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Autore: vernal winter    27/03/2017    1 recensioni
Il problema di Abigael era sempre stato uno: pensare troppo.
Era in quella fase della vita in cui i giorni si susseguono, protagonisti di un’ordinaria routine. Sempre uguali, sempre gli stessi. Talmente monotoni da farle credere di essere rimasta ferma nello stesso secondo per chissà quanto tempo. Faceva le stesse cose, rispondeva alle stesse domande ed ogni giorno, alle dieci e mezza di sera, il pensiero di quanto sarebbe stato più appagante farla finita la sfiorava come una mano amica. C’erano mille modi per farlo, aveva pensato ad ognuno di essi con estrema attenzione, valutandone i pro e i contro.

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Una ragazza triste.
E due occhi che la strapperanno dalla monotonia di una vita che non vuole.
Un'indagine su una serie di omicidi che la porteranno a conoscere meglio se stessa e le persone che la circondano.
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Mille gradi di separazione

Capitolo 1 • Remain my reflection

 

 

 

 

 

Il problema di Abigael era sempre stato uno: pensare troppo. 
 
Il suo cervello sembrava non accontentarsi di vivere la vita come tutte le persone che la circondavano. Era possibile che nessuna di esse si sentisse come lei? Era possibile che per loro, tutta quella perpetua monotonia fosse piacevole? Vedeva i loro occhi brillare; sentiva le loro voci farsi più eccitate nel programmare una nuova serata; o i sorrisi tendersi come se non ne potessero fare a meno per l’annuncio di una nuova serie tv. E lei aveva preso ad imitarli, perché starsene in un angolo da sola - così come la sua vena depressa ed asociale le richiedeva - di certo non avrebbe contribuito al miglioramento della propria vita. Faceva finta che andasse tutto bene, che fosse un periodo passeggero o il semplice effetto della primavera; anche se erano ormai anni che viveva in uno stato di apatia totale. Ma questo le aveva permesso di diventare un’ottima attrice.
 
Gioiva dei suoi successi universitari, o della vittoria di un contest. Alzava gli occhi al cielo quando le chiedevano del ragazzo con cui era uscita il weekend precedente, illudendosi che non era stata certo colpa sua se questo non l’aveva più richiamata. Mandava avanti una vita sociale più o meno attiva, anche se l’unica cosa che avrebbe voluto sarebbe stata seppellirsi in camera. 
 
Era in quella fase della vita in cui i giorni si susseguono, protagonisti di un’ordinaria routine. Sempre uguali, sempre gli stessi. Talmente monotoni da farle credere di essere rimasta ferma nello stesso secondo per chissà quanto tempo. Faceva le stesse cose, rispondeva alle stesse domande ed ogni giorno, alle dieci e mezza di sera, il pensiero di quanto sarebbe stato più appagante farla finita la sfiorava come una mano amica. C’erano mille modi per farlo, aveva pensato ad ognuno di essi con estrema attenzione, valutandone i pro e i contro.
 
Tagliarsi le vene sarebbe senz’altro stato molto drammatico e d’effetto, ma era sicura che le mancasse la fermezza per incidersi da sola la pelle fino al punto di non ritorno.  Mettersi una corda intorno al collo l’avrebbe fatta agonizzare, così come l’annegamento. Le pillole potevano essere un’ottima alternativa, ma procurarsene abbastanza per causarsi un’overdose non era così semplice.
 
Alla fine, si addormentava sempre cullata dalla promessa di non risvegliarsi. Promessa che ogni mattina veniva infranta.
 
***
 
« Hey, Abi, sei pronta? »
 
La voce di Mike le arrivò alle orecchie dal fondo dell’aula e, quando voltò lo sguardo, lo trovò fermo sulla soglia ad aspettarla. Ancora non capiva perché continuava a starle appresso. Dopotutto, nonostante i propri sforzi di apparire una persona normale, non era mai stata particolarmente loquace con nessuno, tantomeno con quello strambo ragazzo dai capelli biondi che, di certo, non rientrava nella categoria di appartenenti al genere maschile di cui potersi fidare. Era sempre troppo sorridente, troppo divertito, troppo flirtante. Eppure, in qualche modo, doveva aver catturato la sua attenzione con i propri silenzi e le occhiate furtive. Cosa che le faceva comodo, perché con Mike Turner al proprio fianco nessuno avrebbe avuto il coraggio di infastidirla al campus.
Annuì in sua direzione, finendo di raccogliere i propri appunti nello zaino, prima di caricarselo in spalla e raggiungere il ragazzo. Si limitò a seguirlo fuori, senza accennare l’inizio di una discussione che avrebbe senz’altro riguardato la noia estenuante della lezione di Storia del Cinema appena finita. Non che avesse qualcosa contro quella forma d’arte o quel corso in particolare che, anzi, le aveva permesso di scoprire registi che l’avevano fatta innamorare, ma la professoressa era davvero insostenibile. O almeno, era quello che dicevano tutte le centodiciassette persone presenti nell’aula. A lei sembrava ugualmente noiosa a tutti gli altri.
 
« Domani escono i risultati del bando. » Buttò lì, il biondo, mentre si incamminavano verso l’uscita. Ormai aveva imparato a non aspettarsi niente da lei e, puntualmente, era lui il primo a trovare qualcosa di cui parlare.
 
« Mmh— Non ci spero. »

« Piantala, del nostro anno sei sicuramente quella con più possibilità. »
« Questo è quello che dite tu ed Eleonor. A quanto pare, il parere del professore conta molto e non credo che la McKarthney abbia particolarmente apprezzato il mio ultimo intervento. »

Una risata leggermente roca e divertita uscì dalle labbra del ragazzo accanto a lei, facendolo sembrare ancora più luminoso di quanto già non fosse. Ma da dove diavolo la prendeva tutta quella voglia di vivere? « Dio, quello è stato sicuramente uno dei momenti più esilaranti della mia carriera universitaria. »
 
Abigael alzò gli occhi al cielo al ricordo di una delle poche volte che aveva mai deciso di aprire bocca in classe. Non era certo stata colpa sua se quell’idiota con il seno rifatto aveva denigrato una delle sue opere letterarie preferite, definendola come “la perversa e odiosa visione di un folle”. Era dovuta, per forza, correre in aiuto di Oscar Wilde; ne sarebbe andata della sua poca salute mentale rimasta, altrimenti. Peccato che non appena aveva zittito la professoressa, questa aveva annunciato che c’era la possibilità di vincere un concorso per uno stage retribuito in uno dei più importanti giornali di Londra, presentando una relazione su argomento a piacere che, ovviamente, avrebbe valutato lei. Con quello, era certa, di aver segnato la sua fine. 
Quando la brezza fresca autunnale le arrivò sul naso, si rese conto di essere arrivata alla fine dell’immenso corridoio dell’università e di essere già uscita fuori grazie a Mike che le aveva prontamente tenuto aperta la porta. 
 
Sospirò. Un’altra giornata finita. 
Uguale. 
Monotona. 
Ripetitiva.
 
Si chiese se lui non si sentisse così, ma sembrava evidente di no, dato il sorriso soddisfatto che aveva stampato sul viso dai lineamenti perfetti. Si sentiva così distante da lui - da tutti - che la solitudine sembrava l’unica difesa da utilizzare contro il vuoto opprimente che le invadeva il petto. Eppure sorrise, o almeno accennò a farlo, quando il biondo la salutò per correre a prendere l’autobus che aveva visto passare dal lato opposto della strada, lasciandola sola nel cortile con i propri pensieri. Si permise di perdersi un minuto, guardandosi intorno, studiando i profili - a volte conosciuti, a volte totalmente estranei - delle persone che invadevano la aiuole e le panchine, affollandole di libri e di troppe parole. Come se tutto fosse normale, come se tutto andasse bene. Come se fossero felici. E, probabilmente, lo erano davvero.
Si riscosse solamente quando dovette stringersi di più nella propria giacca di jeans, colpita da un improvviso brivido di freddo che le ricordò la fine della stagione estiva. Non dovette nemmeno stare a pensare alla strada che avrebbe dovuto fare, i suoi piedi conoscevano perfettamente l’itinerario per arrivare nel modo più veloce alla fermata della metro e lei si concesse di infilarsi gli auricolari nelle orecchie per godersi un po’ di musica. Le faceva compagnia. La faceva sentire meno sola. Come se immaginare che dietro a quelle note e parole si nascondesse lo stesso suo disagio, la aiutasse a non pensarci troppo. 
 
Nel giro di dieci minuti si ritrovò nel solito vagone della metro, con la stessa playlist che le rimbombava nelle orecchie e gli occhi puntati sullo stesso ragazzo. 
 
Lui faceva la differenza. 
Lui era l’unico momento della giornata in cui era felice di essere viva. 
Non sapeva perché, non sapeva come, ma un giorno, tre mesi prima, quello strano individuo dai capelli scuri si era seduto accanto a lei, e niente era più stato lo stesso. Stava sempre con lo sguardo perso in chissà quale pensiero, non si perdeva mai a passare il tempo fissando lo schermo dello smartphone e, una volta, avrebbe giurato di sentirlo canticchiare la stessa melodia che stava ascoltando lei con le cuffie. Non si erano mai parlati, non sapeva nemmeno il suo nome, ma ogni giorno aspettava le 18:30 per poter salire su quella carrozza e incontrare i suoi occhi. Non conosceva niente di lui, ma lo sguardo stanco, con cui ogni tanto l’aveva sfiorata di sfuggita, le ricordava il suo. Era come lei. Poteva capirla. Se lo sentiva. Eppure essere così vicini e allo stesso tempo così lontani ad una persona che avrebbe potuto condividere il suo stesso subbuglio interiore la spaventava. Non era pronta per affrontare l’eventualità che fosse solo un ragazzo imbronciato. Lui doveva rimanere il suo specchio. Doveva rimanere l’ancora a cui aggrapparsi quando la notte le lacrime affioravano per bagnarle il cuscino. Doveva rimanere un sogno. Anche se la tentazione di avvicinarsi a lui era sempre più forte e sempre più difficile da reprimere. 
Quella sera la metro era particolarmente affollata e non era riuscita a trovare posto a sedere. Se ne stava con la mano appesa ad uno dei pali di metallo che attraversavano da parte a parte la carrozza e cercava di capire quale libro il ragazzo stesse leggendo. Era seduto quasi di fronte a lei, ma per qualche motivo, non l’aveva ancora guardata. Sembrava più stanco del solito. Dopo qualche fermata, le porte si aprirono, lasciando entrare un’anziana signora dai capelli bianchi che si guardò intorno un po’ spaesata, alla ricerca di un posto dove potersi mettere.
 
« Prego, si sieda qua. »

La sua voce. Non aveva mai sentito la sua voce.
Era calda. Roca, ma non gutturale. Profonda al punto da spingerla a farle desiderare altro. 
Improvvisamente fece troppo caldo.

Si era alzato e adesso, a causa dello spazio ristretto, premeva quasi completamente sul lato sinistro del suo corpo. Era più alto di lei di almeno quindici centimetri e ciò le permetteva di sentire il suo fiato andarsi ad intrufolare fra i propri capelli. Avrebbe voluto urlare, avrebbe voluto sparire. Ma quando si decise ad alzare lo sguardo, trovò quello di lui a fissarla, penetrante. Non come si fissa una sconosciuta in metro. La guardava davvero. Le scavava l’anima con quegli occhi troppo verdi e le succhiava via ogni istinto di sopravvivenza con quelle labbra carnose, che - bastarde - se ne restavano socchiuse di fronte ai suoi occhi, inducendola a pensieri non del tutto casti. Forse fu solo la sua immaginazione, ma le parve che il lato destro della sua bocca fosse guizzato appena verso l’alto, come divertito da quella sua reazione. Probabilmente era arrossita.
Il suono acustico della vettura la riportò abbastanza alla realtà, per farle capire che doveva porre fine a quella situazione. Sgusciò via dalle porte aperte, ad una fermata che non era la sua e si permise di riprendere fiato solo quando ormai la metro era ripartita.
 
Improvvisamente, niente fu più tutto uguale. 


 

 

 

SPAZIO AUTRICE
Scrivo questa storia per dare sfogo alla mia vena romantica e sognatrice che solitamente reprimo. Per fare un po' di analisi interiore e per darmi, almeno nella scrittura, la possibilità di trovare qualcuno come me. Il titolo "Mille gradi di separazione" prende spunto da una teoria sociologica, per cui ogni persona è potenzialmente collegata a qualsiasi altra persona al mondo, con un giro di non più di sei contatti. Sta ad indicare che Abigael, la protagonista, si sente molto più distante dal resto del mondo, rispetto alle altre persone e, quindi, sei gradi non bastano. Ho utilizzato il raiting arancione e non rosso, per riuscire a raggiungere più persone possibile. Probabilmente, se dovessero esserci scene particolarmente esplicite, creerò degli spin-off a parte con il raiting rosso per permettere, a chi vorrà, di leggerli.

 
   
 
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