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Autore: Cecilia    29/03/2017    1 recensioni
Le conseguenze di Flashpoint presentano il loro conto e toccherà alla Leggende, in un viaggio in un futuro prossimo, a pagarne il salato prezzo tra sconvolgenti verità ed inaspettate rivelazioni.
Fan Fiction in due momenti tra l'universo che conosciamo e quello nuovo che si crea dopo la guerra finale del tempo...
Genere: Angst, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Nuovo personaggio, Rip Hunter, Sara Lance, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 9

 

Esistevano momenti nella vita molto difficili da spiegare o anche solamente da realizzare e la morte era forse e soprattutto ciò che faceva da padrona in questo contesto. JJ non si era mai considerata una persona credente e tanto meno abbastanza sensibile da potersi soffermare ad analizzare i propri sentimenti in virtù di un aspetto della vita così importante, ma da quando aveva riaperto gli occhi non riusciva a capire come si sarebbe dovuto sentire.

Era a disagio, sapeva che ognuno affrontava il lutto a proprio modo chi con urla e scalpiti, chi con pianti ininterrotti, chi con un’ira accecante o altri ancora affidandosi al proprio Dio. Ma lui cosa aveva? Era lì immobile nel letto dell’infermeria della Checkmate, con la flebo attaccata ad osservare il soffitto.

Ci aveva provato a piangere, si era sforzato di riuscirci eppure nemmeno una goccia di quel prezioso nettare salato aveva lasciato i suoi occhi. Razionalmente non riusciva a fare a meno di sapere che non esisteva nessun “e se”, quel qualcosa che sembrava sempre consolare le persone. Quel credere che se le cose fossero andate diversamente o si fosse agito in modo diverso niente sarebbe andato così. Ma perché pensarlo? Ciò che rimaneva concretamente era solo l’andare avanti, anche e soprattutto dopo eventi così definitivi e anche se questo poteva devastarlo sapeva che non esisteva modo per tornare indietro, per cambiare le cose… perché lui non credeva, come suo padre, nel giocare con il tempo o altre cazzate del genere…

Quando Connor entrò titubante nella stanza fu in quello stato di totale estraniazione che trovò l’amico sentendosi terribilmente a disagio.

Cosa dirgli? Non era mai stato bravo con le parole e ancor meno a consolare le persone, ancor più se quelle erano le stesse a cui fino il giorno prima aveva gettato addosso tutta la sua frustrazione. Con che faccia adesso si presentava da lui? Infatti stava già facendo per andarsene, ma era troppo tardi perché JJ si era accorto di lui.

«Connor…» lo chiamò con voce ferma e roca questo, invitandolo a sedersi sulla sedia accanto al letto.

«Come sta Donald? E gli altri?»

Queen scosse il capo, ancora in canotta nera dopo che si era dovuto togliere la parte sopra della propria uniforme per essere curato. Come faceva a pensare agli altri in quel momento?

«Ammaccati… ma tutti interi…» e quanto gli faceva male doverlo dire non poteva nemmeno spiegarlo.

Dunque preferì sedersi e non aggiungere altro, come avrebbe potuto? Con che coraggio poi… proprio con lui…

«Cosa dovrei fare adesso?» chiese JJ improvvisamente tornando a fissare il soffitto bianco e concentrandosi particolarmente su una crepa scrutandone ogni sua caratteristica, la sua parte robotica glielo permetteva: la densità, la profondità, quanto strutturalmente potesse essere minacciosa e tante altre cose…

«Cosa intendi?»

«Sono morti i miei genitori e io… non so come devo comportarmi?»

Intanto la mente di JJ macinava calcoli complessi, nello stesso momento in cui Connor si grattava il capo incapace di rispondere a una domanda tanto semplice, ma in realtà assai insidiosa.

«Soffrire immagino… desiderare vendetta… prendertela con il responsabile…»

«Come hai fatto tu?»

«Non… non volevo dire questo…»

L’ultima cosa che desiderava era davvero buttare sale sulla ferita, anzi se possibile Connor si sentiva ancor peggio di come in quei mesi –seppur non aveva avuto coraggio di dirlo- si era sentito.

Un mostro che aveva tratto vantaggio dal dover far sentir male altri per lenire il proprio di dolore. E farlo con la sua stessa famiglia era stato imperdonabile…

«Hai ragione. La Checkmate ha sottovalutato una minaccia, come oggi… i tuoi genitori e i miei ne sono stati la dimostrazione…»

«Non razionalizzare JJ! Non lo fare!»

Connor stava urlando, non voleva farlo, ma non voleva nemmeno che il suo migliore amico considerasse morti così traumatiche semplicemente delle “perdite calcolate”.

«Forse non sono capace di fare altro!» adesso era il giovane Diggle ad urlare, quando voltando il capo per la prima volta affrontava lo sguardo di quello che aveva sempre considerato un fratello.

«Forse ormai sono solo una maledetta macchina incapace di provare una qualsivoglia emozione… forse dovevo solo morire quando era giunto il mio momento…»

«O forse dovevi sopravvivere per trasformarti nella guida di noi tutti!»

Connor non accettava le sue parole, tanto che per questo era scattato in piedi per potersi sedere al suo fianco sul suo letto e prendere la sua mano stringendola nella sua. In quella morsa di mani forti simbolo di una fratellanza che mai avrebbe dovuto vacillare.

«Una guida che sapeva che William, il tuo fratellastro, stava tramando di tradire la Checkmate e non ha saputo fermarlo prima che…»

«Uccidesse i miei? Sì… ma proprio questo ti rende umano non te ne rendi conto? Un cyborg non avrebbe mai sbagliato…»

«Un cyborg avrebbe salvato sia i tuoi genitori che i miei… Siete sempre stati tutti molto bravi a convincermi che quello che ero diventato, dopo l’incidente, mi avesse cambiato in meglio… ma…»

«Ma cosa? Credi che non sarebbe successo nulla di tutto questo se tu fossi morti?»

«Forse…»

Connor si trovò a sospirare pesantemente, avrebbe tanto voluto tirar fuori una frase ad effetto o la frase perfetta quella che sarebbe riuscita a risolvere tutto, ma non ce l’aveva… quello che aveva però era un ricordo…

«Sai cosa tuo padre ha detto una volta al mio?»

Entrambi si guardarono e in quel momento quell’immagine si sovrappose a quella di un Diggle e un Queen di un altro tempo che seduti sulle scale del covo del Team Arrow parlavano dopo la sconvolgente scoperta che il Procuratore Chase era Prometheus.

«Che noi siamo i tuoi compagni di squadra. Siamo la tua forza. Quindi JJ appoggiati a noi… appoggiati a me esattamente come tu hai fatto anche quando io ti respingevo…»

«Forse essere umano è un lusso che non posso permettermi…»

«Forse non puoi fare a meno di esserlo perché per quanto tu dica, c’è un cuore che batte sotto tutto questo metallo…» e fu in quel momento che la prima e timida lacrima fece capolino dallo sguardo scuro di JJ per scivolare poi lungo la sua guancia e fargli scoprire che il dolore c’era e che per quanto fosse insopportabile Connor aveva ragione, era umano e doveva onorare quello perché era tutto ciò per cui i suoi genitori avevano lottato… per loro avrebbe combattuto… per quell’umanità che mai si erano arresi di voler mantenere viva nel loro unico e adorato figlio.

 

La notte era scesa silenziosa sugli eroi rimasti negli Stati Uniti, ognuno raccolto in un angolo di intimità ad affrontare il lutto appena subito, la sconfitta appena affrontata e la sfida che li aspettava all'indomani. Ma nessuno desiderava in quella notte pensarci, tutti avevano bisogno a loro modo di ritrovare il proprio equilibrio e la propria stabilità e tanto Connor era rimasto accanto a JJ, nello stesso modo si erano stretti maggiormente l'una all'altro Amaya e Nate che si trovavano dall'altra parte del pianeta, in Africa. Lì era tarda mattinata, mancavano poco meno di due ore a mezzogiorno e il Gran Consiglio si era chiuso in seduta. Il Re Grood aveva permesso alla donna di esprimersi di fronte alle quattro personalità più importanti dello Zambesi quelle che rappresentavano le quattro tribù grazie alle quali era rinato. Ognuna rappresentava un culto diverso che circolarmente, alla fine di ogni reggenza (alla morte del Re), si passavano scettro e responsabilità in una sorta di monarchia condivisa.

C'era Re Grodd del Culto del Gorilla Ghekre, rappresentate della tribù Jabari.

C'era Lionheart del Culto del Leone Sekhmet, rappresentante di una piccola tribù nata dopo che l'inglese Kelsey Sorr Leigh giunta in esplorazione in quelle terre aveva trovato la perduta Spada del Mito che le aveva dato la magia necessaria per far rinascere quel popolo ormai perduto che la vedeva dunque come la propria guida.

C'era Killer Croc del Culto del Coccodrillo Sobek, rappresentante di una tribù per lo più quasi scomparsa. Waylon Jones parte della stessa per lunghi anni aveva usato la sua metà coccodrillo per i fini più vili, per poi redimersi e tornare tra le sue genti divenendone il leader.

Infine c'era Pantera Bianca del Culto della Pantera Bast, rappresentante della tribù Bashenga, gli originali fondatori dello Zambesi e cui sotto le sue spoglie si nascondeva Mari Jiwe McCabe fiera Vixen.

Erano stati loro a chiedere ad Amaya e Nate di poter deliberare di fronte alla loro richiesta di dismettere la loro neutralità e aiutarli nella guerra che sarebbe giunta, la stessa che portando alla fine del tempo e della realtà avrebbe portato fino anche a tutto ciò che insieme avevamo costruito, in primis il percorso di crescita e redenzione che Grodd aveva fatto.

Le due Leggende così ignare della presenza tra questi della nipote di Amaya si erano ritirati nella tenda che a loro era stata riservata e nella quale dopo aver appreso gli aggiornamenti da Sara vi erano rimasti inermi di fronte a tanta morte e distruzione.

La donna aveva indossato con estremo piacere nuovamente le vesti del suo popolo e camminando a piedi scalzi sulla sua terra arrivò alle spalle di Nate cingendogli la vita da dietro e facendo aderire il suo petto alla sua grande e possente schiena, senza preavvisarlo in alcun modo. Lui che era fuori dall'ingresso dalla tenda e stava osservando con interesse quel popolo e quella città così distante da lui per coltura e tradizione, ma che in qualche modo sentiva stranamente vicino.

Amaya aderì la fronte contro il tessuto della sua maglia, indossava una semplice veste color sabbia dai ricami dorati. Le gambe nude e scure, si mostravano nello spacco inferiore, così come un accenno di seno nello scollo superiore. In vita era stretta da una fascia simile ad una cintura, anch'essa finemente decorata. Tuttavia niente la faceva sentire più a casa dell'essere stretta a lui, che aveva portato le sue mani su quelle di lei.

Nate pensava egoisticamente che avrebbe potuto farci l'abitudine a quel luogo e a quel modo di vivere, a maggior ragione se sarebbe stato al lato di Amaya. Tuttavia, nonostante quell’apparente pace, nessuno dei due riusciva a fare a meno di pensare a tutte le preoccupazioni che gravavano sulle loro spalle. Così tante cose in ballo e così poco tempo per comprenderle e decidere lucidamente come affrontarle. Così tante eventualità da tenere in conto e così poca forza per sviscerarle tutte fino in fondo, specie in quel momento, per Nate, col corpo di Amaya che si stringeva al suo.

Fu solo allora che l’uomo si voltò verso di lei e si rese conto di come era vestita e di come era splendidamente bella.

Amaya si trovò ad arrossire sentendo il suo sguardo su di lei, mentre veniva accarezzata da un senso di sicurezza dovuto dal suo modo di starle accanto, di darle la possibilità di respirare a fondo il suo odore. Ne era dipendente a tal punto che necessitava della sua dose giornaliera. Fu allora che per un attimo decise di mettere da parte tutti i cattivi pensieri mentre prendendolo per mano lo invitò all'interno della tenda, nell'intimità della solitudine che li abbracciava.

I suoi occhi scuri cercavano quelli profondi di lui, pendeva dalle sue labbra, anche se tutto poteva far pensare che fosse lei ad avere in pugno la situazione: in verità era Nate ad avere in pugno Amaya, anima e corpo. Non c'erano problemi in quella tenda, in quel momento. Non c'era il tempo. Non c'erano gli alleati, i nemici, gli usurpatori. Non c'erano le miriadi di decisioni da prendere. Non c'erano neppure i loro destini. C'erano solo loro due...

Nate la stava fissando immobile nella sua posizione. Dapprima ritrovando il suo sguardo, poi abbandonandolo per seguire l'incavo del suo collo e soffermarsi sulle curve del suo corpo, sempre convenientemente coperto e sempre accuratamente scoperto, un costante richiamo, sempre capace di condurlo verso luoghi esotici ed intriganti, lontani dalle preoccupazioni e dai doveri, lontani da qualsiasi altra cosa non fosse il desiderio di stringerla tra le braccia e deliziare i suoi sensi col suo sapore, col suo calore, col suo profumo.

Si avvicinò infine ad Amaya e togliendosi la maglia che indossava risalì con gli occhi lungo la gamba lasciata esposta per poi assottigliare lo sguardo, prima di annullare ogni distanza e stringerla con il suo vigore, frutto della brama che scatenava quella donna in lui. Vigore che concesse poco al tessuto delicato della sua veste. Fu lì che il primo strappo del tessuto risuonò nell'aria, quando, nel trasporto generato dal successivo incontro delle loro labbra, le mani di Nate si strinsero sulla sua vita e la sollevarono, perché allacciasse le sue gambe intorno a lui e si facesse finalmente ricondurre indietro, verso il talamo che aspettava solo di accoglierli.

Amaya lo percepiva il cuore di Nate pulsare all'unisono con il suo ed era sicura di non aver mai udito suono tanto bello, fu allora che lo attirò maggiormente a sé in modo da portare la gamba scoperta a circondare la sua, in una stretta che comportasse che il suo corpo fosse aderente completamente a quello di lui. Una mano intanto gli cinse il collo e si sollevò fino alla nuca, infiltrandosi tra i capelli scuri. Le piaceva il modo in cui riusciva ad eccitarla, senza però scadere nel volgare, piuttosto mantenendo quel suo stile sempre romantico. Amaya non fece in tempo a dar fiato ai suoi pensieri che venne travolta dalla sua stessa bramosia, quella di cui ne era schiava e padrona al tempo stesso. Strinse tra le dita i suoi capelli e lo costrinse con la forza a restare con il suo capo contro quello di lei. Le lenzuola finemente decorate li accolsero, mentre i loro corpi madidi di sudore e scossi da brividi di passione vibravano sulla stessa frequenza.

 

Dopo che Laurel aveva fatto la cosa giusta e al suo ritorno aveva visto con piacere che già stava facendo effetto sui suoi genitori, che non stavano subendo più shock traumatici dovuti alla sostituzione dei loro ricordi, aveva chiesto a Donald di lasciarla alla Waverider. Quella notte non era certa che sarebbe riuscita a rimanere sola e tanto meno a prendere sonno e così quando si era diretta da Sara chiedendole se sarebbe potuta rimanere lì quella l’accolse con piacere. E in quel momento stesa accanto a lei sul suo letto, la sentiva accarezzarle i capelli come aveva sempre fatto da che era bambina o per Sara come aveva sempre fatto con la sorella nelle lunghe notti della loro adolescenza.

Laurel dava le spalle alla madre e su un fianco guardava il nulla di fronte a lei godendo di quel momento che non credeva avrebbe mai potuto rivivere e di cui stava registrando nella propria memoria ogni secondo per riviverlo quando lei se ne sarebbe andata di nuovo.

Sara le accarezzava i lunghi capelli osservandola in un modo in cui non era certa di essere mai riuscita a fare con nessuno, era forse quello che chiamavano maternità? Quel tenere a qualcuno più della propria esistenza? Arrivare al punto di essere disposti a qualsiasi cosa per quella persona perfino tradire i propri valori? Sentire felicità semplicemente per guardarla o vederla sorridere? Percepire che la vita non avrebbe avuto più alcun senso se quella persona non vi fosse stata?

Non lo sapeva, ma mai si era sentita così impotente ed inerme solo per un piccolo canarino che in quel momento rannicchiato tra le sue braccia chiedeva solo di essere protetto.

Non lasciò il suo fianco, nemmeno per un secondo, decisa a rimanere con lei fin quando non si sarebbe addormentata serena e così fece, ignara che Rip dal ponte di comando stava osservando la scena mentre un sorriso melanconico si disegnava sul suo volto.

 

Fu dunque di fronte alla consapevolezza che l'alcool non facesse per lui che Rip preferì annegare tutti i suoi pensieri in una buona dose di allenamento piuttosto che in quella di una bottiglia, sbattendo i pugni contro quel povero sacco da box che aveva trovato sulla Waverider dopo che Sara, molto probabilmente, aveva trasformato una delle troppe stanzi presenti sulla nave in una palestra.

Aveva scoperto con sua grande sorpresa che quello sfogo che spesso vedeva nei suoi compagni e non capiva, poteva essere invece molto salutare per gettar fuori tutto quello che dentro diveniva insostenibile tenere. Nella sua mente le immagini del suo passato con Miranda e Jonas si sostituivano a quelle di un futuro non ancora realizzato con Sara e Laurel e seppur i due contesti erano diversi, la sensazione di aver fallito in entrambi i casi era ben presente quanto quella che non aveva e non avrebbe potuto fare nulla per impedire che quelle vite gli scorressero tra le dita come granelli di sabbia.

Quando con l'ultimo pugno si piegò in due, le mani sulle ginocchia, la canotta grigia bagnata di sudore e i capelli attaccati sulla fronte, ebbe la consapevolezza che non aveva più forza. Esattamente quello che cercava, essere tanto stanco da cadere svenuto dal sonno impedendosi così di pensare...

Quello che non aveva messo in conto era, una volta giunto negli spogliatoi annessi alla palestra, fu di trovarvi Sara appena uscita dalla doccia e con indosso solo l'accappatoio.

L'istinto lo portò a voltarsi, mentre quella ridacchiava divertita da una galanteria che lo rendeva fuori dal tempo.

«Oh scusa, credevo... di essere solo, sai è notte fonda ormai...»

«Non riuscivo a dormire e ho avuto la tua stessa idea!» ironizzò lei trovando in effetti strano vederlo proprio lì.

«Non eri con Laurel?» chiese poi Rip voltandosi appena e vedendola ferma di fronte all'armadietto aperto, mentre distrattamente si guardava allo specchio senza guardarsi per davvero.

«Sì, non voleva passare la notte da sola e non mi sembrava carino cacciarla... tuttavia quando si è addormentata, io... avevo bisogno di liberare la mente...» e dunque era andata a tirare qualche pugno, quello che non si aspettava è che lo facesse anche lui.

«Vi ho viste... dal ponte... sono stato un po' lì ad osservare il flusso temporale, ma poi quando ho capito che il sonno non sarebbe arrivato...»

«Ti sei ammazzato di allenamento... un classico...» ironizzò Sara strofinandosi i capelli bagnati con un asciugamano da un lato dal collo.

Rip la stava osservando e si chiedeva come diamine era possibile che il modo di vedere una persona cambiasse così, di punto in bianco. La cosa lo confondeva un po’, sinceramente. Forse era perché non aveva mai visto quel lato di Sara così dolce, così comprensivo e forse anche così umano...

Notò che adesso che aveva i capelli biondi bagnati sulle spalle, in qualche modo i suoi occhi sembravano ancora più verdi, fu semplice notarlo mentre si avvicinava a lei, quasi bloccandola tra lui e il muro. Senza nemmeno ricordarsi come ci era arrivato lì, ad un passo da lei, tanto da poter sentire chiaramente l'odore dolce dello shampoo venire dai suoi capelli. Un attimo di esitazione, probabilmente percepibile solo a lui, lo fece vacillare per qualche secondo, ma poi portò velocemente una mano al suo collo lievemente umido e gli sarebbe bastato soltanto un movimento del polso per attirare il suo volto in avanti. Era fin troppo pericoloso lasciarsi con una scelta del genere, letteralmente, tra le mani.. non pensava proprio di essere il tipo di uomo in grado di resistere a tentazioni del genere.

Per Sara fu estremamente bello e piacevole sentirsi nuovamente nella posizione di dover solo essere "vittima" delle circostanze e del suo cuore che batteva impazzito. La respirazione irregolare e un calore che la faceva andare a fuoco come credeva non sarebbe mai più successo...

Il contatto della sua mano sulla sua pelle umida poi fu il vero colpo di grazia che sconvolse i suoi sensi e mandò il suo cervello in tilt. Gli piaceva vederlo così intraprendente e deciso nei suoi confronti.

La faceva sentire compiaciuta il modo in cui poi Rip le poggiò una mano sul fianco e con l'altra le prese il mento solo per costringerla al suo sguardo, lo stesso che la faceva fremere di piacere e paura.

Fu allora che Sara fissò la sua bocca, la stessa che si avvicinò pericolosamente per poi deviare con astuzia verso il suo mento e il suo collo fino a farle chiudere gli occhi e farle perdere completamente il controllo.

Rigida come un fuso, ma in realtà fusa come metallo ardente. Sara aprì la bocca, ma non vi uscì parola e quando lo fece nuovamente ormai quella di Rip aveva già catturato la sua, mentre respirava sulla sua pelle e con le dita cercava il cordino che teneva insieme l'accappatoio, che almeno per lui stava cominciando ad essere di troppo.

Nonostante la passione di quel momento Sara riuscì a trovare la delicatezza di accarezzare con la sola punta delle dita il volto di Rip.

«Se tu vorrai... Io posso provare a curare le tue ferite, posso esserci per darti conforto e per prendermi cura di te...»

Stargli vicina le provocava una scarica d'adrenalina molto difficile da spiegare, ma che la faceva sentire bene, ma lo stesso valeva per lui che allontanandosi appena per guardarla in volto rimase colpito dalle sue parole.

«E se me lo permetterai, io ci voglio essere nello stesso modo per te...»

Un sorriso spontaneo li raggiunse, mentre ormai si erano spinti nuovamente verso le docce, con Sara che cercava l'urgenza del contatto con la sua pelle, mentre togliendogli di dossi i suoi di abiti si ritrovarono nudi e accarezzati dalle gocce calde dell'acqua che prese a scorrere su di loro.

Fu allora che la mano di lei scivolò sul suo dorso nudo e si posò sul suo cuore, per poi chiudere gli occhi e rimanere ad ascoltarne il battito.

 

Per Jax era stato molto strano scoprire, parlando con Jason, che la sua storia non era stata molto diversa dalla sua... anche lui cresciuto con un solo genitori e aver imparato dallo stesso tutti i valori che la vita custodiva. Ma se per Jax era stata una scelta obbligata dovuta dalla morte di suo padre, non avrebbe creduto che per Jason sarebbe stata dovuta per via di una madre che lo aveva abbandonato. Ma dalla sua voce non emergeva rabbia o rancore, solo una grande gratitudine per un padre che lo aveva reso l'uomo che era... Era chiaro che nonostante fosse ancora giovane e lo aveva perso era fiero di portare il suo nome, di portare avanti la sua eredità e in qualche modo di averlo legato a Lily e alla sua famiglia che adesso era anche la sua.

Lui era l'esempio che quando la vita andava incontro alle persone emergendo dal buio, non esisteva coraggio più grande di affrontarla. Ma a chi chiedere aiuto per farlo? Sarà una persona di cui ci si può fidare? Sarà una persona saggia? E il suo amore aiuterà ad essere indirizzati verso la luce? Erano queste le domande che si poneva Jax in quella notte uggiosa e tediosa, caratterizzata da un forte senso di tristezza e amarezza. Jason aveva chiesto aiuto a Lily e non aveva sbagliato, lei lo aveva accolto nella sua famiglia come un figlio e con la saggezza che solo uno Stein aveva lo aveva indirizzato verso la grandezza dell'anima... Era forse una speranza vana, ma era quella a cui Jax aveva deciso di aggrapparsi.

 

Ma mentre Jax stava avendo una conversazione con un figlio poco più che coetaneo che lo stava riempiendo di illusioni, dall'altra parte il Professor Stein e il Signor Rory si trovavano sorprendentemente allo stesso tavolo nella sala comune seduti uno di fronte all'altro: uno con una tazza di tè e l'altro con una bottiglia di birra, assorti nel loro silenzio pieno di parole.

Forse a differenza dei loro compagni erano quelli che avevano vacillato maggiormente di fronte a quel futuro, ma allo stesso tempo si erano sentiti rinvigoriti da una nuova linfa vitale dovuta dal vedere che quello che erano non aveva portato a una lunga strada nel buio, ma forse nemmeno alle più nobili delle scelte, ma sicuramente li aveva messi alla prova facendo scoprire loro un nuovo amico l'uno per l'altro... Per Mick era bello riscoprire che Snart, il suo partner e quello che erano stati era persistito nonostante i cambiamenti e il tempo e seppur la loro amicizia non si traduceva più nel fare colpi insieme o vivere insieme... la stessa esisteva ancora e se possibile ancora più forte e stabile. Per Martin era invece prendere consapevolezza che la sua vita da Leggenda non era stata vana, non quando sua figlia era riuscita a divenire lei stessa un'eroina, ma soprattutto era riuscita a dare amore a chi non lo aveva mai avuto trasformando quella persona in un eroe...

I due, le persone più distanti che esistessero nell'universo, si guardarono e dopo aver far tintinnato tazza e bottiglia, buttarono entrambi giù un sorso del liquido che stavano bevendo.

 

Era inesorabile, la vita veniva incontro alle persone emergendo dal buio e quando lo faceva scatenava tutte quelle domande che pesano nella coscienza di chiunque: c'era qualcuno su cui si poteva contare? Qualcuno che avrebbe vegliato su noi quando saremmo crollati? E in quell'istante sarebbe stato capace di darci la forza per affrontare le nostre paure da soli?

Ray si sentiva un po' in imbarazzo per pensare quelle cose, ancor più quando dei ragazzini molto più giovani di lui gli avevano dimostrato che non solo era possibile, ma che ci erano riusciti.

«Pensavo che ti andasse...» una voce gli arrivò alle spalle nella stiva e avvicinandosi gli posò una tazza tra le mani sedendosi accanto a lui.

«La tua famosa cioccolata?»

«Come fai a saperlo?»

«E' possibile che mi abbiano parlato delle proprietà curative della cioccolata di Mia Queen...»

La ragazza ridacchiò dando una spinta giocosa alla Leggenda accanto a lei. Spalla contro spalla. Era una notte strana, nessuno riusciva a prendere sonno, ma era normale. Era inevitabile dopo tremende perdite e all'alba della battaglia finale.

«Credo che mi mancherete quando andrete via sai?» disse lei trovandosi a sorridere a Palmer con sincerità.

«Noi? Io esisto...» notò Ray con estrema ingenuità, costatando che in effetti quella cioccolata era squisita.

«Sì, ma è diverso... e non perché siete la versione più giovane di persone a noi care... ma perché ho paura che con la vostra partenza se ne andrà tutto ciò che avete portato...»

«E cosa abbiamo portato Mia?»

«Allegria dove prima c'erano solo urla, sorrisi dove prima c'erano lacrime e normalità dove prima c'era solo caos...»

Non c'era forzatura nelle sue parole, ma tanta spontaneità dovuta da un sincero desiderio di condividere una piccola, ma grande verità. Non che tutto fosse migliorato da quando erano arrivati: Laurel rimaneva malata, ma aveva ritrovato una migliore amica che credeva persa; i suoi genitori non erano ritornati in vita, ma Connor e JJ avevano ritrovato la loro fratellanza; la guerra non era ancora vinta, ma adesso avevano la possibilità di credere che ce l'avrebbero potuta fare.

Mia si trovò a stringere il braccio di Ray e chiudendo gli occhi si accoccolò con la propria testa contro la spalla di lui che rimase un po' interdetto, ma non dispiaciuto della cosa. Anzi.

«Sai cosa ci avete dato voi invece?»

«Nh. Cosa?» chiese la giovane senza aprire gli occhi né spostandosi dalla posizione che aveva assunto.

«Una promessa in cui credere...» rispose Ray guardando di fronte a sé, sorridendo e bevendo un altro sorso di quella incantevole cioccolata calda.

 

Flash. Doveva smettere di capitargli. Ormai erano diventati un vero e proprio incubo per Snart, di una persona che aveva fatto della sua esistenza uccidere e derubare senza rimorsi e che adesso era tormentato da quei flash, da quei ricordi... Aveva rivisto i volti di tutte le persone che in lui avevano creduto, contro ogni ragionevole dubbio e poi per questo ne avevano pagato le conseguenze. Gli errori che a Mick aveva fatto compiere attraverso un suo doppelganger del passato, il sacrificio di Barry, quello ancora più grande di Wally e Jesse... Stein, Jax, e tanti tanti altri fino ai più recenti Diggle e Lyla.

Quando si svegliò era madido di sudore, impensierito dalla propria salute mentale e da quel senso di colpa che come un sintomo estraneo non sapeva gestire, ma poi gli bastava richiudere un attimo gli occhi e rivivere ogni sensazione provata quella notte con Lily. C'era la dolcezza dei baci, l'avidità delle carezze, la forza con cui i loro corpi si erano scontrati, ancora e ancora, una volta dopo l'altra per tutte le sere precedenti oltre che a quella appena trascorsa, come se volessero ricordargli quanto non si meritasse quella felicità.

Snart percepiva ansia alla bocca dello stomaco, ma si diceva fosse comprensibile considerando che il solo pensiero che lei potesse essere la prossima vittima lo uccideva. Quando, tuttavia, si voltò con il capo per cercare la sua presenza accanto a lui nel letto scoprì con orrore lo stesso totalmente vuoto fatta eccezione per lui. Si alzò di scatto e guardandosi intorno per un attimo sì sentì sull'orlo di una crisi di nervi.

«Lily?» chiamò, urlò a voce alta, perché si sentisse in tutta casa «Lily!»

«Shhh Leonard o sveglierai tutti!» lo riprese lei comparendo sulla soglia della porta della camera da letto, nello stesso momento in cui lui stava facendo per sorpassarla. Snart tirò un sospiro di sollievo nel vederla riapparire, con indosso una maglietta che neppure ricordava più di avere, ma a cui era stato molto affezionato, visto e considerando lo stato misero in cui era ridotta. Ma le donava, decisamente.

Nello stringerla a sé sì sentì immensamente idiota per gli stupidi timori di cui era stato preda poco prima. E la baciò, improvvisamente, in un gesto che veniva del tutto naturale, come se l'avesse fatto sempre, giorno dopo giorno, anno dopo anno, e forse era così, forse nei suoi sogni più reconditi, quelli impossibili da ricordare, l'aveva sempre baciata così anche prima di conoscerla.

Ma Lily lo conosceva e sapeva che tutta quel calore era solo frutto di un tormento che sembrava solo essere aumentato dopo la morte dei Diggle o forse dopo che la Checkmate era stata costretta a decidere subito un nuovo Re Nero e Regina Bianca facendo cadere la scelta su loro.

«Smettila… te ne supplico…» disse solamente lei guardandolo in viso, ma non staccandosi da lui. Sempre piacevolmente comoda contro il suo corpo e tra le sue braccia.

«Come? Dimmi come posso smettere? Sai prima era più facile, non ero costretto a fare i conti con questo… Il dolore era semplicemente una grande parte della mia vita, tanto che sapevo che non se ne sarebbe mai andato, non quando non ricordi un momento nella tua vita in cui non ci è stato…» e con quello Snart poteva conviverci, sapeva gestirlo.

«Ma poi arrivo in questo tempo e inizio a sentire qualcos’altro. Qualcosa che sembra sbagliato perché non mi è familiare…»

«E scopri cosa vuol dire essere felice…» concluse infine la moglie, con quella tenerezza mai scontata e mai banale che arrivava sempre a prenderlo lì dove lui aveva paura di giungere.

«Ed è peggio Lily… perché inizi ad avere troppe cose da poter perdere…» gli fece notare lui. Mascella contratta, mento alto e sguardo algido di chi non è disposto a spezzarsi.

«Quanti dovranno ancora pagare lo scotto della mia presenza? Della mia capacità di congelare tutto ciò che tocco fino a distruggerlo? Mi ero ripromesso che non sarebbe più successo il giorno che ti ho sposato, ma non so se ne sarò in grado… Non quando non riesco nemmeno più a guardare negli occhi Jai e Iris…»

«Leonard io… io te l’ho sempre detto e lo sai… o gli dici la verità oppure no, ma perdoni te stesso…»

«E come Lily mh?» chiese lui infastidito, prendendo le sue mani e scostandole dal suo viso facendo un passo indietro.

«Dicendo loro che sono la causa per cui sono orfani?»

Un “crac” più forte di un cuore che si rompe echeggiò nell’aria per colpa di un piede messo in fallo dal giovane Allen che una volta sveglio per le voci troppo alte dei suoi genitori, preoccupato, era corso a vedere che andasse tutto bene. Troppe brutte notizie in un giorno solo, ma non avrebbe mai immaginato che quella sarebbe stata solo l’ennesima… la più grave di tutti.

«Mi avete mentito?» chiese lui con gli occhi sgranati e un pigiama che gli andava un po’ troppo grande. Jai era sempre stato spigoloso, non era mai riuscito a relazionarsi con nessuno preferendo di gran lunga la solitudine e il piacere che gli dava costruire modellini di aereo o di navi con una precisione maniacale. Un po’ come Leonard aveva fatto tutta la sua vita con le rapine, usandole come un modo per alienarsi dalla sua vita misera. Proprio questo li aveva uniti così tanto, proprio quel ghiaccio freddo e impenetrabile aveva permesso ad entrambi di divenire un unico fiocco di neve, tanto semplice all’apparenza, ma tanto complesso in realtà.

«MI AVETE MENTITO!» urlò nuovamente prima che in un flash scomparve e con lui anche Iris, non ci vollero molti secondi affinché una telefonata di Dawn li mettesse al corrente che i cugini erano piombati a casa loro.

 

«Lo odio! Lo odio! LO ODIO!» Jai non ripeteva altro da che era piombato in casa dei cugini, svegliando la sorella e con lei scomparendo.

«Shhh! Abbassa la voce… non vorrai che Iris ti senta! L’hai spaventata a morte lo sai?» lo riprese Donald, mentre in salotto con il cugino cercava di ragionarci, mentre la sorella aveva portato in cucina la cugina più piccola ancora assonnata e confusa.

«Non ho voglia di abbassare la voce! Non quando ho saputo che l’uomo che si vantava di essere mio padre è solo uno sporco bugiardo e con lui Lily… LI ODIO Donnie! Li odio! Se non fosse per Snart i miei genitori sarebbero vivi… voi mi avete sempre detto che sono morti perché hanno giocato con il tempo, come a volermi insegnare che noi velocisti non dobbiamo fare tali errori, ma loro non ci hanno giocato… loro hanno fatto un sacrificio. Per cosa poi mh? Per un criminale!»

Jai non avrebbe potuto non sputare tutto quel veleno in quel momento, dopotutto in un certo senso aveva ragione e se Snart fosse stato lì gli avrebbe detto che era tutto vero. Forse per questo Donald non se la sentì di affrontare una questione del genere, tanto meno in una notte come quella.

«Domani è una giornata cruciale, è meglio se andiamo a letto…»

Jai non vi trovò nulla in contrario, non per i suoi cugini, non voleva che non fossero riposati abbastanza per quello che sarebbe venuto, ma non avrebbe fatto alcun passo indietro. Non ci sarebbe tornato in quella casa, non quando quella vera lo erano quelle mura.

Quando Dawn tornò in salotto con Iris in braccio tutti trovarono opportuno andare al piano di sopra e per quella notte archiviare quella questione. Tuttavia quando questi fecero per lasciare i due cuginetti nella camera da letto appartenuta a loro nonno Joe, la piccola Iris li fermò.

«No dormite qui con noi… vi prego…» dall’alto della sua innocenza, da chi era stata strappata dal suo letto senza un perché e che si rendeva solo conto di essere spaventata, non c’era alcun desiderio di rimanere sola.

Donald dunque si stese dietro di lei e lo stesso fece Dawn dietro Jai, trovandosi tutti e quattro stretti in quel grande letto matrimoniale.

«Donnie racconti la favola del dinosauro?» chiese improvvisamente la piccola portando così i due gemelli a guardarsi.

«Sì per favore… zia Iris la raccontava spesso e anche la mamma… e adesso come adesso avrei tanta voglia di sentirla…»

Jai non aveva mai superato la mancanza dei suoi genitori, aveva saputo colmarla, ma adesso che si sentiva orfano una seconda volta… la necessitava. Lui che si faceva sempre il grande, ricordando come certe sciocchezze non gli piacessero.

Dawn non se lo fece ripetere e dopo essersi accoccolata meglio, iniziò ad osservare il soffitto e rimembrare quando da bambina mille volte l'aveva ascoltata.

«Un piccolo dinosauro, una maiasaura, viveva con sua madre e un bel giorno le disse: "Vorrei essere unica come gli altri dinosauri. Fossi un T-Rex sbranerei con i miei denti affilati"

"Ma se fossi un T-Rex" disse la madre "Con le zampe corte come potresti abbracciarmi?"»

Donald che aveva gli occhi chiusi e stava accarezzando i capelli della piccola Iris sorrise e non riuscì a trattenersi dal continuare.

«"Vorrei essere un apatosauro" disse il piccolo dinosauro "Con il mio lungo collo vedrei oltre le cime degli alberi".

"Ma se fossi un apatosuaro" disse la madre "Come potresti udire il mio ti voglio bene da lassù? Quello che ti rende unica piccola maiasaura" disse la madre "Non sono i tuoi denti affilati, il collo lungo o il becco appuntito. A renderti speciale tra tutte le specie di dinosauri di questo mondo selvaggio è che hai una madre che è ideale per te e che..."»

«”…ti vorrà sempre bene”» esclamarono i quattro Allen all’unisono abbandonandosi nelle braccia di Morfeo nello stesso istante in cui un zampillo di vita tornò a far breccia nel cuore di Barry Allen.

 

Ed eccomi finalmente qui con il nuovo capitolo! Ci ho messo un po’, ma è stato inevitabile: è più lungo degli altri e precede una giornata importante, ma al tempo stesso serve a tutti i nostri protagonisti per decomprimere il proprio cervello e il proprio cuore da tutti i loro pensieri. Mi è piaciuto scriverlo, davvero tanto. Non so se a voi piacerà nello stesso modo leggerlo, ma davvero ragazzi ci ho messe tutte le mie lacrime in questo capitolo… non me ne sono trattenuta nemmeno una e con le stesse ho scritto ogni punto di vista dei nostri beniamini…

 

   
 
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