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Autore: 5AM_    28/03/2017    5 recensioni
Chiara è una studentessa universitaria alle prese con un nuovo mondo e una vita totalmente diversa da quella precedente, che sarà sconvolta ulteriormente dall'incontro con una persona che presto diventerà il centro dei suoi pensieri. Ha una grande passione: la musica, che sarà il sottofondo di tutta la storia.
Buona lettura.
"Non sento nulla se non brividi. Brividi. Più le note si espandono più i miei occhi si incatenano ai i suoi"
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
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La suoneria del mio telefono rompe il mio sonno profondo.
Di fianco a me sento la presenza di Chiara, cerco di non svegliarla e di muovermi con cautela.
Sono solo le otto del mattino, chi potrebbe essere?
Apro il messaggio. Alessandra.
Istantaneamente ricordo ciò che ho momentaneamente dimenticato.
Mi alzo di fretta, facendo attenzione a non svegliare Chiara.
Mi fermo un secondo a guardarla. Viso riposato e perso nei suoi sogni, stretta fra le lenzuola del letto, respiro regolare e delicato, capelli sparsi sul cuscino bianco.
Mi stacco da quella visione angelica e corro a cambiarmi.
Prima di uscire di casa lascio un bigliettino per Chiara, così se si sveglierà prima del mio ritorno non si preoccuperà per la mia assenza.
Faccio le scale di corsa, il sole è già abbastanza caldo perché lo sento attraversare le spesse vetrate della tromba delle scale.
Esco di casa e incontro subito un’Alessandra arrabbiata. Braccia conserte, viso duro, divisa da gioco, scarpe da ginnastica ai piedi e ovviamente tutti i gadget possibili immaginabili per controllare i suoi sforzi, i suoi battiti e non so che altro ancora.
Alzo gli occhi al cielo sbuffando.
Un’amica più fissata non potevo incontrarla.
-Leonardi, volevi saltare la corsa mattutina? Direi che mentre eri in tour ne hai già perse di mattine-
Alzo le mani e mi arrendo, meglio non farla arrabbiare quando è in questa modalità da comandante.
-Hai fatto il riscaldamento?- mi chiede smanettando sul il suo orologio cardiofrequenzimetro al polso.
-No. Dai Ale, mica stiamo per giocare la finale di Coppa Italia!- dico cercando di evitarmi l’ennesima sgridata.
-Fai sto stretching, forza! Che bastano la musica e due bei occhioni a farti perdere le buone abitudini- dice quasi sogghignando.
Sbuffo e eseguo gli ordini.
Da quando Alessandra è diventata la mia personal trainer?!
Sarà una mezz’ora di corsa davvero molto lunga.


 ◦●◦                                                    ◦●◦


I rumori della strada sottostante mi svegliano dal sonno.
Mi rigiro nel letto per non so quanto tempo, forse ancora un po’ in dormiveglia.
Non voglio alzarmi quindi tento il tutto per tutto per riaddormentarmi.
Durante i miei vari giri nel letto ricordo di essere a casa di Sara, di essere nel suo letto, di essere con lei.
Quindi sto facendo tutto questo casino, con tanto di grugniti di disappunto, accanto a lei che magari sta cercando di dormire in santa pace.
Mi blocco all’istante.
Mi pento immediatamente di tutto ciò che ho fatto in tutti questi minuti.
Apro lentamente gli occhi sperando di vedere una Sara addormentata al mio fianco, senza il suo solito ghigno stampato in faccia.
Per fortuna o sfortuna che sia, Sara non c’è.
Scatto come una molla e mi metto seduta.
Beh, questa è una situazione molto strana. Guardo l’ora: le 9 del mattino.
È davvero presto, visti i miei standard di quando sono a casa da sola e non ho lezione.
Mi stupisco un attimo di me stessa e poi corro in bagno a lavarmi e cambiarmi.
Magari Sara è di sotto che mi aspetta? Può essere.
Dovrò dirle che mi deve svegliare se si sveglia prima di me.
Se c’è una cosa che mi mette a disagio è andare a dormire a casa di qualcuno e poi svegliarmi o prima o dopo di loro. Mi crea imbarazzo, tensione e ansia. Non so mai come comportarmi, se svegliarli, se alzarmi, se aspettare che si sveglino.
Oddio, credo di star impazzendo prima della soglia dei cinquant’anni.
Sbuffo scacciando via le mie stesse preoccupazioni infondate e mi dirigo verso le scale.
Le scendo piano, cercando di captare qualche rumore che mi confermi la presenza di Sara in casa.
Non sento nulla.
Silenzio totale.
Mi affaccio sul salotto.
Tutto in ordine, TV spenta e nessuna musica di sottofondo.
Sopra il tavolo chiaro della cucina noto un bigliettino arancione.
“Torno presto, non ti allarmare. Fai come se fossi a casa tua, se vuoi Netflix basta che tu accenda la tv. P.s. mi farò perdonare con dei buoni cornetti”
Sorrido.
È la prima volta che vedo al sua scrittura e già la adoro.
Decisa, piccola, irregolare come se comprendesse un tripudio di emozioni.
Sospiro guardandomi intorno.
Se lei porta i cornetti, io magari dovrei preparare il resto della colazione?
Incomincio ad aprire delicatamente i cassetti dell’enorme cucina alla ricerca del necessario.
Dopo un po’ di ricerche trovo tutto ciò che mi serve e faccio un rapido controllo: la tavola è apparecchiata, ho messo a bollire del tè a fuoco basso e ho tirato fuori il latte dal frigo.
Non mi resta altro che aspettare pazientemente Sara.
Mi guardo di nuovo intorno e mi dico, ancora una volta, che la sua casa è bellissima e che mi infonde uno strano senso di pace e tranquillità. Non so perché, eppure questo è ciò che sento e ho sentito la prima volta che ho messo piede tra queste mura.
Noto subito dopo che sul divano, lì abbandonata, c’è la sua chitarra acustica, la stessa che aveva suonato quel giorno al parco con me.
Un sorriso sincero nasce sul mio volto.
Mi siedo sul divano e la prendo delicatamente tra le mani.
La osservo da vicino.
La tocco con cura.
È ancora più bella vista da vicino, è perfetta in ogni dettaglio, misteriosa come ogni strumento musicale sulla terra. Misteriosa perché è qualcosa che ti ammalia, ti cattura lo sguardo, gli occhi le orecchie e ogni altro muscolo del tuo corpo. Quando una chitarra suona, nessuno può distogliere lo sguardo dalle corde, nessuno può lasciare che gli occhi vaghino altrove, semplicemente non si riesce. Lo strumento musicale è un talismano, è una calamita, che ti cattura e non ti lascia più. Per chi non suona sarà sempre un oggetto irraggiungibile, incomprensibile come una geometria confusa di cui non capiamo le regole.
Incomincio a suonarla con timidezza, perché non è la mia chitarra e non ho l’effettivo permesso di suonarla. È un po’ come se stessi invadendo la privacy e intimità di Sara.
Eppure, come una calamita, mi attrae e non riesco a resistere al bisogno di sentirne il suono.
Le note si susseguono veloci, la pace dei sensi arriva di conseguenza.
Mi perdo nel suo suono melodico, le mie dita automaticamente si muovono sulla tastiera.
Continuo per minuti che sembrano infiniti.
Perdersi nella musica è così facile che smettere di suonare è quasi impossibile.
Le mie dita di muovono delicatamente sulle corde, suonandole con quanta più sapienza conoscono. Forse la chitarra è abituata ad un altro tipo e livello di sapienza, ma per ora si dovrà accontentare di me.
Di colpo sento qualcuno dietro di me che si schiarisce la voce sonoramente.
Vedo Sara appoggiata allo stipite della porta scorrevole che porta al salotto.
Il suo solito ghigno di chi è compiaciuto e sicuro di sé stesso stampato in faccia.
Pantaloncini corti e sportivi, maglietta tecnica, capelli legati in una coda stretta, occhi puntati su di me.
-Avevo ragione a dire che avevamo molto in comune- dice mantenendo quel sorriso che ti sfida.
-Io..- mi stacco subito dalla chitarra come un ladro sorpreso dalla polizia. -L’ho vista e volevo provarla, scusa- ammetto appoggiandola di nuovo dov’era in precedenza.
-Ehy, calma Chiara- mi dice ridacchiando. -Hai fatto bene, le chitarre sono fatta apposta per essere suonate- mi dice sorridendo.
Cammina avvicinandosi a me. -Suoni benissimo- mi dice spiazzandomi. -Cosa aspettavi a dirmelo? È una cosa bellissima!- dice tutta eccitata.
-È solo un passatempo, non pensavo fosse importante- rispondo.
-Non pensavi fosse importante? Se riguarda te, è tutto importante! Trovo bellissimo che tu sappia suonare la chitarra. Possiamo suonare insieme quando vogliamo, posso finalmente andare con qualcuno nei negozi di musica senza che sbuffi ogni tre minuti e soprattutto non vedo l’ora di addormentarmi mentre la mia ragazza mi suona qualche dolce accordo…- dice avvicinandosi pericolosamente verso il mio viso già rosso per l’imbarazzo. Le sue parole si scontrano sulla mia pelle e, come accade ogni volta, i brividi arrivano in ogni angolo del mio corpo.
Le nostre labbra sono vicinissime ma di colpo si ritrae dicendo: -Ho fatto una corsa con Alessandra, meglio che mi vada a fare una doccia veloce prima di strapparti un bacio- dice ridendo.
Roteo gli occhi infastidita. -Perché diavolo tutte le persone che ho intorno vanno a correre la mattina?- sbuffo.
-Perché fa bene e ti aiuta ad iniziare la giornata con un altro spirito!- dice solare.
-Sì, con lo spirito di uno zombie-
Scuote la testa ridendo.
-Ho preso i cornetti, come promesso- dice sporgendomi un sacchetto in carta. Improvvisamente un odore dolce invade le mie narici. -Mi raccomando aspettami a fare colazione- dice sparendo per le scale.
Dopo quella piacevolissima colazione, il tempo ha cominciato a scorrere più in fretta e a passare tra le mie dita senza poterlo acciuffare. Come una corda che ti si sfila dalle mani, che scorre tra le tue dita e tu non riesci a fermarla, scorre veloce e tu non hai abbastanza forza per stringere le dita intorno ad essa e arrestare quel suo movimento disperato.
Dopo quella giornata, io e Sara ci eravamo viste molto di meno. Lei aveva impegni importanti con la band e io dall’altra parte cercavo di organizzare il mio ritorno a casa.
In più avevo promesso ad Eleonora, già verso la fine della nostra sessione esame, che avremmo fatto qualcosa insieme in estate. Così avevo sfruttato il fatto che Sara fosse impegnata durante il mese di Luglio per organizzare tutto.
Sarei tornata a casa nelle ultime due settimane del mese e nelle prime due mi sarei dedicata ad Eleonora.
Un piano perfetto.
Così perfetto che è andato a buon fine.
Mi ritrovo con Eleonora, una carta musei in mano e tutta la nostra nuova città e i dintorni da visitare. Nessuna delle due aveva voglia di fare un viaggio lunghissimo verso città d’arte, prendere un aereo o fare ore di treno. Quindi ci siamo guardate intorno e ci siamo dette: ma noi viviamo già in una città d’arte! Così abbiamo optato per girarla in lungo ed in largo, sviscerarla e viverla da un punto di vista totalmente diverso dal solito, non come una persona che ci vive ma come un turista in visita.
Questa idea sta funzionando, devo ammettere.
Abbiamo già visitato tutte le varie mostre temporanee e i maggiori musei. Un piacere che non ci siamo riservate durante l’anno accademico perché i tempi delle lezioni e le tempistiche degli esami erano troppo serrate per prendersi qualche giorno libero. Le uniche vacanze consistevano nel nostro ritorno a casa per le feste, quindi queste due settimane ce le siamo anche meritate.
-Quindi quando torni a casa?- mi chiede curiosa Eleonora mentre ci sediamo sui sedili del tram.
-Prossima settimana!- rispondo.
So al cento per cento che Eleonora è molto curiosa sulla mia casa, sulla mia famiglia e via dicendo. Già dalle prime volte che parlavamo ha sempre cercato di scucirmi qualcosa di più sul mio passato. Erano domande discrete, dettate dalla voglia di conoscersi più che da pura curiosità.
O forse, più semplicemente, le altre persone si sentono più a loro agio nel parlare della loro famiglia, della loro situazione a casa, di fratelli e sorelle, di cosa combinano o di problemi tra vari parenti. Io invece proprio non ce la faccio, ho un blocco. Non riesco, neanche impegnandomi, a parlare della mia famiglia e di ciò che la riguarda. Mi sembra di fare un torto all’intimità del nucleo famigliare e alle parole dette perché “noi possiamo parlare di tutto in famiglia”.
Di conseguenza, non mi sono mai lasciata andare in particolari dettagliati sulla mia famiglia, ma la cosa non mi turba affatto. So di essere nel giusto.
-Ci metti parecchio vero? È dall’altra parte della regione, praticamente-
-Tre ore buone, ma ho musica e libri a farmi compagnia- rispondo prontamente.
-Potresti portarti la rossa a farti compagnia, di sicuro sapreste come passare il tempo- mi dice facendomi l’occhiolino.
Alzo gli occhi al cielo.
-Dai! Un giorno dovrai pur farla conoscere ai tuoi!- dice seria.
-Solo se le cose si faranno serie! Ci conosciamo ancora poco noi stesse, direi che è meglio andare con calma-
Sbuffa in risposta. -Io fossi al posto tuo la esibirei come un trofeo- dice ridendo.
Non commento la frase. -È la nostra fermata- dico catapultandomi fuori dal tram.
Sarà una lunga settimana.

◦●◦                                                    ◦●◦

-Vuoi una birra?-
-Sì, ne ho proprio bisogno- rispondo.
-Non ricordavo fosse così dura- mi dice serio.
Ci sediamo sul divanetto in pelle e finiamo per fissare a vuoto il grosso mixer davanti a noi.
Ogni tanto sorseggiamo un po’ di birra.
-Beh, siamo a metà. Abbiamo cinque canzoni praticamente finite. Ce ne restano altrettante più la bonus track-.
Se c’è una cosa che mi piace di Pietro è la sua capacità di avere tutto sotto controllo anche quando la situazione sembra difficile.
Abbiamo ancora due settimane per finire tutti i provini, ce la possiamo fare.
-Complimenti- mi dice poi dal nulla.
-Per cosa?- chiedo ridacchiando quasi.
-Queste canzoni, sono tutte tue praticamente. Hai fatto il tour, l’hai portato avanti senza problemi, interviste, photoshoot e chi più ne ha più ne metta, eppure sei comunque riuscita e tirare giù un mucchio di canzoni nuove. Non ho idea di come tu abbia fatto, ma complimenti-
-Semplicemente non riuscivo a dormire in quei letti piccolissimi del bus- scateno una risata generale che coinvolge tutte e due.
-Ah, ecco il tuo segreto- dice ancora tra le risate.
-In realtà ho sempre tante idee, il mio computer e il mio telefono sono pieni di registrazioni caserecce di chitarre, voci, cori… la mia mente sembra non stare ferma neanche un secondo. Però non sono mie, sono anche vostre. Senza di voi resterebbero anonime canzoni, le vostre aggiunte e i vostri cambiamenti le fanno diventare le canzoni che ci caratterizzano, che ci indentificano. Quindi è merito di tutti, se siamo dove siamo e se creiamo le canzoni che poi a tanti piacciono- dico con sincerità.
Pietro mi sorride felice, mi abbraccia come un fratello abbraccia una sorella e poco dopo ritorniamo al nostro lavoro.

Stare chiusi in una stanza senza finestre per settimane non è proprio il meglio per il tuo corpo e la tua mente. Infatti finalmente era arrivato il weekend: per sabato e domenica avevamo deciso di staccare, tornare alle nostre vite e prendere una boccata d’aria fresca.
Tanto, ad un certo punto, è davvero inutile stare lì a riascoltare lo stesso giro di batteria infinite volte per cercare cosa non ti convince più di tanto, senza sapere effettivamente neanche tu cosa non vada. Bisogna “pulirsi le orecchie” per un giorno o due, ascoltare la radio e lasciare scorrere note di altri nella tua testa. L’abbiamo imparato con l’esperienza, niente di più.
L’abbiamo capito dopo aver passato notti senza riposo, con le cuffie in testa a passare al setaccio ogni secondo di ogni canzone del nostro primo album. Al tempo eravamo inesperti, non sapevamo che non avremmo ricavato nulla da quello sforzo sovraumano se non un bel po’ di sonno arretrato.
Ricky ci aveva intimato di andare a casa, riposarci, bere una sana birra e di tornare due giorni dopo.
L’avevamo ascoltato, io personalmente ero un po’ contrariata, eppure dopo due giorni di assoluto riposo siamo tornati in studio e al primo ascolto avevamo già le risposte ai nostro dubbi. “Ok, secondo me qua facciamo un pausa”, “Qua metti un po’ di tastiere”, “La chitarra deve salire di volume lì”. Il risultato? Avevamo finito il nostro primo album, lo avevamo ultimato ed era perfetto per noi. Non riuscivamo a trovarne nessun difetto.
Reduci da questa esperienza, avevamo saggiamente deciso che per questo weekend non esisteva lo studio di registrazione, i provini e niente altro di collegato.
Per me questa scelta è stata una benedizione. Chiara lunedì mattina partirà per tornare a casa, quindi questo weekend sarebbe solo nostro.
Avevamo deciso per un sabato sera tranquillo: cena a casa mia, tv e quattro chiacchiere tra di noi per recuperare il tempo perso in queste settimane.
Il campanello suona e prontamente apro.
-Ciao- mi dice felice.
Le rispondo con un tenero bacio sopra le sue labbra, il più casto che esista.
-Sento un buon odorino- dice facendosi strada verso la cucina.
-Niente di che in realtà. Pasta al pesto, pollo e patatine- dico facendo spallucce.
-Cavolo, ti ingaggerò durante l’anno accademico. Le lezioni e lo studio non mi hanno mai permesso di farmi grandi pranzi… o il primo o il secondo, dovevo scegliere-
-Sarò felice di sostenere i tuoi studi con cene e pranzi fatti come si devono- dico ridacchiando.
Tra un forchettata e l’altra parliamo del più e del meno. Più che altro Chiara sembra molto interessata a tutto l’iter della creazione delle nostre canzoni.
-In realtà io butto giù delle idee, accordi semplici, li registro sul computer e poi sempre da lì ci ricamo sopra, metto tastiere e altri suoni. Poi faccio sentire il tutto a loro, le proviamo insieme in sala prove come stiamo facendo ora. Appena la canzone è grossomodo ultimata, con i vari cambiamenti, la modifichiamo al computer e poi la salviamo. Quella diventa un provino, ovvero una versione “demo” della canzone che poi verrà utile nel vero e proprio studio di registrazione-
Annuisce curiosa e attenta. -Quindi la vera e propria incisione sarà più avanti?-
-Sì, decisamente. In autunno credo, anche perché bisogna creare un po’ di aspettativa e attesa-
Poco dopo ci ritroviamo sul divano davanti ad un film, accoccolate sotto una coperta leggera.
-Sei contenta di tornare a casa per un po’?- chiedo curiosa.
-Per certi versi sì, per altri no. Ma credo sia una cosa normale- mi risponde.
-Sì, è più che normale. Però immagino che tornare a casa sia un qualcosa che farà sempre piacere, anche se magari subito non ce ne rendiamo conto. I tuoi genitori saranno molto contenti di vederti!- dico entusiasta.
A dir la verità, voglio sapere di più sulla vita di Chiara. Voglio sapere dei suoi genitori, capire a chi dei due assomiglia di più, vede le sue foto da piccola… voglio far parte davvero della sua vita.
-Sì, lo sono! Soprattutto mia nonna, non vede l’ora che io torni a casa per queste due settimane. Dovrò fare un bel giro tra i vari parenti, alla fine non ho neanche troppo tempo a pensarci bene-
-Potevi stare un po’ di più, due settimane sono effettivamente poco per una ragazza fuorisede che torna a casa- dico facendo quasi una riflessione tra me e me.
Di colpo si irrigidisce sotto le mie dita.
-Non volevo neanche andarci per queste due settimane, direi che è già molto quindi- dice come se si stesse togliendo un peso di dosso.
Il mio sguardo diventa di colpo interrogativo. Spengo la tv davanti a noi e faccio girare Chiara verso di me.
-Perché dici questo?-
-Perché è vero-
-E perché è vero?- chiedo ancora.
-Perché sto meglio senza di loro- mi dice dopo attimi di silenzio.
-Chiara, ti sembra così ma in realtà è il contrario. Il fatto è che questo anno hai provato l’autonomia, l’essere lontana da casa, vivere da sola e hai ragione nessuno vorrebbe tornare indietro. Eppure credimi, sono imp- di colpo mi blocca.
-Sara, tu non puoi capire. Quello che dico è vero, sto meglio senza di loro e non è un momento di ribellione adolescenziale ma un dato di fatto- dice seria.
-Allora spiegami, sono qua apposta- dico cercando di farla parlare.
-È lungo, noioso e soprattutto orribile. Lasciamo stare- dice con un filo di voce, nascondendo subito dopo il suo volto sulla mia spalla e tra i miei capelli.
La consolo immediatamente passando delicatamente una mano tra i suoi capelli. -Chiara, puoi parlare di tutto con me, lo sai? Anche di ciò che per te è orribile-
-Potresti cambiare la tua idea su di me- il suo fiato mi accarezza il collo dolcemente.
-La tua famiglia non sei tu- le rispondo prontamente. -Non ti definisce e non ti etichetta. È una cosa che ho imparato e in cui credo fortemente- le dico baciandole la fronte.
Il silenzio ci avvolge. Le do il tempo per riflettere su ciò che ho detto.
-Durante seconda superiore ho scoperto che mia madre tradiva mio padre con un suo collega- dice tutto d’un fiato. -Un giorno per sbaglio lessi un messaggio che questo uomo le aveva scritto: “Non faccio altro che pensarti, mi mancano le attenzioni che mi dai e il tuo profumo sulle mie lenzuola. Questo week-end sarà fantastico”.
Subito non ci volevo credere. Mia madre non poteva fare un gesto del genere a mio padre e a me. La stessa madre che continuava continuava a ripetere che la famiglia era il bene più prezioso che possedeva, non poteva ferirci in questo modo.
Così non ci credetti, cancellai dalla mia mente ogni traccia di quel messaggio, non lo dissi a mio padre e neanche a nessun altro. Però da quel giorno, involontariamente, divenni più attenta ad ogni suo movimento e atteggiamento. Presto o tardi ricevetti le risposte che avevo seppellito dentro di me: era tutto vero. Lo dissi a mio padre, mia madre ovviamente continuava a negare l’evidenza, ma non ci volle molto ad arrivare alla separazione. Per colpa mia avvenne quel disastro, per colpa mia i miei genitori si contattavano tramite avvocati e non si rivolgevano parola, per colpa mia i miei nonni rimasero delusi dai loro figli, per colpa mia io stessa venivo sballottata una settimana da uno e uno dall’altra, con mio padre che denigrava mia madre per tutto il tempo e con mia madre che cercava infinite scuse per le sue azioni- dice tutto d’un fiato.
Di colpo le lacrime, prepotenti, iniziano a scendere dalle sue guance.
La mia maglietta leggera si bagna di quel dolore quasi istantaneamente.
-Shhh Chiara, va tutto bene. Ora è finito tutto, ora sei lontana da casa e da loro-
-Nessuno si è più preoccupato per me, se non mia nonna. Mio padre controllava solo che i suoi antidepressivi non finissero mai e mia madre si inventava nuovi modi di far sgattaiolare dentro casa il suo amante mentre io ero presente. Io involontariamente odiata da lui, e fortemente odiata da lei… i miei genitori, capisci? I miei genitori per i motivi più disparati mi odiano-
Le lacrime lentamente smettono di scendere.
-Mi odiano e io non posso fare nulla al riguardo-
-A volte gli adulti creano delusioni più forti che i nostri coetanei con i loro comportamenti da immaturi. Mi dispiace sia dovuto capitare proprio a te, non te lo meritavi e non te lo meriti ancora adesso. Hai solo detto la verità Chiara, eppure a quanto sembra solo tu eri pronta ad affrontarne le conseguenze in maniera adulta-
Altri singhiozzi riempiono la stanza.
-Vorrei che tu potessi venire con me- dice sottovoce.
-Vorrei anche io, ma lo sai che non posso… e non sarebbe neanche giusto intromettermi di colpo nella loro vita- dico sincera.
Annuisce sfregando la sua faccia sopra la mia maglietta.
-Niente di quello che mi hai detto e che mi dirai, riuscirà mai a farmi cambiare idea su di te, Chiara. Sei splendida e le azioni degli altri non sono le tue. Devi solo accettarlo-
Annuisce ancora, in completo silenzio.
-Ti accompagno alla stazione lunedì mattina- le dico cercando di cambiare discorso.
-Grazie-

◦●◦                                                    ◦●◦

-Hai obliterato il biglietto?- mi chiede dolce.
-Sì, ho fatto tutto. Non mi resta che sedermi sul treno, direi -
-Ti accompagno-
Sara mi segue silenziosa verso la carrozza e il numero indicato sopra il mio biglietto.
Trascino la mia grossa valigia con me. Ho deciso di portare a casa alcuni vestiti che uso di meno e di portarne altri, giusto per fare un ricambio.
-Ok, è la mia carrozza-
-Ti aiuto a mettere la valigia in alto, visto che qualcuno non è poi così alto…- dice ridacchiando.
-Ehi! Ce l’ho sempre fatta da sola- dico facendo la finta arrabbiata.
In realtà uno degli aspetti che più apprezzo di Sara, è la sua gentilezza. È un’anima gentile in ogni situazione, non perde mai la calma, è sempre diplomatica, ti ascolta e ti aiuta in ogni modo possibile. Non pensavo esistessero ancora persone con queste qualità, eppure Sara le racchiude tutte e non potrei sentirmi più fortunata.
Una volta sistemata la valigia scendiamo ancora dal treno, che tanto partirà tra dieci minuti.
-Grazie per avermi ospitata questo week-end- le dico sincera.
-Lo sai che mi fa solo piacere e ci saranno molte altre occasioni- mi dice lasciandomi un bacio a fior di labbra. -Cerca di sopravvivere-
Annuisco cercando di mascherare la mia preoccupazione.
-Chiamami appena hai tempo-
-Mi mancherai- le rispondo.
-Anche tu-
Ci salutiamo ancora una volta e poi Sara sparisce tra i vari binari della stazione.
Mi siedo al mio posto.
Il treno parte e i minuti incominciano a scorrere sotto le note degli Oltre.

Non appena il paesaggio che conosco alla perfezione inizia a delinearsi fuori dal finestrino, sento l’ansia crescere dentro me.
Respiro a fondo.
Indosso la mia giacca di pelle e prendo la mia valigia.
Mi avvicino alle porte del treno.
Non appena si ferma riconosco le case intorno alla stazione. Sento le mie mani fredde dall’agitazione.
Le porte si aprono e scendo subito dal treno.
Cerco con lo sguardo il volto familiare di mio padre mentre mi avvicino alle scale che portano al sottopassaggio.
Finalmente noto il suo viso invecchiato dagli anni e dal continuo dolore, che però mi regala un mezzo sorriso.
-Chiara!- esclama quando ormai sono più vicino a lui
-Ciao papà- rispondo con più enfasi riesco a trovare in questo momento.
-Tutto bene il viaggio?-
-Sì, lungo ma liscio-
Il silenzio cade di nuovo, come sempre accadeva anche negli anni passati.
Ci dirigiamo verso la macchina.
Carichiamo la mia valigia e mettiamo in moto.
-Nonna ci aspetta per pranzo- dice serio guardando la strada.
-Benissimo, non vedo l’ora- rispondo sinceramente.
Durante il tragitto ci fermiamo a comprare del pane e altre cose che nonna aveva richiesto per il pranzo.
-A pranzo ci siamo noi due, la nonna e gli zii. Sono tutti molto contenti di averti qua per le prossime settimane-
Annuisco cercando un qualche motivo, all’interno della mia testa, per essere felice.
Arrivati al pranzo, dopo i soliti saluti di rito, ci ritroviamo tutti a tavola.
I pranzi della nonna non sono cambiati per nulla: sempre lunghi, buoni e grassi. Ovviamente non si può avanzare nulla nel piatto, se no lei si offende e potrebbe anche prendersela sul serio. Quindi mangio tutto, ogni tanto mi dicono qualcosa su qualche cugino o qualche conoscente: “Ti ricordi di Lorenzo? Beh ora è a Londra”, “Francesca si è rotta il braccio, povera bambina”. Per il resto sono invisibile a tutti, come al solito.
Tutti tranne mia nonna, che prontamente mi sorride ogni volta che i nostri occhi si incrociano e che mi riempie il piatto con i suoi manicaretti deliziosi.
Mentre io e lei sparecchiamo, gli altri si spostano in soggiorno e continuano le loro chiacchiere prima di tornare ai loro rispettivi lavori.
-Come sei cresciuta Chiara- mi dice lei.
-Lo spero nonna! Mi sento un po’ una tappetta ogni tanto- rispondo ridendo.
-Non dirlo neanche per scherzo! Tu non sei bassa, essere bassi è ben diverso! Sei giusta- eccola sempre pronta a difendere le mie proporzioni. -Sai cosa? Dovresti tagliarti un po’ i capelli, in queste due settimane potremmo andare dalla mia pettinatrice, sai è bravissima-
-Grazie nonna, ma mi piacciono così- le dico.
-Lo so, ma ora arriverà il caldo e in città da te sarà ancora più torrido!-
Rido nel sentire quell’affermazione. Ormai è normalità discutere sui miei capelli la metà delle volte che parliamo: lei vorrebbe che li portassi corti, io invece li adoro lunghi e mossi senza un’acconciatura perfetta.
-Il tuo babbo sta meglio- mi dice di colpo.
Mi fermo in mezzo alla cucina che conosco bene quanto la mia. Ci sono cresciuta in questa casa, ci ho passato i miei pomeriggi da quando sono nata a prima di andare via.
-Ne sono felice- dico fredda.
-Anche io. Cerca di stargli vicino Chiara, lui ha bisogno di te come tu di lui- mi dice, cercando di farmi ragionare per l’ennesima volta.
Quello che lei non sa è che io ci sono stata vicina, ci sono sempre stata per lui. Dal momento in cui tutto si è sgretolato fino al giorno della mia partenza sono sempre stata dalla sua parte, sempre. Ancora adesso vedo lui come l’unico mio alleato.
Eppure, io avevo saputo reagire. Lui invece no. Ma su questo non ci posso far nulla, o lui reagisce con le sue forze oppure nessuno potrà mai tirarlo fuori da lì.
Finito il pranzo, tutti si dileguano.
Rimaniamo di nuovo io e mia nonna.
Ci scambiamo le ultime novità, mi chiede dell’università, dei miei amici e di cosa farò questa estate.
Le ho raccontato di Eleonora e di tutte le nostre avventure, della nostra visita intensiva della città e le ho mostrato tutte le foto che ho scattato in questo anno pieno di novità.
Guarda le foto con attenzione e, come al solito, mi rivolge solo grandi complimenti.
-Stasera cosa farai?- mi chiede curiosa.
-Sono da mamma-

-Ma salve- dice la voce dall’altra parte del telefono.
-Ciao- soffio.
-Com’è andata?- chiede con tono preoccupato.
-Per ora bene, sono stata da mia nonna. Mangiato e bevuto vino-
-Beh quindi bene, direi-
-Sì ma tra poco devo andare da mia mamma per cena- sbuffo.
-Sopravvivi, devi solo sopportarli due settimane- mi dice.
-Lo so, ma mi manchi- le dico sinceramente.
-Anche tu-
Il silenzio ci avvolge confortevole.
-Ora devo andare, devo tornare in studio o gli altri mi ammazzano-
Ridacchio.
-Ciao, buona fortuna- le dico.
-Anche a te, ci sentiamo stasera prima di andare a dormire-
-Chiara, il babbo è sotto che ti aspetta!- mi urla mia nonna dal piano di sotto.
respiro profondamente.
Scendo le scale e mi infilo in macchina.
-Dimmi poi cosa ti dice tua madre- mi dice mio padre dopo pochi minuti di tragitto.
Ecco che ritorniamo alle solite vecchie usanze.
Io che faccio da tramite e da spia per l’uno e per l’altra, io che devo scoprire cosa fa mia mamma, se vede ancora lui oppure se l’ha mollato, se mio padre si vede con qualcuno oppure le voci che girano non sono vere e via dicendo.
Cerco di contenere la rabbia che di colpo si accende dentro di me.
-Ti chiamo quando abbiamo finito cena-
Questa settimana sarei stata da lui, quindi doveva poi venirmi a prendere a casa di mia mamma visto che non avevo più una mia macchina.
-Certo-
Scendo dalla macchina e suono il campanello.
Dopo pochi secondi la sagoma di una donna bionda, dagli occhi color nocciola si materializza davanti a me. Avevo visto ogni tratto di lei cambiare negli anni e ora, sebbene il forte legame di sangue che ci lega, non provo nessuna emozione nel vedere la mia stessa madre.
Provo solo indifferenza, il sentimento più brutto che possa esistere al mondo.
Sono indifferente nei suoi confronti e nei confronti di tutto ciò che ruota intorno al suo nome, non mi provoca nessuna scossa la sua voce. Neanche una reazione negativa, per intenderci.
Non provo nulla perché  non merita neanche l’indignazione.
-Ciao Chiara, finalmente!- dice abbracciandomi di slancio.
Uno di quegli abbracci ridicoli, falsi e forzati.
Mia madre l’ho sempre odiata per la sua falsità. Ho sempre odiato questa sua capacità di far l’attrice, di recitare una parte alla perfezione per alimentare la bugia enorme che è la sua vita.
-Ciao mamma- rispondo.
Entriamo in casa silenziosamente.
Non è cambiata molto da quando me ne sono andata. È sempre la stessa villetta fuori città, con un bel giardino davanti e un parcheggio riservato. Dentro gli arredi si sono un po’ ammodernati: il salotto ha una nuova tv ultrasottile che immediatamente mi fa pensare a Sara e un nuovo divano in pelle enorme.
Dal salotto ci spostiamo immediatamente in cucina.
Lei non mi dà neanche il tempo di dare uno sguardo intorno che mi fa sedere subito al tavolo.
Dalla quantità di pentole sui fornelli deduco che sarà una lunga cena.
Mi guardo velocemente intorno: il tavolo è apparecchiato con le stoviglie più nuove che abbia mai visto, sul tavolo oltre al pane e al bere ci sono anche altre decorazioni. Alzo gli occhi al cielo.
Tipico di mia madre. Deve sempre esagerare. Una cena in famiglia si tramuta subito in un’occasione per dare sfogo alla sua voglia di primeggiare e farsi notare.
Conto i piatti.
Ci sono tre piatti sul tavolo.
Tre.
Non appena capisco, non appena tento di dire qualcosa a riguardo la porta finestra della cucina scorre e si apre rivelando una figura che mai speravo di vedere.
Lui.
Alto, magro, capelli brizzolati, barba curata e perfettamente modellata sul suo viso apparentemente rilassato.
Io, invece, mi irrigidisco non appena i nostri sguardi si incociano.
-Ciao- mi dice cordiale. Lasciando tra le mani di mia madre qualche foglia di salvia che probabilmente aveva preso dal giardino.
-Ciao- rispondo con freddezza.
Lui ormai vive tranquillamente con mia madre, a quanto pare.
Una volta che me ne sono andata non ha perso tempo e l’ha fatto entrare in casa sua.
-Luca vive con me da qualche mese- dice mia madre dandomi le spiegazioni che mancavano.
Sì, qualche mese e io dovrei anche crederci.
Di sicuro lui ha messo piede qua dentro il giorno dopo la mia partenza, ma annuisco lo stesso in risposta facendo finta di crederci.
-Sedetevi, arrivano i ravioli belli caldi- ci dice.
Mi siedo come capotavola del piccolo tavolo al centro della cucina.
Lui fa lo stesso e si siede dal lato opposto al mio.
Poco dopo mia madre appoggia sul tavolo una padella fumante e a sua volta si siede in mezzo a noi.
Mangiamo silenziosamente e lui le fa i complimenti per il piatto.
Lei sorride dolce, lui ammicca senza vergogna.
-Chiara, penso che non ci siamo mai parlati per davvero. Dovremmo approfittarne e conoscerci un po’-
“Indovina perché” vorrei rispondere.
-Già- mi esce soltanto.
-Come va l’università? Tua mamma mi ha detto che alla fine hai scelto fisica-
-Procede bene, e sì alla fine sono lì-
-Anche io ho frequentato quell’ateneo, sai? Ingegneria meccanica. Direi che siamo affini-
Quasi quello che ho in bocca mi va di traverso.
Bevo un po’ d’acqua cercando di non far caso alle sue parole.
Mi mamma prontamente si intromette: -Oggi hai mangiato dalla nonna?-
-Sì, ha preparato qualcosa come tre primi e altrettanti secondi- rispondo cortese.
-Tipico- dice sfoggiando un sorriso falso come i precedenti. -Sai già cosa farai in questi giorni?- mi chiede curiosa.
-Beatrice mi ha chiesto di passare il week-end da lei, per recuperare le vecchie abitudini. Per il resto non ho ancora idea, non ho fatto nessun piano particolare-
-Brava fai bene a vederti con lei, in fondo è pur sempre la tua amica d’infanzia- mi risponde.
Continuiamo a mangiare in silenzio, noto i lor sguardi complici e sento coltellate continue al cuore.
-Chiara… io e Luca pensavamo che la prossima settimana potremmo andare tutti e tre da qualche parte, come una vera famiglia- dice di colpo.
-Non saremo mai una vera famiglia- dico finalmente.
-Ci possiamo almeno provare- dice lei con quel tono che odio.
-No, io non voglio. Lui non è parte della mia famiglia e soprattutto non è mio padre-
-Beh, tuo padre è come se non esistesse- dice lui di colpo, quasi involontariamente visto che dopo poco si copre la bocca con la mano.
Lo guardo paralizzata.
Le sue parole passano in rassegna dentro il mio cervello e risuonano infinite volte.
Mi alzo di scatto. Evito di guardare i loro volti.
Fisso il pavimento formato da grandi piastrelle.
Lui ha creato tutto questo casino, tutta questa merda che è la mia vita eppure non si rende conto del male che ha fatto e continua ad aprire la sua inutile bocca. Continua a giudicare mio padre e noi, per come abbiamo reagito, continua a sentirsi parte di qualcosa in cui non verrà mai incluso. Lui non sarà mai parte di me, mai parte della mia famiglia.
Esco dalla cucina e poi di casa.
Non mi importa.
Non mi importa perché l’ho fatto già un milione di volte.
Tutte le volte che mia madre iniziava a raccontare bugie, ogni volta che lei addossava la colpa a mio padre, io mi chiudevo la porta alla spalle e mi facevo una lunga camminata.
Al tempo non avevo nessun altro posto dove andare, non avevo nessuna casa lontana ad aspettarmi, non avevo nessuna prospettiva di fuga se non il pensiero che alla fine della scuola sarei andata via e tutto sarebbe cambiato.
Quella prospettiva ora si è avverata, devo solo resistere queste due settimane e poi potrò tornare alla mia nuova vita.

◦●◦                                                    ◦●◦

Mi perdo nel fissare la pila di canzoni e testi scritti che nessuno conosce, che nessuno ha mai sentito.
Note racchiuse in un hard disk fatto di musica e parole sotto chiave.
Sospiro rumorosamente.
Il silenzio della camera si fa sentire ancora una volta.
La mancanza di Chiara incomincia a farsi sentire prepotentemente. Anche se è passata solo una settimana, sento comunque la sua mancanza.
Mi manca la sua presenza in casa, i nostri piani e le nostre uscite serali, la sua curiosità sulle registrazioni.
Continuo a fissare i fogli davanti a me. Intanto le parole di Ricky mi rimbombano in testa.
Non riesco a togliermi le sue frasi e la sua idea dalla mente.
Continua a passare tra i miei pensieri in ogni momento di pausa che ho.
Sospiro ancora.
Di colpo il mio telefono squilla.
-Pronto?- dico.
-Leonardi-
-Ciao Pietro, questo week-end non eravamo in pausa?-
-Sì, ma Ricky ci ha convocato d’urgenza… di nuovo. Vieni alla base, capitano-
Chiudo la chiamata preoccupata.
Ricky ultimamente ci ha convocato spesso. L’altra volta, fortunatamente, era per un buon motivo e anche la nostra chiacchierata privata non era niente di negativo.
Non mi resta che sperare lo sia anche stavolta.
Arrivata là, Pietro mi accoglie con una sigaretta.
La fumiamo parlando del più e del meno.
Ricky ci viene a chiamare dopo una decina di minuti e finiamo tutti nel suo studio.
-Ragazzi miei-
-Dio, quando parti così ho sempre paura Ricky- dice Andrea agitato.
Tutti scoppiamo a ridere.
-Devi averne Andrea- dice con un sorriso stampato in faccia, poi continua. -Negli scorsi giorni sono stato a Milano per un po’ di conferenze in cui eravamo coinvolti. Ho incontrato tante persone e tante di loro mi hanno chiesto di voi… posso dirvi che ho già qualche contatto per il vostro prossimo tour e per tappe che non sono in Italia-
Tutti esultiamo nel sentire questa bellissima notizia.
Incominciano a crearsi dei sorrisi enormi sui nostri volti.
-Però la cosa interessante è un’altra… ho fatto ascoltare i vostri provini ad una persona in particolare, è entusiasta delle vostre demo ed è convinta che possa uscire un cd magnifico. Vorrebbe incontrarvi ragazzi, vorrebbe parlarvi della possibilità di registrare da loro e di tante altre cose- dice accendendosi un sigaro.
-E chi è questa persona?- chiede Marco con un torno misto tra il terrore e la curiosità.
-Il direttore artistico della Warner Music qui in Italia-

Non avevamo fatto in tempo a realizzare cosa stava accadendo che già eravamo a Milano, in un palazzo altissimo e pieno di vetrate.
In una hall di lusso, con segretarie vestite in modo impeccabile pronte a servirti un caffè bello caldo.
Sono troppo agitata per accettare un altro caffè, anzi… lo siamo tutti.
Ricky è seduto in mezzo a noi, silenzioso come non mai.
Per tutto il tragitto non aveva fatto altro che ripeterci come dovevamo comportarci, cosa dovevamo dire e cosa invece dovevamo evitare di dire.
Eravamo allenati e anche molto bene.
Quelle lezioni ce le ripeteva dal primo giorno in cui ha cominciato a lavorare con noi. Solo che in quei momenti sembravano parole su un futuro che non sarebbe mai accaduto. Nessuna major ci avrebbe mai voluto con loro, era una cosa che avevo sempre sognato ma che, comunque, consideravo impossibile.
Eppure, ora mi trovavo seduta su una sedia in pelle, ad aspettare che il direttore artistico di una major ci chiamasse per parlare.
Di colpo la segretaria ci riporta sulla terra.
-Ragazzi, venite con me-
Seguiamo in silenzio la ragazza tra i corridoi bianchissimi.
Bussa ad una porta e di colpo ci ritroviamo su cinque sedie, anch’esse di pelle. Davanti a noi un uomo sulla quarantina ci accoglie con un sorriso.
-Salve Oltre. Io sono Leonardo e sono il direttore artistico per il vostro genere nella Warner Music Italia- dice stringendoci la mano a turno.
-Salve- rispondo quando arriva a me.
-Riccardo mi ha fatto ascoltare i vostri demo, vi devo fare i complimenti. Vi ho osservato da lontano e mi piacete tantissimo. Avete carisma, avete voglia e sapete mettervi in gioco. Ma soprattutto… coinvolgete e muovete moltissima gente per essere al primo album-
-Grazie- dico spontaneamente.
-Senza girarci troppo intorno avrei una proposta: venite sotto la nostra etichetta, venite con noi, registrate il vostro album qua, in uno dei migliori studi d’Italia. Possiamo collaborare e portarvi in alto, nella stessa maniera in cui voi ci farete migliorare. Non dovete rispondermi subito! Vi lascio i contratti e ora vi inonderò di parole per spiegarvi cosa facciamo qua alla Warner- dice lasciandoci di sasso.


Per tutto il tragitto nessuno ha proferito parola.
Tutti leggevano la loro copia del contratto, tutti con penna in mano pronti a segnare ciò che era dubbioso, ciò che potrebbe essere dannoso nei nostri confronti.
Questa era un’altra cosa che ci aveva insegnato Ricky: “Dovete leggere ogni contratto che vi propongono, fare domande e farvi spiegare cosa non vi convince. Far cambiare ciò che è dannoso per voi e poi, forse, firmare”.
Anche io l’ho letto, anche io ho sottolineato ciò che non mi aggrada. Ho anche ripensato alle parole di Leonardo, alle sue proposte e ai piani che stava pensando su di noi.
In modo soggettivo stavo esultando da giorni per quella proposta: avevo svaligiato il negozio di birre e avevo invitato Alessandra per darle la buona notizia. Avevamo festeggiato per tutta la notte.
In modo oggettivo: dovevamo valutare le varie opzioni. Firmare quel contratto era un rischio enorme. Eppure senza nessun rischio non si può avere nessun grande ricavo.
Mi butto sul letto e chiudo gli occhi.
Davanti a me si formano immagini che ho sempre sognato: stadi pieni di gente che canta le nostre canzoni, un palco enorme su cui suonare, una fila di chitarre tutte per me… tutti sogni che ho da sempre, ma che ora vedo un po’ più nitidi, un po’ più a fuoco.
In questo momento realizzo l’unica cosa possibile: bisogna rischiare, bisogna buttarsi e prepararsi alle conseguenze del rischio preso… e io sono pronta a rischiare.

◦●◦                                                    ◦●◦

-Scherzi?!-
-Assolutamente no- dico bevendo un altro sorso dalla bottiglia di vino.
Scoppiamo a ridere.
-Non ci credo!-
-Credici!- rispondo ancora.
-Una musicista, più grande, frontman, rossa, bellissima?!-
Annuisco ancora mentre rido.
-Chiara ma dove l’hai nascosta questa cacciatrice che c’è in te durante tutti questi anni?- stavolta è lei che beve dalla bottiglia.
Rido ancora di più.
-Chissà magari è l’aria di città a farmi questo-
-Dimmi con chi suona no?! Devo chiederti tutto?!-
-Bea, no!-
-Cosa vuol dire “Bea no”? Bea sì! Forza, parla o ti tolgo il vino!- mi minaccia.
-Sei l’unica che sa della mia debolezza per il vino bianco- dico seria.
-E sarò anche l’unica a sapere sulla tua musicista tormentata, daaaaaaai- mi dice la riccia al mio fianco.
Ci troviamo sulla solita collina dove d’estate, durante le superiori, avevamo abitudine di venire per parlare e dire le nostre stupidaggini lontano dai nostri genitori e da orecchie indiscrete.
-Suona in un gruppo che si chiama Oltre-
Mi guarda con gli occhi spalancati.
-Ma io l’ho già sentito questo nome! Vuol dire che sono famosi?! Oddioooo, Chiara sta con una persona dello spettacolo!-
Ecco che inizia lo svarione senza fine di Beatrice.
La lascio parlare a vanvera per minuti e minuti.
-Chiara, aspetta quindi se cerco il gruppo su google mi esce la sua foto!-
-No, Beatrice non farlo…-
-Sherlock, sono Sherlock!!-
Scuoto la testa. È decisamente brilla.
-Bea no!- dico cercando di strapparle il telefono dalle mani, inutilmente.
Dopo una breve battaglia vince lei.
Cerca il nome e vede la foto di Sara.
-Minchia!!-
-Beatrice!- la richiamo.
-Cosa c’è?! Mi fa dubitare della mia eterosessualità-
-Beatrice!- dico di nuovo.
-Santa miseria, ma che fisico ha? Lo voglio anche io!-
-Va a correre tutte le mattine, cosa che noi non facciamo-
-E come fai a saperlo?! Hai dormito già da lei! Allora è seria come cosa!-
Alzo gli occhi al cielo.
Beatrice è come Eleonora.
E io dico che me ne bastava anche solo una delle due.
Guardo l’ora. Le 18.
-Bea, devo andare. Alle 19 ho cena da mia mamma, questa volta spero solo io e lei-
-Ahhh, già. Forse è meglio che tu non le dica della bottiglia che ci siamo scolate in una domenica pomeriggio-
Ridacchio.
-Prossimi giorni approfondiremo l’argomento rossa-
Scuoto la testa nel sentire quell’affermazione.
-E mi vado a sentire sta rock band!- mi dice quando ormai sono lontana da lei.

Arrivata a casa di mia madre la tavola è già apparecchiata.
Mangiamo in silenzio, come al solito. Ma questa volta Luca non c’è.
-Come sta Beatrice?-
-Bene, ci siamo aggiornate su un po’ di cose-
-Brave-
Di nuovo il silenzio.
-Come ti trovi in mezzo a quella grande città? La tua amica come sta?- mi chiede.
-Eleonora? Sta bene, abbiamo fatto un po’ di giri ultimamente e anche nuove amicizie- non riesco a nascondere il sorriso che mi nasce spontaneo ripensando alle “nuove amicizie” fatte.
-Qualche ragazzo?-
-Oh no, direi di no-
-Perché no? È ora di pensarci in fondo! Lo sai che io non sono quel tipo di madre… mi puoi dire se hai un ragazzo o se lo avrai, non è un tabù-
Alzo un sopracciglio. Ovvio che non sei quel tipo di madre.
-Non lo trovo un tabù-
-Allora perché durante la settimana non ti vedi con Carlo? Era così gentile con te al liceo, ti voleva un gran bene ma tu l’ha sempre e solo visto come un semplice compagno di banco-
-Perché a me lui non piaceva, semplicemente-
-Magari ora è cambiato! Lo sai che quando lo incontro per strada mi chiede sempre di te? È ovvio che sia ancora interessato a te-
Ecco che ritorniamo sui soliti discorsi adolescenziali, sul solito ragazzo del paese che “sarebbe perfetto per te” a detta di mia madre, su di lui che ha una cotta per me, ma che io non potrò mai ricambiare.
-Ma è a me che non interessa- dico con più calma possibile.
-Beatrice ha un moroso così carino, vedessi che teneri che sono insieme… ho sperato davvero che stavolta mi portassi un bel giovanotto a casa- dice.
Io sbuffo.
-Non lo dico per infastidirti Chiara… è solo perché vorrei che tu trovassi il meglio per te, non come ho fatto io, che l’ho trovato solo dopo perché mi sono accontentata del primo-
Sentendo quelle parole impazzisco, il cuore inizia a battere di rabbia, il sangue caldo scorre in tutto il mio corpo che sembra andare a fuoco.
-Mamma, io non sarò mai come te, io non farò mai del male ad una persona che mi ama come hai fatto tu! Io sono già diversa da te, lo sono sempre stata e lo sarò per sempre. Sono felice, ho una persona al mio fianco e sono finalmente in pace con il mondo. Lei non mi farebbe mai quello che hai fatto tu a papà e io non lo farei mai a lei, lei mi rispetta e io la rispetto. E mi puoi dire che non mi devo accontentare, che devo avere il meglio, ma io mi accontento di chi mi ama e chi ha un sentimento reale per me. Non sono come te, non sono come la donna che sei diventata! Una donna alla ricerca del meglio, del bello, una donna circondata dal falso e che ha distrutto la sua famiglia per uno stupido amore passeggero!-
Dico rimanendo seduta al mio posto, con lo sguardo puntato sul suo. Il mio carico di rabbia, rabbia per le parole dette verso mio padre e verso di me.
Non si voleva “accontentare” della sua famiglia e l’ha distrutta.
Bene. È ora di dire la verità.
-Non sono stata io a rovinare la nostra famiglia!-
-E chi allora? Non ero io la madre di famiglia che andava a letto con un collega durante le riunioni aziendali!-
-Tuo padre poteva fare qualcosa per riprendermi con sé, poteva reagire!-
-L’hai distrutto mamma, in pochi riescono a reagire quando sono in mille pezzi- dico quasi con le lacrime agli occhi.
-Perché non mi hai detto che hai una persona al tuo fianco? Sono tua mamma, queste cose me le devi dire!- mi chiede arrabbiata, quasi urlando.
-Perché tu non esiti più per me, non sei parte della famiglia, non sei più nessuno, sei un volto come un altro. Anche tu dovevi ammettere che stavi tradendo papà, ma non lo hai fatto - dico svuotando tutto. -In più non mi avresti capita-
-Perché?-
-Perché sto con una ragazza, una ragazza fantastica, una di quelle che sono gentili e genuine, una ragazza che mi consola quando ne ho bisogno, una ragazza che in pochi mesi mi ha svoltato la vita. Ora puoi dare di matto finché vuoi, e se ti chiedi perché non l’ho detto prima… pensa a cosa facevi in tutti i miei anni di liceo, in tutti i momenti in cui avrei voluto condividere questo peso con te, pensa a dov’eri, con chi e a cosa facevi. Fino a quando non arriverai alla risposta “stavo scopando con il mio amante al piano di sopra, mentre mia figlia suonava la chitarra al piano di sotto”, non chiamarmi e non farti più vedere-
Dico uscendo di casa per l’ennesima volta.
Compongo il numero in fretta.
Le lacrime scendono dal mio viso.
Non doveva andare così. La mia vita non doveva andare così.


 

Buona sera lettori!
Eccoci con un nuovo capitolo!
Allora succedono taaaante cose. Finalmente scopriamo qualcosa di più sulla famiglia di Chiara, anzi molte cose… ma comunque non ancora tutte. La seguiamo nel suo ritorno a casa, e nell’affronto con sua mamma, un affronto che non faceva da tanto e che finalmente è riuscita  fare.
Durante questa litigata si lascia scappare qualcosa di molto importante… come la prenderà la madre? Il padre? Il resto del paese?
Abbiamo anche visto Beatrice, che verrà molto utile in futuro eh! Quindi non dimenticatela.
Intanto Sara ha una questione importante da risolvere. Che decisione prenderanno gli Oltre secondo voi?
Grazie per aver letto e vi prego di recensire perché ci tengo molto a questo capitolo, sinceramente. E’ lungo ben 18 pagine ed è stato bello aver scritto così tanto. Soprattutto perché molte cose sono prese dalla mia vita come la situazione familiare. E se pensate che la reazione di Chiara è esagerata allora non avete mai vissuto una cosa del genere, perché credetemi io avevo avuto anche scatti peggiori e ce li ho ancora oggi contro la persona responsabile.
Quindi ditemi i vostri pareri, così mi sprono anche a far più veloce!
A presto un abbraccio!
   
 
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