse Nessie?- gli chiesi, stringendo la mia borsetta tra le braccia.

-Beh avremo un testimone in più.- rispose Terence, stringendosi nelle spalle.

Non riuscivo a capire.

-Testimone? A cosa?- risi nervosamente.

-Abbi pazienza Jane.- si limitò a dire, sorridendo e continuando a remare.

Quante volte mi aveva detto oggi di avere pazienza?

Rimasi in silenzio, con solo il cuore a martellarmi più forte nel petto, per cercare di capire cosa gli stesse frullando per la mente. Aveva stampato sul viso un sorriso divertito, mentre spingeva i remi contro l’acqua.

Mi sporsi leggermente verso il lago, osservandone la profondità. Il sole si ergeva ancora nel cielo, ma fra non molto avrebbe iniziato a tramontare, e si sarebbe specchiato sulla superficie dell’acqua, colorandola di un caldo arancione.

Mi ritrovai a pensare, vedendo me stessa riflessa sull’acqua, che solo un anno prima a quest’ora stavo festeggiando i miei ventisette anni con mio padre e la mia migliore amica in un ristorante, che la mia vita era totalmente diversa, che non avevo scritto un articolo che aveva avuto la prima pagina e che aveva vinto un premio, che non ero stata presa in giro da nessun modello, che non avevo ancora incontrato l’amore della mia vita: Terence. Se solo non fossi andata al pub, quel settembre dell’anno prima, per incontrare il fidanzato di Abbie, non avrei conosciuto un ragazzo scontroso, freddo, a tratti scorbutico, dagli occhiali da sole sugli occhi, con una piccola cicatrice sopra le labbra, con un bastone chiamato James sempre tra le mani, con un cuore tanto dolce, dalle doti nascoste, tanto intelligente, e con il suo charme da ragazzo di altri tempi e da protagonista di quei romanzi che mi piacevano tanto. Non avrei vissuto la vita che stavo vivendo adesso. Una vita piena di calore e di gioia, che mi ero guadagnato non senza fatica.

Quando fummo lontani diversi chilometri dal molo e il signore che ci aveva dato la barca fu solo un puntino lontano, Terence si fermò scrocchiandosi le mani e sistemando i remi in modo che non cadessero.

-Bene. Credo sia arrivato il momento di darti il mio regalo di compleanno.- mi disse, guardandomi contento.

-Regalo?- feci sorpresa.- Ma… non era questa giornata passata insieme il tuo regalo?- lo guardai.

-Anche, ma il vero regalo è un altro. Ora, per favore, chiudi gli occhi Jane Ryan.- mi invitò.

Lo osservai sospettosa. Sentivo che il suo doveva essere un qualcosa di bello, per cui feci come mi aveva detto, aspettandomi un qualsiasi gesto da un momento all’altro.

Sentii Terence armeggiare con qualcosa, per poi avvicinarsi a me. Percepii il suo profumo intensamente e dovetti frenare la mia voglia di baciarlo, per non rovinare la sua sorpresa.

Poi qualcosa di freddo mi sfiorò il collo, e Terence si scostò da me subito dopo.

-Sei così bella… anche ad occhi chiusi.- lo sentii sospirare per poi riavvicinarsi a me per baciarmi sulle labbra.

Risposi con dolcezza al bacio e quando si allontanò da me, faticai a riaprire gli occhi.

Terence mi invitò con lo sguardo a guardare verso il basso, così spostai i miei occhi verso i bottoni della mia camicia, osservando che mi aveva messo una collana intorno al collo.

Impiegai qualche istante a riconoscerla. Era la collana di Elizabeth.

-Terence questa… questa è…- balbettai, incredula.

-La collana che regalai a mia madre e che mi disse di dare a quella persona che mi avrebbe fatto sentire speciale come io avevo fatto con lei.- mi rispose.

Io rimasi a guardarla estasiata. Era fatta di oro e qualche raggio solare stava illuminando il piccolo ciondolo a forma di cuore.

-Io non ho parole. È bellissima… grazie.- sussurrai, con il cuore a battermi forte.

-Non è finito il mio regalo. Apri il ciondolo.- continuò.

Lo guardai. I suoi occhi divennero sfuggenti. Sembrava improvvisamente agitato.

Riguardai il ciondolo e con lentezza lo aprii. Mi trovai la foto della mamma di Terence guardarmi con dolcezza e dall’altra parte…un piccolo cuscinetto inserito nella parte a forma di cuore, con al suo interno inserito un anello.

Lo presi con mani tremolanti. Era una fede d’argento con incastonato al suo centro un piccolo diamante.

Sentii mancarmi il respiro quando lo vidi.

-Senti Jane…- iniziò Terence con tono agitato, mentre io continuai a guardare quel piccolo gioiello luminoso,- avrei voluto mettermi in ginocchio ma credo non sia il caso,- lo sentii ridere nervosamente,- quello che voglio dirti è che… vuoi essere… -sospirò in imbarazzo. Rialzai il mio sguardo verso di lui,- vuoi darmi l’enorme privilegio di diventare mia moglie?

Boccheggiai presa alla sprovvista. Il cuore batteva forte nel mio petto e mancava poco che non arrivasse più aria nei polmoni. Mi diedi anche un pizzico sulla guancia, sentendo ridere Terence, per capire se non stessi facendo uno dei miei sogni realistici, ma no… ero sveglia.

-Oh mio Dio…- riuscii solo a dire.

-Cosa… cosa vuol dire?- mi chiese Terence, guardandomi in attesa.

Io ricambiai lo sguardo, inspirando ed espirando.

-Sì… vuol dire sì. Tremila volta sì. Voglio diventare tua moglie, Terence Ashling.- gli risposi, sporgendomi verso di lui.

La barca tremò leggermente, ma poco importò perché Terence mi prese tra le sue braccia e mi strinse forte contro il suo petto. Poi prese l’anello che stringevo ancora convulsamente tra le mie mani, e me lo mise all’anulare della mano sinistra. Infine sollevò il mio viso e mi baciò con sentimento.

Sentivo un tumulto di sentimenti dentro di me, come se stessero esplodendo mille fuochi d’artificio dentro la mia anima.

Quando ci separammo, avevamo entrambi gli occhi luminosi, o almeno anch’io ero sicura di averceli.

-Wow… non so cosa dire…- balbettai, scuotendo la testa.

-Hai detto tutto quello che volevo sentirti dire.- mi accarezzò i capelli.

-Ma… mi avevi già regalato un anello Terence.- presi a osservare l’anello con la pietra rossa che mi aveva comprato al mercato del Natale precedente.

-Lo so, ma… questo è più… ufficiale, Jane. Con quello ti ho chiesto di diventare la mia ragazza, con questo ti ho chiesto di diventare la mia sposa.- vidi i suoi occhi leggermente lucidi.

Io abbassai lo sguardo, commossa. Non mi sarei mai aspettata una cosa del genere. Prima, quando avevo soffiato sulle candeline, avevo espresso il desiderio di essergli accanto per tutta la vita, e adesso che  mi aveva chiesto di sposarlo mi sentivo a dir poco spossata. Non che non mi aspettassi che un giorno questo sarebbe successo, o almeno lo speravo, ma di certo non credevo che sarebbe successo oggi, su una barca, sul lago di Lochness.

-Mi piaci da sempre, Jane. Da quando ho sentito la tua voce al pub la prima volta, da quando ho toccato la tua mano alla stazione, e da quando ho sfiorato i contorni del tuo viso, ma… tu non mi piaci soltanto, io… sono profondamente, perdutamente, e immensamente innamorato di te e voglio che tu stia con me, per tutta la vita, perché ho bisogno di te al mio fianco.- sussurrò le ultime frasi.

Rialzai lo sguardo. Sorrisi, mordendomi le labbra. Diceva sempre di non essere una persona romantica. Forse dovevo registrare le sue parole e fargliele ascoltare.

-E ti ringrazio per aver accettato la mia proposta di matrimonio. Non ho un lavoro che mi faccia guadagnare così tanto ma… non potevo più aspettare. Ho messo diversi risparmi da parte e in questo periodo… mio fratello mi ha promesso il suo aiuto, per farsi perdonare. In tal caso, riuscirò  a comprare una casa per noi due dove potremo vivere insieme… per sempre, mi auguro.- abbassò il capo.- Sono un uomo imperfetto, e non ti prometto che a volte non avrò voglia di stare da solo, o sarò un po’ scontroso, ma ti prometto che ti amerò con passione e con rispetto fino a quando la vita scorrerà nelle mie vene e la mia anima vivrà con la tua.

Trattenni un singhiozzo, asciugandomi una lacrima che scorse lungo la mia guancia. Non esisteva una proposta più bella di questa.

-Io… ti amo profondamente anch’io Terence. E grazie, grazie per avermi reso così felice. - singhiozzai leggermente, stringendolo tra le mie braccia.

***

Io e Terence ci sposammo qualche mese dopo, ad agosto.

La nostra fu una cerimonia semplice. La messa fu celebrata in una piccola chiesa in campagna vicino alla mia casa di nascita, con mio padre che mi guardava commosso accanto a quella che era diventata la sua compagna, la signora Ford. A tutto questo seguì un semplice banchetto all’aperto, complice anche il bel tempo, che fu organizzato grazie ad Abbie, a Barbara (con il suo pancione un po’ più grande) e a Freddie.

Ci eravamo divertiti, soprattutto io, fasciata nel mio abito bianco. Lungo, semplice, di taffetà, con uno scollo a barchetta e delle maniche a tre quarti di raso, una gonna leggermente a ruota e le mie Mary Jane bianche, dalla punta tonda e dal tacco basso.

Era piovuti tanti sorrisi quel giorno, oltre che confetti, soprattutto da parte di Abbie che si sarebbe sposata anche lei a breve, e da mio padre, la piccola grande luce della mia vita.

Fu un bel giorno quello. Il mio Terence era super elegante nel suo smoking nero, e con la camicia bianca. Suo fratello era venuto, accompagnato da sua moglie in dolce attesa, facendoci i suoi migliori auguri, chiedendo scusa anche a me e dandomi un bacio sulla guancia. Assomigliava poco a suo fratello, ma mi fece un' impressione positiva. Forse era davvero stata sua sorella a fungere da burattinaia, quando si trattava di andare contro Terence. Suo padre e sua sorella, invece, non si erano fatti mai sentire, ma poco importava. Erano loro a perdere molto, e non di certo noi.

La torta che mangiammo fu buonissima. Avevo insistito per farla preparare e decorare da quella che era diventata la moglie di Harrison. Una donna dalle guance rosse e dai brillanti capelli tinti di nero, che era convolata a nozze solo un mese prima, con una semplice cerimonia al comune, con l’autista più buono che conoscessi.

C’era persino Tessa che con i capelli ramati, un po’ più lunghi di come ricordavo, si teneva per mano con un bel ragazzo, sorridendoci felice. Era stato anche grazie a lei, se non soprattutto, che io e Terence eravamo insieme in questo momento.

E infine io e quello che era diventato mio marito ci concedemmo l’ultimo ballo. Optammo per  “Mad World”, cantata da Gary Jules. Per ovvi motivi. Danzammo quando era già sera, con solo delle piccole lucine bianche inserite nelle fronde degli alberi che ci facevano da scenario, guardandoci negli occhi e stringendoci a vicenda, come se fossimo l’uno l’ancóra dell’altra.

Quando la festa si concluse, andammo in quella che era diventata la nostra casa, ad Edimburgo. Piccola, graziosa e tanto calorosa, con persino un camino pronto a riscaldarci in quelle che sarebbero state le nostre giornate invernali.

Ci amammo quel giorno, così come continuammo a farlo i giorni a seguire, con la piena convinzione che se avessimo avuti dei figli (ed entrambi ne volevamo) li avremmo chiamati Elizabeth e Dorian. Sì come Dorian Gray. D’altronde, non era stato anche grazie a lui che io e Terence ci eravamo conosciuti?

Il resto della mia vita non ve lo racconterò, perché anch’io dovevo ancora viverlo, ma ero sicura che ,pur con i suoi alti e bassi, se fosse stata accanto a Terence Ashling, la mia vita sarebbe stata meravigliosa, perché ci amavamo  e ci saremmo amati per sempre, anche ad occhi chiusi.

-FINE-

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Se sentite qualcuno piangere, sappiate che sono io ( e parlo sul serio) e se sentite un cuore che fra crack sappiate che è sempre il mio.

Scrivo “Ad occhi chiusi” dal 2014, quando facevo il quarto anno del liceo, e mettere quella parola “FINE” mi ha spezzato il cuore davvero. Non scrivere più di Jane e di Terence mi mette tanta tristezza, come se mi stessero dicendo “addio”. So però che il loro è un “arrivederci” perché, quando vorrò, ci saranno sempre nella mia testa. Per esempio, adesso, li sto guardando mentre mi salutano, vestiti da sposi, su una macchina vecchia e bianca, con delle lattine attaccate sul retro e la scritta “JUST MARRIED” che troneggia dietro di loro.

Mi mancheranno anche gli altri personaggi, e mi mancherà anche Edimburgo, ma sono felice, tanto. Felice per essere riuscita a dare una fine a questa storia, e per aver ricevuto del calore da parte di tutti voi che mi avete letto e mi avete spronato a continuare a scrivere, la mia passione preferita.

Spero di tutto cuore che dall’inizio alla fine vi sia piaciuta la mia storia, e vi abbia regalato qualcosa, qualsiasi cosa: questo è il mio obiettivo, ogni volta che scrivo. Spero di non aver deluso nessuna vostra aspettativa e che anche a voi mancheranno i miei personaggi.

Ci tenevo poi a dirvi che ,visto che siamo arrivati all’epilogo, ho deciso di cambiare il rating della storia. Credo che sia più adatto un rating giallo, e non arancione come avevo pensato all’inizio. Credo non ci sia alcuna scena che preveda quello arancione, ma se ritenete più opportuno che andasse bene quello arancio, fatemelo sapere ;)

Vi voglio dire ancora GRAZIE per avermi letto e avermi seguito.

Ringrazio nel particolare: fenice65, T13_I, e Vampgiulietta per aver aggiunto la mia storia alle proprie seguite. Grazie anche a tutte le ragazze che la seguono fin dai primi capitoli e chi inizierà a seguirla.

Grazie a : pulcino piccolino per averla aggiunta alle proprie ricordate, e grazie, anche in questo caso, a chi ricorda la mia storia fin dagli inizi, e a chi la ricorderà.

E grazie a : m12, Mix, saku_93, Candy_Heart e a tutte le ragazze che preferiscono “Ad occhi chiusi” fin dal primo capitolo, e a  chi la preferirà in seguito.

Infine ringrazio anche tutte le ragazze che hanno recensito la mia storia, anche solo un capitolo. Le recensioni che ho ricevuto sono sempre state tanto belle e mi hanno scaldato il cuore. Spero di riceverne qualcuna anche per questo epilogo, per sapere se questa storia vi ha lasciato qualcosa  ^_^

Grazie di cuore a tutte, nessuna esclusa.

 In questo periodo continuerò a scrivere ovviamente. Non so se continuerò a pubblicare qui su EFP, perché noto che il sito è diventato un po’… “passivo”, ma vediamo un po’…

Sicuramente continuerò a pubblicare su Wattpad che credo conosciate tutti. Se vi può interessare mi trovate su questa piattaforma con il nickname: Rob_Granger  

Se avete bisogno di qualche informazione, di farmi delle domande, o di chiedermi qualsiasi cosa attinente alla mia storia, mi potete benissimo scrivere qui su EFP, però, e mi trovate anche su:

TWITTER: @Rob_Redmayne

FACEBOOK (account fake che uso solo per pubblicizzare le mie storie e per condividere qualche mio pensiero, ogni tanto xD ): Sara Novalis Caravaggio a cui potete chiedermi tranquillamente l'amicizia :)

Comunque, per divagare un po’, se non l’avete ancora fatto vi consiglio la visione del film “La bella e la bestia” con Emma Watson. È a dir poco stupendo! Non c’entra molto, ma tenevo a dirvelo ^^

Penso che sia arrivato davvero il momento di salutarci(si capisce che ho cercato di allungare il brodo, per non separarmi da questa storia?). Terence, Jane, Abbie, Harrison, Freddie, Barbie, Steve, Vincent e tutti gli altri, si prendono per mano e si inchinano a tutti voi ringraziandovi per averli seguiti, aver amato, e aver pianto con loro.

Vi mando un bacione ragazze.

Novalis

P.S: Non l’ho mai sottolineato, ma per sicurezza lo faccio: ogni diritto di “Ad occhi chiusi” appartiene a me. Spero che nessuno abbia mai la malsana idea di copiare il mio lavoro o quello di altri, perché ( e chi scrive, lo sa), i propri racconti sono come dei figli, che si crescono, accudiscono e a cui si danno tante attenzioni. Spero di non imbattermi mai in qualcuno che copi ciò che scrivo, ma se anche voi notate qualcosa, non esitate a segnalarmelo, mi raccomando ;)

 

   
 
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