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Autore: MadAka    28/03/2017    0 recensioni
«Bisogna avere pazienza quando si svolge un'indagine. Se l'assassino vuole comunicare con me troverà il modo di farlo ancora una volta» disse, lanciando un’ultima occhiata sicura alla ragazza, «Ma non temere, continuerò comunque a indagare su questa faccenda, non mi farei mai scappare un caso invitante quanto questo.»
Si avviò verso la sua stanza, senza aggiungere altro. Emily lo guardò, mille pensieri a riempirle la testa. Alla fine uno fra tutti prese il sopravvento, facendola sentire più preoccupata che mai.
«E se fosse Moriarty?»
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Emily Prince si è sempre sentita diversa. Un ombrello giallo sotto la pioggia di Londra, un puntino rosso nel cuore della notte, una mente affollata, sicura e colorata, e una visione unica del mondo intorno a sé.
La sua ambizione più grande la guiderà lontano dalla sua città, fino al più noto numero civico di Baker Street. Tuttavia, contro ogni previsione, la farà anche sprofondare in qualcosa da cui, sola, la ragazza non potrà uscire.
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La storia è ambientata dopo la fine della terza stagione.
Genere: Mistero, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Pioveva. Il cielo sembrava essere la perfetta fotocopia di quello che aveva accolto Emily il primo giorno al suo arrivo a Londra. Era come venir trasportati indietro nel tempo: la pioggia copiosa, il frettoloso via e vai delle persone, la stazione metropolitana di Baker Street, l’ombrello giallo sopra la testa. Emily si sentiva quasi strana a camminare in quel déjà-vu, se non fosse stato per il fatto che era ben consapevole che in realtà era tutto diverso rispetto a quella prima volta.

Camminando a passo sicuro, facendosi largo come era ormai diventata abitudine, la ragazza risalì Baker Street in fretta, raggiungendo il civico n° 221B. Si fermò di colpo, davanti all’ingresso, sentendosi emozionata. Non tornava in quella casa da due settimane e le era mancata moltissimo. Aveva trascorso un piacevole natale con la propria famiglia, capodanno con la sua ristretta cerchia di amici, tuttavia non aveva smesso di pensare per un solo giorno a quello che aveva lasciato a Londra, a quella casa.

Aprì la porta d’ingresso raggiante ed entrò, chiudendo l’ombrello.

Mrs. Hudson si affacciò e appena la vide la raggiunse per salutarla.

«Ben tornata, cara» le disse.

Emily l’abbracciò istintivamente. Non riusciva a capire bene nemmeno lei il perché di tutta quella sua felicità, fatto sta che non riusciva a tenerla a freno.

«Come sta Mrs. Hudson? È successo qualcosa durante la mia assenza?» le chiese.

La donna si strinse nelle spalle, preparandosi a rispondere. Alla fine, però, pensò fosse meglio invitare la ragazza in casa per un tè, come usava sempre fare.

Davanti a una tazza di Earl Grey fumante sia Emily che la padrona di casa si raccontarono a vicenda quelle che erano le novità delle ultime due settimane. In quel lasso di tempo non era successo molto a Baker Street e fu semplice per la ragazza capire che, con tutta probabilità, ciò significava anche ricongiungersi con uno Sherlock Holmes sull’orlo di una crisi.

Terminato il tè e i convenevoli, Emily si avviò verso il primo piano dell’edificio, quella che sentiva a tutti gli effetti come una casa. Si trascinò lungo le scale il piccolo trolley in cui aveva stipato quanti più vestiti possibili e raggiunta la porta che dava sul soggiorno, l’aprì sorridendo.

Dentro, tuttavia, non trovò nessuno. Controllò l’orario; erano le dieci del mattino, c’erano buone possibilità che Sherlock fosse in giro, eppure le sembrò strano non trovarlo lì, magari a sedere sulla sua poltrona a pizzicare annoiato le corde del violino, oppure a fissare intensamente un punto guardando, in realtà, ben al di là di esso.

«Sherlock» provò a chiamarlo.

Non ricevette risposta e questo le bastò per convincersi del fatto che il detective non fosse in casa. Istintivamente guardò la parete alla destra dell’ingresso, trovandola spoglia. Ciò significava che Mrs. Hudson aveva ragione, ovvero che nessun caso interessante era stato sottoposto al suo coinquilino. Si mosse nel soggiorno osservando attentamente intorno a sé, alla ricerca di qualcosa di diverso, inatteso. Sopra al camino tutta una serie di carte era, come da abitudine, infilzata da un lungo coltello a serramanico, da cui alcuni fogli pendevano oltre il bordo del ripiano. Fra quelle carte miste la ragazza individuò la busta marrone che aveva dato a Sherlock il giorno prima della sua partenza, quella che aveva trovato sotto la porta e che aveva ingenuamente scambiato per la lettera di qualche ammiratrice. Era lievemente sorpresa di vedere che il detective l’aveva tenuta, più che altro perché, nonostante quello che avrebbe potuto racchiudere, poteva essere stato solo uno strano scherzo.

Si avvicinò ulteriormente al camino e toccò il lembo della busta che sporgeva oltre la mensola.

Carte di cioccolatini e briciole di pane; quello era il contenuto della busta, un contenuto che appena lei e Sherlock avevano avuto modo di vedere li aveva immediatamente catapultati indietro, a un’avventura che Sherlock aveva vinto e che Emily aveva vissuto perfettamente grazie alle parole di John Watson: Le cascate di Reichenbach.

Avrebbe voluto rimanere con il detective per andare maggiormente a fondo sulla situazione, dato che il modo in cui l'uomo si era irrigidito alla vista della busta prima e del suo contenuto poi, le avevano fatto intendere che, forse, la cosa non andava presa con eccessiva leggerezza. Tuttavia aveva un biglietto per Newport il mattino successivo e per tale motivo era dovuta partire.

Ora trovare quella stessa busta ancora presente nella casa, in mezzo all'insieme di carte che componeva la serie di "lavori in sospeso" di Sherlock le fece intendere che, con molta probabilità, lui stava continuando a pensare a tutta quella situazione e che – e la cosa era bene non escludere assolutamente – c'erano buone possibilità che lui avesse già formulato molteplici scenari, fra cui si poteva celare anche quello esatto.

Tuttavia non avrebbe ottenuto risposte da sola. Se voleva sperare di sapere cosa pensava il suo coinquilino di quella storia doveva prima incontrarlo e di lui non c'era traccia nella casa.

Andò in camera sua per risistemare le proprie cose, optando anche per farsi una doccia. Liberò il trolley dei vestiti, li mise al posto giusto, dopodiché afferrò qualche abito e tornò di sotto. Mentre scendeva le scale sentì il telefono trillare, la nota suoneria di un messaggio e lo andò a prendere nella speranza che si trattasse di Sherlock. Non si erano sentiti molto in quel lasso si tempo, per lo più perché lui rispondeva di rado ai suoi messaggi e, se lo faceva, era vago, incomprensibile e sintetico. Aveva sentito molto di più John, che spesso rispondeva proprio a nome dell'amico.

Appena ebbe il telefono in mano Emily si accorse che il messaggio non era di Sherlock, ma di Richard e si trovò istintivamente a sorridere.

Loro due si erano scritti sempre più spesso a seguito del loro ultimo incontro in caffetteria dove si erano conosciuti a tutti gli effetti. Da quel giorno avevano cominciato a scambiarsi brevi messaggi, fino a sentirsi con frequenza maggiore ogni giorno. Tutta quella situazione stava generando dentro Emily un piacevolissimo stato e l'aveva convinta del fatto che il ragazzo fosse seriamente interessato a lei; non solo, Richard le piaceva molto. In solo due settimane si era ritrovata a pensarlo spesso e a scrivergli molte volte per prima.

 

Sei rientrata a Londra?

 

Emily rispose di sì, dopodiché domandò a Richard come stava per avere una valida scusa e cominciare una nuova conversazione. A ogni modo non attese impaziente la risposta, ma si diresse verso il bagno così da concedersi una doccia prima del rientro di Sherlock, con cui aveva una voglia matta di trascorrere del tempo.

Si infilò sotto la doccia non appena il getto divenne caldo, lasciando l'acqua libera di scorrere lungo il suo corpo.

Era tornata a Baker Street. Non riusciva a credere che una semplice casa le potesse mancare a tal punto, sebbene fosse chiaro che quello che le era mancato tanto non fosse stata la casa, ma chi vi era dentro. Da quanto era scesa alla stazione di Paddington, per poi andare a prendere la metropolitana per arrivare lì, non aveva potuto fare a meno di sorridere al pensiero di rivedere Sherlock, John e tutti gli altri. Non ne capiva esattamente il motivo, ma tutto ciò che ruotava attorno a Baker Street la faceva sentire speciale, come se a lei fosse dedicato un onore che nessun altro aveva.

Mentre si insaponava la porta del bagno si aprì all'improvviso. Sebbene fosse dietro la tendina della doccia si coprì istintivamente le zone più intime, sorpresa.

«Ciao Emi» fu la voce che riempì il piccolo bagno a seguito di quella invasione.

Fu inevitabile, per la ragazza, sentirsi ancora più in imbarazzo. Sherlock era atipico, lo sapeva, ma non si era mai spinto fino a quel punto.

«Sherlock, maledizione!» esclamò esasperata. «Mi sto facendo la doccia, sei impazzito?»

Il tono disinvolto con cui l'uomo le rispose ricordarono a Emily le cose più esasperanti che le erano accadute dalla prima volta che aveva messo piede nella casa.

«Suvvia, credi che non abbia mai visto il corpo di una donna? E poi non sto nemmeno guardando.»

La ragazza tentò di sbirciare appena, cercando di interpretare la sagoma del detective da oltre la tendina. In effetti le parve essere di spalle, fermo davanti allo specchio.

Lui non proferì altra parola.

«Senti, questo è il tuo modo di darmi il bentornata?» chiese, decisamente poco convinta della cosa.

«No» replicò monosillabico lui. «Lestrade mi ha sottoposto qualcosa di interessante e voglio che tu venga. Ci troviamo lì fra mezz'ora.»

Se ne andò senza aspettare una risposta, richiudendosi la porta alle spalle. Emily, ancora interdetta per l’improvvisata del detective non riuscì a fermarlo in tempo per ricordargli che se voleva che lo raggiungesse da Lestrade doveva anche dirle dove si trovava l’ispettore. Scostò la tendina della doccia titubante, accertandosi prima di essere effettivamente sola nella stanza.

Un sorriso divertito le uscì spontaneo quando si accorse che Sherlock era stato un passo avanti a lei ancora una volta. Sullo specchio, dove il vapore dell’acqua calda si era depositato, con evidente sicurezza era scritto un indirizzo: il luogo dell’appuntamento.

 

*

 

John Watson era fermo immobile accanto all’amico. Osservava a tratti il profilo di Sherlock, il cielo che si stava rischiarando lentamente, poi l’orario e di nuovo Sherlock. Quest’ultimo lo aveva informato che sarebbero entrati nel vecchio stabile solo dopo l’arrivo di Emily, che sarebbe giunta a breve. Dopo il ritorno in scena del detective sul luogo del ritrovamento del cadavere avevano atteso una quindicina di minuti, in silenzio.

«Sei sicuro che Emily stia arrivando?» domandò di punto in bianco il medico.

«Naturalmente» rispose asciutto l’altro, gli occhi fissi sull’ingresso al cortile della struttura.

«Le hai dato solo mezz’ora» gli fece notare.

Sherlock non replicò subito. Continuò a guardare avanti finché, a un certo punto, guardò l’orologio e sorrise, soddisfatto. Dal cancello la sagoma di Emily si avvicinava via via, facendosi più grande e definita. I capelli rossi risaltavano sul cielo ancora in gran parte grigio, l’ombrello giallo ben saldo nella mano destra.

«I mezzi pubblici londinesi sono molto puntuali, John. Oltretutto Emily è più veloce di tante altre a prepararsi.»

Detto ciò si avviò verso l’interno dell’edificio, lasciando John in attesa della ragazza. Quando questa lo raggiunse sorrise in direzione del medico e lo abbracciò come si abbraccia un vecchio amico.

«Sono molto felice di rivederti» gli disse, trattenendosi dal rivelargli che le era mancato.

John rispose allo stesso modo, chiedendole come avesse trascorso le festività.

Con quei brevi convenevoli – decisamente piacevoli per Emily in compagnia del medico – entrarono dentro il vecchio capannone dove Lestrade e la scientifica stavano lavorando.

«Sai già di cosa si tratta?» domandò Emily, camminando al fianco di John.

Quest’ultimo scosse la testa. «Solo Sherlock lo sa.»

Più o meno al centro dell’ampia sala di quella vecchia fabbrica in disuso un novero di uomini era intento a prendere misure, scattare foto e conversare. Grosse lampade erano appoggiate al terreno, i fari fissi su un unico punto, al loro incrocio esatto. Gli uomini della scientifica, con la loro caratteristica divisa bianca, si muovevano sicuri intorno a un corpo disteso a terra, parendo alieni approdati con un intento ben preciso. Leggermente distanti da quel gruppo di persone c’erano due figure note, entrambe ferme in piedi, sicure, i cappotti lunghi e scuri a dar loro un’aria austera.

Emily sentì l’eccitazione crescerle dentro alla vista di quella scena, degli esperti, dell’atmosfera, di Sherlock e Lestrade concentrati a parlare. Per molti poteva essere strano provare simili emozioni in una circostanza del genere, ma per lei non lo era affatto. Da quel punto di vista lei e Sherlock Holmes si assomigliavano.

Lestrade si accorse della ragazza e di John mentre i due si avvicinavano. Fece un cenno in direzione del medico e salutò Emily da vero gentiluomo.

«Posso chiederle di che si tratta, ispettore?» domandò lei al termine dei convenevoli di rito.

Lestrade sorrise, lanciò un’occhiata al detective e tornò a guardare la ragazza. «Un morto affogato» disse con semplicità.

Emily guardò istintivamente l’ambiente. Il capannone in cui si trovavano era nella parte di Londra più distante dal Tamigi, perciò escluse subito la possibilità che il fiume fosse in qualche modo implicato. La struttura era abbandonata da tempo – come il suo essere fatiscente testimoniava bene – e le parve improbabile che l’acqua fosse ancora collegata per consentire a qualcuno di riempire una vasca e affogarci dentro una persona; oltretutto il punto in cui si trovava il cadavere era decisamente isolato da qualsiasi cosa.

«Affogato?» mormorò incerta.

Non si accorse dello sguardo di Sherlock, né di quello di Lestrade, che, provando simpatia per la ragazza, trovava sempre semplice coinvolgerla. Si permetteva di farlo soprattutto perché Sherlock stesso gli aveva detto che poteva, sebbene glielo avesse confessato per vie traverse e facendogli intuire che non voleva fosse reso noto ad altri.

«Mi permetto di correggerti Gerard» si intromise Sherlock.

«Greg.»

Il detective non diede peso alla correzione di Emily; Lestrade invece parve gradirla particolarmente.

«Non c'è ancora l'effettiva certezza che la causa del decesso sia dovuta ad annegamento. Lo si sospetta perché il corpo del malcapitato lo lascia credere.»

«Sì, corretto» confermò l'ispettore, leggermente indispettito dal perfezionismo di Sherlock. Sebbene ormai sentiva che il detective fosse suo amico gli capitava ancora di venire esasperato dall'eccessiva conoscenza che spesso ostentava.

«Come Sherlock ci tiene a precisare» riprese poi parola l'ispettore, rivolgendosi non solo a Emily ma anche a John, «l'esatta causa del decesso non è stata ancora confermata, sebbene la scientifica sia abbastanza unanime nel sostenere che, date le condizioni del corpo, l'annegamento sia l’opzione più probabile.»

Sherlock si esibì in un'espressione tronfia alle ultime parole di Lestrade.

John guardò l'ambiente, il pavimento dell'ampia struttura rotto in più punti, in corrispondenza dei quali erba e terra stavano tornando a spuntare.

«È difficile credere che possa essere affogato in un posto simile» disse dopo aver analizzato l'area a sufficienza.

«Non rimane che scoprire se le cose sono andate effettivamente così» affermò poi Sherlock. Non attese nessuna reazione da parte dei presenti; si incamminò in direzione del cadavere, il colletto del cappotto nero sollevato e il passo di chi sapeva esattamente cosa cercare.

 

*

 

Tutta la possibile euforia di Sherlock Holmes si era esaurita intorno alle tre del pomeriggio. Verso quell’ora il detective si era alzato dalla poltrona, aveva attraversato l’ingresso ed era uscito dal 221B, lasciando Emily in casa da sola.

Il sospetto annegamento che Lestrade aveva sottoposto a Sherlock gli aveva dato, subito, quella carica che contraddistingueva il detective quando era alle prese con qualcosa di molto interessante e in grado di azionare quanti più ricettori presenti nella sua mente. Tuttavia proprio per tale motivo era stato in grado di analizzare la situazione e individuare le risposte invisibili ai molti in breve tempo. Emily aveva cercato di studiarlo al meglio mentre lui riconosceva dei leggeri segni sul collo – resi meno percepibili a causa del rigonfiamento del corpo – che lo portarono a ipotizzare una morte da strangolamento per mezzo di qualcosa di molto simile a una corda. Oppure mentre notava che da una delle grandi porte della struttura, fino al cadavere, la terra e l’erba erano state smosse da qualcosa, poiché gli steli verdi erano piegati, come soffiati con violenza.

Sherlock era arrivato alla conclusione che l’uomo era probabilmente stato ucciso strangolato, che il corpo era stato lasciato per giorni all’aperto, forse nel cassone di un camion – come aveva sospettato trovando piccole tracce di ruggine in diversi punti – dove l’acqua aveva avuto modo di sommergerlo – può darsi anche aggiunta dal colpevole – e che infine, sempre all’interno del cassone era stato portato fino a quella fabbrica dismessa, dove il contenuto era poi stato svuotato a terra senza ritegno. Il detective sosteneva che la cosa era in grado di motivare tutto. La massa d’acqua presente sul camion aveva spostato la terra e piegato l’erba, oltre ad aver trascinato il corpo del malcapitato nel punto in cui era stato ritrovato. Non solo, aveva anche rinvenuto dei solchi da pneumatico in alcuni punti dove l’asfalto aveva ceduto il passo alla terra a ulteriore supporto della sua ricostruzione.

Davanti all’incredulità generale aveva sostenuto talmente bene la sua teoria che nessuno era stato in grado di ribattere in alcun modo e Lestrade aveva convenuto con lui che, come al solito, la sua ipotesi poteva funzionare. Aveva comunicato in centrale di iniziare a cercare un camion che potesse essere passato in quella zona prima ancora di sapere se, effettivamente, ciò che Sherlock aveva immaginato fosse confermabile dai risultati delle analisi.

Terminato di esporre la propria teoria il detective aveva stretto a sé il cappotto e aveva annunciato che sarebbe rientrato a casa, seguito a breve distanza da John e Emily, che avevano prima salutato Lestrade e poi si erano incamminati. John era andato alla clinica dove Mary si trovava al lavoro – passando prima a recuperare la figlia dalla babysitter – mentre la ragazza era rincasata, trascorrendo solo pochi minuti in compagnia di Sherlock prima che questo si avviasse fuori dal 221B senza dare informazioni aggiuntive riguardo al luogo in cui era diretto.

Dal momento che Emily era ormai a conoscenza di quel genere di comportamenti non ne era rimasta né sorpresa, né infastidita. Aveva capito ben prima del suo ritorno a Newport per le vacanze che Sherlock stava soffrendo di una sorta di astinenza da casi intriganti al punto da riversare spesso il suo bisogno di indagare su di lei, analizzandola a fondo ogni volta che rientrava in casa. Proprio per questo riuscì a immaginare che il detective – in un primo momento chiaramente eccitato per il nuovo e, probabilmente avvincente, caso – era in realtà rimasto deluso nello scoprire che quello che poteva apparire un intrigante mistero era invece qualcosa che aveva trovato subito una spiegazione e in modo, per lui, fin troppo semplice. Era già accaduto in più occasioni e ogni volta Sherlock si era comportato all'incirca in quello stesso modo. Tuttavia per Emily era comunque interessante vedere i suoi comportamenti in simili circostanze, perché le avevano permesso di capire che uno come lui necessitava di stimoli continui, stimoli, però, di un certo spessore.

Stava appuntando distrattamente quei pensieri sul proprio portatile, chiedendosi anche quale fosse il comportamento di Sherlock una volta raggiunto il limite di sopportabilità per la mancanza di sproni, quando il suo cellulare trillò allegramente. Lo afferrò sperando che si trattasse del coinquilino, ma si rese conto che era un nuovo messaggio da parte di Richard. Troppo presa dall’indagine di Sherlock si era dimenticata di rispondere al suo ultimo messaggio e lui le aveva appena chiesto se fosse tutto a posto.

Si misero a scriversi, conversando del più e del meno, finché a un tratto la porta di casa si aprì. La ragazza tese l’orecchio per individuare chi potesse essere entrato – anche considerando che erano le sei del pomeriggio e Sherlock mancava da ore – e sentì la voce di Mary. Subito dopo i coniugi Watson entrarono nel soggiorno, la piccola stretta fra le braccia del padre.

«Ciao» li salutò Emily, abbandonando il portatile sul tavolino.

La donna la salutò di rimando, mentre John, dopo essersi guardato intorno, chiese: «Dov’è Sherlock?»

«È uscito poco dopo le tre. Non ho idea di dove sia.»

Il medico annuì distrattamente, sedendosi alla sua poltrona.

«Volete qualcosa?» domandò Emily.

«Oh no, grazie cara» rispose Mary.

I tre rimasero in silenzio per diversi secondi, sovrappensiero.

«Sapete cos’ha Sherlock?» chiese infine Emily.

John la guardò. «In che senso?»

«Beh, è da prima che io partissi che è più irascibile del solito.»

«Quello è semplicemente dovuto al fatto che non ha fra le mani qualcosa di avvincente da un po’. È normale» cercò di tranquillizzarla Mary.

«E se ci fosse altro? Insomma, io sto ancora pensando a Walker e Horvat. E poi c’è quella busta, quella che gli hanno recapitato prima di natale. È tutto così strano» ammise dopo un momento di silenzio la ragazza.

«Quale busta?» volle subito sapere John.

Emily lo guardò, sorpresa. «Sherlock non te ne ha parlato?»

«Non che mi risulti» rispose, mascherando a stento una nota infastidita.

La ragazza si alzò dal divano, raggiungendo il camino con pochi passi. Lì afferrò la busta marrone ancora infilzata sotto il coltello a serramanico e la portò al medico, lascandogliela in mano e prendendo lei in braccio la bambina. Anche Mary si avvicinò a John e guardò la busta con espressione dubbiosa. Lei, forse, non sapeva cosa potesse rappresentare quel normalissimo oggetto, ma Emily sapeva che la cosa non poteva valere per John. Quest’ultimo, infatti, rigirò fra le mani la carta, guardandola attentamente, soffermando la sua attenzione sul sigillo di ceralacca.

«Cosa c’era dentro?» domandò.

«Carte di cioccolatini e briciole di pane.»

John si irrigidì. Tornò a guardare Emily che rispose al suo sguardo, facendosi preoccupata.

«Potreste spiegare anche a me perché questa cosa sembra allarmarvi tanto?» domandò infine Mary, attirando l'attenzione dei due su di sé.

John le raccontò tutto, Le cascate di Reichenbach.. Mary conosceva la storia, ma lei non aveva collegato così chiaramente la busta da poco ricevuta da Sherlock con quelle che Moriarty gli aveva fatto trovare durante quel caso.

I tre passarono l'ora successiva a interrogarsi sulla situazione; a chiedersi se, e quanto, bisognasse preoccuparsi e a motivare il perchè la nemesi di Sherlock non potesse essere coinvolta – la sua morte era la giustificazione maggiore. Tuttavia più ne parlavano fra di loro più Emily sentiva che c'era qualcosa di sospetto, come se qualcuno di molto preparato e che sapeva esattamente come muoversi, stesse realizzando una specie di grande minaccia ai danni di Sherlock. Proprio per questo motivo il fatto che in quel periodo il detective fosse tanto instabile, irascibile e rimanesse solo per così a lungo non la faceva assolutamente stare tranquilla.

«Credete che Sherlock sospetti qualcosa a riguardo?» chiese infine Emily, sovrappensiero.

Mary la guardò e le sorrise, dolcemente. «Penso proprio di sì, lo conosco. Se sotto c'è qualcosa saprà scoprire cosa, a meno che non l’abbia già fatto.»

Emily annuì leggermente, solo in parte rinfrancata dalle sue parole. Non riusciva più a zittire una strana voce dentro di sé, qualcosa che continuava a ripeterle che c'era molto di più di quanto apparisse in superficie e che, qualunque cosa fosse, li aveva ormai condotti a sé.

«Piuttosto,» prese poi parola Mary, rivolgendosi a Emily. Quest'ultima si ridestò dai suoi pensieri e guardò la donna che ricominciò: «vuoi dirmi come si chiama?»

La ragazza rimase fortemente sorpresa nel capire che Mary aveva intuito che c'era un "qualcuno" in grado di distrarla anche in una simile circostanza. Era sicura che la donna avesse intuito la cosa perché lei non era stata in grado di resistere alla tentazione di rispondere immediatamente ai messaggi di Richard. Non solo Mary era capace e intelligente, ma era anche una donna e una simile circostanza non poteva certo esserle sfuggita.

«Come si chiama chi?» si intromise John, perplesso.

Mary lo guardò. «Lascia perdere» lo ignorò subito. «Allora, Emi?»

Per la ragazza fu inevitabile sorridere davanti al volto desideroso di informazioni della donna, così come le riuscì complicato trattenere quel sorriso ostinato che le si riproponeva ogni qualvolta pensava o parlava di Richard. Non le era mai capitato di invaghirsi tanto in fretta di un ragazzo, ma lui le sembrava diverso da qualsiasi altro.

Tornò a sistemare la busta marrone sul camino, trafiggendola nuovamente con il grosso coltello a serramanico. Dopodiché tornò a sedersi e si decise a raccontare la storia a Mary e John, accantonando per un momento la sua preoccupazione per Sherlock.

 

  
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