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Autore: Daleko    28/03/2017    0 recensioni
Romantico MOLTO drammatico, siete avvisati.
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Michi fu il primo a distogliere lo sguardo con un sospiro, tornando a concentrarsi sull'asfalto fra le sue scarpe. Un urlo interruppe il silenzio della notte; le pupille dilatate di Lore erano rivolte di nuovo al cielo e i suoi polmoni erano pieni di aria fredda, mentre urlava il suo vuoto entusiasmo alla luna.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Amori sanguigni'
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6.
 

Michi non era troppo sicuro di come fosse finito in città, né era eccessivamente felice di trovarcisi. La musica elettronica era così alta da far tremare i vetri, e il puzzo di sudore impregnava abbastanza l'aria da impedirgli di respirare decentemente. Inoltre non si trovava a suo agio in mezzo a quelle persone ubriache, fatte e fin troppo ricche per lui: con Lore era diverso, aveva preso coscienza della loro differenza economica sin dalle scuole medie ed era diventato, per così dire, un'abitudine a cui si era dovuto rassegnare. Nulla a che vedere però con quello sconosciuto ambiente all'ultima moda, con abiti provenienti da Via Monte Napoleone, scintillanti come se avessero ancora l'etichetta con il prezzo attaccato. Gettò uno sguardo a un abito a suo dire terribile, l'unico che riconoscesse in quella bolgia infernale, un Versace: il padre di Lore l'aveva regalato a sua moglie per il suo compleanno, e il suo amico gli aveva parlato a lungo dei duemilacento-e-passa euro spesi "per una pezza di seta". Abbassò lentamente lo sguardo sulle proprie scarpe, quelle buone che indossava solo il sabato sera, un paio di Nike da cinquantanove-e-novantanove, acquistate su Amazon un anno prima. L'imbarazzo lo colse con forza, e vergognandosi del proprio abbigliamento tentò di defilarsi; si sentiva come osservato da tutti i presenti.
Quando, dopo la loro passeggiata notturna, lui e Paolo erano tornati alla discoteca, avevano trovato un Lore sovraeccitato ad attenderli. La ragazza con cui aveva flirtato per un'ora buona li aveva invitati a una festa a Milano, tenuta a quanto pare da "degli amici di amici suoi". Avevano lasciato il motorino là nel parcheggio ed erano andati con la ragazza, una sua amica, Paolo e un altro del gruppo. Sei di loro in una Mercedes S Cabrio, le due ragazze sui sedili anteriori e loro quattro su quelli posteriori. L'amico di Paolo era seduto a terra, Lore era semidisteso e con un'altra birra in mano (Michi si chiese dove l'avesse presa), Paolo seduto di fianco a Lore e... Michi quasi incastrato fra i due, con una mano di Paolo tamburellante sulla coscia destra e con un braccio di Lore dietro alla nuca. Il desiderio di fare un incidente mortale svanì all'arrivo, quando finalmente poté camminare liberamente, e ritornò dopo cinque minuti nell'appartamento sconosciuto.

«Michi, vie' qua!» venne richiamato alla realtà. Lore gli si avvicinava facendosi strada tra i ragazzi intenti a ballare, afferrandolo per un polso e trascinandolo con sé. Gli mise un braccio attorno alle spalle, tirandolo lievemente verso il basso a causa della sua statura, e cominciò a urlargli all'orecchio. «T'ho portato ai livelli, visto?!» chiese retoricamente al di sopra della musica. Michi si limitò ad annuire, seguendolo docilmente attraverso una delle porte socchiuse. L'appartamento era enorme e gli sembrava ci fosse ancora molto da vedere, nascosto dietro i corpi danzanti. Smise di farsi domande quando l'amico richiuse la porta dietro di sé; i presenti, compresi loro, erano una dozzina. La stanza era piena di fumo, e anche se la musica era ben udibile, giungeva abbastanza ovattata da poter permettere un tono di voce decisamente più basso. Michi si guardò intorno, capendo di trovarsi in una camera da letto. Una coppia amoreggiava sul letto, affianco a un altro ragazzo intento a bere a canna da una bottiglia di Bacardi. Non era un Breezer e il tipo non era sobrio, notò Michi prima di spostare lo sguardo. Altri due ragazzi stavano giocando all'XBOX, e un altro era semidisteso contro un muro. Sperò stesse dormendo. «'cazzo fai, vieni» gli mormorò l'amico, tirandolo per un braccio e spostandolo verso l'angolo dove erano radunati gli altri quattro. Una poltrona e un divano creavano un angolino relax; entrambe occupate da due persone, un'altra si stava sedendo e l'ultimo ragazzo, sulla trentina, cominciò a parlare con Lore. «Sto con la Sara... Sciallo, dimmi quanto devo collare, pago per lui» si riferì a Michi senza voltarsi; il trentenne stava squadrando il suo outfit con aria sospettosa. Michi si sentì ancor più a disagio; stava per chiedere a Lore cosa stesse facendo, quando finalmente l'occhio gli cadde sul tavolino posto nell'angolo. Strattonò con violenza un gomito dell'amico, voltandolo verso di sé. Si allontanò di un passo, provando a trascinarlo con sé sotto lo sguardo pungente dell'altro. «Lore, vuoi rimanerci? Hai perso la testa?!» s'innervosì a bassa voce. I suoi occhi sbarrati si scontrarono contro quegli altri eccitati. «Stai manzo, non ti piace sciare?» quasi gli rise in faccia, aumentando l'irritazione di Michi. Lo scrollò ancora senza lasciare la presa. «Parli come questi sancarlini del cazzo, sveglia! Questa è coca, non una canna di merda!» esclamò. Lore cambiò rapidamente umore, come suo solito, e lo allontanò bruscamente con uno spintone. Michi lo lasciò andare. «Oh, e non m'asciugare! Se non ci stai dentro allora vai a fare il frocio da un'altra parte!» ringhiò a voce più alta. Lo spacciatore sorrise divertito e Michi arrossì bruscamente, offeso. Non sapeva se prendersela per il suo comportamento o per quell'appellativo che, dopo gli ultimi avvenimenti, doveva per forza aver assunto un altro significato. «Lore, vaffanculo!» gli urlò dietro mentre si dirigeva verso la porta. L'amico non gli rispose, in compenso uno dei giocatori all'XBOX gli imprecò contro. Tornò nella sala principale richiudendo la porta dietro di sé.

Il posto gli sembrò, se possibile, ancora più confusionario. Gli ci volle qualche secondo per capire perché vedesse sfocato; passò il dorso della mano destra sugli occhi, asciugandoli alla bell'e meglio, poi cominciò a cercare un bagno. Dopo qualche minuto trovò la stanza desiderata, ed entrato si chiuse a chiave all'interno per evitare fastidi. Non riuscì a compiere nemmeno un passo verso l'interno che qualcuno bussò alla porta. «Occupato!» urlò quasi istericamente. «Michi? Che cazzo è successo?» gli giunse ovattata la voce di Paolo. Ci rifletté su per un momento, poi tornò alla porta e la aprì abbastanza da farlo sgusciare all'interno. Michi si appoggiò con il busto contro la porta, richiudendola e tornando a isolare il bagno dalla musica elettronica che gli spaccava i timpani. Un paio di occhi grigi scrutavano i suoi, gonfi dal pianto trattenuto a stento. Paolo gli rivolse un sorriso nel tentativo di confortarlo e il labbro inferiore del ragazzo cominciò a tremare. «Come cazzo ci siamo finiti ai Navigli?» domandò con voce appena tremante, facendo qualche passo in avanti e venendo accolto fra le braccia dell'altro. Non gli dispiacque il contatto con la sua t-shirt aderente quanto sudata, e il pensiero di averlo giudicato male fino a poche ore prima lo fece sentire ancora più stupido di quanto non gli sembrasse già di essere. Affossò il viso nell'incavo della spalla dell'altro, sentendolo ridere. «Idea del tuo amico, non mia. Che t'ha fatto che stai così?» gli domandò con una punta di divertimento nella voce. Michi si strinse nelle spalle e Paolo sospirò, scostandolo da sé e inclinando il capo per guardarlo negli occhi. «Già mi accendi di brutto normale, poi se fai così non mi tengo» scherzò per farlo sorridere. Ci riuscì. «Qualcuno lo sa?» chiese andando a sedersi contro un muro; anche il bagno era grande, in quella casa, e c'era abbastanza spazio per stendersi sul pavimento, se l'avessero voluto. Paolo si limitò a sedersi accanto a lui. «Che sono gay? No cazzo, no» rise, poi gli girò la domanda. «Ti?». Michi scosse il capo. «No. Un altro po' e non lo sapevo neanch'io. Lore l'ha saputo a muzzo» rispose, improvvisamente anche lui divertito dall'espressione interrogativa dell'altro. «È stata un po' una figura da babbione. Eravamo da lui, ciocchi per il fumo e il bere, lui si è avvicinato e...» lasciò cadere la frase, lasciando il resto all'immaginazione. Paolo portò una mano alla tempia sinistra, scoppiando a ridere imbarazzato. «Non ci credo, dovevi essere proprio in botta» provò a giustificarlo. Michi si strinse nelle spalle. «E non t'ha parcheggiato un pugno in faccia?» tornò a ridacchiare. Michi si strinse di nuovo nelle spalle e Paolo, scuotendo la testa, tornò a baciarlo con foga. Michì sentì i loro denti urtare. «Ti te seet tutt un ciula» gli disse scherzosamente tra le labbra. "Sei proprio un imbranato". Sorrise, tirandolo a sé per il collo della t-shirt. «Va a ciapà i ratt» rispose con lo stesso tono, quasi affannando. La complicità lasciava spazio all'eccitazione e Paolo cominciò a sbottonargli frettolosamente i jeans; scomodi sul pavimento si tirarono su a fatica, Michi quasi schiacciato contro il muro dal desiderio dell'altro. Non fecero però in tempo ad approfondire quel primo contatto, però, che la porta del bagno si aprì improvvisamente. Paolo si ritrasse forse troppo lentamente, perché una voce maschile aveva già cominciato a lamentarsi ad alta voce. «Ma che frociate state a fa' nel mio cazzo di bagno?!» urlò loro contro un ragazzo che, secondo l'opinione di Michi, sarebbe potuto essere più omosessuale di loro. Paolo aprì bocca per ribattere, ma la comparsa di Lore sulla soglia lo fece ammutolire per qualche motivo. «We Paolo. Perché fai piazza nel cesso?» gli chiese con un lieve scatto della spalla destra, quasi un tic. A Michi bastò una sola occhiata per rendersi conto che alla fine aveva ceduto; le pupille dilatate, la pelle del viso arrossata, le tempie pulsanti e il suo muoversi a scatti, come dopo una forte dose di caffè, erano abbastanza rivelatori (e preoccupanti, aggiunse mentalmente dopo un attimo). Paolo sorrise, allargando le mani. «Tu perché non vai a fare il sottone altrove?» gli propose beffardo. «Paolo...» provò a intervenire Michi a mezza voce. Lore s'incupì, avvicinandosi a grandi passi. «Paolo, perché no—» tentò di comunicare Michi; Paolo si voltò a guardarlo, ignorando Lore e non vedendo, così, il pugno infracostole che gli spezzò il fiato, portandolo a chinarsi in avanti. «Lore!» urlò Michi sconvolto. L'amico era evidentemente eccitato e il proprietario della casa, divertito, si era appoggiato all'ingresso del bagno a godersi la scena. Prima che Paolo potesse rialzarsi o reagire in qualche modo, Lore sferrò un altro pugno sullo zigomo destro. Il ragazzo, anche se ben allenato, era stanco ed era stato colto di sorpresa: in più, pensò Michi, non aveva appena tirato della cocaina. Fece un passo indietro nel vedere Lore infierire sul ragazzo. Un calcio centrò Paolo in pieno viso, rompendogli il naso. Il ragazzo ululò dal dolore, rinunciando al tentativo di alzarsi e raggomitolandosi su se stesso, le mani schiacciate sul viso. «Lore, basta! Fermo! Cazzo Lore FERMATI!» strillò con il viso bianco e le mani scosse da violenti tremiti. La vista del sangue largo sul pavimento cominciò a nausearlo; Lore stava tempestando il ragazzo di calci nel ventre e qualcuno alle loro spalle rideva e ululava divertito. Tentò di farsi coraggio, avvicinando l'amico e venendo spintonato con forza. Lanciò un'occhiata a Paolo, nella speranza che riuscisse ad approfittare di quel momento per rialzarsi, ma era ancora raggomitolato sul pavimento. Non dava segni di vita e il terrore gli attanagliò lo stomaco. «Lorenzo! Lore! Dio p***o smettila!» urlò al di sopra del frastuono. Riconobbe la voce del padrone di casa alle sue spalle. «Oh qualcuno sbatta 'sto ciollone fuori» invitò qualcuno accanto a sé a tirarlo fuori dal bagno; l'ordine venne subito eseguito e Michi si ritrovò fagocitato dalla folla divertita. Lore continuava a calciare il ragazzo, ora intimandolo ad alzarsi. Scorse qualche smartphone intento a riprendere la scena, poi le lacrime cancellarono il resto; si ritrovò sbattuto fuori dall'appartamento dopo qualche secondo, con ancora la sua giacca all'interno. Ingoiò le lacrime, tentando di calmare il tremito che lo scuoteva con forza, poi estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans ancora sbottonati e cominciò a scendere gli scalini con passo insicuro. Digitò il centotredici.


 
   
 
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