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Autore: nikita82roma    28/03/2017    4 recensioni
È la mattina del funerale di Montgomery. Kate si sta preparando per andare al distretto dove si incontrerà con gli altri prima di andare al cimitero. Riceve, però, una telefonata che cambierà la sua vita.
Genere: Angst, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Rick Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Terza stagione
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Quando Castle andò da lei, Kate se ne stava raggomitolata in posizione fetale, con il volto rivolto verso il muro. Non si mosse quando lo sentì entrare, nemmeno quando si sedette sul bordo del letto. Lo sentì sospirare più forte alcune volte, fino a quando il tocco incerto della sua mano non le accarezzò i capelli e la schiena. Avrebbe voluto dirgli di smetterla ma non riusciva nemmeno a parlare. Fino a che non lo avesse fatto nemmeno lui, sarebbe riuscita a sopportare. Avrebbe preferito il suo odio a quelle carezze, avrebbe preferito sentirlo urlare, rinfacciarle tutto invece di quel silenzio condiviso. 

Sentì la porta aprirsi e chiudersi di nuovo e dei passi veloci, un rumore di tacchi che si avvicinava sempre più.

Lanie era vicino a Rick, gli aveva appoggiato una mano sulla spalla e quando l’uomo l’aveva guardata aveva letto nei suoi occhi tutto il dolore e la preoccupazione di quel momento. Castle si alzò dal letto dando un bacio tra i capelli di Kate che rabbrividì nel sentirlo così vicino e poi uscì, lasciando le due amiche sole.

Anche con Lanie il comportamento di Kate non fu diverso. Non si mosse né disse una parola, accettando passivamente il contatto con la sua amica così come quello con Castle, nel suo silenzio assordante. La dottoressa rimase con lei sperando che si decidesse prima o poi ad interagire in qualche modo, fosse solo per dirle di andare via, ma fu inutile. 

- Mi dispiace Kate… Mi dispiace tanto… - Le disse prima di andarsene e l’unica cosa che ottenne fu un respiro più profondo.

 

Rick stava parlando con un medico quando Lanie uscì. Lo vide ascoltare serio ed annuire alle raccomandazioni dell’uomo che poi gli strinse la mano e se ne andò da altri parenti in attesa, poco distanti.

- Ha detto che Kate sta bene. La terranno in osservazione questa notte e domani mattina la dimetteranno. - spiegò a Lanie che lo ascoltava non sapendo se essere sollevata oppure no. 

- Ti ha detto qualcosa? - le chiese Castle speranzoso.

- No. Silenzio totale.

- Anche con me. - Sospirò Rick stringendo i pugni così forte da farsi male.

- Castle, Kate è traumatizzata. Ha vissuto due importanti traumi a breve distanza. Ha bisogno di aiuto, anche se lei non lo ammetterà mai. - Lanie accarezzava amichevolmente il braccio di Rick che si stava sforzando di mantenere la giusta lucidità in quel momento.

- Non so cosa fare. - Disse sconsolato.

- Vai a casa, cambiati quella camicia. Non credo che a Kate gli faccia bene vederti così - indicò le macchie di sangue sul suo petto.

- Non ce la faccio ad andare via da qui. Non la posso lasciare sola, non qui.

- Chiamo tua madre. Le dico di portarti qualcosa. - Si propose Lanie.

- Lei… non sa niente… Non… io… non ce l’ho fatta a dirlo a nessuno. - Si giustificò Rick.

- Vado da lei. Ci parlo io. Non ti preoccupare di nulla. Stai con Kate.

Castle annuì e Lanie lo abbracciò prima di andare al loft.

Rick si spogliò, buttando quella camicia nel primo cestino davanti a lui, mettendosi la giacca sopra la tshirt. Quando tornò da Kate lei era ancora nella stessa posizione di quando l’aveva lasciata. Si sedette di nuovo vicino a lei, sempre in silenzio, sempre immobile. La sentì sussultare appena solo quando la sfiorò di nuovo, ma non ebbe nessun altra reazione. Passò un tempo indeterminatamente lungo in silenzio con lei, accarezzandola e sperando in un suo cenno che non arrivò mai, nemmeno quando entrò un’infermiera per mandarlo via.

 

Lanie e Martha erano sedute fuori e, quando videro Rick uscire, sua madre si precipitò ad abbracciarlo. Rick strinse la donna tra le sue braccia così forte che ebbe paura di farle male quando se ne rese conto e, per la prima volta, si lasciò andare, piangendo sulla spalla dell’attrice come un bambino, per il suo bambino. Pianse senza riuscire a contenersi mentre Martha accettava le sue lacrime in silenzio, non aveva bisogno di altro se non dell’abbraccio di sua madre. In quelle lacrime c’era il dolore e lo strazio, c’era la paura e l’incertezza. Dove avrebbe trovato la forza per tirare su se stesso e Kate? Cosa ne sarebbe stato di loro? 

Furono allontanati dal reparto, dovevano andare via da lì, le pazienti avrebbero dovuto riposare. Rick guardò insistentemente verso la stanza di Kate, non la voleva lasciare sola, sapeva di non doverlo fare. Pregò la donna di farlo rimanere ma non ci fu nulla da fare. Avrebbe voluto prenderla e portarla via da lì. Portarla a casa, stringerla tra le sue braccia e tenerla con se, tutta la notte, tutto il giorno, tutti i giorni successivi, fino a quando ne avrebbe avuto bisogno. 

Mentre Lanie riaccompagnava a casa Martha, lui rimase lì, nella sala d’attesa fuori dal reparto, dove futuri padri attendevano nervosi quello che lui non aveva più.

 

Kate lo aveva sentito. Lo aveva sentito parlare preoccupato con Lanie, lo aveva sentito piangere e singhiozzare con Martha, chiedere di rimanere lì fuori per lei. Aveva sentito il suo dolore e la sua preoccupazione e non era riuscita a fare nulla per lui. Si sentiva paralizzata, pietrificata e le sembrava di non sentire più niente. Era anestetizzata dal dolore stesso. Odiava quel reparto dalle pareti troppo sottili, odiava sentir piangere i bambini nelle stanze vicine . Voleva andare via, non riusciva nemmeno a chiederlo, non riuscì nemmeno a farsi portare qualcosa per dormire. Voleva dormire, per un tempo indefinito, per non sentire niente, per non sentire il vuoto. Il desolante senso di vuoto che aveva lasciato il suo bambino, quel bambino che non sarebbe mai nato, quel bambino che si era originato ed era morto in lei, quel bambino per cui lei era stata tutto il mondo nella sua breve esistenza. Dieci settimane e più della metà del tempo lei nemmeno sapeva della sua esistenza. Eppure quel tempo era diventato sufficientemente lungo perché lui diventasse così importante per lei. Lui, perché così se lo immaginava. Un bambino con i capelli castani e gli occhi azzurri come quelli di Castle. Prince, come lo chiamava Castle, perché lei non aveva mai avuto tempo di scegliere il primo nome. Prince, sarebbe rimasto sempre solo Prince. Lo immaginava così quando pensava a come sarebbe stato tenerlo tra le braccia ed osservarlo scoprire il mondo, quelle braccia che adesso erano vuote. Non lo avrebbe mai sentito piangere, non avrebbe mai saputo se i suoi occhi sarebbero stati effettivamente azzurri, non avrebbe mai saputo se sarebbe stato fantasioso come Rick o concreto come lei. Il suo bambino non c’era più. 

Aveva passato tutta quella notte a farsi domande che non avrebbero mai avuto una risposta. A fustigarsi di dolorosi perché. Ogni domanda faceva più male di qualsiasi dolore fisico, di quei crampi continui all’addome, delle cicatrici non ancora completamente guarite, benediva, anzi, il dolore fisico, le permetteva per qualche istante di non pensare, quanto facesse male tutto il resto. Aveva ripercorso tutti i momenti passati con lui. Quando aveva scoperto che c’era e aveva sconvolto la sua esistenza tanto da chiedersi se effettivamente lo voleva, se poteva permettersi di volerlo e la risposta gli era arrivata poche ore dopo, quando l’avevano ferita e l’unica cosa che era riuscita a pensare era stata il suo bambino. Ripensava alla consapevolezza di lui che cresceva in lei, all’idea che quando era sola in ospedale in realtà non lo era mai, perché c’era lui. Ripensò al suo cuore che batteva agli occhi emozionati di Castle nel sentirlo e nel vederlo e al rendersi conto per la prima volta che loro erano i genitori di quella piccola creatura. Pensava a come prendeva forma nella sua mente, alle prime volte che si era accarezzata il ventre con un tocco incerto, quasi lo potesse disturbare e a come, invece, poi aveva imparato ad accarezzarlo per cercare lei stessa calma e tranquillità. Pensava a come grazie a lui era riuscita a lasciarsi andare all’amore per suo padre e a quell’idea di famiglia che era troppo bella perché potesse essere reale. Infatti non lo era. Non c’era più niente di tutto questo. Non c’era più lui e si era portato via tutto con se.

 

Castle era tornato la mattina dopo e Kate si era fatta trovare già pronta. Aveva con fatica indossato gli abiti puliti che lui le aveva fatto avere. Aveva lasciato quelli con cui era venuta in una busta in quella stanza, voleva dimenticarli lì, come tutto il resto. 

Era rimasto a distanza, timoroso della sua reazione, non volendo invadere il suo spazio senza permesso. Le aveva offerto il suo aiuto, per camminare ed uscire da lì. Le girava la testa ma declinò ancora, camminando a suo fianco con passo incerto. Erano vicini e terribilmente lontani. 

- Dove vuoi andare? - Le chiese quando erano in macchina.

- Portami a casa. - Erano le prime parole che sentiva da lei da quando l’aveva portata in ospedale.

- Hanno detto che ti devi riposare nei prossimi giorni, stare a letto, è importante per riprenderti prima. Sarai debole, hai perso molto sangue, Kate.

Lei sembrava non ascoltarlo, mentre lui parlava lentamente e a voce bassa.

 

Percorsero in silenzio il resto del tragitto. Kate non si volle far aiutare né per scendere dall’auto, né per arrivare a casa. Il corridoio vuoto rimbombava dei loro passi. Tutto sembrava troppo maledettamente cupo e silenzioso, anche il sole che splendeva alto, in quella calda giornata di inizio estate con le temperature che erano salite improvvisamente, sembrava scuro e freddo. Castle si preoccupò quando aprì la porta di casa, pesando che ci fossero ancora le tracce di quanto successo, di come l’aveva trovata. Il pavimento era pulito e la stanza rassettata. Mentre silenziosamente camminavano dentro, vide un biglietto nel quale riconobbe la calligrafia di Lanie, Beckett lo guardò distrattamente, poi proseguì, verso il divano, senza leggerlo.

- Vuoi qualcosa? Un tè, un caffè? Vuoi mangiare? - Le chiese Rick premuroso.

- Solo stare da sola. - Rispose lei senza guardarlo con tono totalmente inespressivo.

Rick annuì sedendosi su una delle sedie, lasciandosi andare, per qualche istante, prendendo la testa tra mani e cercando di recuperare le forze nervose.

- Castle, ti ho detto che vorrei stare sola. - Lui si tirò su guardandola. Aveva lo sguardo perso nel nulla. Guardava nella sua direzione trapassandolo.  Aprì la bocca per parlarle ma non lo fece e scosse la testa. Recuperò le chiavi sul tavolo vicino al biglietto di Lanie che lesse distrattamente: parole dolci, parole di una vera amica, parole che avrebbero fatto bene a Kate se fosse stata disposta ad accettarle.

- Ti amo Kate. Sempre. - Non aspettò una risposta che non ci sarebbe stata, chiuse la porta lasciandola sola come voleva, come non doveva essere, ma non riusciva a trovare dentro di se la forza per imporsi contro la sua volontà. Si sentì affogare nel suo dolore senza essere in grado di tenere a galla anche lei. Avrebbe preferito annegare.

   
 
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