AD
OCCHI CHIUSI
-EPILOGO-
Musica consigliata per leggere il capitolo: https://www.youtube.com/watch?v=HP6SHn2fZhk
“Lo
amavo tanto, più di quanto io stessa potessi ammettere,
più
di quanto potessi esprimere a parole.”- J.
Eyre- C. Bronte-
Non andavo in un
cimitero da tanti anni, quando l’ultimo dei miei nonni, il
padre di mio padre,
ci aveva lasciati. Era stato un giorno triste quello.
Nonostante qui,
ad
Edimburgo, i cimiteri fossero vere e proprie attrattive turistiche per
via dei
diversi personaggi famosi che vi erano sepolti e per la
tranquillità che
emanavano, essendo presenti in mezzo alla città, e non in luoghi tetri e
nascosti, a me non
erano mai piaciuti, in quanto sinonimi di perdite e di tristezza.
Quando Terence
mi aveva
chiesto di accompagnarlo al Cimitero di
Greyfriars, presente nella Old Town,
ero rimasta alquanto sorpresa. Avevo
pensato simpaticamente, che un cimitero non fosse proprio un luogo
appropriato
per un appuntamento, ma poi avevo capito che l’invito di
Terence era più di un
appuntamento. Era una richiesta. Una mano che mi stava chiedendo per
essergli
vicino in un momento delicato.
Avevamo
camminato in
silenzio, e sempre senza spiccicare una parola, eravamo giunti fino a
una
tomba. Bianca e adornata da fiori freschi e colorati, che Terence aveva
sostituito con un mazzo di profumate rose bianche.
-Era bellissima,
non
trovi?- ruppe il silenzio, stringendo forte la mia mano.
Elizabeth
Sinclair
Ashling ci guardava sorridente, da una piccola foto incisa sua una
lapide
chiara. Mi fu sufficiente guardarla per pochi secondi per ricordarmi di
averla
già vista a casa Ashling, nella stanza di Terence, in un
ciondolo a forma di
cuore appartenente a una collana, su cui era incisa la lettera
“E”. E, che ora
capii, essere di Elizabeth.
-Hai ragione.
Era
bellissima, e sai… le assomigli molto.- gli risposi,
continuando a guardare
quel bellissimo volto sorridente, circondato da una cascata di riccioli
biondi.
E non scherzavo.
Terence aveva gli stessi lineamenti di sua madre, dolci ma decisi, gli
stessi
occhi chiari, e quello sguardo sbarazzino che lo contraddistinguevano
tanto.
-Credo che una
delle
cose più brutte dell’essere diventato cieco, sia
stata non poter vedere più
nessuna sua foto. Conservavo, e conservo tutt’ora, una sua
collana, infatti,
che le regalai per il suo quarantesimo compleanno e che, poco prima di
andarsene, mi aveva restituito, dicendomi di darlo a quella persona che
mi
avrebbe fatto sentire speciale come io avevo fatto con lei. Al suo
interno
c’era una sua foto che mio padre le aveva scattato quando era
incinta di me. Da
quando persi la vista, però, non ebbi più modo di
guardare quella foto e
ricordare il suo volto, e ora finalmente eccomi qui...-
sospirò. Sentii la sua
voce leggermente incrinata, come se volesse piangere ma si stesse
trattenendo.-
Ti ringrazio per essere venuta oggi, Jane.
Lo guardai, per
poi
posare il capo sulla sua spalla. Non sapeva che io quella collana
l’avevo già
vista.
-Non devi
affatto
ringraziarmi, perché sono io che devo farlo. Grazie Terence
per avermi permesso
di conoscere tua madre.
Lui mi
accarezzò i
capelli.
-Lei era una
persona
meravigliosa. Una di quelle di cui ti basta ascoltare solo la voce, e
che ti
basta guardare negli occhi, per capire come sia fatta. Un raggio di
sole caldo,
confortevole, tenero, e dolce. Spero che mi abbia perdonato, per tutte
le
cretinate che ho fatto.- la sua voce era triste.
-Credo che non
avesse
nulla da perdonarti, Terence.- strinsi più forte la presa
delle nostre mani.-
Ti amava, e continua a farlo anche se… da lassù.-
puntai un dito verso il
Cielo.
-Ne sei sicura?-
si
voltò verso di me.
I suoi occhi
erano
lucidi, ma luminosi. Terence non aveva ricevuto molto amore nella sua
vita, se
non quello di sua madre e del suo autista. Aveva quindi molte
più insicurezze.
-Certo che lo
sono. Non
perché una persona non è più viva, non
ci è più vicina. La sua anima non
morirà
mai e quella sarà sempre al nostro fianco. Non mi hai detto
che ti è apparsa
anche in sogno?- gli ricordai.
-Sì,
è vero. Solo che,
a me… a me non bastano i ricordi o i sogni. Io avrei voluto
averla qui, con me.
Avrei voluto abbracciarla, stringerla tra le mie braccia, per dirle
quanto la
ami profondamente e per ringraziarla per avermi voluto sempre bene.
Avrei
voluto farla ridere e vedere i suoi capelli fluttuare nel vento
d’estate. Avrei
voluto assaggiare tutti quei dolci che bruciava nel forno, su cui poi
rideva
come se avesse fatto una marachella da bambini. Avrei voluto
presentarti a
lei…- sospirò di nuovo.
Io ingoiai un
groppo
che mi si formò in gola. Non volevo piangere, ma quando
Terence smise di
parlare, sentii una goccia scorrermi lungo la guancia, fuori dal mio
controllo.
-E io avrei
voluto
conoscerla.- gli risposi.
Poi rimanemmo in
silenzio.
Sulla lapide era
inciso
“In memoria di Elizabeth, madre
amorevole, moglie devota”.
Rimasi a
guardarla,
facendo più di una preghiera silenziosa. Ringraziai
Elizabeth per aver dato
alla luce un figlio meraviglioso come Terence. Per avergli insegnato i veri valori
della vita, per
averlo fatto diventare l’uomo di cui mi ero innamorata, a
poco a poco.
-Ti manca tua
madre
Jane?- mi chiese, dopo un po’.
Socchiusi
leggermente
le labbra sorpresa da questa domanda, poi sospirai e risposi.
-Mi è
mancata. Ora non
più.- mormorai.
Mia madre aveva
abbandonato me quando ero poco meno che un’adolescente, e mio
padre, sebbene
lui l’avesse sempre amata, rispettata e onorata. Ci aveva
lasciati, senza alcun
preavviso, lasciando solo uno stupido biglietto scritto a matita, e
senza farsi
mai sentire. Mai, neanche una volta.
-A mancare sono
le cose
che ti fanno stare bene, non ciò che ti fa stare male.
Quando ero una
ragazzina, mi è mancata. Ma non lei, perché lei
non è mai stata una madre
modello, ma l’idea di madre. Mi mancava l’idea di
avere una figura materna che mi
amasse come le altre madri facevano con le mie coetanee. Poi, sono
cresciuta e
anche l’idea di madre non mi è più
mancata. Ho conosciuto Abbie, ho avuto le
mie piccole grandi soddisfazioni nella vita, e ho mio padre, la persona
più
adorabile e bella che conosca.- conclusi.
Non avrei voluto
confidarmi in questo modo, ma era come se tutte le parole che avevo
pronunciato
fossero uscite da sole dalle mie labbra. E non sapevo neanche se
ciò che avevo
detto fosse vero. Sapevo che non mi mancava mia madre, ma non ero
sicura che
non mi mancasse una figura materna, a cui fare affidamento sempre e
comunque.
D’altronde, soprattutto quando ero una ragazzina, per quanto
amassi mio padre,
lui non poteva rispondere a tutte le mie domande.
-E se ti
chiedesse
scusa e ritornasse da te, adesso?- continuò, voltandosi
verso di me.
Il suo viso era
triste,
ma allo stesso momento, interessato a conoscere le mie risposte.
-Penso che le
accetterei, ma non subito. Le concederei il perdono, perché
non sono una
persona così spregevole da non farlo, ma in ogni caso non le
permetterei di
ricucire con me, né con mio padre, un rapporto che sarebbe
solo… una maschera
utile a coprire un suo errore madornale. Nella vita tutti facciamo
degli
errori, ma ce ne sono alcuni per cui è opportuno pentirsi in
tempo. Lei il suo
tempo l’ha avuto e non lo ha usato.- risposi, rendendomi
conto di quanto duro
e… triste fosse uscito il mio tono.
-È la
stessa cosa che
penso di mio padre.- aggiunse Terence a bassa voce.- Comunque, Jane,
penso che
le tue parole siano dettate dalla rabbia. Da una giusta rabbia, sia
chiaro, ma
da rabbia. Tua madre, senz’altro ha fatto un’azione
deplorevole a lasciare te e
tuo padre, ma se un giorno si ripresentasse alla tua porta, credo di
essere
abbastanza sicuro che tu gliel’apriresti.
D’altronde, se c’è una cosa che ho
capito nella vita, è che tutto è imprevedibile.
Basta poco che tutto nasca.
Basta poco che tutto crolli. Basta poco che la tua vita cambi del
tutto. E io
non so cosa darei per avere mia madre con me.
Lo guardai,
trovandomi
il suo sguardo, adesso caldo e rassicurante, ad accogliermi.
-Forse hai
ragione tu.-
feci sottovoce.
In questo luogo
sacro,
al momento visitato solo da me e Terence, e da una signora che
sorrideva di
fronte a una tomba, le parole andavano solo sussurrate.
-Deduco, quindi,
che
anche tu perdonerai tuo padre, se un giorno venisse a bussare alla tua
porta?
Continuai a
guardare la
foto di Elizabeth sulla tomba. Così giovane e bella.
-Sì,
Jane, lo farei.
Lui è una di quelle persone che mi ha fatto più
male nella vita, se non il
peggiore, ma… lo ascolterei e, un giorno, magari non subito
, come hai detto
tu, gli darei il mio perdono più sincero. E poi, non
è anche Jane Eyre che dice
a sua zia: “Amatemi, allora, o
odiatemi,
come più vi piace. Io vi perdono liberamente e pienamente:
chiedete il perdono
di Dio; e siate in pace.”?
Mi voltai a
guardarlo,
stupefatta che si ricordasse a memoria un passo del mio libro preferito.
-Come fai a
ricordare a
memoria una citazione intera?- feci curiosa.
-Anche se
preferisco la
letteratura russa, come ti ho già detto, non ho mai sdegnato
quella inglese. Ho
letto Jane Eyre tre volte, una delle quali poco prima di scriverti la
lettera,
e ho un’ottima memoria fotografica.- mi spiegò.
-È
una frase
bellissima. Quello di Jane Eyre è un gesto toccante.- gli
risposi.
-Lo
è, in effetti.-
continuò.
Poi,
calò nuovamente il
silenzio su di noi. Terence osservava la tomba con sguardo attento,
come se
volesse fotografare la foto di sua madre fin dentro la sua anima.
-Penso che tu un
po’ le
somigli, Jane.- continuò.- Avete lo stesso candore, la
stessa purezza, la
stessa dolcezza. E sono felice che oggi vi siate incontrate.
Mi ritrovai a
sorridere,
felice e profondamente colpita per le sue parole.
-Sono orgogliosa
di
assomigliarle, allora.
Terence mi
sorrise, poi
avvicinò le sue dita prima alle labbra e poi alla foto di
sua mamma, come a
volerle lasciare un bacio.
-Vuoi parlare un
po’
con lei, da solo?- gli domandai.
-No, Jane. Le ho
detto
tutto quello che volevo dirle. E poi, ho deciso di venire a salutarla
ogni
giorno della settimana.- fece un mezzo sorriso.
-E io
verrò con te, se
vorrai.- lo guardai.
***
Un
anno- e qualche mese -dopo…
-Non ci posso
credere!
Ma che meraviglia! Un bambino, sul serio?- strillò Abbie per
la centesima
volta.
-Sì
Abbie, un bambino.
Un bebè, un infante, un fagottino cuccioloso.- le spiegai
paziente.
-Oddio che
bello. Sono
tanto felice per Barbara. È incredibile la gioia che si
possa provare quando si
sa dell’avvento di una nuova nascita.- si commosse
leggermente.
Era appena
tornata da
un breve viaggio fatto con il suo Thomas. Avevano visitato alcune
cittadine
spagnole, tra cui Madrid e Barcellona.
-Hai proprio
ragione.
Ce l’ha detto ieri mattina in ufficio. Ha scoperto di essere
incinta di tre
settimane. Questa sera andremo tutti insieme al “Queen
Victoria” per
festeggiare la bella notizia.
Abbie mi
sorrise,
piegando alcune magliette e mettendole dalla valigia
all’armadio. Era
leggermente abbronzata e i suoi occhi erano ridenti.
-Comunque,-
continuai,-
com’è andato il viaggio? Ti sei divertita?- mi
avvicinai a lei, per aiutarla a
riporre alcune cose ancora presenti nel trolley.
-Benissimo. Tom
è stato
meraviglioso. Mi ha portato a vedere tutti i monumenti più
belli della città,
abbiamo mangiato in ristoranti stupendi, ho comprato diversi souvenir e
ovviamente ho scattato delle foto troppo belle.- fece un sorriso a
trentadue
denti.
Fui molto
contenta per lei.
-E tu?-
continuò,- cos’hai fatto con Terence in
questa settimana? Non è che anche tu sfornerai un bel
bambino, a breve?- mi
fece l’occhiolino, maliziosa.
Io arrossii per
la sua allusione.
-Abbie!- la
ripresi, infatti.- Potrei chiederti la
stessa cosa?- la sfidai con lo sguardo.
Fu il suo turno
di arrossire. Poi, ridemmo subito
dopo.
-Comunque
è andato tutto bene. Ci siamo visti meno
questa settimana, perché è stato impegnato con le
lezione all’ Accademia.
Quest’anno, come sai, ha iniziato il tirocinio e si sta
dividendo tra la radio
e un museo.- risposi.- In compenso, la settimana prossima per
festeggiare il
mio compleanno, ha detto di aver organizzato una giornata solo per noi
due.-
finii entusiasta.
-Che bellezza.
Sono troppo felice.- posò un
pantalone e poi mi abbracciò da dietro.
-Lo sono
anch’io. E poi sai, mio padre ha finalmente
deciso di dare una chance alla signorina Ford, la donna che lo
interessava. È
da qualche mese che fa il vago durante le nostre telefonate, ma sono
abbastanza
sicura che siano usciti insieme già alcune volte.-
ridacchiai, posando le mie
mani sulle sue.
-Se lo merita
proprio tanto.- la sentii sorridere.
Era bella la
presenza di Abbie nella mia vita.
Sempre positiva, frizzante, allegra, pronta ad ascoltarmi e a essermi
vicina
nel momento del bisogno e non. Se non fosse stato per lei non avrei
probabilmente vissuto tanti momenti meravigliosi nella mia vita. Mi
piaceva
considerarmi una persona forte, ma non sempre era facile esserlo, era
allora,
in quei momenti, che Abbie mi dava la carica per superare tutto, al
meglio.
Ricordavo ancora
quando l’avevo incontrata la prima
volta. Dopo la laurea, avevo deciso di trasferirmi definitivamente da
Aberdeen
ad Edimburgo. Avevo voglia di cambiare vita, di diventare autonoma e
indipendente. In più, avevo letto dell’Edinburgh
Fashion Magazine, una delle
riviste verso cui puntavo, ed avevo tutta l’intenzione di
mettermi in gioco e
di provare.
Ovviamente non
avevo chissà quale disponibilità
economica con me, e di certo non volevo pesare su mio padre che
già mi aveva
prestato del denaro per finanziare gli studi e le prime spese. Fu
così che andai
alla ricerca di una casa in affitto che mi permettesse di dividere i
diversi
pagamenti con qualcun altro. Trovai un annuncio scritto proprio da
quella che
adesso era la mia migliore amica. Quando bussai alla sua porta, mi
accolse con
i bigodini nei capelli scuri, gli occhialoni da vista calati sugli
occhi, e con
una mano smaltata di viola. Ammetto che mi destò subito
simpatia.
-Bene. Finisco
dopo di svaligiare le mie cose. Vado
a farmi una doccia, così dopo passiamo una serata da
ragazze. Ci stai?- mi
propose, poi allontanandosi da me.
-Ci sto. Ma il
film lo scelgo io.- le feci la
linguaccia.
***
Okay, era tutto
pronto.
Terence non
aveva voluto anticiparmi nulla sull’uscita
che aveva organizzato per noi due. Inutile dire che mi sentivo
elettrizzata
all’idea di quello che mi sarebbe aspettato.
-Ehi ventottenne
sei pronta? – fece la sua entrata trionfale
la mia migliore amica.
-Credo di
sì.- sorrisi, chiudendo la zip della mia
borsa e osservandomi un’ultima volta allo specchio.
Per fortuna la
giornata era luminosa e un caldo sole
faceva capolino nel cielo.
Terence mi aveva
detto di vestirmi in una maniera
comoda, così avevo optato per un paio di jeans, scarpe da
tennis nere e una
camicetta verde acqua. I capelli mossi, irrimediabilmente sciolti e un
filo di
lucidalabbra rosso completavano il tutto.
-Sei bellissima,
ma adesso esci dalla tua camera,
ché il tuo bel tenebroso è appena arrivato.
-È
già arrivato?- feci sorpresa.- Non mi dà neanche
il tempo di spruzzarmi due gocce di Chanel n.5?- strabuzzai gli occhi,
prendendo
in giro la mia amica, e prendendo un po’ del mio profumo (no,
non Chanel)
fruttato.
-Jane, visto che
ne hai parlato tu… ti abbiamo
realmente regalato uno Chanel n.5.- Abbie si morse le labbra, con gli
occhi
ridenti.
-Cosa?- sgranai
gli occhi,- ma se prima mi hai detto
che per il vostro regalo dovevo aspettare domani.- posai una mano sul
mio
fianco.
-Beh…
è vero. Te lo daremo domani, ma visto che te
lo sei auto spoilerato…- lasciò la frase in
sospeso.
Io scossi il
capo, ma poi mi avvicinai a lei e
l’abbracciai forte.
-Beh allora
grazie mille. Non dovevate spendere
tutti quei soldi per un semplice regalo di compleanno.
La mia amica mi
scostò leggermente da sé.
-A parte che
hanno collaborato al regalo anche i
tuoi colleghi, e quindi il costo finale non è pesato a
nessuno, ti meriti
questo e altro, baby.- mi strizzò l’occhio.
-Grazie.- le
diedi un bacio sulla guancia.
-Su, ora fila
dal tuo Terence. Ti aspetta fuori,
nella sua macchina figa.- mi diede un pizzicotto sulla guancia, prima
di
spintonarmi fuori la porta della mia stanza.
Quando raggiunsi
l’ingresso, la salutai
ulteriormente, e poi uscii.
Il mio ragazzo
era appoggiato alla sua auto, una
Peugeot nera, con gli occhi puntati verso un libro, e una mano nella
tasca dei
pantaloni. Avrei voluto avere una macchinetta fotografica solo per
scattargli
una foto in questo momento.
-Ehilà
bell’imbusto.- lo salutai, avvicinandomi a
lui.
-Ciao Jane
Ryan.- ricambiò il saluto, sorridendo
leggermente e richiudendo il libro.
Notai che il
romanzo in questione era “La mite”
di Dostoevskij.
Gliel’avevo regalato per il precedente Natale.
-Pronta?- mi
domandò, avvicinandomi a sé, per poi
lasciarmi un leggero bacio, prima sulle
labbra e poi sulla mia mano. Questi suoi gesti da cavaliere
d’altri tempi mi
mandavano fuori di testa.
-Se non mi dici
dove stiamo andando, non posso
sapere se sono pronta.-gli risposi, puntandogli il dito contro.
-Credo che tu lo
sia.- mi lasciò un bacio sui
capelli, e poi salì in macchina.
Io sospirai e mi
accomodai al suo fianco, in poco
tempo.
Ci mettemmo la
cintura di sicurezza e poi accese la
radio, da cui si trasmisero le note di “Sultan of Swings” dei Dire Straits. Beh, almeno il viaggio
partiva bene.
-Quindi non mi
dirai nulla di nulla, finché non
saremo arrivati in questo famigerato posto?- presi a guardarlo.
Indossava una
camicia azzurra arrotolata fino ai
gomiti e dei blue jeans. Mi soffermai sul suo profilo elegante e poi
sulle sue
mani da pianista. Una sul volante e una sullo sterzo. Erano belle,
forti e
curate. Davano un senso di sicurezza.
-Esattamente.-
si voltò un attimo verso di me,
sorridendomi di uno dei suoi mezzi sorrisi.
-Bene. Ma mi
vendicherò Terence Ashling, è una
promessa.- gli feci una linguaccia.
Lo sentii
ridere.
-Comunque, ho
notato che stavi leggendo il libro che
ti ho regalato a Natale. Ti sta piacendo?- domandai, curiosa.
-Assolutamente
sì. Dostoevskij rimarrà sempre il mio
preferito.
Sorrisi
soddisfatta, poi presi a guardare fuori dal
mio finestrino.
Man mano che
l’auto procedeva iniziai a riconoscere
i luoghi che ci circondavano.
-Ti dico solo, e
lo faccio solo perché è il tuo
compleanno, che ci metteremo poco più di tre ore per
arrivare in questo posto.-
mi disse, quando si fermò ad un semaforo.
-Ah
sì?- cercai di indagare,- quindi è fuori da
Edimburgo. Interessante!- constatai, mettendomi una mano sotto il mento.
-Brava piccola
Sherlock Holmes. Se vuoi, prova ad
indovinare.- mi lanciò uno sguardo di sfida.
Ci pensai su.
Erano diverse le cittadine che
distavano circa tre ore da Edimburgo, quindi non era facile indovinare.
-È
troppo poco un indizio, Terence. Proprio perché è
il mio compleanno dovresti aiutarmi di più.- mi lamentai
come una bambina.
-Devi solo
pazientare Jane Ryan. Nel frattempo,
leggi il libro che mi hai regalato a Natale.- rise, facendo finta di
non
ascoltare il mio tono lamentoso.
-Cosa? Io?
Dostoevskij?- fu il mio turno di ridere,-
non è il mio genere, lo sai.
-Lo so! Ma devi
provarci. È un romanzo avvincente e,
fidati ,che leggendolo il tempo trascorrerà più
in fretta. Ti lancio il guanto
di sfida.
-Bene. Facciamo
quindi che a ogni capitolo che
finisco di leggere, mi dai un aiutino?- stetti al suo gioco.
-E sia.- mi
sorrise.
Fu
così che presi “La mite”
e iniziai a leggerlo.
***
Quando Terence
parcheggiò vicino ad un posto,
rialzai la testa dalle pagine del libro. Tirai su col naso e mi
asciugai una
lacrima dalla guancia.
Alla fine i
capitoli mi avevano così preso che non
gli avevo chiesto neanche un indizio. Il romanzo era davvero avvincente
e molte
scene mi avevano portato, inevitabilmente, a commuovermi.
-Mi sembra quasi
che tu non voglia più smettere di
leggere, vero Jane Ryan?- Terence mi stava aprendo la portiera.
Annuii con la
testa, poi misi il libro in borsa.
-Mi sa che non
te lo restituisco più.- presi la sua
mano e in men che non si dica mi trovai all’aperto.
Osservai
ciò che mi circondava, cercando di capire
dove fossimo.
-Oddio non
sarà mica Inverness?- feci incredula,
mentre Terence chiuse lo sportello dietro di me. Notai che in un mano
aveva un
cestino da pic-nic, preso chissà quando, e che una montatura
da sole gli copriva
gli occhi.
Era strano
vederlo con gli occhiali da sole. Mi
ricordava il Terence che avevo conosciuto.
-Credo proprio
che lo sia.- mi sorrise, prendendomi
per mano e iniziando a camminare.
-E ora dove
andiamo?- domandai.
-Ti porto ad
incontrare il mostro di Lochness.-
rispose, senza voltarsi verso di me.
Il sole era alto
nel cielo, c’erano poche persone
disseminate per le strade e una leggera brezza iniziò a
farci ondeggiare i
capelli nell’aria.
Decisi di non
chiedere altro, e di seguirlo in
silenzio.
Terence
camminava deciso, lasciando qualche ragazza
a bocca aperta, mentre io me la ridevo sotto i baffi per essere la
fortuna che
gli era accanto.
Non ci volle
molto prima che si fermasse, di fronte
al lago più famoso di tutti i tempi.
-Benvenuta a
Lochness, Jane Ryan.- mi sorrise,
voltandosi verso di me, gli occhi chiari ben oscurati dalle lenti.
Rimasi a
guardare il panorama mozzafiato che mi
circondava, schiudendo le labbra e chiedendomi perché
Terence avesse scelto
questo posto.
-Perché
mi hai portato qui?- diedi voce ai miei
pensieri, guardandolo.
Il sole di
mezzogiorno rischiarava i suoi capelli e
colorava la sua carnagione.
-Perché
è un bel posto e io amo la bellezza. Un
giorno, quando venni a pranzo a casa tua, ti dissi che non avevo mai
visto
questa città. Così ho deciso di portarti con me.-
mi rispose, sorridente.
Io continuai a
fotografarmi con la mente il panorama
da mozzafiato che mi si stagliava di fronte.
-Grazie.
È splendido qui.- gli risposi.
Terence di
risposta, rimase prima a fissarmi, per poi
circondarmi la vita con un braccio. Appoggiai
automaticamente il capo sulla sua spalla.
-Ti propongo
questo itinerario: passeggiata per la
città alla ricerca dei luoghi più belli, picnic
di fronte al lago per l’ora di
pranzo, e infine gita sul lago di Lochness.- vidi con la coda
dell’occhio che
mi guardò.
-Ci sto.- gli
risposi, sorridendo.
Così
detto, rimanemmo qualche altro istante a farci
accarezzare dal fresco vento primaverile, per poi iniziare a camminare.
Sebbene Terence
non avesse mai visitato la
città, sembrava
molto sicuro dei suoi
passi e delle direzioni in cui mi stava conducendo.
Mi
portò prima a visitare la Church
Street, la via più antica della città,
dominata dalla torre
campanaria, piena di negozietti sfiziosi e colorata da diverse persone
che
passeggiavano con spensieratezza.
Poi mi condusse
verso l’ Inverness Museum and Art
Gallery, un museo ricco di tesori
risalenti ai vichinghi. Terence fu felice di mostrarmi le sue
abilità
artistiche descrivendomi ciò che ci fronteggiava meglio di
una qualunque guida
turistica. Quando parlava di arte, diventava ancora più
bello. I suoi occhi si
illuminavano e brillavano come le stelle di agosto. In più
spiegava tutto con
incredibilità facilità e spontaneità.
Già me lo immaginavo in un museo a fare la
guida, con tutte le ragazzine a guardarlo adoranti. Poi ci fermammo in
alcun
negozietti di souvenir, da cui uscimmo con un paio di cartoline del
luogo, una
calamita da frigorifero, e due braccialetti che ci scambiammo.
Il tempo
trascorse incredibilmente in fretta, tant’è
che l’ora di pranzo si fece vicina in men che non si dica.
Terence mi chiese di
scegliere tra due monumenti quale visitare, prima del pic-nic, e io
optai per
il Cawdor Castle, un castello che
sapevo essere legato alle vicende del Macbeth
di Shakespeare. Questa volta fui io
la più esperta tra noi due. Ricordavo ancora come amassi il
famoso poeta
inglese al liceo, e come avessi divorato numerose sue opere fin
dall’adolescenza. Facemmo in tempo ad osservarlo
all’interno, con i suoi
passaggi segreti, le sue prigioni e con persino un albero cresciuto
all’interno
delle mura. Infine, prima di andare a pranzo, ci facemmo coinvolgere
dalla
bellezza dei giardini esterni, colorati dalla primavera.
Felici ma un
po’ stanchi, poi, ci avviammo
nuovamente verso i paraggi di Lochness.
Quando
arrivammo, Terence scelse un posto un po’
appartato, vicino a un grande albero. Posizionò una
tovaglietta che prese dal
suo cestino e poi uscì alcuni tramezzini, della frutta di
stagione, e delle
bevande.
-Wow Terence
Ashling… questa volta ti sei superato!
Hai preparato tutto nei minimi dettagli.- gli sorrisi, divorando con lo
sguardo
ciò che mi si presentava davanti.
-E non hai
ancora visto il dolce. – si sfilò gli
occhiali da sole che appoggiò sul colletto della camicia, mi
fece l’occhiolino,
e si sedette vicino a me.
-Il dolce?-
domandai, curiosa.
Mi voltai verso
di lui. Mi erano mancati i suoi
occhi.
-Certamente
Jane. Che compleanno sarebbe senza dolce?-
disse, prima di sorridermi.
Sorrisi
anch’io felice e serena. Era così bello
essere qui, in questo momento, con una persona speciale come lui.
-Bene, da dove
vuoi cominciare?- mi chiese,
invitandomi con gli occhi a prendere qualcosa.
Feci vagare il
mio sguardo, per poi optare per un
tramezzino al tonno. Terence ne scelse uno al prosciutto.
Mangiammo in
silenzio, osservando tutta la bellezza
che ci stava abbracciando.
-Perché
mi chiami spesso Jane Ryan?- gli chiesi,
dopo un po’.
Terence prese
a fissarmi, curioso per questa domanda.
-Come dovrei
chiamarti?- fece, senza capire.
-No, dico,
perché aggiungi anche il mio cognome dopo
il nome?- spiegai meglio.
-Ah…-
continuò,- perché è bello. Semplice,
breve, e
dolce. Ha un bel suono e mi piace chiamarti così. Ti
dà fastidio che lo faccia,
Jane Ryan? - mi sorrise.
-Assolutamente
no, signor Ashling.- gli sorrisi,
anch’io.
In effetti la
mia era una domanda che desideravo
chiedergli da tempo.
Poi mangiammo in
silenzio. Nella nostra zona, avanti
a dove eravamo noi, iniziarono ad arrivare turisti che armati di
macchine
fotografiche, scattavano il lago più leggendario di sempre.
Dopo aver finito
di consumare i panini, mangiato
alcune pere e dell’uva gialla, infine Terence si
schiarì la voce annunciando il
dolce. Si avvicinò al cestino del picnic e ne estrasse, in
pochi secondi, una piccola
torta al cioccolato decorata con alcune piccole fragole.
Appena la vidi
battei le mani, come una bambina. Era
bellissima. Mi ricordava tanto una torta che mi aveva fatto mio padre
per i
miei 12 anni. Parlando di lui, ci eravamo sentiti la mattina per
telefono, ma
la prossima domenica ci saremmo visti di persona, perché
aveva insistito per
incontrare Terence, di cui gli avevo tanto parlato. Non vedevo
l’ora di
abbracciarlo e di incontrare la signorina Ford.
Poi, con mia
somma gioia, Terence pose due candeline
che unite davano il numero ‘28’, sullo strato
superficiale di cioccolato.
-L’ho
fatta cucinare dalla compagna di Harrison.
Spero ti piaccia.- aggiunse, accendendo con un accendino le candeline.
Il vento fece
muovere leggermente le fiammelle, ma
per fortuna non si spensero.
-Buon
compleanno, Jane. Esprimi un desiderio.- mi diede
due baci sulle guance, poi prese la mia mano poggiata sulla tovaglietta
e mi
sorrise.
Rimasi qualche
istante a guardare prima gli occhi
profondi di Terence e poi le candeline. Un desiderio? Avevo
già tutto quello
che potevo desiderare, ma… forse c’era una cosa
che avrei voluto che accadesse.
Espressi il mio
desiderio e poi soffiai le candeline.
-Fatto.- sorrisi
entusiasta.
-Bene.- sciolse
la presa dalla mia mano, in seguito
tagliò due fette di torta che mise in due piattini di
plastica arancioni.
-Grazie.- gli
risposi quando mi diede la mia fetta,
riferendomi anche a tutto il resto.
Lui, di
risposta, mi scoccò un bacio sulla guancia,
facendomi arrossire.
-Sono io
l’unico che deve dire grazie, Jane Ryan.-
continuò, incredibilmente serio.
Io feci un mezzo
sorriso e poi presi a mangiare la
mia torta.
-Mi hai detto
che l’ha fatta la compagna di Harrison?-
domandai.
-Esatto. Non ti
ho parlato mai di lei, se non un
accenno al fatto che si trovi in un pensionato. Ricordi?
Ci pensai un
attimo su.
-Sì.
Me lo dicesti il giorno in cui andammo al
centro di riabilitazione, per la prima volta.
-Giusto.
Beh… diciamo che, anche se non parlo con
mio padre da più di un anno, il mio cognome ha ancora un
certo fascino alle
orecchie delle persone, così sono andato a fare una
chiacchierata con i tizi
del pensionato, permettendo che la signora uscisse. Pare che non abbia
più
famigliari. Come sai, da qualche mese vivo nella casa dello studente
vicino
all’università, così possono vivere
insieme a casa di Harrison.- mi spiegò,
portandosi alle labbra un pezzo di torta.
Questo dolce era
incredibilmente buono.
-Harrison,
insieme a te, è l’unico che mi sia
rimasto vicino e devo fare di tutto per renderlo felice e non pesargli
troppo
sulle spalle. Sai quanto lui abbia fatto per me, ed è giusto
che ora inizi a
ripagarlo dei suoi sforzi. Non mi aveva mai parlato
dell’esigenza di voler
rivedere la donna di cui è innamorato, ma ora che abbiamo
vissuto insieme un
po’ e che non lavora più per mio padre, ho capito
che dovevo fare qualcosa per
unirli. In più ho anch’io la necessità
di sentirmi completamente indipendente.
Lo guardai,
annuendo.
-Secondo me
potresti provare a mandare alcuni
curricola a dei centri d’arte. Ti posso assicurare che le tue
conoscenze
artistiche sono molto elevate e che il modo in cui spieghi è
sublime.- gli feci
sincera.
Lo vidi
arrossire leggermente. Non succedeva spesso
che si imbarazzasse, visto che il più delle volte era lui ad
imbarazzare me, ma
quando succedeva diventava immensamente dolce.
-Ho intenzione
di farlo a breve. Credo che il
proprietario del museo presso cui sto facendo il tirocinio, mi abbia
preso in
simpatia, quindi vedrò di battere il ferro finché
è caldo.
-Ottima idea.-
mi trovai d’accordo con lui.-
Comunque ringrazia questa signora e dille che la torta è
buonissima.
-Sarà
fatto.- mi sorrise.
Continuammo a
mangiare il dolce, in silenzio, facendoci
cullare dal vento e dalla melodia delle risate dei bambini che
passavano da lì,
tornando da scuola.
Dopo che finimmo
di mangiare, ripulimmo tutto e
sistemammo le varie cose nel cesto.
-Ho prenotato
una barca per le quattro del
pomeriggio. La guiderò io.- mi disse, prendendomi per mano e
iniziando a
passeggiare nei dintorni. -Comunque Jane, c’è una
cosa che non ti ho mai detto.-
si schiarì la voce.
-Ah
sì?- lo guardai, in attesa e anche un po’ in
ansia.
Tra le cose
più belle dell’esserci messi insieme,
c’era sicuramente il fatto che Terence fosse diventato aperto
con me. Mi
raccontava tutto di quello che gli succedeva, come andava a lavoro,
quando si
sentiva giù di morale e qualsiasi cosa gli andasse di farmi
ascoltare. Certo,
quel suo lato un po’ sfuggente e solitario, tornava ogni
tanto a farsi sentire,
ma d’altronde faceva parte del suo carattere, e a me andava
bene così.
-Mi ha
contattato mio fratello, circa quattro mesi
fa.- disse soltanto, quasi sussurrando, fermandosi e volgendo lo
sguardo verso
il lago.
Sgranai gli
occhi.
-Tuo fratello?
Heathcliff?- riuscii solo a dire.
Che domanda
intelligente avevo fatto. Dieci punti a
Grifondoro.
-Proprio lui.-
tornò a volgere il suo sguardo verso
di me.
-E
perché non me l’hai mai detto?- corrugai la fronte.
Avevo appena
finito di pensare che mi piacesse il
suo essere diventato aperto con me, e adesso venivo a sapere che mi
nascondeva
delle cose?
Lui si
toccò i capelli in imbarazzo.
-Diciamo che
volevo prima capire le sue intenzioni e
capire il perché si fosse messo in contattato con me. Se
fosse stato un
tentativo per farmi tornare a casa di mio padre non te
l’avrei detto, in quanto
non degno di nota, se invece avessi visto qualcosa di positivo nel suo
contattarmi, ti avrei avvisato. Ho impiegato un po’ di tempo
per capirlo.
Annuii, in
attesa di altre informazioni.
-E cosa ti ha
detto?- continuai, curiosa, inarcando
le sopracciglia.
-Si è
scusato con me.- mormorò, tornando a guardare
frontalmente a sé.
-Wow.- abbassai
il capo, permettendo ai capelli di
ricadermi ai lati del volto.
Avrei voluto
aggiungere altro, ma per il momento non
riuscivo a spiccicare parola. Heathcliff, il fratello gemello che
insieme a
Catherine aveva fatto tanto male al mio Terence, ora si era scusato con
lui.
-Ha sorpreso
anche me. Non so come abbia fatto ad
avere il mio numero, fatto sta che mi ha telefonato qualche tempo fa.
Mi ha
proposto di andare a bere qualcosa con lui, diverse volte, e
io… l’ho fatto.
Sentivo che dovevo farlo. Abbiamo parlato un bel
po’…
Mi voltai per
incontrare il suo sguardo.
-Quindi si
è scusato. E come… cosa ti ha detto
esattamente?- ripetei la mia precedente domanda.
Terence fece
spallucce. Poi spostò con la scarpa un
sassolino sotto di lui, con sguardo basso.
-Semplicemente
che è stato un grandissimo idiota e
che gli dispiace per aver contribuito alle mie sofferenze. Mi ha detto
che ha
smesso di parlare con Catherine, che, ha aggiunto, essere stata la
causa di
tanti suoi comportamenti.
-Troppo facile
così, però. Ha dato tutta la colpa a
tua sorella?- feci io.
-No. Si
è assunto la sua responsabilità, dicendomi
di essere stato uno stupido, ma sottolineando quanto si sentisse
più
affezionato a nostra sorella, e di come molte volte le sia andato
troppo
dietro, ascoltando ogni suo suggerimento.- rispose.- Mi ha detto poi
che
l’impresa di mio padre è ancora in piedi grazie ad
un fidanzamento tra mia
sorella e un tizio che neanche conosco. Avevo letto qualcosa in giro,
ma
ammetto che non mi ero mai interessato.- continuò, con voce
fintamente distaccata.
Da quando
Terence si era separato dalla sua
famiglia, non avevamo più parlato della Ashling Corporation,
né di suo padre o
dei suoi fratelli. In più avevamo provato a stare lontani
dalle tv o dai
giornali che potessero parlarne, per non rimmergerci in faccende
spiacevoli.
Sapere che ora suo padre aveva pensato di manipolare sua figlia
Catherine, come
aveva fatto l’anno prima con Terence, mi fece capire come
certe persone non
cambino mai perché non vogliano farlo.
-E come mai si
è deciso a scusarti solo adesso?
Voglio dire, è passato più di un anno
dall’ultima volta che l’hai visto in
ospedale…- lasciai la frase in sospeso.
Terence
sospirò, mettendo le mani nelle tasche. Poi
volse lo sguardo verso il lago.
-Credo che abbia
trovato il coraggio di farlo solo
adesso.- rispose.
Io lo guardai,
ferma al suo fianco.
-E a te sta bene
come cosa?- gli domandai.
Lui
annuì con il capo.
-Penso di
sì,- continuò,- di certo non dimentico i
nostri attriti ma…,- si fermò,- credo di aver
bisogno anche di lui, di una
persona che abbia il mio stesso sangue, nella mia vita. Ci siamo
incontrati
diverse volte in questo periodo, e ho cercato di capire se fosse
sincero.
Jane,- si voltò verso di me.- tu mi hai insegnato tante
cose, lo sai?
Rimasi impalata,
con le labbra leggermente socchiuse
a guardare quegli occhi verdazzurri che mi guardavano come se fossi un
gioiello
prezioso.
-Sì?-
mi uscì soltanto.
Lui sorrise.
-Sì.
Mi hai insegnato che nella vita non è bello
stare soli, ma è bello avere al proprio fianco qualcuno che
ci voglia bene e
che ci ami.- concluse.- Io voglio credergli, voglio avere fiducia che
mio
fratello possa voler realmente allacciare un rapporto con me.
D’altronde non
avrebbe alcun interesse a fingere.- fece un mezzo sorriso.
Io lo guardai ,
annuendo.
-Sono felice per
te Terence. Sono felice che tu
abbia imparato a dare fiducia al prossimo. Sono felice che tu abbia
deciso di
aprire il tuo cuore. Sono felice che tuo fratello abbia fatto questo
passo.- lo
abbracciai di slancio.
Lui ricambio la
stretta, affondando il suo sorriso
nei miei capelli profumati del mio shampoo alla pesca.
-Mi spiace
avertene parlato solo adesso, ma prima
non mi sembrava il momento adatto, sapendoti impegnata anche al
Giornale.-
aggiunse.
-Non fa nulla,
ma comunque non devi farti alcun
problema Terence. Ci sarò sempre per te, tutto il resto
passerà sempre in
secondo piano.- gli feci sincera.
Lui mi strinse
più forte a sé.
Rimanemmo
così a lungo, con il vento che ci danzava
attorno, e con le nuvole che ci sorridevano dal cielo turchese.
Poi ci
scostammo, entrambi felici.
-Vieni, andiamo
a fare il nostro giro in barca. Ho
una cosa da chiederti.- mi prese per mano.
-Cosa?- feci
curiosa, seguendolo.
-Sei poco
paziente Jane Ryan.- rispose continuando a
camminare. Poi mi condusse verso un molo. C’erano attraccate
diverse barche e
un uomo anziano era seduto su una sedia in legno, con un giornale in
mano.
Intanto cercai
di capire cosa volesse domandarmi.
-Salve signore.
Sono Terence Ashling, il ragazzo che
le ha telefonato il mese scorso…
Il mese scorso?
Terence aveva organizzato questa
giornata già da così tanto tempo? Sorrisi.
-Ah
sì sì, ho capito chi è lei.- il
signore gli fece
un occhiolino.
Cosa? Un
occhiolino?
-Sì…-
Terence lasciò la frase in sospeso,
insospettendomi.- Possiamo usare la barca per un’ora giusto?
-Sì,
signore. Prego,- disse alzandosi e
avvicinandosi a una barca a remi dipinta di rosso, e con la scritta
“Penelope”
verniciata di bianco su un fianco.
Slegò
una corda che la teneva legata al molo e ci
invitò a salirci su.
Terence mi prese
per mano, salendo per primo con
agilità e poi aiutandomi a salire insieme a lui. Non ero mai
stata su una barca
a remi, e appena ballò
un po’ sotto il
mio peso, mi spaventai leggermente, ma quando Terence strinse forte la
presa
sulle mie mani, mi tranquillizzai e mi sedetti di fronte a lui.
-Non
allontanatevi troppo, signori. Questo è il
biglietto con le tariffe e gli orari. – ci disse
l’uomo dandoci un bigliettino
bianco.- e fate attenzione al mostro di Lochness… non si sa
mai quando potrebbe
fare la sua comparsa.- ci strizzò l’occhio, prima
di spintonare la barca per
farla andare a largo.
Terence
ridacchiò, io… un po’ meno. Nessuno
aveva
prove che il mostro fosse vero, ma neanche che non
lo fosse.
-Non sapevo che
tu sapessi guidare una barca a
remi.- osservai, guardandolo muovere i remi lentamente.
-Infatti non
è che abbia chissà quale esperienza. Un
giorno ti raccontai che d’estate, quando io e i miei fratelli
eravamo piccoli, la
mia famiglia passava le vacanze a Nairn. Qui andavamo spesso al mare, e
… mio
padre ci insegnò ad andare in barca.- spiegò,
abbassando un attimo lo sguardo,
quasi… dispiaciuto nel rinvangare certi ricordi.
Allora suo padre
non era sempre stato
una persona fredda e calcolatrice.
-Capisco.- gli
risposi, sorridendogli leggermente.
Poi feci volgere
il mio sguardo su ciò che ci
circondava. Sembrava di essere all’interno di un affresco o
di una fotografia. Degli
uccellini cantavano sulle fronde degli
alberi in lontananza, le nuvole bianche si spostavano lentamente sopra
di noi,
assumendo le forme più strane, e una piacevole brezza ci
sfiorava la pelle ed i
capelli. Mancava un concerto di violini e di violoncelli, e mi sarebbe
sembrato
di essere in un film.
Amavo la mia
Scozia. Così bella. Così leggendaria.
Con i suoi castelli, i suoi monumenti, i suoi paesaggi mozzafiato, le
sue
musiche e le sue tradizioni. Non avrei abbandonato la mia terra per
nulla al
mondo.
-E se davvero
uscisse Nessie?- gli chiesi,
stringendo la mia borsetta tra le braccia.
-Beh avremo un
testimone in più.- rispose Terence,
stringendosi nelle spalle.
Non riuscivo a
capire.
-Testimone? A
cosa?- risi nervosamente.
-Abbi pazienza
Jane.- si limitò a dire, sorridendo e
continuando a remare.
Quante volte mi
aveva detto oggi di avere pazienza?
Rimasi in
silenzio, con solo il cuore a martellarmi
più forte nel petto, per cercare di capire cosa gli stesse
frullando per la
mente. Aveva stampato sul viso un sorriso divertito, mentre spingeva i
remi
contro l’acqua.
Mi sporsi
leggermente verso il lago, osservandone la
profondità. Il sole si ergeva ancora nel cielo, ma fra non
molto avrebbe
iniziato a tramontare, e si sarebbe specchiato sulla superficie
dell’acqua,
colorandola di un caldo arancione.
Mi ritrovai a
pensare, vedendo me stessa riflessa
sull’acqua, che solo un anno prima a quest’ora
stavo festeggiando i miei
ventisette anni con mio padre e la mia migliore amica in un ristorante,
che la
mia vita era totalmente diversa, che non avevo scritto un articolo che
aveva
avuto la prima pagina e che aveva vinto un premio, che non ero stata
presa in
giro da nessun modello, che non avevo ancora incontrato
l’amore della mia vita:
Terence. Se solo non fossi andata al pub, quel settembre
dell’anno prima, per
incontrare il fidanzato di Abbie, non avrei conosciuto un ragazzo
scontroso,
freddo, a tratti scorbutico, dagli occhiali da sole sugli occhi, con
una
piccola cicatrice sopra le labbra, con un bastone chiamato James sempre
tra le
mani, con un cuore tanto dolce, dalle doti nascoste, tanto
intelligente, e con
il suo charme da ragazzo di altri tempi e da protagonista di quei
romanzi che
mi piacevano tanto. Non avrei vissuto la vita che stavo vivendo adesso.
Una
vita piena di calore e di gioia, che mi ero guadagnato non senza fatica.
Quando fummo
lontani diversi chilometri dal molo e
il signore che ci aveva dato la barca fu solo un puntino lontano,
Terence si
fermò scrocchiandosi le mani e sistemando i remi in modo che
non cadessero.
-Bene. Credo sia
arrivato il momento di darti il mio
regalo di compleanno.- mi disse, guardandomi contento.
-Regalo?- feci
sorpresa.- Ma… non era questa
giornata passata insieme il tuo regalo?- lo guardai.
-Anche, ma il
vero regalo è un altro. Ora, per
favore, chiudi gli occhi Jane Ryan.- mi invitò.
Lo osservai
sospettosa. Sentivo che il suo doveva
essere un qualcosa di bello, per cui feci come mi aveva detto,
aspettandomi un
qualsiasi gesto da un momento all’altro.
Sentii Terence
armeggiare con qualcosa, per poi
avvicinarsi a me. Percepii il suo profumo intensamente e dovetti
frenare la mia
voglia di baciarlo, per non rovinare la sua sorpresa.
Poi qualcosa di
freddo mi sfiorò il collo, e Terence
si scostò da me subito dopo.
-Sei
così bella… anche ad occhi chiusi.- lo sentii
sospirare per poi riavvicinarsi a me per baciarmi sulle labbra.
Risposi con
dolcezza al bacio e quando si allontanò
da me, faticai a riaprire gli occhi.
Terence mi
invitò con lo sguardo a guardare verso il
basso, così spostai i miei occhi verso i bottoni della mia
camicia, osservando
che mi aveva messo una collana intorno al collo.
Impiegai qualche
istante a riconoscerla. Era la
collana di Elizabeth.
-Terence
questa… questa è…- balbettai,
incredula.
-La collana che
regalai a mia madre e che mi disse
di dare a quella persona che mi avrebbe fatto sentire speciale come io
avevo
fatto con lei.- mi rispose.
Io rimasi a
guardarla estasiata. Era fatta di oro e
qualche raggio solare stava illuminando il piccolo ciondolo a forma di
cuore.
-Io non ho
parole. È bellissima… grazie.- sussurrai,
con il cuore a battermi forte.
-Non
è finito il mio regalo. Apri il ciondolo.-
continuò.
Lo guardai. I
suoi occhi divennero sfuggenti.
Sembrava improvvisamente agitato.
Riguardai il
ciondolo e con lentezza lo aprii. Mi
trovai la foto della mamma di Terence guardarmi con dolcezza e
dall’altra
parte…un piccolo cuscinetto inserito nella parte a forma di
cuore, con al suo
interno inserito un anello.
Lo presi con
mani tremolanti. Era una fede d’argento
con incastonato al suo centro un piccolo diamante.
Sentii mancarmi
il respiro quando lo vidi.
-Senti
Jane…- iniziò Terence con tono agitato,
mentre io continuai a guardare quel piccolo gioiello luminoso,- avrei
voluto
mettermi in ginocchio ma credo non sia il caso,- lo sentii ridere
nervosamente,-
quello che voglio dirti è che… vuoi
essere… -sospirò in imbarazzo. Rialzai il
mio sguardo verso di lui,- vuoi darmi l’enorme privilegio di
diventare mia
moglie?
Boccheggiai
presa alla sprovvista. Il cuore batteva
forte nel mio petto e mancava poco che non arrivasse più
aria nei polmoni. Mi
diedi anche un pizzico sulla guancia, sentendo ridere Terence, per
capire se
non stessi facendo uno dei miei sogni realistici, ma no… ero
sveglia.
-Oh mio
Dio…- riuscii solo a dire.
-Cosa…
cosa vuol dire?- mi chiese Terence, guardandomi
in attesa.
Io ricambiai lo
sguardo, inspirando ed espirando.
-Sì…
vuol dire sì. Tremila volta sì. Voglio
diventare tua moglie, Terence Ashling.- gli risposi, sporgendomi verso
di lui.
La barca
tremò leggermente, ma poco importò
perché
Terence mi prese tra le sue braccia e mi strinse forte contro il suo
petto. Poi
prese l’anello che stringevo ancora convulsamente tra le mie
mani, e me lo mise
all’anulare della mano sinistra. Infine sollevò il
mio viso e mi baciò con
sentimento.
Sentivo un
tumulto di sentimenti dentro di me, come
se stessero esplodendo mille fuochi d’artificio dentro la mia
anima.
Quando ci
separammo, avevamo entrambi gli occhi
luminosi, o almeno anch’io ero sicura di averceli.
-Wow…
non so cosa dire…- balbettai, scuotendo la
testa.
-Hai detto tutto
quello che volevo sentirti dire.-
mi accarezzò i capelli.
-Ma…
mi avevi già regalato un anello Terence.- presi
a osservare l’anello con la pietra rossa che mi aveva
comprato al mercato del
Natale precedente.
-Lo so,
ma… questo è più…
ufficiale, Jane. Con
quello ti ho chiesto di diventare la mia ragazza, con questo ti ho
chiesto di
diventare la mia sposa.- vidi i suoi occhi leggermente lucidi.
Io abbassai lo
sguardo, commossa. Non mi sarei mai
aspettata una cosa del genere. Prima, quando avevo soffiato sulle
candeline,
avevo espresso il desiderio di essergli accanto per tutta la vita, e
adesso che
mi aveva chiesto di
sposarlo mi sentivo
a dir poco spossata. Non che non mi aspettassi che un giorno questo
sarebbe
successo, o almeno lo speravo, ma di certo non credevo che sarebbe
successo
oggi, su una barca, sul lago di Lochness.
-Mi piaci da
sempre, Jane. Da quando ho sentito la
tua voce al pub la prima volta, da quando ho toccato la tua mano alla
stazione,
e da quando ho sfiorato i contorni del tuo viso, ma… tu non
mi piaci soltanto,
io… sono profondamente, perdutamente, e immensamente
innamorato di te e voglio
che tu stia con me, per tutta la vita, perché ho bisogno di
te al mio fianco.-
sussurrò le ultime frasi.
Rialzai lo
sguardo. Sorrisi, mordendomi le labbra.
Diceva sempre di non essere una persona romantica. Forse dovevo
registrare le
sue parole e fargliele ascoltare.
-E ti ringrazio
per aver accettato la mia proposta
di matrimonio. Non ho un lavoro che mi faccia guadagnare
così tanto ma… non
potevo più aspettare. Ho messo diversi risparmi da parte e
in questo periodo…
mio fratello mi ha promesso il suo aiuto, per farsi perdonare. In tal
caso,
riuscirò a
comprare una casa per noi due
dove potremo vivere insieme… per sempre, mi auguro.-
abbassò il capo.- Sono un
uomo imperfetto, e non ti prometto che a volte non avrò
voglia di stare da
solo, o sarò un po’ scontroso, ma ti prometto che
ti amerò con passione e con
rispetto fino a quando la vita scorrerà nelle mie vene e la
mia anima vivrà con
la tua.
Trattenni un
singhiozzo, asciugandomi una lacrima
che scorse lungo la mia guancia. Non esisteva una proposta
più bella di questa.
-Io…
ti amo profondamente anch’io Terence. E grazie,
grazie per avermi reso così felice. - singhiozzai
leggermente, stringendolo tra
le mie braccia.
***
Io e Terence ci
sposammo qualche mese dopo, ad
agosto.
La nostra fu una
cerimonia semplice. La messa fu
celebrata in una piccola chiesa in campagna vicino alla mia casa di
nascita,
con mio padre che mi guardava commosso accanto a quella che era
diventata la
sua compagna, la signora Ford. A tutto questo seguì un
semplice banchetto
all’aperto, complice anche il bel tempo, che fu organizzato
grazie ad Abbie, a
Barbara (con il suo pancione un po’ più grande) e
a Freddie.
Ci eravamo
divertiti, soprattutto io, fasciata nel
mio abito bianco. Lungo, semplice, di taffetà, con uno
scollo a barchetta e
delle maniche a tre quarti di raso, una gonna leggermente a ruota e le
mie Mary
Jane bianche, dalla punta tonda e dal tacco basso.
Era piovuti
tanti sorrisi quel giorno, oltre che
confetti, soprattutto da parte di Abbie che si sarebbe sposata anche
lei a
breve, e da mio padre, la piccola grande luce della mia vita.
Fu un bel giorno
quello. Il mio Terence era super
elegante nel suo smoking nero, e con la camicia bianca. Suo fratello
era
venuto, accompagnato da sua moglie in dolce attesa, facendoci i suoi
migliori
auguri, chiedendo scusa anche a me e dandomi un bacio sulla guancia.
Assomigliava poco a suo fratello, ma mi fece un' impressione positiva.
Forse era
davvero stata sua sorella a fungere da burattinaia, quando si trattava
di
andare contro Terence. Suo padre e sua sorella, invece, non si erano
fatti mai
sentire, ma poco importava. Erano loro a perdere molto, e non di certo
noi.
La torta che
mangiammo fu buonissima. Avevo
insistito per farla preparare e decorare da quella che era diventata la
moglie
di Harrison. Una donna dalle guance rosse e dai brillanti capelli tinti
di nero,
che era convolata a nozze solo un mese prima, con una semplice
cerimonia al
comune, con l’autista più buono che conoscessi.
C’era
persino Tessa che con i capelli ramati, un po’
più lunghi di come ricordavo, si teneva per mano con un bel
ragazzo,
sorridendoci felice. Era stato anche grazie a lei, se non soprattutto,
che io e
Terence eravamo insieme in questo momento.
E infine io e
quello che era diventato mio marito ci
concedemmo l’ultimo ballo. Optammo per
“Mad World”, cantata da Gary Jules.
Per ovvi motivi. Danzammo quando era
già sera, con solo delle piccole lucine bianche inserite
nelle fronde degli
alberi che ci facevano da scenario, guardandoci negli occhi e
stringendoci a
vicenda, come se fossimo l’uno l’ancóra
dell’altra.
Quando la festa
si concluse, andammo in quella che
era diventata la nostra casa, ad Edimburgo. Piccola, graziosa e tanto
calorosa,
con persino un camino pronto a riscaldarci in quelle che sarebbero
state le
nostre giornate invernali.
Ci amammo quel
giorno, così come continuammo a farlo
i giorni a seguire, con la piena convinzione che se avessimo avuti dei
figli
(ed entrambi ne volevamo) li avremmo chiamati Elizabeth e Dorian.
Sì come
Dorian Gray. D’altronde, non era stato anche grazie a lui che
io e Terence ci eravamo
conosciuti?
Il resto della
mia vita non ve lo racconterò, perché
anch’io dovevo ancora viverlo, ma ero sicura che ,pur con i
suoi alti e bassi,
se fosse stata accanto a Terence Ashling, la mia vita sarebbe stata
meravigliosa, perché ci amavamo
e ci saremmo
amati per sempre, anche ad occhi chiusi.
-FINE-
Se sentite
qualcuno piangere, sappiate che sono io (
e parlo sul serio) e se sentite un cuore che fra crack
sappiate che è sempre il mio.
Scrivo
“Ad occhi chiusi” dal 2014, quando facevo il
quarto anno del liceo, e mettere quella parola
“FINE” mi ha spezzato il cuore
davvero. Non scrivere più di Jane e di Terence mi mette
tanta tristezza, come
se mi stessero dicendo “addio”. So però
che il loro è un “arrivederci”
perché,
quando vorrò, ci saranno sempre nella mia testa. Per
esempio, adesso, li sto
guardando mentre mi salutano, vestiti da sposi, su una macchina vecchia
e
bianca, con delle lattine attaccate sul retro e la scritta
“JUST MARRIED” che
troneggia dietro di loro.
Mi mancheranno
anche gli altri personaggi, e mi
mancherà anche Edimburgo, ma sono felice, tanto. Felice per
essere riuscita a
dare una fine a questa storia, e per aver ricevuto del calore da parte
di tutti
voi che mi avete letto e mi avete spronato a continuare a scrivere, la
mia
passione preferita.
Spero di tutto cuore che dall’inizio alla fine vi sia piaciuta la mia storia, e vi abbia regalato qualcosa, qualsiasi cosa: questo è il mio obiettivo, ogni volta che scrivo. Spero di non aver deluso nessuna vostra aspettativa e che anche a voi mancheranno i miei personaggi.
Ci tenevo poi a dirvi
che ,visto che siamo arrivati all’epilogo, ho deciso di
cambiare il rating
della storia. Credo che sia più adatto un rating giallo, e non
arancione come
avevo pensato all’inizio. Credo non ci sia alcuna scena che
preveda quello arancione,
ma se ritenete più opportuno che andasse bene quello
arancio, fatemelo sapere
;)
Vi voglio dire
ancora GRAZIE
per avermi letto e
avermi seguito.
Ringrazio nel
particolare: fenice65,
T13_I, e
Vampgiulietta
per aver aggiunto la mia storia alle proprie seguite. Grazie
anche a tutte le ragazze che la seguono fin dai primi capitoli e chi
inizierà a
seguirla.
Grazie a : pulcino piccolino
per averla aggiunta
alle proprie ricordate, e grazie, anche in questo caso, a chi ricorda
la mia
storia fin dagli inizi, e a chi la ricorderà.
E grazie a : m12, Mix, saku_93, Candy_Heart e a
tutte le ragazze che preferiscono “Ad occhi chiusi”
fin dal primo capitolo, e a
chi la preferirà in seguito.
Infine ringrazio
anche tutte le ragazze che hanno
recensito la mia storia, anche solo un capitolo. Le recensioni che ho
ricevuto
sono sempre state tanto belle e mi hanno scaldato il cuore. Spero di
riceverne
qualcuna anche per questo epilogo, per sapere se questa storia vi ha
lasciato
qualcosa ^_^
Grazie di cuore
a tutte, nessuna esclusa.
In
questo
periodo continuerò a scrivere ovviamente. Non so se
continuerò a pubblicare qui
su EFP, perché noto che il sito è diventato un
po’… “passivo”, ma vediamo un
po’…
Sicuramente
continuerò a pubblicare su Wattpad
che
credo conosciate tutti. Se vi può interessare mi trovate su
questa piattaforma
con il nickname: Rob_Granger
Se avete bisogno di qualche informazione, di farmi delle domande, o di chiedermi qualsiasi cosa attinente alla mia storia, mi potete benissimo scrivere qui su EFP, però, e mi trovate anche su:
TWITTER: @Rob_Redmayne
FACEBOOK (account fake che uso solo per pubblicizzare le mie storie e per condividere qualche mio pensiero, ogni tanto xD ): Sara Novalis Caravaggio a cui potete chiedermi tranquillamente l'amicizia :)
Comunque, per
divagare un po’, se non l’avete ancora
fatto vi consiglio la visione del film “La bella e la
bestia” con Emma Watson.
È a dir poco stupendo! Non c’entra molto, ma
tenevo a dirvelo ^^
Penso che sia
arrivato davvero il momento di
salutarci(si capisce che ho cercato di allungare il brodo, per non
separarmi da
questa storia?). Terence, Jane, Abbie, Harrison, Freddie, Barbie,
Steve,
Vincent e tutti gli altri, si prendono per mano e si inchinano a tutti
voi
ringraziandovi per averli seguiti, aver amato, e aver pianto con loro.
Vi mando un
bacione ragazze.
Novalis
P.S:
Non l’ho mai sottolineato, ma per sicurezza lo
faccio: ogni diritto di “Ad occhi chiusi”
appartiene a me. Spero che nessuno
abbia mai la malsana idea di copiare il mio lavoro o quello di altri,
perché (
e chi scrive, lo sa), i propri racconti sono come dei figli, che si
crescono,
accudiscono e a cui si danno tante attenzioni. Spero di non imbattermi
mai in
qualcuno che copi ciò che scrivo, ma se anche voi notate
qualcosa, non esitate
a segnalarmelo, mi raccomando ;)