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Autore: dream_more_sleep_less    27/03/2017    2 recensioni
A diciotto anni non si sa mai esattamente cosa si voglia dalla vita, né chi si voglia diventare. Si passa il tempo a porsi domande accompagnate da porte in faccia, e rimaniamo indecisi fino all'ultimo. Leeroy invece è cresciuto con la convinzione di poter diventare esattamente ciò che vuole: un calciatore. Non ha mai voluto altro e non ha mai sognato altro. Gli studi non fanno per lui. La sua presunzione lo porta a distruggere i sogni della squadra del suo liceo proprio alla finale di campionato. Ha deluso soprattutto i compagni che stanno ormai per diplomarsi. Per loro non ci sarà un'altra possibilità, sono arrivati all'ultimo giro di giostra. Alla fine scenderanno da vincitori o da perdenti. Dipenderà tutto da Leeroy, che dovrà riuscire a mettere le redini al suo ego per andare d'accordo con il portiere. Secondo lui, Lance è la vera causa della loro sconfitta.Troppo calmo, troppo sicuro di sé. Ma il loro rapporto dovrà cambiare per permettere ad entrambi e al resto della squadra di guadagnarsi il titolo di campioni. { In corso }
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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The last chance
XXXI
 

Aveva passato l'intero pomeriggio a chiamare Lance, si era addirittura presentato a casa sua, ma nessuno aveva risposto al citofono. Se n'era andato sconsolato, consapevole di meritarsi quel trattamento. Dopo il casino che era successo al parcheggio, il suo migliore amico aveva voluto sapere cosa fosse realmente successo. Non l'aveva mai visto così adirato e dispiaciuto allo stesso tempo. Era stato surreale. Per un momento aveva creduto che sarebbe scoppiato in lacrime, invece il suo sguardo era diventato vuoto e se n'era subito andato. Non aveva nemmeno voluto parlare con Stan. 
Miles sospirò amareggiato, provando a chiamarlo ancora una volta. Avrebbe dovuto dirgli tutto dall'inizio, e non impuntarsi con l'allenatore. Ora la squadra era senza capitano, senza terzino e forse anche senza portiere. Si fece i complimenti per la sua trovata. In una sola volta aveva buttato fuori i giocatori migliori della squadra. Doveva fare qualcosa per rimediare al danno, non poteva sopportare di aver fatto una cosa del genere al suo migliore amico, e lo sguardo deluso di Leeroy continuava a comparirgli davanti. 
"Sei un coglione, Reginald!" 
Se Lance non l'avesse ascoltato, forse il terzino l'avrebbe fatto, o almeno, era quello che sperava.

*
 

Non aveva minimamente preso in considerazione l'idea di rispondere a Miles. Doveva prima riflettere. Si era fatto dare giorni in più da Jack durante la settimana, non aveva intenzione di andare agli allenamenti. Nei pochi giorni che erano passati, era andato a scuola, ma era uscito sempre prima per non incontrare nessuno. Aveva evitato Miles come la peste, mentre con Leeroy non ce n'era stato bisogno: il cretino aveva avuto il buonsenso di non presentarsi proprio a scuola. 
Per sua fortuna il naso non era rotto, ma aveva ancora la faccia tumefatta e faceva un male cane. 
L'unico ad aver preso quella rissa sul serio era stato Stan. Era riuscito a fermarlo all'uscita da scuola quel giorno stesso. 
"Se lo vengono a sapere finirai nei casini. Ho già dovuto chiamare i genitori di Leeroy." 
Stark se n'era andato senza rispondergli, scansandolo con la spalla. Non voleva sentire quelle puttanate, non in quel frangente. Doveva andare a lavorare, al diavolo il resto.

Jack non commentò i suoi modi di fare in quei giorni e gliene fu grato; sicuramente anche lui aveva altre cose per la testa, come la cameriera che continuava a sbagliare ad usare la cassa. Lo stava esaurendo in quei mesi. 
Lasciò che la macchina del caffè portasse via il suo cattivo umore, trasformandolo in caffè; non aveva bisogno d'altro in quel momento. Solo più tardi quella sera, in quella casa vuota, sentì il peso di tutto gravargli addosso. Si sentì opprimere il petto e il respiro accellerato, come se dovesse piangere, ma in realtà voleva solo distruggere tutto. 
E lo fece. Tutte le cose che si trovavano sul tavolo della cucina volarono per terra, in uno scatto di pura ira. 
Era stato un idiota. Come poteva aver sperato per un solo momento di essere migliore di Leeroy nel calcio, per una volta, come? 
Quella era stata pietà. Aveva visto pietà negli occhi di Miles e di Stan. Voleva distruggere qualcos'altro. Come diavolo c'era finito lì per terra a disperarsi, senza nemmeno sapere di cosa?
Era la consapevolezza di aver rubato il posto a Leeroy o di essere stato raccomandato a ridurlo così? 
Non avrebbe dovuto fare quello che aveva fatto, era per quello che era sempre stato titubante a creare quel tipo di legame con qualcuno della squadra. Si era messo nella merda da solo. 
"Vaffanculo, vaffancuo, cazzo", disse a denti stretti, prendendo a pugni il pavimento senza riuscire veramente a farlo. 
Andò al frigo e prese una birra; per quella volta poteva anche concedersela. Doveva annegare tutto, doveva morire tutto e lui con esso. Odiava avere ragione. 
Accese lo stereo e per sua sfortuna dentro era rimasto il cd di Alex. Lasciò perdere e selezionò la sua canzone preferita. Si lasciò andare di nuovo per terra, con il viso rivolto al soffitto, ascoltando quella voce che ormai conosceva così bene. 
"We have never lost control with the man who sold the world," canticchiò a sprazzi, ridacchiando e aggiungendo un'altra imprecazione. 
Rimase sul pavimento gelido finché non finì il cd. Non avrebbe chiamato Alexandra per cercare conforto, doveva riprendersi e andare avanti, come aveva sempre fatto. Era già caduto tante volte, cosa faceva una volta in più? Ordinaria amministrazione. Era per quel motivo che non era mai stato un credente. Era un disgraziato come lo era sua sorella, non ci sarebbe stato un lieto fine per loro, solo finti sprazzi di felicità che sfociavano in distruzione. 
Si sarebbe ripreso, sarebbe andato avanti e nient'altro.

Ciò che lo faceva incazzare, però, era che con Leeroy si era davvero illuso. Le cose sarebbero comunque finite così. Lo sapeva dall'anno prima e lui aveva preferito far finta di nulla. In un certo senso aveva sempre provato una specie di attrazione per lui, ma non ci aveva mai badato troppo. Era come un oggetto di cui conosci l'esistenza ed il valore, ma a cui tieni alla larga perché lo sforzo per ottenerlo sarebbe immane e non avresti garanzie. 
Tutto ciò, però, si era concretizzato negli ultimi mesi e, cazzo, gli aveva fottuto il cervello come una malattia. Sapeva che sarebbe finita così, dannazione quanto si era illuso. Si odiava più per quello che per il resto. Era stato avventato, ma lui era lì e in quel momento gli era sembrata la cosa più giusta da fare. Non aveva potuto far finta di nulla, perché lo voleva e si sentiva disperso in una tormenta, senza sapere dove si trovasse il Nord. Baciarlo era stato liberatorio, giusto e aveva quasi sentito il coro degli angeli. 
Si coprì gli occhi con una mano, ricordando la sensazione del momento. Voleva sparire, assorbito dal pavimento, cessare di esistere da quanto faceva male. 
Scosse la testa, come a porre una fine. Doveva andare a letto e dormire. 
Prese sonno difficilmente quella notte, continuando a pensare, era come se il suo cervello volesse dirgli io te l'avevo detto, coglione. 
Riuscì ad addormentarsi solo dopo aver ricordato la finale dell'anno passato, cercando di provare lo stesso odio per Leeroy che aveva provato allora. Forse così sarebbe stato meglio. 
Era riuscito a credere finalmente di nuovo in qualcosa grazie a lui, in quei giorni a studiare e a far nulla. Indirettamente gli aveva fatto del bene, ma in pratica gli aveva solo scavato la fossa.

*
 

In quei giorni non era stato ignorato solo da Lance, ma anche da quell'idiota di Rogers. Non che la cosa lo stupisse, ma lo stava innervosendo più del solito. Se almeno il portiere veniva a scuola sembrando un automa, Leeroy invece non si era proprio presentato. 
Aveva anche scoperto che era Abigail che passava a prendere Jo per portarla a scuola, il ragazzo non usciva più nemmeno di casa. Come se non bastasse, sapeva che Stan aveva contattato i genitori del ragazzo per metterli in guardia. La sua unica fortuna era che nessun professore voleva averci a che fare e avevano lasciato la faccenda all'allenatore. Doveva essere lui ad occuparsi degli elementi indisciplinati. A parte quello, però, non aveva fatto altro, ed era ancora piu snervante. 
Durante gli intervalli, aveva provato a parlare con i due compagnoni di merende di Leeroy, ma nessuno dei due si era minimamente disturbato di ascoltarlo. Akel, che di solito era quello calmo, gli aveva urlato contro. Daniele, invece, gli aveva inveito contro in dialetto; anche quella, una cosa mai successa prima di allora. Erano tutti delusi. Sospirò, rasentando l'esaurimento nervoso. 
Dopo la scuola avrebbe chiamato di nuovo il difensore e, se non avesse risposto, allora avrebbe sentito sua cugina e, se nemmeno lei avesse risposto, sarebbe andato a casa sua. 
Abigail aveva cercato di confortarlo senza speranza. Sarebbe dovuto avvenire in un altro modo. 
Una volta che fu a casa, sbattè fuori i suoi fratelli da camera sua. Ogni volta li beccava con il computer a cercare cose sconce usando la sua e-mail. Erano dei demoni. Sapevano fare di quelle cose con la tecnologia che erano inverosimili per la loro età. Certe volte gli sembravano usciti da Star Trek. 
Si sistemò sul letto e cercò di rilassarsi un momento. Rimase così per una buon mezz'ora, sperando di addormentarsi per lo sfinimento, ma la sua testa stava lavorando troppo in fretta. 
"Ok, ok!" farneticò a voce alta. "Lo chiamo."
Compose il numero del terzino, ma capì subito che nessuno avrebbe risposto. Provò più volte, ma non accadde nulla. 
Alzò gli occhi al cielo. "Sono davvero la madre di questi cretini!" 
Con quel sarcasmo, almeno, si stava riprendendo dal suo abbattimento. Tanto valeva provare a chiamare Jo. 
Sperò che almeno lei non lo mandasse al diavolo. 
Non fece nemmeno in tempo a dire "Pronto" che la ragazza attaccò subito a parlare. 
"Guarda, non mi sembra il caso. È di pessimo umore e i miei zii torneranno fra qualche giorno." 
Rimase perplesso. "Voglio solo spiegargli cosa è successo, né lui né Lance mi rispondono, posso avere una possibilità?" disse tutto d'un fiato. 
La sentì sospirare, sicuramente non era sicura sul da farsi. 
"Sai cosa vuol dire che non l'ho mai visto così? È distrutto e tu vuoi venire a parlargli solo per peggiorare la situazione? Quando tu sapevi tutto sin dall'inizio e non hai cercato nemmeno di spiegare la situazione."
Avrebbe sopportato quelle parole dagli altri, ma non dall'ultima arrivata. 
"Ascolta, conosco tuo cugino da quando andavamo all'asilo, non gli avrei mai fatto un torto del genere solo per gusto. Dannazione, Jo! Siamo compagni di squadra e ci rispettiamo, non l'avrei mai fatto a loro." 
"Senti, solo perché sono qua da poco non vuol dire che io non sappia nulla. Conosco mio cugino e non è ridotto così solo per via del West Ham, c'è dell'altro, ma non sono sicura..." 
Miles rimase stranito. Cosa poteva esserci che lui ancora non aveva notato? 
"Cosa intendi?" 
"Gli dico di chiamarti, almeno parlate. Ha bisogno di sapere la verità da te, e non da Sanders com'è successo." 
Quella era l'unica accusa che meritava. 
"D'accordo."

*
 

Abigail non lo sentì neppure arrivare in cucina. Era troppo silenzioso e strano. La questione gli stava sfuggendo di mano. Lo vide afferrare a malo modo la maniglia del frigo, tirare fuori la bottiglia di vino e bere attaccandosi direttamente. 
"Sei un coglione", sentenziò la sorella. 
Adam la guardò di sbieco, pulendosi la bocca una manica. 
"C'è di peggio." 
"Ti riduci così ogni fottuta volta, fortuna che mamma e papà hanno il turno di notte, altrimenti finirebbe in un macello." 
Il più grande ripose la bottiglia al suo posto con calma, quasi non sentendo le parole. 
"Non sono affari tuoi quello che faccio." 
"Io direi di sì, cazzo. Te ne stai tutto il giorno rinchiuso in camera a dipingere e non esci neppure per andare da Lance. E tutto questo per la più grande stronza di Brighton, complimenti", urlò la ragazza con furia. Suo fratello era meglio di così. 
"Tu non capisci." 
"Non capisco cosa? Che lei non ha intenzione di stare con te? Fattene una ragione e vai avanti. Cristo santo, non sei nemmeno andato da Lance dopo quello che è successo." 
"Anche tu dovresti guardarti da chi scegli come ragazzo. Un bugiardo", rispose lui prontamente. 
Abigail scattò in piedi e assieme a lei un rovescio che finì sulla guancia destra del fratello. 
"Non provarci nemmeno. Fai qualcosa per riprenderti, perché sei ridicolo. Fino ad allora, non rivolgermi la parola", tuonò la ragazza, fulminandolo con lo sguardo. 
Adam rimase per un attimo scosso dal colpo, ma poi come niente fosse successo le voltò le spalle e si diresse alla porta. 
"Vai scappa dai problemi, è quello che hai sempre saputo far meglio!", urlò lei ancora. 
"Sono fuori con dei compagni di universita, ci vediamo domani mattina", tagliò corto lui prima di prendere la giacca in pelle ed uscire. 
"Vai al diavolo."

*
 

Come volevasi dimostrare, Leeroy non l'aveva richiamato. Alla fine si era ritrovato in auto alla volta della villa sulla collina. Aveva anche ricevuto un messaggio da parte di Abigail, infuriata con il fratello. Non poteva fare a meno di non sopportarlo. Quella ne era la prova lampante. Sperò solo di avere il tempo di andare da lei più tardi, sempre che non fosse finito all'ospedale per colpa del padrone di casa. Gli scappò una risata isterica.

Parcheggiò vicino al cancello e andò a suonare. 
Si era ripromesso che, se non avessero aperto, avrebbe scavalcato il muro di recinzione. Con suo sommo stupore, dopo solo dieci minuti gli venne aperto. Sicuramente Jo doveva aver litigato con il cugino nel frattempo. Quando arrivò sull'uscio, la porta era già aperta. 
"Mi immaginavo saresti venuto", disse la ragazza, andandogli incontro. 
"Non ha chiamato." 
"Ho cercato di convincerlo, ma non ne vuole saperne né di scendere né di uscire. Ha anche lanciato l' Xbox. Se ne sta in camera ad ascoltare musica e dormire", raccontò lei, afflitta. 
"Posso andare su?" 
"A tuo rischio e pericolo" 
Si fece coraggio ed imboccò le scale. 
Lo trovò a testa in giù sul divano di camera sua, con le cuffie in testa, mentre canticchiava non sapeva cosa. Le finestre poi erano oscurate dalle tende. Non aveva idea di come facesse a respirare li dentro, l'aria era pesante. Come si immaginava, poi, la stanza era un macello, vestiti ovunque ed il letto sfatto. 
Andò alle tende e le tirò per poter aprire le finestre e far entrare aria pulita. Subito dopo gli prese il telefono dalle mani, staccandolo dalle cuffie. 
Rogers imprecò subito, cercando di afferrare l'oggetto dalle mani di Miles, senza riuscirci. Si sbilanciò e cadde per terra con le gambe al soffitto. Imprecò ancora per il dolore alla schiena. 
"Cosa diavolo vuoi?" 
"Vestiti ché usciamo, dobbiamo parlare", proruppe subito Miles, con il solito tono che non ammetteva repliche. Doveva rimediare a tutto.

*
 

Arrivarono al locale dopo mezz'ora. Nessuno dei due aveva proferito parola durante il viaggio in auto. Leeroy era ridotto nel suo solito stato con barba e occhiaie. Era inverosimile come si riducesse ad ogni colpo basso. Non poteva dargli torto però.
Si misero in disparte, ad un tavolo lontano dal chiacchiericcio del venerdì sera. La sala era piena di combricole ed universitari. Quanto li invidiava, non vedeva l'ora che quell'anno finisse. 
La cameriera portò loro due bottiglie di birra e se ne andò senza guardarli nemmeno in faccia, avevano molto da fare quella sera dietro il bancone. 
Leeroy ne buttò giù metà in una sorsata sperando che l'alcol l'avesse fatto diventare piu incline alla parola. Non si era aspettato che Miles si presentasse alla sua porta, ma avrebbe dovuto. 
"Non è stata colpa di Lance, ha fatto tutto Stan", riuscì a dire Reginald finalmente. 
"Questo non cambia che mi abbiano tolto qualcosa che era mio di diritto", risposte Roy tagliente. 
"Lui non lo sapeva, Stan gli ha fatto credere che la squadra avesse scelto lui sin dall'inizio. Io ho sbagliato perché quando l'ho scoperto avrei dovuto subito dirvelo, invece ho sperato che Stan si scusasse e dicesse la verità... Non sei l'unico ad essere rimasto deluso. Sono settimane che ci litigo, ma lui ha deciso di fare di testa sua e allora ho mollato la squadra", raccontò l'ex capitano, sperando che Leeroy capisse. Sapeva che non sarebbe stato facile, il ragazzo era testardo ed orgoglioso. 
"Pensi che ciò possa farmi stare meglio? Mi avete tutti quasi obbigato ad andare d'accordo con quello stronzo e poi quando le cose vanno bene, Stan se ne esce con questo? Dimmi dov'è la coerenza. Cosa si aspettava che succedesse quando lo fossi venuto a sapere? Che avrei fatto finta di nulla? No, cazzo", sbottò il terzino. Per lui ormai era una questione di principio, quella era stata una provocazione. L'avevano fregato sin dall'inizio. 
"Calmati, dannazione. Lo so che il vostro rapporto era andato a puttane durante la finale, tutti lo sanno. So anche lo sforzo che hai fatto per andarci d'accordo e diventargli amico. E le cose andavano bene, lo so. Eravamo tutti contenti, almeno nessuno si sarebbe ritrovato di nuovo deluso. Sono stato un coglione perché avrei dovuto dirvelo subito", si sfogò Reginald, sperando che l'altro capisse. 
Leeroy sospirò profondamente, bevendo poi quello che restava della sua birra. Era arrabbiato perché non voleva mettersi di nuovo contro l'intera squadra. Aveva sbagliato una volta e quella volta era stata solo colpa sua, ma ora era diverso, perché era lui la vittima. Cosa avrebbe dovuto fare? Andare da Lance come se nulla fosse mai accaduto e dirgli che gli dispiaceva per avergli rotto il naso? 
Cristo santo, dopo tutto quello che era successo non sapeva nemmeno come comportarsi. La sola idea di rivederlo gli faceva crescere il panico dentro e gli mozzava il respiro. Non ci sarebbe mai riuscito. L'aveva picchiato senza guardarlo in faccia, gli aveva fatto uscire sangue e se l'era ritrovato su di sé. Tutto ciò l'aveva fatto star male per la prima volta. Quando era tornato a casa, aveva davvero chiesto a se stesso cosa cazzo hai fatto?!.
Per fortuna c'era stata Jo: non aveva fatto domande e l'aveva sorretto come sempre. Sin da quando erano bambini lui faceva i danni e lei li riparava. Ora, invece, si ritrovavano in quell'età in cui entrambi facevano casini. 
"Non ho intenzione di tornare in squadra finché Stan non si scuserà con entrambi", sentenziò poi. 
Miles rimase perplesso, non capendo. 
"Tornerai a scuola?" domandò pacatamente. 
"Sì, ma non so se riuscirò a guardare Lance in faccia dopo quello che ho fatto", disse la verità in un sussurro, sorreggendosi la testa con i palmi sul tavolino. 
Un dubbio sorse in Miles. Cosa intendeva Jo con c'è dell'altro
Normalmente Leeroy sarebbe tornato quello di prima, non avrebbe mai detto che non sarebbe riuscito a guardare il portiere in faccia. 
"Non avrei dovuto farlo, porca puttana." 
"Il naso non è rotto, ma ha la faccia blu. Guarirà, non ti preoccupare." 
Quelle parole furono una magra consolazione. "Sono un coglione", disse ancora Leeroy. 
A Miles sembrava straordinariamente e sinceramente dispiaciuto, come non l'aveva mai visto. 
"Hai provato a chiamarlo?" osò domandare. 
Il terzino negò con la testa. "E nemmeno lui ha provato a chiamarmi, ma direi che è meglio così." 
Miles sospirò, afferrando la sua bottiglia e bevendone un sorso. "Si aggiusterà anche questa, te lo prometto." 
Leeroy annuì impercettibilmente. "Speriamo, altrimenti con noi tre fuori finisce che nemmeno quest'anno si vince nulla." 
"Non essere pessimista." 
Le porte del locale si aprirono in quel momento per lasciar entrare un gruppo di lauerandi barcollanti; in mezzo a loro, con occhiali da sole e giacca in pelle nera, faceva la sua figura Adam Twain. 
Miles ne udì solo la voce e già volle andarsene altrimenti, sarebbe davvero finito qualcuno in ospedale. Doveva fare la persona matura e lasciarlo perdere, non poteva fare altro, anche perché ultimamente era diventato insostenibile. 
"Andiamo?" disse prima di finire la bevuta e aspettando che Adam prendesse posto. 
"Ho visto. Mi sa che è meglio, è un rompicoglioni ultimamente", commentò Leeroy, mostrando una certa antipatia nei confronti di Twain. 
Fu Rogers a pagare, pensò che fosse il minimo per quello che aveva fatto Reginald. 
Quando fecero per uscire, però,Adam si parò davati al terzino, ridendo; il ragazzo fece per superarlo ma il più grande con uno strattone lo tenne al posto. "Lasciami andare", disse Leeroy, serafico. Gli mancava anche di fare a botte con lui e poi avrebbe concluso in bellezza la lista delle cazzate del mese. 
"Mi spieghi cazzo fai con Reggie qua? Cosa c'è, non ti è bastato pestarlo a sangue?" 
Miles, a quel punto, si mise di mezzo. "Adam, fatti un giro. Non siamo in cerca di rogne." 
"Ma davvero? Però sei te quello che ha fatto tutto questo puttanaio, complimenti." 
Leeroy notò subito lo sguardo di Reginald e lo prese per un fianco per bloccarlo. Non potevano scatenare una rissa nel mezzo del locale. "Continua a farti i cazzi tuoi", rispose il terzino cercando di spostarsi con Miles. Furono davvero alla porta quando Twain tornò a parlare. 
"Reggie, ora ti fai dire cosa fare dalla ragazza di Lance? Non pensavo aveste questa intesa, te lo scopi anche te?" disse per poi scoppiare a ridere. 
Leeroy non fece in tempo a girarsi per tirargli un pugno in piena faccia che Miles l'aveva già fatto. L'aveva atterrato con un destro in piena faccia. Non l'aveva più visto in una rissa dai tempi delle medie. Era stato velocissimo. Si riprese subito dallo stupore però. Vedendo che l'ex capitano stava per caricare un altro pugno, lo afferrò e lo trascinò via dal locale. Avevano già fatto troppi danni. 
"Sei un figlio di puttana, Adam Twain!" gridò Reginald, correndo via con il compagno di squadra. 
Non riusciva a credere che avesse detto una cosa simile. Non erano cazzi suoi cosa facesse Lance, non doveva permettersi di parlarne così. Era un figlio di puttana senza morale. Gli prudevano ancora le mani. L'aria fredda di dicembre lo aiutò un po' a calmarsi. 
Si ritrovarono a qualche isolato più avanti, vicino ad un parco giochi per bambini, entrambi con il fiatone. Quando Leeroy fece per parlare, Miles lo interruppe subito. 
"Per affrontare questo discorso ho bisogno di sigarette e alcol, andiamo al distributore." 
Reginald non era ingenuo, sapeva trarre le sue conclusioni e le sue erano state solo confermate da Adam.
 
Tornarono al parco dopo un quarto d'ora, con una bottiglia di whisky scadente, tabacco, cartine e filtri. Non era tanto bravo a rollare sigarette,ma quel dannato distributore sembrava aver finito tutto, meno quello. 
Aprì la bottiglia e ne trasse un lungo sorso, e poi la passò all'amico. Intanto iniziò imprecando a farsi una sigaretta. Gli uscì decentemente al quarto tentativo. 
"Da quando fumi?" domandò Leeroy, non sapendo che altro dire. 
"Fumo occasionalmente e in eventi unici come questo", rispose con un tono lievemente sarcastico. Quando finalmente l'accese e ne trasse un respiro profondo, parlò di nuovo. Sembrava piu rilassato in que momento. 
"Quindi fammi capire, da quanto va avanti?" domandò, massggiandosi una tempia con la mano libera e afferrando poi di nuovo la bottigia. 
"Da un po'." 
"È per questo che sembravate andare così d'amore e d'accordo. Ad averlo saputo prima, vi avrei subito parlato della puttanata di Stan, ma no, Lance deve complicare ancora di più le cose", disse sarcasticamente. Non era né deluso né arrabbiato, capiva perché non avesse detto nulla, ma era comunque sorpreso. Molto sorpreso. Era come se gli avessero detto che gli alieni esistevano e che stavano per atterrare sulla Terra: era quel tipo di scoperta. Avrebbe dovuto capirlo, cazzo, si sentì un cretino. 
"Era per questo che Lance non voleva. Per via della squadra e il resto avremmo solo complicato le cose. È stata colpa mia se siamo finiti a letto e poi in questo casino. Sarei dovuto stare calmo quando Oliver mi ha chiamato", ammise con un tono di vergogna, strappando a bottiglia a Miles e bevendo d'un fiato. Non voleva sapere il giudizio dell'amico sulla faccenda. 
"Tu non sei gay!" sentenziò Miles, perplesso. 
"Che vuol dire?" 
"Non ti ho mai visto uscire con un ragazzo o con una ragazza, te sei quello fissato con il calcio", constatò con tono sicuro. 
"E infatti guarda con chi sono finito", gli fece eco con il tono di voce e indicando con la bottiglia un punto indefinito verso gli alberi. 
"Ok, di questo devo dartene atto." 
"Lance se mi vede mi ammazza", disse disperato Leeroy, coprendosi gli occhi con le mani; un lieve mal di testa iniziava a farsi strada in lui. 
"Risolveremo anche questa", lo consolò Reginald. 
Leeroy bevve ancora. "Volevo prenderlo io Adam a pugni. Ma ti ringrazio per averlo fatto", ammise il terzino, guardando oltre gli alberi, dove gli appartamenti in mattoncino. 
"Cazzo, ora riesci a dire pure grazie?" rise Miles sempre più stupito, o forse era solo l'alcol che faceva uscire la sua parte divertente. Quella che di solito riservava a poche persone, come i suoi fratelli o il suo migliore amico.



 

   
 
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