僕は孤独さ – No Signal
☂
Secondo intermezzo: Agonia.
Parte seconda.
Masa,
a diciassette anni, aveva i capelli lunghi fino alle spalle, tinti di un rosa
confetto molto intenso. Quella tinta faceva risaltare ancora di più gli occhi,
già di per sé grandi e tondi, fino a farla sembrare molto più giovane della sua
età.
Mizuro
Tamaki, invece, portava il ciuffo di un biondo scuro striato di verde a
cadergli sul viso, nascondendo parzialmente l’occhio destro.
Insieme
a loro c’era sempre un ragazzetto allampanato, magro come una pertica, con i
capelli di un azzurrino tenue, che rispondeva al nome di Kei Iruka, anche
troppo chiacchierone.
Infine,
veniva Kinben Kenzo, con gli spessi occhiali a fondo di bottiglia e un grosso
libro di scienze perennemente sotto braccio. Non sarebbe potuto essere più
differente dai tre compagni di classe, ma in definitiva l’anno trascorso in
America con i primi due, che erano migliori amici sin dall’inizio
dell’Accademia, lo aveva reso più intraprendente.
Era
stato lui a presentare Iruka ad Aiko ed era scattata sin da subito la
scintilla.
«Per
colpa tua, ora giriamo con una coppietta.» Lo sfotteva sempre Mizuro,
bonariamente, mentre arrotolava uno spinello e apriva un paio di lattine di
birra, spiaggiato insieme agli altri sul tetto della
Quinta Accademia del ccg. «Comunque, il professor Matsubita mi ha preso da
parte sostenendo che sono io che trascino voi nella perdizione. Ma ci rendiamo
conto?? Ma lo conosce Kei? »
«Io
sono un bravissimo ragazzo.» lo riprese subito l’amico, prima di porgere il
pacchetto di sigarette alla sola ragazza presente, «Ne vuoi una?»
Aiko
inclinò di lato la testa, pensierosa. Poi annuì, «Va bene, ma una sola. Non
voglio diventi un’abitudine.»
«In
cinque anni saremo quattro fumatori accaniti, intanto.» sostenne con fermezza
Mizuro, passando la lingua sulla cartina, porgendo quindi tutto a Masa per
farle accendere, come un vero cavaliere. Lei portò la sigaretta dietro all’orecchio,
sfilando l’accendino dalle mani del migliore amico e aspirando un lungo tiro.
«Avete
sentito cosa è successo nella sesta?» si informò proprio quest’ultima,
attirando su di lei l’attenzione dei tre, compreso Kenzo che stava ricopiando i
compiti di algebra per Iruka. «C’è stato un attacco di un paio di ghoul
abbastanza forti, classe S- e A+. Sono morti sette
agenti, di cui un associato alla classe speciale. Alla fine è intervenuta la S3
di Arima.»
«Che
figo Arima» sussurrò sognante Iruka, inclinando il capo all’indietro per spiare
il cielo terso.
«Deve
essere un duro colpo.» Kenzo scosse il capo, quando lo spinello gli venne
porto, scostandosi affinché Kei potesse prenderlo al suo posto. Poi guardò Aiko
negli occhi e a lei parve rattristito. «Perdere un compagno di squadra, dico.
Credo sia una delle prove più difficili.»
«Mio
padre non conosce nessun collega che non ha perso almeno un membro del proprio
team.» gli fece sapere in modo ben poco incoraggiante Iruka, «Quando sei in
prima linea e fai questo lavoro, è la normalità purtroppo.»
«Non
dovrebbe esserlo.» si incaponì l’altro, insistendo «Troppi agenti muoiono in
azione. Se succedesse a uno di voi non so cosa farei.»
«Io
spero che non ci troveremo mai in squadra insieme, infatti.»
«Ok,
Mizuro, ma finirai comunque per affezionarti a chi ti verrà assegnato.» Kei,
alzò le spalle, prima di sporgersi per passare a lui lo spinello e rubare la
lattina di birra che aveva in mano «Ci manca un solo anno di accademia, poi
verrà il nostro momento. Mio padre è un prima classe da tanto, troppo tempo. Io
voglio diventare classe speciale entro i trenta.»
Masa
ridacchiò «Io voglio arrivare ai trenta, invece. Chiedo troppo?»
«Finalmente
qualcuno con un cervello.» brontolò Kenzo, alzandosi con in mano ancora i libri
«Io rientro, ci vediamo a lezione. Non fate tardi.»
«Oi! Ma dove vai?» Kei non ebbe comunque risposta. Lo guardò
allontanarsi a passi veloci, senza voltarsi mai.
Tamaki
sospirò «Oh no, mi ha lasciato di nuovo da solo con voi.»
«Lo
ha indispettito parecchio il discorso.» Aiko prese l’altra lattina, alzandola
«Un brindisi al buon Kenzo. Il solo che ha davvero un minimo di sensibilità
qui.»
«Ha
parlato miss Lacrimuccia.» Kei le tirò piano la guancia, prima di battere la lattina contro la sua «A noi. Alle future
promozioni.»
Senza
nulla con cui brindare, Mizuro lanciò quel poco che rimaneva del mozzicone dal
tetto «A una lunga, lunghissima vita.»
Vennero
beccati a bere e ripresi nemmeno dieci minuti dopo. Davanti al preside si
presentarono come tre anime pentite del purgatorio, come ogni singola volta e
non vennero sospesi nemmeno in quell’occasione.
Il
discorso non venne più ripreso, fino a più di un anno e mezzo dopo quella
mattinata di aprile, di fronte alla bara che conservava i pochi resti di Kinben
Kenzo. Davanti ad essa, i due agenti di terzo livello si ripromisero di
ricordarlo sempre mentre, giorno dopo giorno, avrebbero continuato a lottare
contro qualcosa che ancora non aveva assunto una forma definita. Ma non Kei.
Lui, che faceva parte della stessa squadra del suo amico di infanzia, chiese il
congedo dal lavoro sul campo, diventando l’Interno Iruka. La possibilità di
essere promosso che sfumava faceva comunque meno male della paura e della
consapevolezza che un compagno che muore è un compagno che non tornerà mai più.
Perché
chi muore cessa di esistere, mentre i vivi fanno i conti con la realtà.
Capitolo tredici.
Il
locale era claustrofobico, tanta era l’affluenza di avventori per lo più
abituali. I corpi che ballavano, strusciando uno contro l’altro, accalcati in
una danza che sembrava più un’orgia erano un po’ distanti dal luogo in cui si
trovava lei, seduta al bancone, con un abito rosso corto che lasciava scoperte
le gambe lunghe e magre.
Aiko
sorrise al suo interlocutore, facendosi offrire un altro bicchiere pieno di un
liquido rosso dall’odore forte e pungente. Sangue fermentato, la sola cosa in
grado di fare ubriacare un ghoul e che, doveva ammetterlo, iniziava a darle un
po’ alla testa.
Se
non avesse bevuto, però, sarebbe sembrato sospetto.
Il
lavoro sotto copertura le piaceva molto, soprattutto perché approvando
l’operazione Maschera, Ui aveva anche dato il suo benestare per farli un po’
divertire. Come fossero poi finiti allo Psiche, un famoso locale itinerante per
ghoul e umani simpatizzanti della razza, era un’altra storia.
E
ovviamente c’entrava l’uomo delle maschere, Uta.
L’obiettivo
dell’operazione era di scoprire da dove fosse nata la collaborazione fra i
Rosenwald e Aogiri, magari comprendendo anche come agivano insieme. Ui non ne
era entusiasta, ma alla fine c’erano state molte più mani alzate a favore
dell’idea di Sasaki che contro e lui se ne era fatta una ragione, soprattutto
perché anche la sua seconda, Hairu Ihei, aveva appoggiato il prima classe. Di
contrari c’erano stati solo Koori, Shimoguchi e i suoi, contro Ito, Machibita,
Kijima, Furuta, Fura e, per l’appunto, Ihei. Dopo due settimane avevano
raccolto ogni tipo di informazioni, ma utili alla ricerca ben poche.
Tornando
a Uta, lui non aveva solo trovato per Masa e Sasaki un invito per quel locale
esclusivo, ma aveva anche disegnato e prodotto una maschera per ogni Quinx.
Aiko
sistemò sul viso la sua, che la copriva solo a metà, per la precisione tutto il
lato destro. Mostrava quindi fieramente il kakugan e le riusciva parecchio bene
spacciarsi per un ghoul. Mentre Saiko e Shirazu facevano cameratismo e si
facevano raccontare le cose inventando storie strampalate, il modus operandi di
Urie e Mutsuki era un po’ più diretto. Perché lo era Urie.
Masa
invece lavorava praticamente da sola. La maschera di Sasaki faceva
letteralmente scappare a gambe levate chiunque.
«Quindi
sei in Aogiri, che cosa…. Interessante.» ammiccando, si pulì un po’ di sangue
che le era scivolato sul mento. «Ho sempre apprezzato particolarmente chi si
sforza di fare qualcosa di concreto. Soprattutto ora che c’è questo nuovo
appoggio influente.»
Nonostante
la maschera nera che nascondeva i suoi occhi, Masa notò che il suo interlocutore
aveva arricciato perplesso la fronte «Non ti seguo. Che appoggio?»
Aiko
nascose la delusione, sorridendogli nuovamente, prima di parlare con tono
civettuolo «Non farci caso, alle volte parlo troppo.» gli passò la mano
sull’avambraccio, prima di notare l’ora.
Si accostò quindi al suo orecchio, suadente come una serpe «Senti, qui
c’è un po’ troppa musica. Perché non ci spostiamo da me?»
Ovviamente,
ottenne quello che voleva. L’uomo si alzò, aiutandola ad indossare la
giacchetta scura, seguendola come incantato mentre lei ondeggiava sinuosa sui
tacchi.
Quando
arrivarono all’esterno, le passò la mano sul fianco e poi dietro, lentamente,
sul fondoschiena. «Mi stavo chiedendo» ruppe il silenzio, mentre Aiko cercava
qualcosa nella borsetta «Cos’è la tua maschera? Un gattino?»
«Miao»
rispose lei con divertimento, mentre svoltavano un angolo cieco, verso un’altra
ala del parcheggio «No, è una volpe.» gli fece quindi sapere, toccandosi la
singola orecchietta della maschera bianca e rossa. «Sai la leggenda del
Kitsune?»
«Oh
capisco, quindi hai molte code?»
Lei
sorrise ancora di più, mentre le labbra prendevano una piega diversa da quella
del divertimento «Moltissime.»
Anche
il sorriso del ghoul mutò. Vomitò sangue quando la prima coda lo penetrò nello
stomaco. La seconda gli mozzò la testa di netto ed essa rotolò per qualche
metro, fino ai piedi della figura che la aspettava nell’ombra.
«Era
necessario?»
«Era
viscido e non sapeva nulla dei Rosenwald. Poi non potevo lasciarlo dentro,
sarebbe sembrato sospetto uscire da sola dopo averci flirtato due ore.»
Sasaki
sospirò, lanciando uno sguardo attorno prima di avvicinarsi. Buttarono il corpo
in un cassonetto, poi tornarono alla macchina insieme «Cosa facciamo col
locale? lo denunciamo?»
Aiko
lo guardò di sfuggita, prendendo dal sedile posteriore il cambio di abiti. «No»
gli disse, appoggiandosi alla sua spalla per sfilarsi i tacchi vertiginosi.
Anche senza, era più alta di lui, «Può ancora servirci. Si trovano belle
informazioni lì dentro e poi ho anche riconosciuto un paio di funzionari del
sindaco, sotto alcune femmine di ghoul. Sarebbe un iter troppo lungo.» Si tolse
la parrucca lunga e bionda, passando una mano fra i corti capelli corvini per
ravvivarli. Poi appallottolò la giacca e la lanciò dentro, dando le spalle ad
Haise. Lui rimase immobile e quindi lei dovette spiegargli cosa voleva. «…Coraggio capo, aprimi il vestito o staremo qui tutta la
sera.»
Lui
strabuzzò gli occhi e arrossì, prima di abbassare la cerniera il più
velocemente possibile. Non fece comunque in tempo a voltarsi, che Masa se l’era
già sfilato, rimanendo con addosso solo la biancheria. Veloce, Haise si voltò,
rigido come un tavolo e palesemente in imbarazzo. «Ehm.» strinse gli occhi,
cercando di riorganizzare i pensieri «Quindi anche stasera niente?»
Masa
si vestì in fetta, indossando una mantella grigia sui soliti vestiti. Alzò il
cappuccio e tornò a voltarsi, abbracciandolo da dietro e giocando con la
cerniera sulla sua bocca. «Sei così carino, mi fai tenerezza.» gli sussurrò,
prima di dargli una pacca sulla spalla.
Salirono
in macchina e lui tolse la benda e abbassò la maschera, mentre anche Masa si
sfilava la sua. Appoggiò i piedi al cruscotto, massaggiandoli «Niente di
niente. Inizio a pensare che non esista nessuna collaborazione fra Rosenwald e
Aogiri.»
«E
perché ci hanno attaccato?»
«Saranno
stati pagati. Come dei mercenari.» Lui annuì pensieroso, non dicendo altro
mentre Aiko portava alla sua attenzione un altro problema. «Ei, Sasaki, Cookie
mi ha detto che ieri, mentre era sotto copertura nella diciannovesima, ha
incontrato quella giornalista, Shukumei. Sta impicciandosi in cose rischiose,
non è meglio farle avere un richiamo?»
«I
giornalisti fanno sempre quello che vogliono, Macchan. Preoccupiamoci
dell’indagine e teniamo tutto quello che scopriamo per noi.»
Quello
era un avvertimento dopo la fuga di notizie che era nata dall’uscita di un
articolo proprio della sopracitata giornalista. L’intervista che lei aveva
fatto proprio a Masa e Urie. Per fortuna nessuno aveva capito che erano loro i
colpevoli.
Aiko
di sicuro non l’aveva confessato ad anima viva. Si accoccolò sul sedile,
constatando che erano quasi le quattro del mattino. Si sentiva stanca, ma forse
sarebbe riuscita a ottenere qualche coccola se avesse giocato bene le sue carte
col suo partner, ora impegnato in un lavoro gomito a gomito con Mutsuki. Sul
perché Haise li avesse rimescolati così, non ne aveva proprio idea.
«Macchan,
cosa sai di Benda sull’Occhio?»
Quella
domanda arrivò improvvisa.
Gelò
Masa lì dove stava, mozzandole il fiato e facendole strabuzzare gli occhi.
Quando si voltò stupita nella direzione del superiore, purtroppo Sasaki la
stava guardando. Dannato semaforo.
«Non
molto. Quasi nulla, in realtà.» cercò di liquidarlo con naturalezza, nonostante
ormai avesse fatto la figura di merda della vita. «Era un caso
di alcuni agenti sulla ventesima. Io, a quei tempi, lavoravo nella squadra
Itadashi, che militava la ventitreesima. Mi dispiace. Ho fame, kebab?»
«Sai
il suo nome?»
Aiko
si morse il labbro, molto a disagio. La macchina era ripartita, ma l’ipotesi di
lanciarsi da essa mentre era ancora in corsa non era poi così male.
«Dell’agente
incaricato?»
«Di
Benda sull’Occhio.»
Doveva
aspettarselo, perché dal momento in cui Sasaki aveva indossato quella maschera,
tutti i ghoul che avevano incontrato si erano spaventati al punto da fuggire.
Aiko non aveva detto nulla, anche perché sapeva davvero poco. In ogni caso non
ci voleva un genio per capire cosa avesse combinato Uta. Ci poteva arrivare
chiunque.
Aveva
riesumato Ken Kaneki e ora, la sua brutta copia casalinga la stava
interrogando.
«…Lo sai anche tu, Haise. Non farmelo dire, ti prego. Akira mi ucciderà.»
Il
superiore non chiese altro. Aiko notò solo il modo in cui stava stringendo il
volante, chiedendosi se lo avrebbe spezzato presto o tardi. Non poteva nemmeno
immaginare come si sentisse. Non sapeva nulla di sé stesso e senza un passato,
il presente va stretto.
«Noi
siamo un agglomerato di sensazioni, emozioni ed esperienze.» gli disse con tono
basso, appoggiandogli la mano sulla gamba mentre lui si accostava, portando una
mano al volto. Sembrava al limite, così decise di aiutarlo senza farlo davvero.
«Non posso dirti niente di… Benda. Non posso, ma
posso dirti dove cercare qualcosa che forse non è stato….
Eliminato.» gli occhi di Sasaki schizzarono di nuovo nei suoi e il loro
brillare speranzosi la costrinse a parlare. Non sarebbe tornata indietro. Arima
l’avrebbe uccisa, «Va in archivio e cerca Amon Kotaro. Non dire a nessuno che
te l’ho detto io, ma lui era l’agente che lavorava sul caso di Benda.»
«Amon…
Kotaro…. Come lo sai?»
«Lo
sanno tutti, quell’uomo era una leggenda.»
«Cosa
gli è capitato?»
«Lo
hanno ucciso.»
Si
scambiarono un lungo e significativo sguardo, poi Haise sganciò la sua cintura,
allungandosi per abbracciarla. Affogò il volto nell’incavo del collo della
giovane sottoposta, nascondendolo. «Grazie.» sussurrò semplicemente, con tono
tirato.
Masa
portò una mano alla sua zazzera scomposta, accarezzandola «Non tradirmi, Haise.
Non voglio nemmeno pensare alle conseguenze di ciò che ti ho detto.»
«Non
dirò nulla, ma io devo…. Dovrei sapere qualcosa. Sono
felice ma-»
«Non
devi dirmi che sei felice.» si scostò da lui e gli sorrise, un po’
pallidamente, «Devi esserlo per te stesso, non per i Quinx, non per Arima o per
Mado. Ora andiamo, ok?»
Lui
annuì velocemente, portando una mano al naso e grattandoselo velocemente, prima
di rimettere in moto, con la mente proiettata verso una nuova possibilità.
Aiko
era contenta per lui. Solo per lui.
Non
voleva essere nei suoi stessi panni, a quel punto.
☂
«Quindi,
ricapitoliamo: l’avanguardia sarà formata dalle squadre Ihei e Kijima, mentre
il secondo gruppo sarà composto da quelle Ito e Quinx. Il classe speciale Ui si
destreggerà in modo da garantire la supervisione, mentre alla squadra
Shimoguchi e Toga andrà la retroguardia. Se ingaggeremo un combattimento alla
villa degli Tsukiyama o in qualsiasi posto scapperanno, dovremo attenerci a
questo piano. Dobbiamo tenerci pronti a tutto, anche all’entrata in scena di
Aogiri.»
La
voce di Hairu si interruppe, permettendo così a tutti quanti di alzare gli
occhi dai tablet o dai fogli che spiegavano in
maniera molto più approfondita tutto ciò che il secondo del classe speciale Ui
aveva appena spiegato loro. Mancavano ventiquattro ore all’inizio
dell’operazione ‘Sterminio della Famiglia Tsukiyama’, la quale si era rivelata
essere alla base della discendenza dei Rosenwald. Il vero coordinatore
dell’intera azione sarebbe stato Matsuri Washuu, che non era intervenuto in
quell’ultima riunione decisiva, lasciando al collega col caschetto l’onere di
raccogliere i testamenti.
Aiko
stava firmando il suo, seduta sulle gambe di Takeomi. In quella stanzetta non
c’erano abbastanza sedie, sembravano tutti stipati in malo modo. Un’accozzaglia
di agenti pronti al martirio, con una strana consapevolezza però. Dopo
l’Anteiku, le missioni venivano vissute tutte in virtù di un possibile
sterminio totale e tutti, nel bene o nel male, lo avevano accettato. Forse i
soli che ancora faticavano a scendere a compromessi con questa realtà erano le
nuove leve, come i Quinx, che se fatta eccezione per l’assalto alla casa d’aste,
non avevano ancora assaggiato come si deve il sangue su un campo di battaglia.
«Cosa
mi hai lasciato?» chiese Kuroiwa, spiando oltre la spalla dell’ex compagna di
squadra, che gli lanciò una mezza occhiata divertita girando il capo.
«Una
serie di bellissime spillette per capelli. Ti
doneranno da morire.»
Takeomi
ridacchiò piano, spostando gli occhi a palla sul resto delle persone lì
raccolte. Ito stava parlando in un angolo, sottovoce e cospiratorio con Sasaki,
mentre accanto a loro Saiko stringeva nelle manine paffutelle il suo
testamento, spiegazzadone i bordi.
«Secondo
me andrà tutto bene.» disse quindi, mentre la ragazza chiudeva il foglio e lo
allungava ad Hairu, che lo riponeva con tutti gli altri, rigorosamente in
ordine alfabetico «Siamo due squadre molto forti, non c’è motivo di essere così
scuri in viso.»
Lei
si girò, senza scendere, portando le gambe di lato alla sedia e passando il
braccio attorno alle spalle del collega più giovane. Lanciò uno sguardo attorno
a sé, salutando divertita Urie che si era perso a guardarli male. Nemmeno a
dirlo, il ragazzo le diede le spalle immediatamente. «Io la penso come te.» gli
rispose quindi, inclinando di lato il capo e osservando che anche Kijima
sembrava aver perso un po’ del suo entusiasmo. E dire che fino a qualche minuto
prima pareva pronto a spaccare il mondo. «Non sono così ingenua però da pensare
che domani notte guarderò di nuovo verso il gruppo, trovando ogni viso.»
«Abbiamo
stimato che se avremo il quaranta per cento delle perdite sarà un successo.» a
interromperli era stato Nimura. Si era avvicinato con un vassoio di cartone,
porgendo ad entrambi un bicchiere di polistirolo pieno di caffè. Era andato a
prenderlo in una caffetteria lì vicino per evitare di farli bere la brodaglia
delle macchinette.
«Sei
un angelo, Furuta.» gli disse Aiko, prendendo un sorso, prima di sospirare
beata, «Il quaranta per cento, uhm? In effetti non sarebbe male.»
«Se
possiamo abbassare al venti, sarebbe meglio.» Hairu prese il suo bicchiere,
facendo un cenno a Nimura, prima di appoggiarsi con i gomiti al tavolo di
fronte a loro tre. «Ad ogni modo, io devo tornare per forza.»
«Cosa
ti ha promesso il classe speciale Arima?» le domandò divertito Furuta.
«Mi
farà usare IXA per un mese se faccio fuori qualcuno di importante!»
Aiko
fischiò bassa, ammirata «Io faccio il tifo per te.» disse indicando la ragazza
con i capelli rosa, «Ma solo se me la fai provare.»
«Sei
la sesta persona che me lo chiede, Masa-san!»
«Un
attimo di silenzio, per favore.» Tutti si zittirono all’istante, non appena Ui
lo chiese. Si mise di fronte alle scrivanie, con le mani dietro alla schiena,
pensieroso certo, ma con gli occhi che brillavano di determinazione. «Non so
che progetti avete per stasera. Alcuni di voi torneranno dalle loro famiglie,
altri usciranno a cena con me e altri colleghi – e per favore moderatevi con il
sakè, non vogliamo che succeda quello che è successo durante l’operazione
‘Porto Liberò.» una serie di risate si sollevò dai partecipanti di
quell’azione, mentre Aiko scuoteva piano il capo, memore dei racconti di Ito.
«Che stiate a casa o per le strade di Tokyo, soli o in compagnia, voglio solo
una cosa da voi: rimanete sempre concentrati su ciò che c’è in ballo. Non la
vostra vita, non la buona riuscita di questa singola operazione, ma il quadro
totale: noi siamo gli agenti del ccg, le colombe del comando anti ghoul. Da noi
dipendono tante, troppe vite. Quando domani sera ci ritroveremo qui di fronte
alla sede centrale, vestiti per la guerra, avremo fra le mani la nostra arma
più pericolosa: la giustizia. Ora basta, tutti fuori, non voglio vedervi fino a
domani!»
Una
serie di applausi si sollevò dagli agenti presenti, che si alzarono anche in
piedi per ringraziare il classe speciale.
«Prima
la foto!» urlò Hairu, stoppando Fura che stava già preparando la sigaretta.
Nemmeno
con la forza di volontà sarebbero riusciti a scattare la foto di rito in quella
stanzetta. La fecero fuori dallo stabile, sui gradini, costringendo un povero
interno che stava staccando un lungo turno a scattarla per loro. Aiko si era
posizionata fra Mutsuki e Saiko, con le braccia attorno alle spalle di Ito che
se ne stava un gradino più in basso e la mano destra sulla spalla di Sasaki,
accanto a Kuramoto. Era una foto bella, tutti sorridevano più o meno, ma
sarebbe stata un bel ricordo e certamente sarebbe finita appena nello studio di
Yoshitoki Washuu insieme a tutte quelle delle missioni precedenti. Dovevano
solo ottenere un risultato importante.
«Ok,
signori e signore.» Masa tornò verso i Quinx, che aveva lasciato per andare a
mettere becco nella scelta del ristorante che avrebbero assaltato. Morivano
tutti di fame. Fronteggiò la sua squadra, sfilando le mani dalle tasche dei
giubotto di pelle che indossava, sventolando il pacchetto di sigarette mentre
gesticolava. «Abbiamo scelto di andare al Messicano, perché Ui non c’è mai
andato e la cosa è molto triste.» li mise al corrente, sfilando una sigaretta e
passando poi l’intero pacchetto a Shirazu, che aveva sporto la mano, «So che il
capo non viene.» disse rivolta a Sasaki, che annuì attirando su di sé lo
sguardo perplesso del resto del gruppo. «Quindi io ho da offrire ben due posti auto
con me, Kuroiwa e Ito. Se volete venire tutti, anche Fura può offrirci uno
strappo.»
«Io
passo, voglio andare a dormire presto.» le rispose subito Tooru, prima di
voltarsi verso Haise. «Come mai non vai?»
Sasaki
avvampò, «Devo vedere una persona, in realtà.»
«Anche
io passo.» nemmeno a dirlo, era stato Urie a tirarsi indietro. «Se nessuno è
disposto a tornare allo chateau, posso prendere la metropolitana.»
«Vengo
con te.» a sorpresa, anche Saiko preferì non uscire per cena, «Ho un
appuntamento online con un giocatore che si chiama Strawman.»
«Vuoi
davvero avere a che fare con qualcuno che si fa chiamare uomo di paglia, invece di venire a sbronzarti con noi?» le chiese
Masa, fingendosi offesa, prima di girare il
capo verso Shirazu.
«Io
ci sono, contami pure.» le disse questi, dandole una gomitata leggera. «Non
intendo perdermi Ui che cerca di non far bere i suoi sottoposti, prima di
afferrare a sua volta la grappa di rosa.»
«Tequila,
andiamo al messicano.» Masa alzò la mano e il caposquadra le diede il cinque,
«Allora ci vediamo domani verso pranzo, persone tristi.» prima di allontanarsi,
passò la mano sul braccio di Urie «Takeomi sarà molto triste…»
«Vaffanculo.»
Il
ragazzo provò a scostarsi, ma Aiko fu più veloce. Portò una mano sulla sua
nuca, avvicinandosi per stampargli un bacio rumoroso sulla guancia, prima di
scattare per schivare un calcio che, se le fosse arrivato, l’avrebbe sentito
bene. Prese a braccetto Shirazu, piegato in due dalle risate sin quasi alle
lacrime, e si avviarono verso il gruppetto di avventori per la cena.
«Potrei
abituarmi a tutto questo.» le disse.
«Io
che perculo Urie?» chiese divertita.
Lui
rise. «No, a quello non mi posso abituare, è troppo bello. Intendo dire a
questa atmosfera.» fece una pausa, alzando le spalle. «La preparazione dei
piani, il cameratismo con le altre squadre…»
Lei
sorrise, appoggiando la testa alla sua spalla, mentre Ito e Takeomi facevano
cenno loro di seguirli alla macchina.
«Sarà
sempre così, non preoccuparti.»
☂
Il
corpo di Shirazu era ancora caldo quando il classe speciale Matsuri li
raggiunse. I volti di coloro che erano sopravvissuti allo
scontro con Noro erano segnati dalla disperazione e dall’incredulità per il
numero dei caduti. Il poco che rimaneva del ghoul era riverso in quella che
pareva un pozza nera come petrolio, che si diramava in raggi scombinati e
asimmetrici laddove i tentacoli cadevano scomposti. La testa e la maschera
bianca giacevano qualche metro di più là rispetto a dove, riverso, c’era anche
il corpo spezzato in due di Shirazu.
Matsuri
si era guardato attorno in silenzio, adocchiando prima Urie che stringeva
ancora fra le braccia il corpo senza vita del capo squadra, con accanto Saiko
Yonebayashi che piangeva rumorosamente, invocando il nome del caduto in una
lenta litania.
Mutsuki
sedeva un po’ distante, accanto a Taokemi che l’aveva aiutato a mettersi seduto
e gli aveva passato un po’ di acqua, ma solo dopo aver coperto con il suo
trench quel poco che era rimasto di Machibita.
In
un angolo, infondo, Matsuri aveva poi scorto altri due superstiti, in disparte
rispetto a quella tragica composizione. Ito respirava a fatica, rumorosamente,
appoggiato ad Aiko, che lo teneva a sé, appoggiato sulle cosce. La ragazza non
aveva ancora rinfoderato il kagune e fissava con occhi sgranati i tre compagni
al centro del corridoio ampio, spompata di ogni energia.
Il
classe speciale non diede nessun segno di essere impressionato o dispiaciuto da
quanto accaduto loro. Li squadrò, domandando se qualcuno fosse ancora in grado
di combattere e seguirlo sul tetto. Chiamò Kuroiwa e Urie, ma nessuno dei due
sarebbe andato. Taokemi non si spostò, abbassando gli occhi sui suoi tre
compagni fatti a pezzi. Urie invece stupì tutti.
Non
si voltò verso il superiore. Strinse di
più a sé Shirazu, mentre le lacrime calde scivolavano silenziose sul viso
sconvolto. «Non le importa nulla di tutto ciò, non è vero?» chiese con tono
basso.
«Cosa?»
si informò quindi Matsuri, avanzando di un paio di passi per spiare la sua
espressione.
Gli
occhi serpentini del ragazzo furono subito nei suoi, feriti eppure mordaci come
quelli di un bestia messa all’angolo. «Ha visto cosa è successo qui. Davvero
non prova nulla, classe speciale?» chiese con tono tagliente.
Matsuri
non gli diede soddisfazione alcuna, non cambiando espressione, mentre
rispondeva con tono ovvio. «No.»
Il
gelo che venne a crearsi per quella risposta rese difficile a Masa respirare.
Per un attimo, si chiese se a essersi rotte, fossero la sue costole e non
quelle di Kuramoto. Istintivamente strinse la mano sulla spalla del biondo,
irrigidendosi, mentre le sue code avevano un piccolo scatto, strisciando come
serpenti irati. Taokeomi le lanciò un’occhiata, alzando una mano con discrezione,
come per farle intendere che andava tutto bene.
Ma
poi il classe speciale rincarò la dose.
«Pensavo
che tu fra tutti saresti stato il più ansiosi di seguirmi nella lotta.» insinuò
con un leggero grattare nella voce, come se si sentisse seriamente deluso dalla
decisione di Urie di non abbandonare il fianco del suo compagno anche una volta
che tutto era finito. Gli concesse qualche secondo, prima di girare sui tacchi,
procedendo verso il tetto dove a detta sua si stava ancora svolgendo lo scontro.
«Va bene, come ti pare, Urie Kuki. Io pensavo che tu
avessi del potenziale.»
Li
lasciò lì così, a boccheggiare. Masa non ebbe però modo di sentirsi colpevole,
non per quello. Decise di concentrarsi sul respiro pesante di Kuramoto,
passando la mano sulla sua schiena con delicati movimenti circolari, fino
all’arrivo dell’unità medica che la fece allontanare per poterlo medicare.
Ci
mise qualche istante di concentrazione, ma quando riuscì a ritirare il kagune,
si rese conto che anche Sasaki li aveva raggiunti.
«Ogni
mancanza in questo mondo è data dall’assenza di abilità.»
Haise
Sasaki arrivò seguito dai mormorii degli investigatori. L’uomo che aveva
respinto da solo il gufo col sekigan sul tetto del Lunar Eclipse dedicò a Urie
e alla sua rabbia parole molto dure. Gli rinfacciò che a combattere al fianco
di Shirazu c’era lui e che quindi avrebbe dovuto addossarsi quella colpa.
La
sua assenza di abilità erano stati determinanti e Urie parve realizzarlo,
perché mentre il mentore lo superava chinandosi accanto al corpo del
sottoposto, lui rimase impalato lì, in mezzo al corridoio, con gli occhi
sgranati.
Aiko
li guardò in disparte, muovendo qualche passo verso Urie solo quando vide
Sasaki aggrapparsi a Shirazu insieme a Tooru, con Saiko a tenersi alla sua
camicia mentre continuava a piangere, inconsolabile. Quella scena le chiuse lo
stomaco, ma non sentiva di poter biasimare Haise, così come non voleva
incolpare di niente Urie.
Era
stata una disgrazia, una tragedia.
Non
era colpa di nessuno.
«Kuki…»
Gli
si avvicinò, prendendogli il viso fra le mani dopo aver lasciato cadere a terra
i guanti. Lui non si scostò sino a che non ebbe recuperato il contatto visivo
con lei. A quel punto parve come destarsi. Tirò indietro il capo con un gesto
secco, prendendole i polsi. Quasi con rabbia.
«Hai
rotto lo schema.» fu tutto quello che disse in un sibilo. «Stavamo attaccando e
tu hai rotto lo schema.»
Aiko
socchiuse le labbra, cercando di ritirare le braccia, ma senza successo.
«Non
puoi essere serio.» gli disse, corrugando la fronte. «Mi stai dando la colpa?»
«Se
tu-»
«Kuramoto
poteva morire!» Tutti, nessuno escluso, si voltarono verso di loro. Anche
Sasaki, che tenne il capo basso, ma le orecchie tese ad ascoltare l’alterco.
«Cosa dovevo fare!? Lasciarli scoperti!? Machibita lo stava curando e non
avevano modo di-» un singhiozzo le spezzò la voce. Lui le lasciò andare una
mano e lei la portò alla bocca, mentre una smorfia le storceva il volto,
preannunciando il pianto. «Io non sapevo cosa fare.» insistette quindi, come se
giustificarsi in quel momento fosse importante più per se stessa che per gli
altri. «Io potevo non aiutarli, ma ho rotto lo schema. È vero, ho rovinato la
formazione! Cosa sarebbe cambiato se non l’avessi fatto!?» gli diede un pugno
al centro del petto, non forte, ma riuscì comunque a farlo tremare dalla testa
ai piedi per il gesto. «Dimmelo, Urie, se lo sai allora dimmelo!»
Il
ragazzo non rispose, spostando lo sguardo di lato, mentre Masa iniziava a
piangere, con le mani a coprirle il volto, come se si vergognasse di se stessa.
Nonostante tutto, la strinse a sé, facendola appoggiare alla sua spalla e
rimanendo così, fermi in piedi. Si concesse qualche minuto, sopprimendo i
singhiozzi. Quando si staccò, prendendo un fazzoletto che uno dei paramedici le
stava porgendo. Poi guardò Kuramoto sulla barella.
Tornò
a parlare ad Urie. «Senti, io-»
«Ci
vediamo fuori.»
Si
scambiarono un ultimo sguardo e Masa comprese che non c’era rancore negli occhi
di Kuki. Non si stava offendendo se lei voleva
accompagnare Ito, lasciandoli lì. Non ci avrebbero messo molto a portare fuori
anche Shirazu.
Nel
piazzale di fronte al Lunar Eclipse si stava consumando il solito caotico
delirio postumo a un’operazione. Avevano perso molto uomini, molto più del
quaranta per cento. Aiko non poteva esserne sicura, ma il via vai di cadaveri
era molto più frequente delle barelle con i feriti. Tenne la mano a Kuramoto
fino a che non lo caricarono sull’ambulanza, ma quando la invitarono a salire,
declinò.
«Verrò
in ospedale così in fretta che nemmeno ti accorgerai che sono mancata.»
sussurrò al biondo, accarezzandogli i capelli con un sorriso pallido, prima di
scendere dal velivolo, chiudendo le porte. Lo guardò sfrecciare via, sirene
spiegate, avendo la sensazione che Ito avrebbe dovuto sopportare almeno un
intervento chirurgico.
Cercò
le sigarette nelle tasche strette dei pantaloni neri, estraendo il pacchetto
stropicciato con le mani che le tremavano. Aveva dimenticato Inazami dentro, ma
sapeva che qualcuno se ne sarebbe preoccupato al posto suo. Portò la sigaretta
alle labbra, realizzando che non aveva l’accendino.
Prese
un respiro, chiuse gli occhi e si guardò attorno. I rumori le arrivavano alle
orecchie ovattati, come se si fosse improvvisamente chiusa dentro a una sfera
di vetro, isolandosi dal mondo. Vide Matsuri parlare con Marude, prima di
seguire con gli occhi una barella che si muoveva velocemente verso un’altra
ambulanza.
La
persona stesa su di essa aveva il volto così pesto da sembrare una grottesca
maschera deforme, ma grazie al neo sotto all’occhio e ai guanti rossi, Aiko lo
riconobbe. Era Nimura Furuta.
Controllò
l’ora sul telefono, contando quanto tempo aveva ancora.
«Furuta
ha perso tutta la sua squadra.» una mano apparve sotto al suo mento e le accese
la sigaretta, facendola sussultare.
«Koori.»
«Kijima
è morto.» Ui prese un tiro, forse anche troppo profondo, prima di passarsi il
polso sulla fronte, laddove la frangetta si era incollata alla pelle. «Anche io
ho perso tutti.»
«Hairu…?»
Koori
scosse il capo e Aiko si attaccò alla sigaretta. «Ho saputo di Shirazu.»
«Anche
l’intera squadra Ito eccetto il supervisore e Kuroiwa sono morti.» Masa si
morse il labbro, sbuffando quella che sembrava una risata, prima di piantare
gli occhi pieni di lacrime in quelli del classe speciale. «Decisamente non è
stata la nostra serata.»
«Non
lo è stata per molti. Di Shimugochi ho trovato solo la testa.»
Non
avevano ottenuto la vittoria sperata. Aiko non sapeva se quanto meno
l’eliminazione della famiglia fosse andata a buon fine e non lo chiese. Abbassò
il capo, portando via una lacrima dalla guancia sinistra, prima di guardare di
nuovo il superiore. «Koori, è vero che Haise ha respinto da solo il gufo col
sekigan?»
Ui non
rispose subito. Prese un ultimo tiro, lasciando poi cadere a terra il mozzicone.
Poi la guardò, «Io non so spiegarti cosa potrebbe essere successo lassù.»
iniziò, soppesando ogni parola «So solo che Sasaki ha impedito una tragedia
ancora più grande. Se il gufo avesse avuto l’opportunità di arrivare ai piani
più bassi, non credo che ora saremmo qui a parlare, Masa-chan.»
Una
barella che trasportava un sacco nero passò accanto a loro e, con essa, proprio
Haise. Teneva una mano sulla superficie di plastica e rimase lì accanto fino a
che non fu caricata sul furgone nero del coroner insieme a un altro paio di
colleghi. Aiko lasciò scivolare gli occhi fino all’asfalto, sulla targa, prima
di scuotere il capo.
«Scusami,
ho bisogno di un attimo.» sussurrò rivolta a Ui, che annuì, passandole una mano
sulle spalle.
Aiko
si allontanò dallo spiazzo, passando accanto all’autovettura dei pompieri e
infilandosi nello stretto vicolo di lato al palazzo, che dava su una seconda
struttura, liberata dalle unità speciali.
Passò
le mani sulle guance, singhiozzando un paio di volte, prima di appoggiarsi con una
spalla la muro. A quel punto controllò l’ora e notò che era giusto in tempo.
Poteva
concludere quella serata, liberarsi di un peso, che però ne avrebbe portati
molti altri.
Dalla
tasca interna del giubbotto di protezione prese una bustina trasparente, contenente
una sim card. La sostituì alla sua nel telefono, lanciando uno sguardo oltre le
spalle, verso la fine del vicolo. Poi, senza esitazione, selezionò un numero
non registrato nella rubrica dall’elenco della chiamate in entrata.
L’apparecchio
squillò tre volte, prima che una voce bassa si decidesse ad accettare la
chiamata.
Aiko
rimase in silenzio due secondi, poi strinse gli occhi.
Doveva
farlo.
«Lǎoshī…»
-Méi
méi.-
La voce del ghoul la fece sentire insieme
più tranquilla, ma anche più preoccupata, destabilizzandola. Lanciò un altro
sguardo alla strada alle sue spalle, chiudendosi poi in sé, incurvata in avanti
e con le orecchie ben tese.
«Il
mio dono per te.» sussurrò con tono basso, eppure stranamente deciso dato il
suo interlocutore. «C’è un furgone nero del coroner che si sta dirigendo verso
il laboratorio centrale del ccg proprio in questo momento. La sua targa è A-46
44. Dentro di esso c’è il corpo di uno dei Quinx.»
-Questo
dono è per me, per te o per Kanou?-
Masa
si morse il labbro. « Per te, Lǎoshī . Ma anche per te, così che
quel medico folle possa smettere di mettermi le mani addosso.»
Sicuramente
compiaciuto dal tono rabbuiato della giovane donna, Tatara decise di accettare.
Non glielo disse, naturalmente. Non la gratificò.
-Come
sempre sarò io a farmi sentire.-
«Eto?»
chiese Masa, preoccupata di vedere la chiamata terminare tropo presto. «Lei-»
-Preoccupati
per te stessa e attendi istruzioni. Ora vai.-
Il
telefono prese a suonare a vuoto e l’agente non perse tempo. Si sedette su un
gradino, tornando a sostituire le schede e nascondendo accuratamente quella
incriminante. Poi rimase lì a pensare alle conseguenze delle sue azioni.
Avrebbe
preferito continuare a vendere se stessa piuttosto che permettere a Kanou di
mettere le mani su Shirazu, ma a che prezzo? Aveva in fretta imparato che non
ha senso cercare di proteggere i morti, perché a farne le spese sono i vivi.
Quella
compensazione avrebbe dovuto tenere buono Tatare per almeno un paio di
settimane, magari dargli un po’ di buon umore. Così l’avrebbe lasciata in pace
e non ne avrebbero pagato le conseguenze le persone attorno a lei.
Non
come era successo a Shin.
Tirò
le ginocchia al petto, appoggiandovi la fronte, decisa a rimanere così per
qualche tempo. Almeno fino a che non la fossero andata a cercare.
Hirako
però rovinò tutto.
Arrivò
così silenzioso che lei non si accorse di nulla fino a che non le appoggiò il
cappotto argentato sulle spalle, facendola sobbalzare. Alzò repentina il capo
verso di lui, guardandolo stupita.
«Cosa
ci fai qui?» fu la sola cosa che riuscì a dirgli, mentre lui la scrutava in
silenzio.
Quando
si decise a parlare, sembrava normale, tanto che lei ritrovò un po’ di colore
sul viso constatando che no, non doveva aver sentito niente. Poi, a meno che
non fosse diventato madre lingua di cinese, difficilmente avrebbe potuto
comprendere cosa aveva detto al signor Tatara.
«Sono
corso quando ho saputo cosa è successo.» le rispose con ovvietà, quasi come se
trovasse superfluo ricordarle che coloro che erano morti, un tempo, erano suoi
uomini. «Andiamo ora, vieni con me.»
Aiko
si alzò in piedi, stringendo con le mani quella giacca larga, mentre lo seguiva
fuori dal vicolo, senza la forza di opporsi. «Vorrei poterti dire che se tu fossi stato qui sarebbe finita
diversamente.» gli disse, facendolo fermare «Però so che non è così. È stato un
massacro, non ho mai visto niente di simile.»
«Lo
so.»
Take
le appoggiò una mano sui capelli schiacciati, prima di riabbassarla,
riprendendo a camminare.
«Ora
andiamo. Quando Kuramoto si sveglierà dall’anestesia, vorrà averti lì con lui.»
Lei
annuì, riprendendo a seguirlo. Non vedeva i Quinx da nessuna parte, ma
difficilmente si sarebbero dimenticati di lei. Decise che avrebbe scritto un
messaggio in macchina, con un solito appoggio sotto al sedere e la stabilità.
Si
sentiva schiacciata, come appena uscita da una lavatrice.
«Mi
sento in colpa.» sussurrò affrettando il passo per camminare accanto all’ex
capo.
Lui le
lanciò un’occhiata di sfuggita, prima di aprirle la portiera, «Non devi, non
hai fatto niente di male.»
Aveva
venduto ad Aogiri i piani dell’operazione, così come di molte altre.
Aveva
detto loro come potersi impossessare del corpo di un Quinx.
Aveva
protetto Kuramoto rompendo lo schema.
Era una bugiarda.
Poco
importava per lei se era costretta a fare tutto ciò. Le era stata stravolta la
vita, le avevano detto che poteva diventare grande o poteva guardare il suo
mondo andare in pezzi. Alla fine, però, aveva preferito vivere piuttosto che
uccidersi e farla finita con i trucchi e i mezzucci.
Era una debole.
«Grazie,
Take.»
Ma
come ogni altra volta, fece finta di nulla e nascose tutto dietro a un
malinconico sorriso.
Continua