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Autore: vernal winter    29/03/2017    1 recensioni
Il problema di Abigael era sempre stato uno: pensare troppo.
Era in quella fase della vita in cui i giorni si susseguono, protagonisti di un’ordinaria routine. Sempre uguali, sempre gli stessi. Talmente monotoni da farle credere di essere rimasta ferma nello stesso secondo per chissà quanto tempo. Faceva le stesse cose, rispondeva alle stesse domande ed ogni giorno, alle dieci e mezza di sera, il pensiero di quanto sarebbe stato più appagante farla finita la sfiorava come una mano amica. C’erano mille modi per farlo, aveva pensato ad ognuno di essi con estrema attenzione, valutandone i pro e i contro.

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Una ragazza triste.
E due occhi che la strapperanno dalla monotonia di una vita che non vuole.
Un'indagine su una serie di omicidi che la porteranno a conoscere meglio se stessa e le persone che la circondano.
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Mille  gradi di separazione

II - BROKEN MIRROR

 

 

 

Non aveva più preso la metro, dopo quel mercoledì sera.

Non dopo che, quella stessa notte, aveva sognato mani e labbra e denti, appartenenti al ragazzo misterioso, su ogni angolo del suo corpo. Non era mai stata una ragazza pudica, ma non capiva come un semplice contatto sulla metropolitana avesse scatenato in lei reazioni così intense. In fondo, si era interessata a lui perché credeva di condividere la stessa anima travagliata, lo stesso disagio che la teneva per mano giorno per giorno. Eppure, c’era anche qualcosa di più. Qualcosa di più fisico, che l’aveva spaventata al punto da indurla a preferire un quarto d’ora di camminata, per arrivare alla fermata del tram più vicina, piuttosto che salire di nuovo sul vagone con lui. Sapeva di star tenendo un atteggiamento stupido e infantile, decisamente non adatto ai suoi ventitré anni, ma era già sull’orlo di un burrone di cui non riusciva nemmeno a vedere il fondo; se si fosse sbagliata - se si fosse resa conto di aver sognato ad occhi aperti per tutto quel tempo - era sicura che vi sarebbe precipitata dentro. 

Come se non bastasse, c’era stato un cambio di programma per quanto riguardava lo stage al Times. Lei e altri tre studenti avevano ricevuto una mail che li invitava a sostenere un colloquio per decidere quale di loro fosse il più meritevole per quell’ambito posto. Ancora non riusciva a credere che la McKarthney avesse valutato in modo positivo il suo lavoro. Era sicura di aver svolto un ottimo progetto, ma la professoressa le era sempre sembrata troppo frivola e povera di critiche costruttive per riuscire a separare la sfera personale da quella lavorativa. 
Ad ogni modo, il giorno del colloquio era arrivato e lei si ritrovava seduta su una delle scomode sedie di plastica fuori dalla sala conferenze dell’università. Accanto a lei, un ragazzo dai capelli rossi sembrava ripetersi un discorso ormai imparato a memoria. Dal canto suo, non si era preparata niente da dire. Lo trovava stupido, certo non l’avrebbero presa per qualche bella frase studiata e buttata elegantemente sopra un tavolino. E poi, a dirla tutta, non si aspettava nulla. Era l’unica donna e, per quanto sperasse che i pregiudizi a sfondo sessuale fossero ormai estinti nel ventunesimo secolo, era convinta che l’avrebbero scartata per prima. Si limitava, quindi, a sfogliare la propria relazione che aveva prontamente stampato e rilegato, nel caso le avessero fatto delle domande a riguardo. Passarono venti minuti buoni prima che chiamassero il primo candidato, e un’ulteriore mezzora per il secondo. Era rimasta l’ultima e tutti erano tornati al proprio posto nervosi e tesi, come se si aspettassero un brutto risultato. Era stato detto loro di aspettare lì, poiché l’esito sarebbe stato comunicato non appena tutti e quattro fossero stati ascoltati.

« Abigael Sparks. » La voce della professoressa le giunse alle orecchie tagliente e per niente amichevole, come se non fosse stata lei a volerla lì.

Si alzò prontamente, ma senza fretta, lisciandosi il tessuto ben stirato dei pantaloni scuri, prima di precedere la donna dai capelli biondi all’interno della stanza. Un lungo tavolo di legno la riempiva orizzontalmente e, dal lato opposto al suo, un uomo e una donna vestiti elegantemente, sedevano con un plico di fogli sparpagliato di fronte a loro. Alzarono lo sguardo quando sentirono il rumore dei suoi passi che si avvicinava. L’uomo sorrise, la donna no.

« Buongiorno. » Disse educatamente, mentre si accomodava sulla sedia solitaria che era stata adibita ad ospitare i candidati.

« Buongiorno a lei, signorina Sparks. O posso chiamarti Abigael? » Chiese l’uomo, mentre rovistava concitatamente nella marea di fogli, probabilmente alla ricerca di quello che la riguardava. Sembrava affabile e alla mano e questo contribuì a farla rilassare un po’,  nonostante lo sguardo della mora accanto a lui continuasse a studiarla severo.

« Abigael va benissimo. Vi ringrazio per l’opportunità che mi state dando. »

« Beh, suppongo che te la sia guadagnata. Il tuo articolo era ben fatto: nessuna ripetizione, stile fresco e non noioso, ottimo vocabolario. » La mano del moro andò a lisciare le pagine dell’articolo che aveva finalmente ritrovato. « L’unica cosa che mi ha stupito, e non so ancora se in senso negativo o positivo, è stato l’argomento: l’omicidio come forma di suicidio. Come ti è venuto in mente? » E, in effetti, il suo tono pareva realmente incuriosito. Abigael represse un sorriso, quella era la reazione che aveva voluto suscitare.

« Per quanto macabra possa sembrare, mi interesso di cronaca nera. Sarebbe l’ambito in cui mi vorrei specializzare, quindi, parte dell’articolo deriva da questo. Dall’altro lato ho una forte propensione per la letteratura classica e il mito, che mi ha ispirata e portata ad analizzare le ragioni e le conseguenze che stanno dietro un atto come l’omicidio. » Come se la risposta l’avesse soddisfatta, la donna dai lunghi capelli corvini sembrò rilassarsi e abbandonare il cipiglio severo che fino a quel momento l’aveva contraddistinta. Probabilmente era anche più giovane di quanto non sembrasse e quella sua aria autoritaria doveva essere una sorta di arma che utilizzava per farsi rispettare. La ammirava. E fu proprio lei a prendere parola.

« Le diremo la verità, signorina Sparks. » Abigael non mancò di notare che lei non intendeva prendersi la stessa confidenza del collega. « Il lavoro sarà duro, non ci saranno gratificazioni, né promesse. Se dovessimo scegliere lei, tutto quello che otterrà se lo dovrà guadagnare. C’è gente che ucciderebbe, tanto per rimanere in tema, per un’opportunità simile. Le consiglio di valutare bene ciò che implica far parte di un giornale come il Times prima di prendere decisione affrettate. »

Aggrottò le sopracciglia. Non capiva dove voleva andare a parare. Non credeva di avere l’aspetto di una sciocca ragazzina dai sogni più grandi di lei. Se quelle parole erano un semplice pretesto per spaventarla, non ci sarebbe cascata. « Non ho paura di impegnarmi. Né di rinunciare alla mia vita sociale. » Come se tanto le fosse importato qualcosa di intrattenere false relazioni. « Voglio questo lavoro perché mi permetterebbe di mettere una parte di me in qualcosa di utile. »

Era vero. Fin da piccola, tutti l’avevano additata come strana. Era sempre stata troppo. Troppo silenziosa, troppo riflessiva, troppo pragmatica. E questo l’aveva sempre fatta sentire a disagio, come se, quelli come lei, sarebbero dovuto essere rinchiusi in un angolo di mondo a parte per far sì che non influenzassero i “normali”. Crescendo, però, aveva capito che una reale definizione di normalità non esisteva e questo avrebbe dovuto farla sentire meglio. Eppure quella costante paura di non riuscire mai a far parte di niente, non sembrava volerla abbandonare. La letteratura, così come la musica, le aveva permesso di scoprire un mondo in cui niente era troppo, ma solo abbastanza. Un mondo dove tutte le sue stranezze avrebbero avuto un posto ben preciso.
Per questo, aveva scelto Giornalismo come carriera universitaria. Era abbastanza intelligente per capire che con una laurea in Lettere avrebbe concluso ben poco. Quello sembrava un’ottimo compromesso: avrebbe raccontato storie reali, ma pur sempre storie. 


« Molto bene. Non le nasconderò di essere sempre molto restia ad assumere personale femminile. » Disse la donna, piegando i gomiti sul tavolo così da avvicinarsi almeno di un po’ a lei. « Alla fine, creano sempre problemi, le donne. Fra pettegolezzi e richieste di ferie finiscono per far andare in palla il giornale. Lei non sembra il tipo, ma preferisco comunque prima discuterne con il mio collega. Si accomodi pure fuori, vi chiameremo quando avremmo deciso. »

E così fece. Per qualche assurdo motivo, era molto più agitata adesso, mentre aspettava il risultato del suo intervento, piuttosto che quando ancora doveva farlo. Aveva ripassato nella propria mente ogni secondo di quello scambio di battute e, alla fine, aveva capito che le cose sarebbero potute essere solo o bianche o nere, senza nessuna scala di grigio.
Passavano i minuti e ancora nessuno sembrava affacciarsi dalla porta. Il ragazzo al suo fianco continuava a picchiettare il piede destro contro il bordo della sedia; quello di fronte, invece, si era incantato a fissare chissà cosa sul muro alle sue spalle. Lei non riusciva quasi a muoversi, tanta era l’agitazione e non capiva come fosse passata dal meditare la morte prima di dormire, ad entusiasmarsi veramente per una cosa come quella. Certo, era un’occasione unica che le avrebbe senz’altro cambiato la vita, ma, alla fine dei conti, della sua vita non le era mai importato veramente. Almeno fino a quando quegli occhi verdi non le si erano parati così vicini da leggere anche le pagine più nascoste della sua anima. Scosse bruscamente la testa, impedendosi di pensare nuovamente al ragazzo misterioso. 

La porta si aprì. Lei alzò lo sguardo.

« Abigael entra, per favore. »

E lei si sentì improvvisamente più leggera.

 

***

 

La pioggerella leggera ma insistente, tipica del clima londinese, picchiettava sulla tela dell’ombrello mentre si affrettava a raggiungere il centro della città. A causa del maltempo i mezzi erano affollatissimi e, piuttosto che stare stipata fra un vecchio con la pancia e il classico uomo in carriera, aveva preferito farsi l’ultimo chilometro a piedi, anche per sfogare un po’ di tensione. Il giorno di inizio dello stage era arrivato e lei non sapeva se definirsi più nervosa o sgomenta. Era la prima volta, dopo l’inizio dell’università, che si riprovava di nuovo a credere in qualcosa. Come se si aspettasse di trovare in quel lavoro il senso della propria inutile e monotona vita. Ma credere in qualcosa di così vago era pericoloso: si sarebbe potuta scottare, si sarebbe potuta deludere. E, in quel caso, tutto avrebbe ricominciato dall’inizio fino a che, finalmente, non avrebbe trovato il coraggio di correre dietro a quelle fantasie che la cullavano prima di andare a dormire.
Il palazzo le si parò di fronte agli occhi molto diverso da quello dei normali uffici giornalistici. Le pareti erano completamente tappezzate da pubblicità di ogni tipo, dalla Coca Cola, alla Nike, e facevano sentire molto piccolo chiunque vi passasse sotto. Si avvicinò all’entrata con le porte scorrevoli in vetro e già notò le netta differenza fra esterno ed interno. Uno stile minimale e pulito caratterizzava la hall, dove sulla destra faceva bella foggia di sé un ufficio informazioni. Si avvicinò ad esso e tirò fuori il pass che le avevano fatto avere due giorni dopo il colloquio.

« Buongiorno, sono Abigael Sparks. Sono qua per iniziare uno stage, concordato con Matthew Lark. » Disse, sporgendosi appena sul bancone di vetro che la separava dalla ragazza bionda dalle unghie colorate che doveva avere pressappoco la sua età. Lo sguardo superficiale che le lanciò gliela fece già rimanere antipatica.

« Mmh— Quindi sei la nuova recluta. » Commentò mentre passava in rassegna la sua sobria camicetta bianca e i pantaloni scuri. Certamente lei, con quello scollato top rosso faceva ben più sfoggio di sé, ma attirare l’attenzione di tutti gli uomini del Times, certo, non rientrava nei suoi intenti. O almeno, non quel tipo ti attenzione. « Lo chiamo. » Le mani affusolate della bionda si strinsero attorno alla cornetta, subito dopo aver composto un numero a tre cifre. « Signor Lark, la ragazza è arrivata. Sì, certo. Nessun problema. » Mise giù. « Sta arrivando, aspetta pure qua. »

Abigael si allontanò di qualche passo, stringendosi la borsa scura contro il petto. Non sapeva bene che atteggiamento doveva tenere, ma alla fine, qualsiasi esso fosse stato, non ne sarebbe stata comunque in grado. Si limitò, quindi, a guardarsi intorno, ammirando come tutti i dipendenti si affrettassero da una parte all’altra del grande palazzo, impegnati in chissà quale mansione. C’era così tanta vitalità che, per un momento, si permise di sperare che avrebbe contagiato anche lei. Che si sarebbe ritrovata, a sua volta, a cercare, entusiasta, il modo più veloce di svolgere i propri compiti, non vedendo l’ora di arrivare a sera per potersi rilassare con una bella tisana. Era questo quello che facevano le persone normali, no? E lei aveva un disperato bisogno di sentirsi normale.
Matthew Lark fece il proprio ingresso trionfale scendendo - o meglio, trotterellando - giù per le grandi scale in marmo che si trovavano di fronte al suo naso, elegantissimo nel suo completo da lavoro. Il sorriso affabile, però, tradiva quell’aria formale.

« Abigael, buongiorno! Prego, seguimi. » Disse subito, senza quasi darle il tempo di metabolizzare la sua effettiva presenza. Impiegò qualche secondo per capire che sarebbe dovuta andargli dietro e, in un secondo, ringraziò la scelta dei mocassini al posto dei tacchi. « Ti faccio fare il tour. » Affermò, riniziando a salire le scale, come se il fatto di averle appena scese a chissà quale velocità non gli avesse procurato nessun affanno. Eppure, i suoi quarant’anni doveva averli. « Al primo piano, stanno i fotografi. Se tu dovessi aver bisogno di loro, ti consiglio di chiedere prima l’intervento dell’Ufficio Risorse, perché difficilmente accettano progetti non commissionati dai piani alti. » Snocciolò, mentre percorrevano a passo veloce un lungo corridoio diviso da lastre di vetro che separavano un ufficio da un altro. E poi ancora scale. « Al secondo piano, stanno gli addetti stampa. Niente di cui tu debba preoccuparti. Il terzo piano è il tuo. » Affermò, mentre finiva l’ennesima rampa di scale. Abigael avrebbe giurato di essere sull’orlo di un infarto. « La prima divisione riguarda gli articoli sportivi, poi c’è il gossip, la cronaca nera, i casi politici e infine economia. Questo, è l’ufficio stagisti. » Concluse entrando in un ufficio più grande rispetto agli altri, ma che ospitava quattro scrivanie, ciascuna occupante un angolo della stanza. « Al momento, siete solamente in due, quindi avrai la possibilità di allargarti se ne senti la necessità. Questa è la tua postazione. » Ed indicò la scrivania alla sua destra, dove il monitor della computer era già acceso e aspettava solamente che qualcuno facesse il login. « Hai qualche domanda? Non hai ancora espresso niente in merito. »

Per poco quasi non si prese a pugni da sola.

« Chiedo scusa, è che sono stata un’attimo sconvolta da tutto questo. » Si giustificò, piegando l’angolo della bocca in quello che avrebbe dovuto assomigliare ad un sorriso. « Non mi è molto chiaro che cosa dovrei fare. Devo portare il caffè ai giornalisti? Fare le fotocopie? Non so bene cosa aspettarmi. »

« Oh, no, niente di tutto questo. Dovrai revisionare le bozze degli articoli prima che questi vadano in stampa e, se troverai qualcosa di abbastanza interessante, potrai provare a scriverne uno tuo e cercare di fartelo approvare. » Le spiegò e lei tirò un sospiro di sollievo. Molti suoi colleghi universitari avevano partecipato a vari stage, convinti di assicurarsi una formazione e un buon nome da inserire sul curriculum, ma, alla fine, si erano ritrovati a fare gli schiavetti dei soci più anziani che li utilizzavano unicamente come esecutori dei compiti più ingrati. « Direi, quindi, che puoi iniziare. Su questo foglio trovi le tue credenziali di accesso e sui server del giornale le bozze che devi revisionare. Se hai bisogno di qualcosa, sono negli uffici al piano di sopra. Buona prima giornata di lavoro, Abigael. »

« La ringrazio, signor Lark. » Rispose prima che questo sparisse dietro la porta, chiudendosela alle spalle e lasciandola da sola in quello che sarebbe stato il suo posto di lavoro per i successivi sei mesi.

Andò a sedersi alla propria scrivania e si concesse di prendersi qualche minuto per capire che quello che stava succedendo era reale e non solo frutto di un sua complicata fantasia. Forse davvero quella sarebbe stata la svolta; forse, se si fosse buttata interamente in quell’impiego, anche lei avrebbe saputo apprezzare le piccole cose che sembravano mandare avanti tutte le altre persone. Eppure, le voci acute e le risate insistenti che provenivano dalle stanze accanto continuavano ad apparirle distanti, come insensate e lei si sentiva sempre più racchiusa nel suo piccolo mondo, solo con una location diversa.
Decisa comunque a darsi da fare, inserì l’ID e la password nel computer e premette inviò aspettando che il desktop caricasse con tutti gli articoli annessi. Le successive due ore passarono velocemente e si stupì di quanto lavoro stesse dietro ad un giornale come il Times. Nel giro di poco si era ritrovata il server e la casella mail intasata di bozze da revisionare. Aveva letto articoli di tutti i tipi, dall’ultimo campionato di tennis alle imminenti nozze di due attori famosi, di cui lei non riconosceva nemmeno i volti. Ogni documento era affiancato da note, commenti, domande e lei si perse in quel piccolo cosmo di parole al punto che, quando la porta dell’ufficio si aprì, non vi fece caso fino a quando il soggetto, che fino a quel momento era rimasto fermo sulla soglia, non aprì bocca.

« Mi avevano detto che uno stagista sarebbe arrivato a farmi compagnia, non mi aspettavo che avrebbero assunto una ragazza. »

Quando alzò lo sguardo, per poco non cadde dalla sedia. Quegli occhi verdi la stavano fissando, la stavano studiando, e per poco non si prese a schiaffi, convinta di essersi addormentata e di essere dentro ad uno dei suoi sogni. Lui era lì, di fronte a lei, con una camicia scura in dosso e i capelli ricci appena bagnati dalla pioggia autunnale. Bello come non mai e nella sua stessa stanza. Non poteva essere, non poteva accadere sul serio. Aveva passato le ultime due settimane ad evitare la metro come la peste, per non ritrovarselo davanti, per non dover di nuovo confrontarsi con quelle sensazioni sconvolgenti che le suscitava, per poi scoprire di doverci lavorare insieme.
Eppure lui sembrava distaccato, per niente simile a come appariva sui vagoni in corsa. Dello sguardo malinconico e perso che l’aveva conquistata e catturata nelle sue grinfie, non c’era alcuna traccia. La guardava come se fosse quasi infastidito dall’idea di dover condividere l’ufficio con una donna e, forse, era davvero questo il problema. Forse si era sbagliata. Forse aveva semplicemente cercato negli occhi di uno sconosciuto il suo riflesso, per sentirsi meno sola, per avere anche solo una remota ancora di salvezza. Ancora che adesso si dissolveva davanti ai suoi occhi, sotto il peso della consapevolezza di essersi sbagliata.

« I-Io sono Abigael. » Disse, quasi non riconoscendosi in quel balbettio incerto. Non era mai stata una ragazza insicura nei rapporti con gli altri, aveva sempre fatto in modo che la rispettassero, perché quello era il massimo che poteva ottenere.

« So chi sei, Matthew mi ha appena informato. » Matthew? Ah, il signor Lark. Doveva avere una certa confidenza per chiamarlo per nome. Chissà da quanto tempo era lì. Sembrava più grande di lei di almeno un paio d’anni. « Beh, non so che intenzioni hai, ma mi hanno incaricato di supervisionarti, il che vuol dire che se combini qualche danno la colpa ricade su di me. Ti consiglio di non fare mai in modo che questo succeda. Ora scusa ma ho un appuntamento. » E uscì, senza darle tempo di aggiungere alcunché.

Rimase lì, per un buon quarto d’ora a fissare il pannello di vetro dal quale era uscito. Non poteva credere di essere finita sul serio in una situazione del genere. Ancora, se si concentrava, riusciva a sentire il respiro del ragazzo infrangersi fra i suoi capelli e l’angolo della sua bocca incurvarsi in una smorfia divertita. Davvero non l’aveva riconosciuta? Si era fissati sulla metro per mesi. Ma, adesso, il pensiero che fosse solo lei a farlo la colpì come un treno in cosa, facendola sentire ancor più stupida ed inutile di quanto già non fosse. Avrebbe voluto solo sparire: era ovvio che non si ricordasse di lei. Quale pazzo si fa attrarre in quel modo da uno sconosciuto? Ingoiò tutto il suo orgoglio ferito e decise di rimettersi a lavoro. Non avrebbe permesso a nessuno - nemmeno a lui  di sconvolgerla un’altra volta. O almeno era quello che continuava a ripetersi. La giornata passò lenta e priva di qualsiasi altro evento significativo.

Quando andò a dormire, quella sera, sognò un ragazzo dai capelli ricci seduto sulla metro; le spalle curve e gli occhi persi.
Davanti a lui, la sua copia lo pugnalava al cuore.



 






ANGOLO AUTRICE.

Non è un capitolo avvincente, me ne rendo conto. Ma volevo che l'attenzione si focalizzasse anche sulla protagonista oltre che sull'incontro fra loro due, che, comunque, dovrebbe apparire significativo. La mia intenzione era quella di focalizzarmi abbastanza su Abigael per far capire ancora meglio il suo totale smarrimento nel trovarsi di fronte la persona che l'aveva scombussolata per tutto quel tempo. Gradirei davvero tanto delle recensioni, non per accrescere il mio ego, ma per sapere che cosa ne pensate, così da decidere se procedere in questa direzione o trovare altre strategie. Ve ne sarei davvero tanto grata.
Per quanto riguarda i volti dei protagonisti ognuno se li immagina come meglio crede, ma personalmente ritengo che Kit Harington sia perfetto nel ricoprire il ruolo del ragazzo misterioso (a parte per gli occhi verdi, che sono una mia aggiunta); e Lily Collins sarebbe un'ottima Abigael.
Fatemi sapere cosa ne pensate.

   
 
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