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Autore: Inevitabilmente_Dea    28/03/2017    0 recensioni
{Threequel di The Maze Runner - Remember}
I Radurai sono riusciti a sopravvivere anche alla Zona Bruciata e hanno conseguito il loro obbiettivo: raggiungere il Porto Sicuro entro due settimane per trovare la cura all'Eruzione. Tuttavia, nonostante all'apparenza sia tutto finito, i Radurai sono stati ingannati nuovamente dalla W.I.C.K.E.D. che ha in serbo per loro un'altra prova. Questa, a differenza delle precedenti, sarà individuale e i ragazzi e le ragazze saranno soli di fronte al pericolo: i Radurai, infatti, vengono addormentati e separati durante il sonno.
Elena viene tenuta in isolamento dalla W.I.C.K.E.D. senza sapere che fine hanno fatto i suoi amici, ma alla fine, dopo una serie di esperimenti viene rilasciata.
Un ultimo ciclo di test e analisi per raccogliere i dati necessari allo sviluppo della cianografia finale.
Dopo di essa, però, toccherà ai Radurai trovare una cura per l'Eruzione, poichè essa non è ancora stato ultimata.
Un'avventura che non ha ancora un fine. Una continua fuga alla ricerca della salvezza.
E se le persone che si credeva di aver perso ritornassero?
E se invece, quelle a cui si tiene di più, andassero perse per sempre?
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jorge, Minho, Newt, Newt/Thomas, Nuovo personaggio, Thomas
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: Spoiler!
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Da quando Minho mi aveva caricata sulla sua schiena dovevo ammettere di sentirmi meglio. La testa aveva lentamente smesso di girare e la mia vista si era fatta più chiara, permettendomi di distinguere le sagome dei miei amici che si muovevano veloci davanti e di fianco a noi.
Anche la gamba aveva smesso di farmi male per il momento, limitandosi ad un leggero bruciore che, per quanto fastidioso, era più che sopportabile. 
Essere traspostata di peso da Minho, dovevo ammetterlo, era molto comodo e piacevole, ma allo stesso tempo mi sentivo in colpa per il ragazzo che doveva fare il doppio della fatica a correre con il mio peso addosso. Ma nonstante questo non avevo intenzione di dirgli nulla, nemmeno per proporgli di appoggiarmi a terra: non volevo essere un peso per gli altri e sapevo che con la mia gamba ferita li avrei rallentati e basta.
Durante il tragitto fortunatamente non avevamo trovato compagnia e il gruppo stava procendo sicuro, con passo veloce. Di certo, con Teresa alla guida e tanti occhi concentrati in caso di attacchi, non avremmo dovuto avere grossi problemi. Con Teresa che indicava la via, svoltammo diverse volte e scendemmo una rampa di scale. La ragazza ad un certo punto si bloccò, fermandosi per un attimo e decise di imbucare quella che chiamò 'piccola scoricatoia' attraverso un vecchio sgabuzzino che ci portò in un altro lungo corridoio. 
Poi altre scale. Destra e poi sinistra.
Nonostante il grande fiatone − quello di Minho soprattutto − il gruppo non aveva mai rallentato il passo, restando sempre all'erta. Non facemmo mai una sosta, non ci fermammo mai per riprendere fiato, non lasciammo nemmeno spazio alle esitazione nel seguire le indicazioni di Teresa. Tutti volevamo arrivare al più presto al Labirinto ed uscire velocemente da quel posto.
Arrivammo in fondo a un altro corridoio e vidi Teresa e Thomas in testa al gruppo girare a destra. Anche Minho raggiunse ben presto gli altri due ragazzi, ma fece appena in tempo a fare tre passi e a notare che qualcosa non andava che qualcuno, sbucato dal nulla all'improvviso, gli saltò addosso, afferrandolo per le spalle e buttandolo a terra.
In meno di un secondo mi ritrovai anche io a cadere dal ragazzo. Ruzzolai a terra senza riuscire a fermarmi e quando tentai di puntare i piedi a terra per tentare di rialzarmi, una fitta si impossessò della mia gamba, facendomi mugugnare dal dolore. Mi misi a sedere e strisciai lentamente contro la parete, portandomi i palmi sopra la ferita, ma senza osare toccarla troppo. Alzai lo sguardo offuscato temporaneamente dal dolore e mi guardai attorno cercando di capire cosa fosse appena successo. Delle grida e dei versi irruppero nella stanza e, anche solo ascoltando quelli, riuscii a capire che delle guardie ci avevano attaccati. 
Era abbastanza buio e vedevo a malapena la sagoma Minho che, a pochi metri da me, si divincolava a terra nel tentativo di togliersi l'uomo − o donna − che lo aveva attaccato.
Afferrai titubante l'arco che avevo in spalla e cavai una freccia, puntandola immediatamente sulla corda, ma questa voltai esitai prima di scoccarla.
La mia vista non era delle migliori e inoltre il buio non mi aiutava. Avevo veramente intenzione di scagliare quella freccia nella speranza di beccare la persona giusta? Come facevo a sapere che non mi stavo sbagliando e che la figura che credevo appartenesse a Minho, in realtà fosse della guardia? Non potevo semplicemente tirare a sorte.
Poi un lampo di genio mi colpì. "Minho!" gridai in direzione del ragazzo. "Sei sopra o sotto?" chiesi semplicemente.
Il ragazzo ci mise un po' a rispondere e per un attimo temetti che non mi avesse sentito, ma nel momento in cui aprii nuovamenta la bocca per parlare, il ragazzo urlò: "Sotto!"
A quel punto non ebbi più motivo di starmene ferma: sollevai l'arco, presi bene la mira verso l'ombra che si muoveva a scatti sopra di Minho e scagliai la freccia. 
Non sentii il suono di questa incastrarsi nella pelle della guardia, ma la vista della figura che si accasciava a terra mi bastò a capire che avevo centrato il segno.
Vidi Minho mettersi subito in ginocchio e gattonare qua e là in cerca di qualcosa, poi lo vidi strisciare fino alla guardia che avevo colpito. Non capii le intenzioni del ragazzo e inizialmente elaborai due ipotesi: o Minho stava controllando se la guardia era morta o meno, o aveva intenzione di riempirla di pugni solo per sfogarsi. 
Ben presto però dovetti ricredermi sul Velocista, dato che dopo pochi secondi si riavvicinò a me velocemente e mi porse qualcosa. Incuriosita e turbata allo stesso tempo afferrai l'oggetto che il ragazzo mi lasciò cadere sul ventre e seguii le sue parole. "Mettitelo in testa, sugli occhi." mi spiegò velocemente, con voce affannato. "Serve per vedere al buio. Dimmi chi e dove devo colpire."
Senza perdere tempo a rispondere indossai quell'aggeggio e tutto si colorò fastidiosamente di verde, ridandomi la vista. Vedere il mondo da quel punto di vista era una cosa alquanto strana e scomoda, ma almeno ora potevo vedere erattamente dove si trovavano i nemici.
Scossi la testa e mi concentai solamente sulle sagome delle guardie per riuscire ad essere utile a Minho che ancora stava aspettando paziente inginocchiato davanti a me. 
"Alla tua destra." lo informai. "Violet sembra essere in difficoltà." aggiunsi poi, riuscendo ad animare subito il ragazzo che, con uno scatto felino, non mi fece nemmeno finire la frase e balzò alla cieca sull'uomo che stava infastidendo la sua ragazza.
Nascondendo un sorrisetto compiaciuto, mi concentrai nuovamente sulla battaglia che ancora continuava ad infuriare. Estrassi un'altra freccia e questa volta la scagliai contro la donna che stava combattendo contro Stephen. Poi toccò alla guardia che stava prendendo a calci la schiena di Gally. Mi divertii particolarmente a trafiggere questa proprio alla fine della spina dorsale, resituendogli così il dolore che aveva inflitto al ragazzo.
Un'altra freccia e anche la guardia che aveva cercato di prendere Hailie − che correva alla cieca per la stanza urlando spaventata − era accasciata al suolo.
Sfilai un'altra freccia dalla faretra, puntandola verso l'uomo che lottava contro Jorge e Brenda, ma un urlo poco distante da me mi distrasse, facendomi voltare appena in tempo verso una guardia che, accortasi della mia presenza, mi stava correndo in contro.
Feci appena in tempo a scagliarle la freccia contro e a vederla morire a terra che mi sentii tirare all'indietro violentemente.
Non feci nemmeno in tempo a capire come fosse potuto succedere, ma qualcuno aveva avuto la bella idea di arrivarmi alle spalle in modo silenzioso e di attaccarmi. Sentii le braccia della guardia scivolare sul mio collo e prima ancora che potessi reagire questa inizió a tirare verso di sè, togliendomi il fiato e dandomi una sensazione di panico mai provata prima.
Cercai di urlare il nome di uno dei miei amici, in modo che qualcuno potesse correre in mio soccorso, ma il fiato era talmente poco che a stento riuscii ad inalare il poco ossigeno che avevo in bocca. La testa inizò ben presto a farsi pesante ed il mio volto sembrava cosparso di fiamme. Non potevo continuare a rimanere aggrappata alle braccia della guardia, nel tentativo di tirarle dalla parte opposta, perchè era palese la differenza di forza tra di noi.
Colta alla sprovvista e sentendo i miei polmoni bruciare per l'assenza di ossigeno, afferrai l'arco e alla cieca cercai di colpire l'uomo dietro di me. La prima volta mancai l'obbiettivo, ma la seconda lo centrai in pieno.
Fui soddisfatta di ciò, ma la mia felicità duro poco dato che ben presto mi accorsi che, oltre ad un leggero lamento, l'uomo non si era mosso nemmeno di un millimetro.
Riprovai più volte a colpirlo, ma senza mai avere successo, e quando pensai che oramai sarei morta nella sua stretta, qualcuno intervenne, strappandomi l'uomo vi dosso e lasciando finalmente che l'aria mi entrasse nei polmoni.
Inghiottii tutto l'ossigeno che potevo, prendendo grandi boccate d'aria, ma questo sembrò solo peggiorare la mia situazione dato che iniziai a tossire fino a farmi lacrimare gli occhi. Mi piegai in avanti e mi portai le mani al collo, continuando a sputare fuori perfino l'anima. Quando la scarica di tosse sembrò attenuarsi un poco mi voltai in cerca del mio salvatore.
Immediatamente riconobbi la sagoma snella e veloce di Thomas che, anche lui con indosso la mia stessa maschera che gli ricopriva totalmente gli occhi, stava pugnalando al petto il mio assalitore. Il ragazzo dopo aver calciato un'ultima volta la guardia che mi aveva attaccata, si mosse veloce verso di me e mi porse la mano. 
"Stai bene?" domando, urlando un poco per sovrastare il frastuono che ci cicrconadava.
"Sì, grazie." risposi con voce debole, afferrando la sua mano e lasciando che il ragazzo mi tirasse in piedi per poi farmi appoggiare alla sua spalla.
"Riesci a camminare?"
"Camminare sì." risposi immediatamente. "Correre no."
"Va benissimo." rispose entusiasta Thomas, portando una mano dietro la mia schiena e sorreggendomi. "Teresa dice che manca poco. Più avanti c'é una rampa di scale e per quelle ti porto in braccio io. Non appena siamo sistemati ti faccio scendere e ti aiuto a camminare, okay?"
"Va bene." risposi convinta, guardandomi un'ultima volta intorno per vedere in che condizioni erano i miei amici.
Mi accorsi con sorpresa che la maggior parte di questi erano in piedi, guardandosi attorno con occhi sbarrati e un'espressione smarrita, altri invece stavano camminando all'avanti portando le mani sul muro, in modo da riprendere fiato. Solo due stavano ancora combattendo contro delle guardie, ma era palese che stessero avendo la meglio.
Sollevata da ciò seguii Thomas, continuando a guardarmi attorno per paura di subire altri attacchi.
"Forza!" gridò Thomas. "Minho, lascialo!" aggiunse poi, facendo un cenno in direzione dell'amico che ancora stava riempendo di pugni una guardia inerme. Il Velocista sferrò un altro paio di pugni per non correre rischi, poi si alzò, dando a quel tizio un ultimo calcio. "Ho finito. Possiamo andare."
Vidi Thomas annuire in direzione dell'amico e poi si chinò in avanti, mostrandomi la schiena e chiedendomi così di salire in groppa. Non feci tanti complimenti e con un balzo gli montai sopra, stando attenta a non posizionare le braccia troppo attaccate al suo collo in modo da non soffocarlo.
Il ragazzo, per quanto fosse gracile, non sembrò fare fatica a sostenere il mio peso, anzi subito si mise a correre, superando alcuni e tornando senza problemi in testa al gruppo.
Scendemmo un'altra lunga rampa di scale e ci ritrovammo, uno dopo l'altro, nella stanza lì sotto. Quando Thomas, come me, capì dove ci trovavamo, rimase pietrificato, irrigidendosi immediatamente. Allungai una mano sulla maschera che avevo ancora indosso e me la cavai immediatamente, gettandola a terra e sperando che ció avevo davanti fosse solo un brutto incubo. Anche Thomas fece la stessa cosa, abbandonando la sua maschera per vedere al buio a terra.
Quella in cui eravamo capitati non era una stanza qualunque e di certo non si dimenticava facilmente. Era la stanza che ospitava le capsule dei Dolenti, la stanza in cui eravamo arrivati dopo essere fuggiti dal Labirinto attraverso quello scivolo viscido. Le finestre dell'osservatorio erano ancora rotte, frammenti di vetro erano sparsi su tutto il pavimento. Le lunghe capsule, circa una quarantina, in cui i Dolenti si riposavano e si ricaricavano, sembravano essere state sigillate dopo che ce n'eravamo andati settimane prima. La superficie bianca, che brillava l'ultima volta che l'avevamo vista, adesso era coperta da uno strato di polvere. 
Poi all'improvviso un ricordo che aveva tormentato i miei incubi più profondi per giorni tornò a galla, riempendomi di lacrime e tristezza. Quasi come se la mia mente avesse deciso di proiettare quella scena davanti a me, riuscii a ripercorrere tutto come se fosse successo solo pochi giorni prima: lo sguardo di Gally velato dalle lacrime, la sua espressioe spenta in modo strano, la voce della donna che lo avevo accompagnato e poi il mulinare del pugnale nell'aria. Potevo ancora vedere Chuck gettarsi sul corpo di Thomas e...
Quel suono. 
Non avrei mai potuto scordare il suono che si creò nel momento in cui la lama perforò il petto del povero bambino, ferendolo mortalmente.
"Perché non c'è nessuno?" chiese Minho destandomi dai miei pensieri e salvandomi da quello che sarebbe potuto diventare un incubo ad occhi aperti. Il Velocista fece un giro su sé stesso, osservando quel posto. "Se tengono delle persone lì dentro, perché non ci sono guardie?"
Thomas ci pensò su prima di rispondere. "Perché usare dei soldati per tenerle lì dentro se c'è un Labirinto a farlo per te? Noi ci abbiamo messo molto tempo per capire come uscire."
"Non lo so." disse Minho. "C'è qualcosa che mi puzza."
Thomas scrollò le spalle. "Be', starcene qui seduti non ci aiuterà. A meno che tu non abbia qualcosa di utile, andiamo lì sopra e cominciamo a farle uscire."
"Utile?" ripeté Minho. "Io non ho niente."
"Allora andiamo." disse Thomas, ma subito mi sentii in dovere di fermarlo.
"Io non vengo." annunciai, lasciando la presa su Thomas e scivolando lentamente dalla sua schiena.
"Come?" domandò Minho accanto a me.
"Sarei solo un peso, vi rallenterei. Non riesco a correre e credo che abbiate abbastanza vite da salvare per pensare anche a me." spiegai brevemente. "Io resto qua, almeno se qualcuno entra e cerca di boicottare il nostro piano posso ucciderlo."
"Ma..."
"Minho, va bene." si intromise Thomas, lanciandomi un'occhiata d'intesa. "Rimane qua anche Hailie." ordinò poi, guardando Stephen che, ancora con la sorella in spalle, sembrava alquanto preoccupato per quella situazione. 
Detto ciò Thomas si arrampicò su per una scala e gli altri lo seguirono.

 

 

 

Era ormai da una venita di minuti che me ne stavo seduta a terra, con la schiena appoggiata su un muro freddo e le gambe stese a terra. Hailie aveva corso un po' per la stanza, aprendo le braccia verso l'esterno e fingendo di essere un aeroplano, poi alla fine si era stancata e mi era venuta vicino, stendendosi accanto a me e appoggiandomi la testa in grembo senza proferire parola. Da quel momento la mia mano non aveva mai smesso di accarezzare i suoi capelli biondi con una dolcezza quasi distratta e la bambina aveva iniziato a succhiarsi il pollice, canticchiando una melodia probabilmente inventata, ma che almeno mi teneva compagnia.
Restare in quella stanza non era la cosa più bella che mi fosse capitata, dato che ogni ricordo che era collegato a quei muri sembrava essersi rintanato nell'ombra, aspettando il momento giusto per attaccarmi.
Eppure se non volevo abbassare la guardia dovevo rimanere lucida nella realtà, senza navigare nei miei pensieri.
Per tutto il tempo non feci altro che osservare turbata le bare in cui una volta giacevano i Dolenti, ponendomi sempre la stessa domanda angosciata a cui però non volevo trovare una risposta. I Dolenti erano stati riposti lì dentro dopo che eravamo usciti dal Labirinto? E se sì, potevano essere rimessi in funzione?
Di certo volevo che le mie domande rimanessero irrisolte, dato che non volevo rischiare di ricevere una risposta sgradevole di cui poi mi sarei pentita.
Quel tempo a disposizione mi diede anche la possibilità di riflettere parecchio su tutto quello che era successo ultimamente e, per quanto odiassi me stessa per aver dato la possibilità alla mia mente di parlare, sapevo che prima o poi sarebbe arrivato il momento di affrontare in faccia la realtà. Ripercorsi mentalmente tutto ciò che era successo da quando eravamo scappati dalla W.I.C.K.E.D. con la Berga di Jorge e inevitabilmente i miei pensieri andarono a finire su una persona in particolare: Newt.
Mi sorpresi nel momento in cui, al posto del solito dolore, provai solo una straziante malinconia, accompagnia da morsa al petto che tuttavia riuscii a gestire con mano ferma, controllando quella sensazione di soffocamento e panico che si impossessava di me ogni volta che pensavo al biondino. E subito dopo, quasi come una rivelazione, mi resi conto che avevo mentito, sia agli altri che a me stessa.
Perchè non avevo voluto entrare nel Labirinto?

Sapevo che la cosa non dipendeva totalmente dalla mia gamba ferita, eppure non avevo avuto esitazioni nell'affibbiare la colpa di quella mia mancanza ad essa. Una volta non mi sarei mai permessa di gettare la spugna davanti a questi ostacoli; una volta sarei andata oltre in ogni caso, rischiando il tutto per tutto per salvare anche solo una vita umana. E ora che ce n'erano tante in ballo? Come avevo potuto abbandonare un mio dovere nei loro confronti con così tanta leggerezza?
La mia mente continuava a ripetermi che ero solo debole e che non avrei potuto essere d'aiuto in quelle condizioni, che mi stavo sbagliando e che non dovevo sentirmi in colpa per aver detto di no in un'occasione.
Il mio cuore invece, che mi conosceva profondamente e che aveva toccato le mie paure e le mie debolezze più nascoste, mi aveva messo davanti ad un muro di verità che mi aveva spiazzato più di ogni altra cosa. Perchè non ero rientrata nel Labirinto?
Semplice, non avevo il coraggio di mettere un passo in quel posto senza di Newt.
Lui era il primo volto che avevo visto all'inizio della mia nuova vita. Erano sue le labbra che avevo baciato prima di lasciare quel posto.

Come potevo anche solo sfiorare nuovamente l'erba della Radura senza rabbrividire al suo pensiero. Certo, avrei camminato per un bel pezzo persa ad ammirare i muri del Labirinto che, chissà, magari ora mi sarebbero sembrati più alti, o al contrario meno imminenti e temibili, ma una volta che avrei puntato lo sguardo sul Casolare cosa mi sarebbe successo?
Avrei rivisto l'immagine di me e Newt abbracciati l'un l'altro, intenti a difenderci a vicenda dagli incubi che ogni notte venivano a bussare alla nostra porta.
Tu dormi, ti proteggo io dai tuoi incubi. Ripetei nella mia mente.

E nel momento in cui, nel tentativo di distogliere lo sguardo dal Casolare, mi sarei ritrovava a guardare l'infermeria dei Medicali cosa mi sarebbe successo?
La mia pelle sarebbe rabbrividita al solo ricordo dei palmi di Newt sul mio corpo e i suoi occhi attenti e premurosi che percorrevano ogni mia curva la prima volta che avevamo fatto l'amore. 
E cosa sarebbe successo quando per sbaglio avrei osservato ciò che restava degli Orti?
Avrei rivisto il suo sguardo pieno di amore e dolcezza infinita che il ragazzo rivolgeva solo a me, fissandomi come se dal momento che i suoi occhi si erano puntati sui miei, per lui non esistesse altro al mondo da ammirare a tal modo.
E se invece mi fossi inoltrata nel bosco, inciampando su quella che credevo essere una radice e invece mi fossi ritrovata a camminare sulle Facce Morte, cosa avrei sentito?
Credo che non mi sarei limitata a sentire il dolore o l'affanno nei confronti delle persone che giacevano sotto terra, ma avrei percepito la paura riafforare in me nel momento in cui il pensiero di Newt morto o in pericolo avesse divorato la mia mente, togliendomi la capacità di pensare razionalmente.
E poi sarei passata al Muro. Quanti nomi avrei dovuto sbarrare?
Troppo numerosi per essere ricordati. Troppo unici per essere dimenticati.

Newt era stato una parte insostituibile della Radura e così lo era stato anche nella mia vita.
Mi chiesi come sarebbe stata la mia vita senza di lui.
Mi chiesi come avrei fatto a mantenere tutte quelle promesse che ci eravamo scambiati e che ora suonavano più infattibili che mai alle mie orecchie.

Mi chiesi se avrei mai avuto la possibilità di vederlo di nuovo.

Mi chiesi come sarebbero andate le cose se non avessimo mai lasciato quel Labirinto.

 

 

   
 
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