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Autore: Makil_    27/03/2017    13 recensioni
In un territorio ostile in cui la terra è colma di intrighi e trame nella stessa quantità con cui lo è dell'erba secca, il giovane ser Bartimore di Fondocupo, vincolato da una promessa fatta al suo miglior confidente, vedrà finalmente il modo per far di sé stesso un cavaliere onorevole. Un torneo, un'opportunità di rivalsa, una guerra ai confini che grava su tutte le regioni di Pantagos. Quale altro momento migliore per mettersi in gioco?
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Storie di Pantagos'
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Glossario della terminologia relativa alla storia (aggiornamento continuo):

Patres/Matres: esperti, uomini e donne sapienti indottrinati da studi all’Accademia. Ogni regno ne possiede tre, ognuno dei quali utile a tre impieghi governativi.
Accademia: ente di maggiore prestigio politico a Pantagos, vertice supremo di ogni decisione assoluta. Da essa dipendono tutti i regni delle regioni del continente, escluse le Terre Spezzate che, pur facendo parte del territorio di Pantagos geograficamente, non  sono un tutt’uno con la sua politica. Il Supremo Patres è la figura emblematica della politica a Pantagos, al di sopra di tutto e tutti.
Devoti: sacerdoti del culto delle Cinque Grazie (prettamente uomini), indirizzati nello studio delle morali religiose alla Torre dei Fiori, nelle Terre dei Venti.
Fuoco di Ghysa: particolare sostanza incolore e della stessa consistenza dell’acqua, la cui unica particolarità è quella di bruciare se incendiata.
Le Cinque Grazie: principali divinità protettrici del sud-ovest di Pantagos, proprie di molti abitanti delle Terre dei Venti e della Valle del Vespro. Tale culto prevede la venerazione di quattro fanciulle e della loro madre. 
Tanverne: enormi bestie dotate di un corpo simile a quello di giganteschi rettili, abitanti il territorio di Pantagos.
Y’ku: titolo singolare dell’isola di Caantos, nelle Terre Spezzate, il cui significato è letteralmente “il più ricco”. Il termine “y’ku” s’interpone tra il nome e la casata nobiliare di un principe dell’isola, posto a determinare la sua ascendenza nobile.
Incantatori: ordine giurato unico del continente di Pantagos. Si tratta a tutti gli effetti di un gruppo di sapienti  in cui sono raggruppati guaritori, speziali, alchimisti e finanche stregoni – benché in molti, e nel popolino nello specifico, non credano a questo genere di arti. La sede degli incantatori è la Gilda degli Incantatori, altresì detta Tempio Bianco, sulla Collina di Burk, a Fondocupo. 
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Si risvegliò di soprassalto, sudato come non mai. Giaceva su un letto di paglia soffice, le gambe e le braccia spalancate sul materasso. Gli doleva fortemente il cranio, da parte a parte della fronte. Aveva gli occhi puntati in alto, la testa posata su un soffice cuscino di piume. Si trovava in un tendone di cui non sapeva indicarne il proprietario. Non poteva essere il suo e non poteva neppure essere quello di Ortys, dal momento che il tetto del tendaggio era di un blu scuro e cupo, puntellato qua e là di infinite macchiette gialle e bianche. Nel complesso, a Bart sembrò di star osservando un cielo chiazzato di stelle, ognuna delle quali capace di disegnare una miriade di costellazioni che si disperdevano più o meno lontano in una distesa di tenebre notturne.
Si tastò lentamente la testa, pressandone i lati con i pollici. Comprimere i due punti esterni alla fronte affievoliva il dolore che già possedeva. “Per quanto tempo sono stato qui?” si chiese. “Che ne è stato del torneo?”. Gli sembrava davvero fossero passati tanti giorni da quando era svenuto tra le braccia di Esmerelle. Aveva smesso veramente di avere ogni concezione del tempo e dello spazio dopo quell’evento. C’erano solo due cose che poteva affermare con estrema certezza: sapeva di essere vivo, e tanto lo rassicurò a lungo. Poteva aver dormito addirittura per giorni, settimane, mesi, ma gli bastò pensare che si era risvegliato; e questo era già un fatto positivo. E sapeva che era giorno, dal momento che da una piccola finestrella ritagliata sulla parete della tenda si spargeva la luce del sole, che illuminava di vita ogni angolo di quel grigio padiglione.                                     
Bart si mise a sedere sul letto, portando avanti le gambe e piegandole per tastare le ginocchia. Poi tossì. La cortina della tenda si aprì rapidamente, e dall’esterno entrò la figura robusta e grassoccia di un anziano uomo paffuto e dal naso paonazzo che, con fare indaffarato e goffo, si precipitò verso di lui.
«Ser!» lo chiamò con voce pomposa. L’ometto non aveva capelli, e la barba gli cresceva spelacchiata sotto le orecchie e sulle gote. «Finalmente ti sei svegliato! Devo dire che te la sei presa piuttosto comoda. Oh, ma per quel che mi riguarda non mi hai dato da fare, sappilo.»                                                                                                           
«Dove sono?» domandò Bart. Avrebbe voluto chiedere tantissime altre cose, ma ciò che più gli premeva gli uscì dalla labbra quasi come autonomamente. «Che ne è stato del torneo?»                                                                                   
«Oh, piano, una domanda alla volta ser, anche perché ti potrebbe dolore ancora la mandibola. Il mio signore, Darrick Sunfall, ti ha fornito me per ricevere le dovuto assistenze mediche. Sei nella sua tenda ora. Il tuo caro e vecchio amico Wysler mi ha fatto promettere di salvarti le ossa: e tanto credo di aver fatto. O almeno voglio sperarlo. Da’ qui la mano». L’uomo gli prese la mano tra le sue, calde come due ciottoli lasciati sotto il sole. Poi, con la sinistra andò alla ricerca di qualcosa all’interno delle tasche della sua casacca. «Ecco, stringi questa». L’anziano sollevò una cipolla bianca e gliela mise in mano.                                     
Bart fece come gli era stato suggerito, stringendo la cipolla nella sua presa, pur non sapendo a cosa potesse servire.              
«Oh ecco, bene. Stringi un altro po’. Vedi ser, questo lavoro andava fatto da sveglio: non potevo permettermi di tastare la validità delle tue ossa se tu non stringevi la cipolla. Ecco sì». L’uomo fece scorrere il suo indice calloso lungo le sue dita e sui fianchi della mano. Più andava avanti, più metteva forza nel pressare sull’arto. Gli suggerì di ripetere l’operazione con l’altra presa. «Ti faccio male per caso?»  
«No» rispose Bart. «Per nulla.»                                                                                                                                          
«Allora non abbiamo di che preoccuparci. Credo sia tutto tranquillo, davvero. Ho controllato il resto mentre dormivi. Non hai alcun tipo di frattura, né una sola lesione. Ho medicato le tue contusioni con dell’aceto e un po’ di vino di ciliegia: un toccasana per i lividi neri! Ti fa male la testa?»                                                                                                           
«Un po’.» rispose Bart toccandosi nuovamente la fronte.                                                                                                    
«Ti assicuro che non ha a che fare con il colpo. Credo sia per via della lunga dormita. Sai, ser, hai dormito per un giorno intero. Mi sono preso la briga di non allontanarmi neppure un momento dal tuo giaciglio, se non per prendere qualche boccata d’aria e mangiare qualcosa.»
«Ti ringrazio» disse Bart. «Adesso avrei bisogno di un po’ d’acqua, se non chiedo troppo.»                                         
«Oh certo!». L’anziano ometto si chinò a sinistra ed afferrò un’ampolla piena d’acqua ed un calice. Nel riempire quest’ultimo fece precipitare qualche goccia fuori dal recipiente. Bart bevve l’acqua tutta d’un sorso, come fosse stato lasciato a perire la sete per due settimane. Aveva proprio bisogno di far una lunga bevuta, perciò se ne fece presto riempire un secondo. Aveva la lingua asciutta e poteva sentire uno strano sapore secco ed acido in bocca.                                                                                                                 
«Cosa mi dici del torneo?» chiese di nuovo Bart.                                                                                                                
«Tante e poche cose. Ho saputo che non hai ancora avuto modo di inserirti in lista. Avrai tempo di iscriverti anche tu, se è questo che vuoi sapere. Ma devo dirti anche che hanno bloccato le richieste di proroga e il torneo inizierà tra circa tre giorni, se non erro. Oh, a proposito di questo, patres Steffon mi ha detto di consegnarti una cosa». L’ometto afferrò la casacca macilenta di Bart da sotto il letto e gliela porse.                                      
«Grazie tante, signore» disse Bart che non ricordava neppure di averla persa. Lo scontro contro Wictor Wyndwat gli aveva annebbiato ogni ricordo. Mentre Bart stava provando a piegare avanti e indietro le dita della mano, la cortina della tenda si aprì un’altra volta. Fecero ingresso due uomini alti e robusti che Bart riconobbe immediatamente come Ortys Wysler e Darrick Sunfall.  
«Oh cielo!» tuonò meravigliato il Principe Stellato, giovane signore di Baia della Cometa. L’uomo aveva un viso lungo, solcato un naso adunco e due labbra sottili. Sotto al colletto verde smeraldo ricadeva un mantello rosso sangue che fluttuava a mezz’aria sopra ai suoi piedi. Le sue mani erano ricoperte da guanti dello stesso colore del tendaggio in cui abitava. Al suo fianco, Ortys indossava una larga camicia di satin ambrato infilata dentro a calzoni marroni molto gonfi, stretti da una cintura ornata d’oro. Ai piedi portava stivali di cuoio nero. Sul suo capo svettava un piccolo cappelletto di piume colorate.                                                                                              
Il signore di Ardua Scogliera fu il primo a prendere veramente parola.                                                                            
«Eccolo di nuovo qui, cari amici. Bartimore è più sano di noi tutti. Non è così, ragazzo?». Ortys gli strinse forte la mano, come per congratularsi con lui di quella sua ardua impresa riuscita bene: l’essersi svegliato.                    
«Sto bene, Ortys…» iniziò Bart.                                                                                                                                          
«Ma staresti meglio se ti avessi portato la testa di Wictor Wyndwat.» concluse Ortys sorridendo sfarzosamente. «Lo so bene questo.»
«Non tediarlo con i tuoi discorsi, Ortys. Il ragazzo non è ancora del tutto cosciente magari. Tyrus, che ne è delle sue ossa?»       
L’ometto che lo aveva assistito fino a poco prima gli voltò le spalle. «Del tutto in buona forma, mio signore. Il ragazzino è stato forte. Forte e di buona volontà. Proprio come le sue ossa.»                                                                                                        
«Meglio così. Questo vorrà dire che sei libero di tornare alla Gilda, Tyrus. Non ti nego di far ritorno ai tuoi affari, per quanto averti qui mi sia di maggior interesse. Se tu potessi restare… credo sarebbe meglio per ogni cavaliere della mia scorta. Non ci sono molti incantatori qui al campo, e neppure dietro le mura di Roshby. E vedi,  una sera sì e una sera no ci scappa un morto da quello che mi pare di aver notato. Per non parlare dei feriti poi, che piovono a bizzeffe come pioggia dal cielo.»                                                          
«Resterò, mio signore.» concluse rapido l’incantatore Tyrus. Finché la Gilda non avrà qualcosa di meglio da assegnarmi, potrò affidare le mie mani al vostro servizio. Solo la Gilda può…»             
«Ebbene» interruppe Ortys. «Io non sono la Gilda, ma posso comunque suggerirti di andare fuori per qualche minuto, incantatore. Adesso vorrei tanto restare a parlare in privato con Bartimore, il ser troppo magro e coraggioso.»                                
L’incantatore Tyrus chinò il capo e afferrò con la mano sinistra la sua casacca per stringerla al petto. Poi, con lo sguardo rivolto verso i suoi piedi, s’incamminò fuori dal padiglione in giudizioso silenzio. Ortys riempì due calici di vino, come se quella tenda fosse stata la sua e quegli oggetti gli appartenessero. Con la medesima sicurezza porse da bere a Darrick Sunfall, che nel frattempo si era seduto comodamente su una poltrona marrone.                                        
«Bart, per tutti i cieli, cos’hai fatto?» domandò Darrick. «Come ti è venuto in mente di scontrarti con quell’uomo?»              
«Darrick, non sminuirlo. Patres Steffon ha detto che non ha colpe nell’accaduto. Se è questo che quel Wictor si meritava, allora Bartimore ha fatto bene a suonargliele». Ortys sorseggiò il vino che aveva nel suo calice. «Raccontaci che cosa è successo chiaramente. Patres Steffon non ha avuto modo di dirci di certo ogni cosa. Peraltro lo hanno accusato di… di… come avevano detto? Ah sì, di essersi aizzato violentemente contro sua maestà il principe di Canto della Bufera, Wictor Wyndwat, e ha dovuto sostenere un ampio colloquio con Dorran per questo, che tu voglia saperlo o meno. Fortunatamente ne è uscito vincitore.  Quell’uomo mi stupisce sempre, Bartimore. È un tipo tosto, e se la cava piuttosto bene con le parole.»                                      
«E anche con la spada.» mormorò Bart. Quelle parole gli uscirono in fretta dalle labbra.                                    
«E anche con la spada.» ripeté Ortys. «Sì, dopotutto è stato anche lui un cavaliere. Credo tu debba ringraziarlo per questo.»           
«Sì, è la prima cosa che farò quando lo vedrò». Poi Bart prese a raccontare nel dettaglio tutto ciò era gli era successo, e nel farlo avvertì nuovamente delle fitte alle tempie. Gli disse della fila per l’iscrizione, del piccolo scudiero del principe Winemors, dell’arrivo di Wictor a cavallo e dello scontro, interrompendo la narrazione di tanto in tanto solo per evitare alcuni dei più violenti dettagli. Tutto quel parlare, alla fine, gli fece dolore ancora la mandibola.    
«Ti ha costretto a mangiare la terra. Quel brutto figlio…»                                                                                            
«Non vogliamo altri spargimenti di sangue, specie nella mia tenda.» tuonò Darrick Sunfall facendosi altezzoso sulla sua poltrona. Poi incrociò le braccia la petto. «Non possiamo permetterci che ci siano altri scontri prima del torneo. Quello dovrà essere il solo scenario di battaglia; una battaglia fittizia. E Steffon ha ragione: se deve essere attribuito un nome a al torneo di Roshby, questo deve essere “pacifico”. Non si possono, non si devono anzi, permettere atti di insolenza così avanzati nei confronti avversi. La proposta di eliminazione della proroga da parte di Wictor è un fatto che avrebbero dovuto bloccare sul nascere. Quel ragazzo lo ha fatto per un solo scopo: troncare alla radice le iscrizioni e non permettere a ser Bartimore di partecipare. Avrebbe voluto vendicarsi in questo modo dell’affronto… una cosa assurda…»                                                                                                                                           
«Mi è stato detto che posso ancora iscrivermi.» commentò Bart.                                           
«Verissimo.» concordò Darrick. «Ma devi ringraziare le Grazie per questo. Se non ti fossi svegliato oggi e lo avessi fatto domani, forse non avresti più potuto gareggiare. Ecco che la giustizia dà il buon esempio al mondo, come sempre.»                
«Giustizia?» tuonò Ortys facendo tremare il calice che aveva in mano. «Non parlare di giustizia, Darrick. Sono l’unico a non vedere nulla di giusto in tutto questo grande imbroglio?»                                                                      
«No, non sei l’unico Ortys. E per fortuna, aggiungerei.» sospirò Darrick Sunfall. «Ma forse dovremmo essere tutti un po’ più ciechi alle volte. Questo risparmierebbe molte fatiche e altrettante violenze.»                                                                                              
Ortys non concordò con il Principe Stellato, e glielo fece notare vagamente accennando una smorfia di disapprovazione.                
«Hai detto che Wictor ha fatto del male allo scudiero di Derek Winemors» disse Ortys socchiudendo il pugno «Sai almeno perché lo ha fatto?»                                                                                                                             
«A dire la verità no. Ma quel ragazzo aveva davvero tutta l’aria di fargli del male: sul serio! Se non fossi intervenuto, Wictor avrebbe pestato a sangue il bambino. E tutto solo per il pretesto di entrare nella fila.»                                                     
Darrick rise. «In verità non è poi quello il motivo. Diciamo che io so più di voi, almeno per questa volta».      
Il signore di Baia della Cometa si alzò dalla sua poltrona, lasciando impresso sul sedile il suo fondoschiena per qualche attimo. «Rancore. È questo che l’ha fatto agire. A differenza di suo padre Roger, Wictor non è ancora un vegetale: il che lo rende particolarmente pericoloso se lasciato in così tanta libertà. Vedete, il ragazzo era già stato sconfitto qualche tempo fa da Derek Winemors. Quando Roger comandò l’assedio di Fresco Alloggio e Rifugio dell’Aurora al suo capitano Emerard Carwock, gli Highcrown di Corona Verde chiesero l’aiuto dei loro più importanti e fidati confidenti. I primi a schierarsi dalla loro parte furono i Traven. Poi, Melkor Winemors, il Cavallo dei Mari, gli affidò parte della sua flotta navale, dandone il comando a suo figlio Derek. Vi basterà sapere che fui chiamato anch’io in causa, quel giorno, e anch’io dovetti cedere alcune delle mie truppe migliori. Ma fui io stesso a richiederne personalmente il comando. La battaglia che si tenne sul Dreflyng fu sanguinosissima e ne uscimmo tutti sconfitti. Garter Traven scese a sud e scatenò la sua ira sui nemici, che erano guidati dallo stesso Wictor. Traven riuscì ad abbatterli in parte, colpendoli alle spalle… ma questo prima di essere ferito mortalmente e prima che gli fosse tranciata la mano. A quel punto però, Wictor diede ordine di ritirata e fuggì verso nord, lasciando che le sue armate andassero a disperdersi. Peccato che la nostra strategia prevalse sulla sua forza, quando da nord risalirono gli eserciti di Symon Highcrown, che mandarono in frantumi ogni speranza di rivalsa nemica. A quel punto, Wictor inviò un messaggero a richiedere l’aiuto di Carwock, che stava ancora tenendo l’assedio dei due regni lealisti. Non ci volle molto per far giungere la richiesta all’alleato, il quale avanzò verso il Dreflyng più spedito che mai e ci venne addosso con un esercito fresco, con cavalli vigorosi e possenti, reduci di un assedio che non aveva prodotto alcun ferito. Emerard Carwok uccise Symon Highcrown, e così io e Garter ripiegammo verso la sede dei Traven, arrendendoci definitivamente. Ci avrebbero sgozzati se non avessimo proposto quel gesto… un gesto che presto facemmo finta di non aver mai fatto.
«La nostra vittoria fu fortuita e avvenne solo quando dal fiume risalì la flotta di Derek Winemors, il principe di Acquaverde, che diede l’esito positivo alla battaglia. Egli si occupò da solo dei nemici, facendo scendere dai ventri dei vascelli più di trecento soldati ben addestrati al combattimento, irrobustiti dal sale e dal vento. Ci volle meno di un’ora per distruggere totalmente la resistenza nemica, e Derek riuscì a mandare nel fango Emerard Carwock e Wictor Wyndwat, e con loro anche il loro onore cavalleresco. I due signorotti furono costretti a tornare nelle loro sedi come dei perdenti, umiliati di fronte ai loro eserciti. Per la cronaca, Derek comandò al suo esercito di latrare dinanzi ai due corpi macilenti dei due comandanti nemici, mentre i loro eserciti si dileguavano alle loro spalle.»               
«E questo cosa vuole giustificare? Il ragazzino non aveva colpa, ad ogni modo.» constatò Ortys Wysler. «E Bart ha fatto bene a schierarsi tra lui e l’imbecille di Wictor. È bene che qualcuno inizi di nuovo a latrare per parlare con quel principino… credo che non abbia ancora imparato per bene la lezione. Il bambino non aveva colpa, Darrick. E tu non contraddirmi.»   
«Questo lo penso anch’io.» disse Darrick. «Per quanto vorrei che fosse stato qualcun altro a…»                                                               
«Mio signore!». L’incantatore Tyrus aveva fatto ritorno di corsa all’interno della tenda, il fiato sospeso in gola. «Mio signore, vieni! I tuoi cavalli sono impazziti. Ser Joffer sta tentando di placarli, ma non c’è verso! Corri! Corri!»                  
Darrick rivolse ai suoi ospiti uno sguardo perplesso, colmo di imbarazzo. «Vogliate perdonarmi» disse poi, prima di correre anche lui verso l’uscita.                                                                                                                                                
Ortys si riempì un’altra caraffa di vino, questa volta ne mise molto meno di quanto aveva fatto la volta precedente.                        
«Non te ne offro neppure un goccio, Bartimore, per due distinte ragioni: punto primo, non è lo stesso vino che hai saggiato nella mia tenda. E poi è meglio che tu non beva per ora.»                                                                                           
«Non ne avrei voglia adesso.» rispose Bart. «Ortys… dov’è Esmerelle?». Quella domanda lo stava perseguitando da un paio di minuti ormai, eppure non aveva ancora avuto modo né motivo di porla.                                          
«Oh, Esmerelle.» ridacchiò il signore di Ardua Scogliera. «Una ragazzina d’oro, in ogni senso. Sai, non si è mossa da questa tenda neppure un momento. Questa mattina è andata a dare da mangiare ai cavalli, è per questo che non la trovi qui con te. Ma posso assicurarti che è stata più interessata a te di tutti noi. Ha trascorso accanto al tuo giaciglio molto più tempo di quanto non abbia fatto l’incantatore Tyrus.»                                                                         
Bart sorrise. Un lato di lui conosceva già la risposta, un lato di lui l’aveva sempre saputa. Nel sogno, Bart era stato con lei, e nella notte Esmerelle era stato con lui. Notò che ci fosse qualcosa di intenso in quell’evento, qualcosa di stranamente poetico.  
«Quanto prima dovrai alzarti, Bart. Hai numerose faccende da sbrigare. Devi ancora iscriverti al torneo, non ti è rimasto tanto tempo adesso. E dovrai andare da lei il prima possibile.»                                                                     
«Lo so.» rispose Bart. Poi si spinse in avanti col corpo, stringendo i denti nell’alzarsi dal letto. Ortys gli diede il braccio destro, aiutandolo a rimettersi in piedi. Le sue gambe si erano fatte più fragili del normale, o forse erano solo troppo poco affaticate dall’essere state inutilizzate per molte ore. «E devo anche comprare un’armatura per la gara. Non l’ho portata da Sette Scuri per non affaticare la giumenta nella marcia.»                                                                                                                    
«Oh, e aggiungi anche un altro impegno. Quasi me ne stavo dimenticando». Ortys buttò giù in gola tutto il vino e poi batté con forza il bicchiere sul tavolino accanto. «Patres Steffon mi ha detto di riferirti che vorrà parlati questa sera, non appena gli sarà possibile farlo. E che vuole che siate soli, sotto il pioppo che cresce vicino alla tua tenda. Soli, Bart… soli.»  
«A quattr’occhi, insomma.» sottolineò Bart portando indietro le mani e piegandosi per sgranchire la schiena. Fare quel movimento gli diede piacere.
«Proprio così, Bartimore». Ortys sorrise. «Non uno, non mezzo. Adesso che hai riaperto finalmente gli occhi, Steffon vuole vederli tutti e due.»
                                                                                                                              


Fuori dalla tenda di Darrick Sunfall il sole stava illuminando dolcemente quella fresca giornata, dipingendo i confini di Roshby con i suoi flebili raggi di luce, e coronando le sue mura con una merlatura dorata propria delle sole tiare di una dama. Bart si sentì abbastanza confuso quando la luce si scontrò con i suoi occhi, abbagliando per qualche istante prima di consentirgli di vedere. Il mondo intorno a lui non aveva smesso di muoversi neppure un momento. Attorno all’ammasso di padiglioni, sulla destra, Bart avvistò la sua tenda, alle cui spalle svettava alto il salice dalle foglie chiare. Quando si avvicinò all’albero, Lenticchia e il palafreno di Esmerelle, entrambi legati ancora alle radici del salice, lo squadrarono con fare insospettito. Bart poteva giurare di vedere negli occhi di Lenticchia un’espressione di insolita curiosità, quasi come se l’animale si stesse chiedendo cosa gli fosse successo, e cosa lo avesse trattenuto così a lungo lontano da lui.                  
Trovò Esmerelle intenta a cuocere tre grossi pesci ripuliti dalla lisca su un braciere appena acceso. L’odore che si propagava nell’aria era tanto invitante quanto gustoso.                                                                                               
«Esmerelle». Bart chiamò la ragazzina che, di spalle, non lo aveva neppure sentito arrivare.                                       
Quando lei si voltò, il suo volto fu solcato inevitabilmente da un’espressione di sana incredulità e meraviglia.                             
«Oh, Bartimore!» urlò lei di tutta risposta, lasciando cadere il ramo coi pesci in mezzo alle fiamme. La ragazzina si alzò rapidamente da terra, il corpetto ancora sporco di fango.                                                              
«Hai bruciato il pranzo.» disse Bart sorridendo. «Adesso dovremo accontentarci di qualcos’altro.»                                       
Esmerelle corse verso di lui con una rapidità tale da sorprenderlo, e fece qualcosa che Bart non si sarebbe mai atteso: lo abbracciò; un gesto impacciato, innaturale e colmo di una gioia e di uno stupore talmente calorosi da poter sciogliere il ghiaccio.
«Ti sei rotto qualcosa?» chiese ripulendosi del fango che aveva sulle ginocchia. «Voglio sperare di no. Ho sperato di no per tutto il tempo della tua assenza.»                        
«Fortunatamente no.»  rispose Bart. «Non ho dato questa soddisfazione a Wictor Wyndwat. Gli farà sicuramente piacere sentirlo.»    
«Lo sentirà presto.» affermò Esmerelle, le parole sormontate da una lieve punta di disgusto e rancori affogati. «Molto presto.»  
«Esmerelle» iniziò Bart. «Non voglio che tu vada di mezzo in questa faccenda. La situazione è già abbastanza complicata per tutti noi. Patres Steffon è stato richiamato da Wolbert Dorran, ha dovuto tenere testa alle sue accuse… rischiando anche tanto per me. E hanno sospeso il diritto di proroga per tutti i cavalieri. Io ti prego…»
«Oh certo, perché questa situazione sta a cuore solamente a te!». La ragazzina gli lanciò un’occhiataccia colma di dissenso. Si staccò dal suo corpo. «No, Bartimore di Fondocupo. Ser Bartimore di Fondocupo. Questa questione riguarda me da prima che nascessi. E mi riguarda anche da vicino.»                                                                                                                                                   
«E invece no, Esmerelle». Bart si fece più rude. «Adesso basta. Abbiamo già fatto troppo scalpore nel campo, non c’è bisogno di continuare a girare il coltello nella piaga. Wictor Wyndwat pagherà per le sue pene, per tutto quello che ha fatto a me e al piccolo scudiero di Winemors. Ma sarà l’Accademia a punirlo, non tu… non io.»                                                                                             
«Decido io se potrò punirlo o meno, non tu. Non sono tua figlia e non sono tua sorella, Bartimore di Fondocupo, e la mia vita non ti appartiene.»                                                                                                                        
«Sei nel mio padiglione e sotto la mia protezione. Dipendi da me, che tu lo voglia o meno.»                                                 
Esmerelle serrò il pugno e trattenne una smorfia. La sua bocca s’inarcò all’ingiù, cupa e silenziosa. «Il padiglione non è tuo, Bartimore, e appartiene a me quanto a te.»                                                                         
Ah, dannazione!” «Vorrei tanto che tu capisca tutto ciò che ti dico. Vorrei che tu sappia che cosa potrebbe accadere se la situazione dovesse degenerare. Ho perso un padre per un disastro simile, e ho un compito da rispettare. » “Tre ora, ricorda.” «Io ho già fallito, ti prego di non rendere la mia situazione più complicata.»           
La ragazzina si girò verso il suo palafreno, sfrontata ed impettita, chiaramente indisposta ad ascoltarlo. In quel momento le ricordò l’irriverente ragazzina dai capelli color oro che aveva incontrato nelle stalle di Werny. E se i cavalli erano là di fronte… e se lì c’era lei… lui non poteva che essere il devoto Baricald. “No” pensò. “Questa situazione non può continuare così.”                        
«Guardami, Esmerelle». Bart l’afferrò per il braccio e la fece voltare forzatamente. «Guardami ho detto. Vorrei tanto esserti vicino in questo momento, più di quanto tu non immagini. Abbiamo più o meno la stessa età, e io non sono qui per farti da padre né per importi delle regole. Voglio soltanto il tuo bene e, se è possibile, anche il mio.»                                                                              
Esmerelle lo guardò e gli riservò uno sbadiglio. Non ebbe nulla da replicare né da aggiungere. Voltò di scatto la faccia e rivolse lo sguardo altrove.
«È per un bambino che ti sei acciuffato con quell’uomo, ser Bartimore?». Esmerelle non attese neppure un momento, l’aria tediata. «Un gesto da vero cavaliere. È questo quello che sei, dopotutto, no?»                                                                                                
Fu Bartimore a non rispondere questa volta, intenzionato a capire dove volesse andare a parare la ragazzina. Quella solita aria ricca del più impudente senso di sfottimento lo tormentava anche durante la notte.              
«Lo avrei fatto anch’io. Vedi, se io avessi avuto una spada avrei fatto tantissime altre cose.» aggiunse poco dopo. «Avrei salvato la vita di mia nonna, avrei salvato la vita di mio padre… e avrei salvato la mia, di vita. A poco a poco, pezzo dopo pezzo, percorso dopo percorso, e noi due non ci saremmo mai incontrati. Chissà, io avrei potuto gareggiare in un torneo, avrei potuto trovarti in qualità di rivale in una schermaglia». Imitò un impacciato fendente immaginario facendo finta di impugnare con la destra una spada fantasma. «E magari avrei potuto infilzarti. Puf, un colpo dritto al petto! Mi basterebbe una spada… una semplicissima lama.»
Bart non poteva non concordare con lei. «A questo possiamo rimediare» sorrise Bartimore. «Magari se mi prometterai di non infilzarmi durante il sonno, nonostante l’inimicizia che ci separa.» “Oh no, cosa dici, stupido Bartimore, ser di non chissà cosa, e natio di quello stupidissimo luogo sperduto e malsano?”                                                                                                                                        
«E se ti promettessi anche di non utilizzarla che per pescarci?» chiese lei.                                                                         
«Allora sarei molto più tranquillo.» ribatté a tono Bartimore. «Esmerelle, non metto in dubbio le tue potenzialità, ma qui ci troviamo nella bocca del leone, tra le fauci del nemico. Capisci la gravità della cosa? Un passo falso e le uniche teste tagliate saranno la mia e la tua. Vuoi vendetta per i torti che ti hanno fatto, è ovvio. Ma come puoi averla se adori rischiare il peggio? I morti non hanno ancora imparato a vendicarsi sui vivi.»    
Esmerelle si fece guardinga. Chissà se quei discorsi la infastidivano, l’annoiavano o la impressionavano. La sua espressione era sempre la stessa.                                                                                                                                                           
«Ti prometto che avrai ciò che desideri, oggi, domani o dopodomani. Ma tu devi promettermi che saprai attendere sempre. Vedi cosa capita a chi non sa farlo?». Bart indicò la larga contusione che aveva sul braccio. «E potrei mostrarti tante altre persone che hanno subito dei torti per la loro impazienza. Un giorno avrai tutto ciò che desideri… lo capisci? Lo vedi?»                                         
«Vedo.» rispose lei duramente.                                                                                                                      
Attorno a loro, Lenticchia e il palafreno di Esmerelle avevano iniziato ad azzuffarsi con dispettosi nitriti, per poi tornare a leccarsi l’un l’altro. In un certo senso quelle due bestie erano molto simili ai loro padroni indispettiti.
«Allora, me lo prometti?»                                                                                                                                                                                   
«Te lo prometto ad una sola condizione.» pronunciò Esmerelle con veemenza. «Una soltanto.»                                      
«Quale?» chiese Bartimore curioso.                                                                                                                                       
«Quando tutto sarà finito, io verrò con te nelle Terre dei Venti. Voglio tanto vedere il mondo giù a sud, viaggiare sulle onde, ascoltare il ruggito del vento e il suono dell’acqua del mare». Lo sguardo di Esmerelle era perso nel vuoto più totale. «Ho sempre amato viaggiare, e ho sempre voluto ammirare le coste delle tue terre. Me ne parlava tanto mia nonna, da piccola, prima di morire. E io vorrei percorrere i paesaggi che mia nonna utilizzava per le sue leggende serali. Voglio visitare le tue terre, ser.»    
“Mie?”. Bartimore rise. “Appartengo a questo territorio, fanciulla bionda, molto più di quanto tu non immagini. Ho perso anch’io mia madre… forse a causa della guerra… della brutta bestia che è la malattia. E la malattia è il morbo della guerra, da sempre. Ma anch’io serbo più rancore di ogni uomo di questo maledettissimo campo. Ti rendi conto di quanto siamo simili io e te?”.Bart tenne per sé ogni particolare pensiero. Si limitò a sorriderle dolcemente, meravigliato non poco da quella insolita richiesta. «E sia. Se saprai attendere avrai questo e tanto altro. Chiunque ha tutto ciò che desidera se sa attendere.»

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Note d'autore
Un capitolo abbastanza lungo per gli standard della storia, in cui ho praticamente condensato due spezzoni che sarebbe stato inutile dividere ulteriormente. Che dire? Innazitutto sempre tante grazie a chi legge con assiduità la storia, a chi mi supporta continuamente con i suoi commenti, corti o lunghi che siano, complessi o semplici... sono davvero tutti molto importanti per me! E' stato difficile scrivere il dialogo tra Esmerelle e Bartimore, perché trattasi di semplici piccoli passi che entrambi stanno facendo per cercare un accordo che possa farli vivere in serenità... e spero di essere riuscito a render bene la situazione, nonostante non mi convinca molto. A voi il parere, dunque: sono pronto ad ascoltarvi. Ad ogni modo, qui si spiega un po' più il motivo dell'aggressione di Wictor allo scudiero di Derek Winemors; cosa ne pensate? E che mi dite del nuovo personaggio introdotto in questo capitolo - Darrick Sunfall, signore di Baia della Cometa? Cosa pensate di patres Steffon alla luce degli ultimi avvenimenti? E cosa potete credere di Esmerelle?
Ancora grazie, un buon lunedì e al prossimo aggiornamento, con un capitolo più corto e "di passaggio" per lo scioglimento di questi ultimi! [lunedì 3 Aprile]

 
   
 
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