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Autore: Urban BlackWolf    29/03/2017    3 recensioni
Michiru è determinata. Determinata a riprendersi ciò che le appartiene, che è suo dalla nascita. Ne va della sua stessa sopravvivenza, del suo benessere fisico e mentale.
E questa volta quella meravigliosa bionda che è la sua compagna, anima nobile, essere irrequieto, fortezza per il suo spirito e gioia della sua vita, non potrà aiutarla. Dovrà addirittura essere ferita, lasciata in disparte, relegata all'impotenza, perchè questo genere di lotte si debbono combattere da soli.
Ma la donna amante delle profondità oceaniche, non sa di avere un piccolo angelo custode venuto dal passato che la guiderà nei percorsi intrigati e dolorosi dei sui ricordi; Ami, giovane specializzanda in medicina, tenterà in tutti i modi di restituirle la libertà di sogni perduti. -Sequel dell'Atto più grande-
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Altro Personaggio, Ami/Amy, Haruka/Heles, Michiru/Milena, Nuovo personaggio | Coppie: Haruka/Michiru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Il viaggio di una sirena

 

Sequel dell'Atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou e Ami Mizuno appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Faccia a faccia

 

 

 

La halle del King George era assiepata di giornalisti sin dalle prime ore del pomeriggio. Pur essendo un albergo a cinque stelle, indubbiamente tra i migliori della città, era raro vedere al suo interno un tale assembramento di persone. Si era arrivati addirittura a bloccare il traffico della zona pur di lasciar scendere in tutta tranquillità dalla limousine, il personaggio che tutta la critica ateniese stava attendendo con ansia da svariato tempo, ovvero Flora Steiner Kaiou; una delle icone della musica classica degli ultimi lustri. Vedova di un diplomatico svizzero, in passato aveva trascorso un paio d'anni nella capitale, ma non vi aveva più fatto ritorno, neanche per una breve visita di piacere o sotto i costanti inviti delle autorità e le pressioni del suo manager artistico ed attuale compagno, Paul J. Maiers. Questo comportamento era inesorabilmente passato agli onori della cronaca come superbia, menefreghismo e, cosa ancor più grave agli occhi del fiero popolo greco, disinteresse, tanto che alcuni giornali del settore ormai non perdevano occasione di sottolineare una qualsiasi mancanza dell'artista, anche e soprattutto se privata, perpetrando a suo danno una sistematica opera di denigrazione mediatica.

Così ormai su alcuni rotocalchi si poteva leggere di Flora Kaiou solo sulla base di veri o presunti flirt, tralasciando completamente, a danno dell'arte, le enormi doti musicali che la donna aveva da sempre. Di carattere roccioso, ma estremamente capace nel manipolare persone ed eventi a suo vantaggio, all'artista poco importava che si parlasse di lei in termini poco lusinghieri, ritenendo quei quattro scribacchini della carta stampata, persone assolutamente indegne della sua considerazione. La signora Kaiou aveva ormai raggiunto l'apice da anni ed era riuscita a rimanervi, componendo la sua musica o eseguendo sempre con maestria quella degli altri. Perciò non voleva o poteva certo badare a queste quisquiglie da novellini.

L'unica accortezza che aveva sempre usato di fronte ai paparazzi era stata verso la figlia, tenuta sempre in disparte, protetta, lontana dal mondo della musica che ormai non le apparteneva più, ma che l'aveva vista affacciarsi giovanissima alle sue luci e che con altrettanta velocità l'aveva pianta quando era tornata nell'ombra. Molti, in pratica tutti, avevano e credevano a tutt'oggi che Michiru Kaiou non fosse riuscita ad emergere in campo musicale perché priva del talento materno, soggiogata da una figura troppo importante per poter essere anche solo lontanamente raggiunta. Nulla di più falso. Nulla di più idiota. Nessuno sapeva la verità. Nessun giornalista sarebbe mai arrivato a capire le vere ragioni di quell'improvvisa scomparsa dalle scene. Tutto era stato cancellato. Prove, ricordi; tutto. Flora non avrebbe mai permesso che si lucrasse anche sulla figlia o sul suo Viktor.

Aprendo la porta scorrevole della sua suites luxury che dava sulla piscina privata della terrazza, Flora guardò sorridendo l'impareggiabile vista dell'Acropoli che si estendeva dinnanzi a lei. Non ricordava Atene tanto caotica e mal ridotta, ma il fascino che aveva sempre esercitato sulla sua indole teutone era rimasto immutato e ora, dopo le “cerimonie” di rito, i saluti ed una breve intervista, poteva finalmente rilassarsi un po' alla vista di quella meravigliosa magnificenza. Il Partenone, il tempio di Atena Nike, i Propilei bagnati dal sole pomeridiano come le spiagge lambite dal mare del Pireo. Che paese ricco di fascino e cultura.

“Flora, la cena verrà servita alle venti. Ho evitato di prendere appuntamenti così che tu possa riposare. Domani mattina alle dieci è prevista una conferenza stampa e la visita al Megaron Concert Hall. Se non ti dispiace io vorrei andarci un po' prima per controllare il palco con i tecnici delle luci. Flora?”

Paul, affascinante statunitense critico d'arte di diversi anni più giovane di lei, era ormai da un lustro il suo punto di riferimento, artistico e privato, un compagno ideale, pragmatico e preciso sul lavoro, passionale ed attento nella loro relazione. Avvezzo a qualche scappatella, era comunque sempre presente, discreto e nonostante sapesse tutto dei trascorsi famigliari di Flora, degno della massima fiducia.

Che si diverta pure, pensava la donna ogni qual volta lo vedeva fare gli occhi dolci a qualche piccola arrivista del loro mondo, perché pur di mantenere una stabilità emotiva, Flora avrebbe lasciato correre ancora e ancora, scendendo a compromessi di ogni tipo.

“Cara, ci sei?” Chiese andandole alle spalle per poi abbracciarle.

“Come? O scusami Paul, ero soprappensiero.” Sorrise accoccolandosi sul suo petto.

“Non dovevi accettare l'invito del Primo Ministro. Questa città ha una pessima influenza su di te.”

”Non dire sciocchezze. - Si sciolse dall'abbraccio iniziando a liberare dalle forcine i capelli che portava raccolti in uno chignon. - Cosa vuoi che mi faccia una città.”

“Allora perché hai deciso solo ora di accettare l'invito ad esibirti qui? Sono passati vent'anni.”

“Esatto vent'anni. Un tempo sufficientemente lungo per ricominciare a vivere.” Disse vinta guardando il cielo terso.

Sotto la stessa volta, nello stesso momento, a poche centinaia di metri da lei, un'altra donna, più giovane, ma con la stessa luce di febbrile stanchezza nello sguardo, la stessa corporatura, gli stessi capelli mossi come onde di spuma, stava osservando l'ingresso principale del King George scuotendo la testa. Al suo fianco l'altra fece capolino dall'ombra dove si erano nascoste per decidere il da farsi.

“Di qui non si passa Khloe.” Disse Michiru accarezzandosi il collo.

Che idea stupida aveva avuto. Che esigenza infantile. Voleva la mamma forse? No, voleva solo urlarle contro tutto il suo dolore, il rancore, il disagio che provava da anni.

“Ma non potresti semplicemente entrare nell'halle e dire alla receptionist chi sei?” Chiesea greca vedendosi di risposta due occhi di ghiaccio puntati contro.

“Certo, per poi dirlo anche ad un paio di giornalisti, così,... tanto per gradire. Ma ragiona!”

“Nessuno si ricorderà chi sei stata, mia cara Mich.” Tagliò offesa tornando a guardare in direzione del capannello di giornalisti che continuavano a bloccare l'ingresso.

Michiru respirò profondamente cercando di soffocare l'impulso di mollarla li su due piedi che prendeva a ribollirle dentro ogni qual volta sentiva quel diminutivo. Khloe si sentiva ferita e questo era assodato, ma continuare a prenderle a calci i nervi con quel suo modo di fare e quel nomignolo che proprio non voleva abbandonare, alla straniera sembrava eccessivo. Ma si sa; ancora una volta doveva fare buon viso a cattivo gioco, perché solo Khloe avrebbe potuto concretamente aiutarla nell'attuazione del suo piano. Anche se vista la situazione, non sapeva ancora come.

 

 

“Michiru hai letto le ultime?”

Ami non poteva immaginare che quell'articolo sarebbe stato la chiave di volta. Lo aveva intravisto distrattamente mentre aspettava un suo amico alla caffetteria dell'Università ed ora, dopo averlo letto e riletto più volte, lo stava mostrando alla donna più grande studiandone intimamente le reazioni.

La grande Flora Kaiou in visita ad Atene per un trittico di concerti nella capitale.” Michiru lesse il titolo posando lentamente pennello e tavolozza sul pianale di metallo afferrando poi il giornale.

Cosa diavolo sei venuta a fare qui mamma? Pensò dopo aver spulciato qualche riga intravedendo le prime critiche. Il suo greco scritto non era come il dialetto parlato, ma il senso di molte di quelle frasi era inequivocabile.

Finalmente l'artista si degna di riapparire nella capitale dopo più di vent'anni dal suo ultimo concerto ellenico.- Ed ancora. - Il tocco dell'archetto di una delle violiniste più quotate d'Europa, sarà ancora all'altezza della sua fama? Tutta la critica è in subbuglio.”

“La massacreranno.” Rivelò mentre scendeva dal trabattello riconsegnando ad Ami il giornale.

“Perché dici così? Tua madre è una professionista affermata e capace. I biglietti sono andati a ruba non appena messi in vendita.”

“Non intendo dire artisticamente. Le spareranno contro ogni sorta d'improperi giornalistici per aver atteso tanto a tornare ad esibirsi in Grecia. Ma lo sai quante volte si è fatta negare con il Ministro delle Attività Culturali? Un po' troppe per essere amata. Molti prenderanno a scusa la sua musica per colpirla nel personale.” Spiegò iniziando a pulire il pennello.

Le importava forse qualche cosa? Perché si sentiva d'un tratto turbata? Tanto lei non sarebbe stata toccata,. Come sempre.

La specializzanda afferrò quell'inquietudine al volo. “Vorresti vederla?”

“No!” Netto. Diretto. Definitivo?

Michiru si fermò guardando l'altra negli occhi ammettendo poi di non saperlo. Non vedeva la madre da un paio d'anni e non la sentiva da poco meno di uno. Ce l'aveva a morte con lei, per tante di quelle cose che a volte le risultava difficile ricordarsele tutte; Haruka, Victor, il suo non essere accettata come figlia perché gay. Ma forse proprio a causa della lontananza e dei silenzi di Flora, o forse per via del suo momentaneo disagio interiore, di quella orrenda fragilità che la stava logorando, ora Michiru stava avvertendo nel petto una sensazione strana, al limite di un riconciliante perdono.

“Il fatto che io stia male non vuol dire che voglia la mamma!” Borbottò teneramente non rendendosi conto di stare sembrando una bambina orgogliosa dimenticata fuori dalla soglia della scuola da un genitore ritardatario. Ami sorrise posandole una mano sulla schiena sentendola continuare.

“E poi chi mi garantisce che lei voglia incontrarmi?! Ricordati che ai suoi occhi sono sempre una sconsiderata che gioca a fare l'invertita con una donna che si crede una pilota professionista. E bada Ami che son parole sue.” Stizzita passò a pulire la tavolozza continuando a brontolare mentre la voce le diventava sempre meno sicura.

"E poi dopo tutto quello che sto ricordando, dopo tutto il male che ha fatto a mio padre, al tuo, ad Haruka... non si merita certo che vada nel suo albergo ad acquietarle la coscienza.”

“Perché dovresti acquietarle la coscienza scusa. Non vorresti invece urlarle contro tutta la rabbia che senti di avere dentro? Sarebbe liberatorio e ti farebbe un gran bene Michi.” Disse il medico sperando invece che le cose potessero andare in maniera differente. Era palese che all'amica mancasse la madre.

Michiru Kaiou non era tipo da rinfacciare niente a nessuno. Non aveva quel tipo di carattere ed era estremamente corretta. Tendeva a rimuovere i torti subiti o al massimo ad evitare le persone che gliene avevano fatti, Ami lo aveva capito fin troppo bene riscontrando questo lato caratteriale anche nello stranissimo rapporto che era venuto a crearsi tra lei e la sorella. Nonostante Khloe a volte si spingesse troppo oltre e necessitasse perciò di una strigliata per tornare al proprio posto, la straniera cercava di non farle mai del male, limitandosi a sparire dal suo radar per qualche ora.

Bloccandosi di colpo Michiru la guardò come se avesse appena avuto un'illuminazione divina. “In effetti non è una cattiva idea.” Si appoggiò pesantemente con le spalle alle traverse metalliche iniziando a riflettere.

Neanche per il mio compleanno ti sei fatta sentire! E' certo! Se fossi la più brava delle figlie, vero mamma?! Se mi fossi presa un uomo sfornandoti un paio di nipotini, se fossi comunque rimasta nel mondo della musica come mi avevi chiesto e nell'alta società come avevi consigliato, allora SI che ti saresti degnata di festeggiare il giorno nel quale hai messo al mondo questa tua povera figlia imperfetta! Urlò dentro l'anima stringendo la mascella.

“Già... Non è assolutamente una cattiva idea.”

 

 

“E adesso che vorresti fare?” Chiese la straniera alla donna acquattata assieme a lei dietro l'angolo di uno dei palazzi che davano sul King George.

“Lascia fare a me Mich. Te l'avevo detto che ti sarei stata d'aiuto no? Perciò... fidati.” Khloe armeggiò con la rubrica del cellulare innescando una telefonata.

“Vorrei ricordarti di non chiamarmi cos...” Un cenno con la mano per farla tacere ed iniziò a parlare.

“Yannis? Hei bello, come va? Si, si, è da una vita. Ascolta, lavori sempre alle cucine del King? Grandioso! Avrei bisogno di un piacere....”

Poco meno di venti minuti dopo le due donne si trovavano all'interno dell'enorme cucina del hotel.

“Non credevo avessi contatti del genere, Khloe.” Disse Michiru seguendo lei e l'amico su per una scala di servizio. In effetti entrambi facevano parte dell'enorme mondo dell'accoglienza turistica, ma quando le aveva chiesto di accompagnarla non avrebbe mai immaginato tanta destrezza. In tutta onestà non sapeva neanche perché le avesse chiesto aiuto.

Riflettendoci Haruka poteva aver ragione quando affermava che Khloe era l'unica a capire cosa realmente stesse provando e forse inconsciamente Michiru stava tendendo a vederla come un punto d'ancoraggio, un appiglio al quale aggrapparsi per cercare di far chiarezza ed ordine nella sua vita.

Arrivando al pianerottolo del primo piano Yannis si voltò verso l'amica dandole istruzioni. Se non volevano rischiare di essere scoperte dalla vigilanza dovevano agire separatamente. Michiru sarebbe dovuta entrare da sola all'interno della suites luxury. L'altra avrebbe dovuto aspettare ai piani più bassi e all’occorrenza, attirare su di se l’attenzione.

“E mi raccomando. Se doveste essere scoperte non fate il mio nome. Questo lavoro mi serve. Intesi?!” Disse il bel ragazzo moro venendo subito dopo raggiunto da una poderosa pacca sulla spalla.

“Tranquillo bello, per chi ci hai preso?! Te ne devo una!”

“Beh Khloe, se dovessi stancarti di stare con la tua ragazza... Io sono sempre disponibile.” Ci scherzo' su ridendo ed ammiccando nei confronti della straniera per poi sparire dietro ad una porta taglia fuoco.

“No, come ragazza!?” Chiese Michiru arpionata poi all'avambraccio dall'altra.

“Dai Kaiou, forza. Non badarci troppo.” E così dicendo iniziarono a salire le scale.

 

 

Un paio ti tocchi lievi alla porta e Paul sbuffando andò ad aprire.

“Hai ordinato qualcosa?” Chiese alla donna seduta su uno dei divani indaffarata a lucidare il suo strumento musicale.

“Assolutamente no.”

“E allora sono rogne.” Disse con la mano già sulla maniglia.

“Abbiamo già detto di non voler essere disturbati...” Ma la frase gli morì nella gola. Davanti a lui una bella donna dai capelli lunghi e mossi racchiusi da una coda di cavallo. Gli occhi di un blu intensissimo. Il viso tanto simile a quello della sua Flora, i lati della bocca piegati in un leggerissimo sorriso. Le mani sul grembo. La postura composta.

“Signor Maiers...”

“Michiru?!” Rimanendo di sasso per qualche secondo non la invitò ad accomodarsi fino a quando la voce di Flora non lo raggiunse scuotendolo dallo stupore.

“Paul... chi è?” Chiese piatta sempre intenda a curare il suo strumento. Non amava le improvvisate.

Nel sentire la voce della madre Michiru avvertì una morsa alla bocca dello stomaco, ma rimase impassibile di fronte all'uomo che lasciandole spazio, le fece cenno di entrare.

“Flora... “ La chiamò lui.

Fu allora che gli occhi delle due donne s'incontrarono. La madre si alzò lentamente dal divano mentre la figlia avanzava cautamente verso di lei.

“Michiru...” Dio mio com'era bella la sua ragazza. Elegante ed austera come lei, eppure semplice ed alla mano come il padre.

Lasciando il suo strumento su uno dei cuscini del divano allargò leggermente le braccia senza neanche rendersene conto e senza volerlo scientemente, Michiru lasciò che le gambe scattassero in avanti tuffandosi nel petto materno.

“Mamma.” Disse stringendo e sentendosi stringere fortissimo.

Com'era caldo il seno di sua madre, com'era bello sentire la sua voce, com'era incredibile quella sensazione di intensa famigliarità. Non doveva urlarle contro? Non voleva vomitarle tutto il rancore che stava covando da anni nella sua anima? Si sentì una stupida, sciocca, piccola ragazzina sentimentale, ma non poteva fare diversamente. Avvertì gli occhi bruciare e per pudore continuò a tenere premuto il viso sul maglione della donna respirandone l'odore come faceva da bambina. Sentiva le carezze della mano di lei al lato della testa, ed il suo respiro vicinissimo. Erano due anni che non si vedevano e che non si abbracciavano; molti di più. Forse dal funerale di Viktor.

Se solamente non avessi preso quel sonnifero, allora forse... Quella frase le fulminò la testa provocandole un dolore acuto, simile a quello avvertito qualche giorno prima. Digrignando i denti Michiru lo sentì scomparire mentre allontanava il viso dalla madre sciogliendo leggermente quel contatto.

“Michiru, cosa ci fai ad Atene?” Le chiese tenendole il mento con il pollice e l'indice della destra.

“E' una lunga storia mamma.”

Flora corrugò la fronte notando il viso stanco della figlia. Una luce triste le velava lo sguardo e si stupì nel pensare che potesse essere accaduto qualcosa alla donna con la quale conviveva.

“Va tutto bene Michiru?” Chiese inquisitoria.

“Si mamma.” No! Perché non glielo dici?! Sputa tutto fuori, Kaiou! Che sappia a cosa ti ha portato il fingere continuamente, il costruirti una barriera tra i tuoi sentimenti ed il mondo, di quanto stai male nel saperti non accettata, di quanto avevi bisogno di lei quando partiva lasciandoti sola, di quanto l’avresti voluta al tuo fianco quando Haruka stava male. Coraggio!

“Sono ad Atene per lavoro. Ho visto che hai in programma tre concerti e desideravo salutarti.” Vigliacca! Pensò rabbiosa vergognandosi di se stessa.

“Hai fatto bene cara, anche se avrei preferito essere avvertita. Lo sai che non amo i cambi di programma.” Eccola qua la vera Flora Kaiou!

“Già, scusa.” Disse liberando il mento dalle sue dita con un leggero movimento della testa.

Michiru avvertì l'ennesima mazzata datale in mezzo alla schiena. Era durato a sufficienza quell'idillio, adesso doveva ritornare alla realtà di un rapporto che per un essere umano, e non solo, è il più importante del mondo e che per lei rappresentava solo dolore e rimpianto. Idiota che ci aveva anche creduto.

“Di quale lavoro si tratta?” Chiese tornando a sedersi sul divano. Alla figlia non sfuggì l'oggetto che aveva accanto. Un violino stupendo.

“Allora?” Incalzò accorgendosi dello sguardo di meraviglia che stava riservando per il suo strumento.

Prendendolo tra le mani glielo porse come un sovrano con la spada da donare al suo campione. “Da quanto non ne tocchi uno?”

Da ieri sera. Avrebbe voluto dirle, ma lungi da lei. Si limitò a sorridere chinando leggermente la testa da un lato.

“E' incredibilmente bello. Complimenti.” Ma non lo prese. Si guardò invece l'anulare della mano sinistra protetto dalla fede regalatale da Haruka.

La donna fece altrettanto sentendosi irritata nel riconoscere in quell'anello un legame per lei incomprensibile. Riponendo lo strumento nella custodia e consegnandolo poi al compagno rimasto sino a quel momento in religioso silenzio, tornò ad osservarla attendendo la risposta alla sua domanda. Paul deglutì. Quelle due gli erano sempre apparse come due aspidi pronte a fronteggiarsi. Ora in posizione di veglia, apparentemente tranquille, ma pronte ad ergersi per surclassarsi.

“Allora, non vuoi dirmi a cosa stai lavorando?”

“Vedi io...” Ma un gran trambusto proveniente dal corridoio la fece voltare di scatto e pensare al peggio. Khloe!

“Ma che diamine sta succedendo? Paul, di grazia...” Lui obbedì ed una volta aperta la porta, la guardia adibita al piano si scusò dell'inconveniente assicurando che non c'erano problemi. Tra le mani, bloccata con un avambraccio dietro la schiena ed un polso serrato dalle dita di lui, Khloe si stava divincolando come un ossessa.

“Lasciami animale! Non ho fatto niente che meriti le tue zampaccie addosso.”

“L'ha sentita?! La lasci!” Intervenne Michiru fiondandosi verso l'energumeno stempiato. Fu allora che Flora la riconobbe.

“Khloe Mizuno... - Disse incredula per poi fissare inorridita la figlia. - Ma che cosa diamine significa?!”

Paul fece cenno alla guardia di lasciare la mora che una volta sentitasi nuovamente libera, prese a massaggiarsi il braccio provando un gran dolore. Uomini!

“Ti ha fatto male?” Chiese Michiru all'altra per poi tornare a guardare la madre che nel frattempo si era rialzata ed aveva fatto qualche passo nella loro direzione.

“Non significa nulla mamma. Khloe si è solamente offerta di accompagnarmi.” Ed era la pura e semplice verità. Ma tanto non avrebbe capito. E di fatti Flora consigliò duramente ad entrambe di andarsene e senza remore girò loro le spalle.

“Ma stiamo scherzando?! Signora Kaiou lei non ha neanche idea di quel che Michiru sta...”

“Khloe basta così!” Le intimò la straniera bloccandole il braccio con una presa ferrea, aggiungendo un ti prego, che ne smorzò l'aggressività.

“Sono contenta di averti vista in buona salute mamma. Spero di sentirti presto. Signor Maiers...” Piegando leggermente la testa in avanti salutando l'uomo rimasto fermo accanto alla porta e girando i tacchi si incamminò precedendo l'altra e la guardia.

“Flora...” Disse Paul sperando che si voltasse. Non lo fece.

 

 

“Ma ti vuoi fermare! Michiru...” La greca stava facendo fatica a starle dietro.

A passo svelto, sulla soglia della corsa, l'altra aveva preso a marciare con velocità appena solcata la porta secondaria del King. Avevano dovuto eludere i giornalisti anche per uscire, perché, contrariamente alle convinzioni di Khloe, la figlia di Flora Steiner Kaiou sarebbe stata sicuramente riconosciuta da qualcuno di loro, soprattutto se veterano della carta patinata. Pugni serrati come non era solita avere, sguardo fieramente dritto di fronte a lei, mascella rigida ed una vistosa ruga che in pratica le solcava tutta la fronte, la dottoressa Kaiou sembrava ora più l'Ingegner Tenou, che l'aggraziata donna di sempre. Si era addirittura arrotolata le maniche della camicia color panna che aveva deciso d'indossare quel giorno dal caldo insolito, proprio come avrebbe fatto Haruka, sciogliendosi poi i capelli non appena trovatasi all'aperto, perché almeno loro non fossero costretti a sentirsi prigionieri come si stava sentendo lei in quel momento. E si, sembrava proprio aver preso i tratti fisici e comportamentali della sua adorata bionda.

“Michiru, per favore.” Khloe decise di scattare arrestandone la fuga. Bloccatole un braccio la costrinse a fermarsi al centro di un marciapiede.

“Lasciami!” Le urlò contro voltandosi di colpo. Gli occhi lucidi. Lo sguardo sofferente.

“La macchina è dalla parte opposta.” Le indicò con il pollice sperando di fermarne il vortice emotivo nel quale si era cacciata.

“Non m'importa! Voglio andare a piedi. Ho bisogno di camminare.” Uno strattone e di nuovo libera di riprendere la marcia.

“Ma ragiona... Sono chilometri. Michiru!” La vide fermarsi di colpo gioendo intimamente per vittoria una frazione di secondo, dovendo però immediatamente ricredersi. Seguendo il filo dei suoi desideri l'altra le chiese l'ennesimo favore. Incredula Khloe ascoltò quella particolarissima richiesta.

“Ho voglia di bere!... Portami in un posto dove si beve.”

“Scusa...? Credo di non aver capito...”

 

 

Il pub che la donna più grande aveva scelto per l'insano desiderio delirante di Kaiou non era tanto distante dal Re del mare. Mossa questa che Khloe aveva deciso di muovere immaginando a cosa avrebbe potuto portare quel tardo pomeriggio. A quanto si ricordava Michiru non amava birre o vino, a maggior ragione i super alcolici, ancor più se ci si riferiva a droghe di media efficacia. In pratica era una “salutista” convinta. Anzi, esigeva da chi le stava accanto di seguire il suo stesso esempio. Perciò alla prima chiara sorseggiata dall'altra si ritrovò a storcere il naso per nulla convinta di quello che ai suoi occhi sembrava follia.

“Ma sei proprio sicura di quello che stai per fare?” Le chiese accarezzando con i polpastrelli di entrambe le mani le goccioline di condensa del suo boccale di birra.

Inalando nervosamente aria nei polmoni, Michiru la guardò per un attimo per poi tuffare le labbra nel luppolo. Un paio di copiosi sorsi ed il boccale si piantò rumorosamente sul legno del tavolo. Solo allora Michiru si concesse di guardarsi intorno. Il locale era piccolo, intimo e con poca clientela. Beh, ovvio, visto che non era arrivata neanche l'ora della cena. Era un pub come tanti altri. Legno, panche, bancone, spillatrici, pareti cariche di ogni sorta di cose messe a caso, luce bassa, musica alta, ma ancora sopportabile.

“Dove siamo?” Chiese apparentemente un tantino più calma.

“Dietro la pensione. - Rise sorseggiando la sua birra. - Non so cosa aspettarmi da questa tua alzata di capo Mich e se dovessi essere costretta a portarti in spalla, vorrei non fare una figuraccia stramazzando al suolo prima di arrivare sulla soglia di casa.” Un altro sorso e le rivelò che qualunque cosa fosse accaduta in quelle ore, nessuno sarebbe andato a darle fastidio. Nessun uomo le avrebbe ronzato intorno e nessuna battutina idiota all'indirizzo del suo bel corpicino sarebbe arrivata alle sue perfette orecchie da musicista.

“E' il locale di una mia amica. Lo gestisce con la sua compagna. Ti lascio immaginare che la clientela qui, specialmente a quest'ora, è molto... monotematica.” Rise nuovamente riferendosi a frequentazioni prettamente femminili.

“Ci mancherebbe anche che dovessi fare a pugni per proteggere la tua virtù.”

Michiru la guardò accigliata. “Credi veramente che non sarei in grado di difendermi da sola Khloe?”

“Si Mich.” Ancora quel diminutivo idiota! Glielo faceva apposta. Ormai Kaiou n'era certa.

“Ma si può sapere cosa ti ho fatto? Perché continui a trattarmi in questo modo?” Chiese stringendo il boccale talmente forte che si stupì di non riuscire a spaccarlo in mille pezzi. Aveva una carica nervosa pazzesca. Lo avvertiva in ogni fibra del suo corpo.

“In quale modo?” Beffarda e leggermente maligna, la greca la stava punendo, ed era più che ovvio che la causa fosse solo una.

“Lo sai benissimo, non trattarmi da idiota... ti prego. Urlami contro, inveisci pure, perché lo so di averti fatto male volendo mantenere le distanze tra noi, ma non continuare con questo atteggiamento Khloe... Non lo sopporto. Come non sopporto quel maledetto diminutivo che continui ad appiccicarmi addosso!”

“Allora lo sai che cosa mi hai fatto... Mich.” E Michiru scattò in piedi sentendo l'otre della sua pazienza colmo e trasbordante.

L'altra la fermò continuando a fissare il liquido nel suo bicchiere. Chiedendole scusa l'esortò a risedersi. Doveva dichiarare una tregua. Non era corretto comportarsi da bastarda proprio dopo aver assistito al comportamento che la signora Flora aveva riservato alla figlia. La osservò risedersi per poi iniziare a bere anche lei.

Dopo qualche minuto di silenzio Michiru le sorrise mestamente rivelandole che ogni tanto, un buon bicchiere di vino ed una birra davanti ad una bella pizza, se li concedeva volentieri anche lei.

“Tu con un calice di rosso? Proprio non ti ci vedo.” Ammise alzando un sopracciglio. Che scoperta.

“Scusa se mi permetto, ma dimentichi anche troppo spesso che non ci frequentiamo da anni. Sono cambiate parecchie cose. Sono cambiata io.”

“Già, me ne sono accorta.” Disse con leggera tristezza, chiedendole poi se era con lei che pasteggiava il nettare degli dei.

“Si, qualche volta prima di cena, soprattutto se è Ruka a rincasare per prima. Comunque preferisco il bianco.”

Ruka, ripeté la più grande nella testa. Un diminutivo estremamente dolce.

“E com'è? Intendo dire..., com'è lei?”

“Davvero lo vuoi sapere?” Rispose Michiru con un'altra domanda.

“Forse no.” Sorrise nuovamente tornando a bere riuscendo a finire quasi del tutto il suo boccale. Forse sarebbe stato il caso di spostare la conversazione su altri soggetti o sarebbe stata Kaiou a doverla portare in spalla, perché ora come ora, solamente stordirsi con l'alcool sarebbe servito a cancellare momentaneamente l'attrazione che, inesorabilmente e nonostante il suo comportamento glaciale, continuava a provare per quella donna fantastica.

Cercando il tatto che la natura non le aveva donato, Khloe le chiese allora di Flora e l'altra le confessò che la madre si era comportata con lei proprio come s'immaginava avrebbe fatto, solo che non si sarebbe certo figurata che l'avrebbe rivista accanto a colei che era stata la pietra dello scandalo lanciata vent'anni prima contro la sua famiglia. La donna peccaminosa che aveva condotto la figlia alla lussuria solcando oceani di perdizione.

Mizuno scoppiò a ridere serrando i dotti lacrimali con le dita. “O Dio mio! Ma davvero pensa questo di me?! Sarei una pietra?! Fantastico! Tua madre è uno spasso, Michiru.”

"Lascia che ti dica che hai un'idea molto distorta della parola spasso. Non sai che darei per avere una madre come la tua.”

Khloe le diede ragione. Agapi era una donna straordinaria, ma soprattutto una madre meravigliosa. Non aveva mai fatto pesare alla figlia la sua omosessualità, così come aveva sempre accettato le ragazze che frequentava e gli amici del quale si circondava. Pur desiderando che continuasse gli studi non aveva insistito troppo perché frequentasse l’Università, lasciandola libera di decidere da sola. Solo poche cose le erano state, in un certo senso “imposte”, ovvero la rettitudine, l'onesta ed il coraggio. Tutte doti che la madre, come d’altronde il padre, ritenevano inalienabili per un arcade e Khloe non aveva fatto fatica a perpetrarle tutte e tre, perché in fin dei conti da generazioni erano la linfa della famiglia Mizuno.

“Non ricordavo tua madre tanto fredda.” Rivelò ad un tratto notando che entrambe avevano i boccali vuoti. Facendo un cenno al ragazzo che serviva in quel momento al bancone guardò l'altra non fare obiezioni.

“Come potresti ricordarti qualcosa di lei se era sempre all'estero presa da qualche tournée.” Disse massaggiandosi la fronte.

“Hai mal di testa?”

“Si, un po'. Credo sia la tensione." Sospirando sorrise al cameriere porgendogli il bicchiere vuoto.

A Khloe non sfuggì. Era vero, Michiru Kaiou era cambiata e parecchio anche. Certo a sedici anni non si è ancora ne carne ne pesce, ma il carattere è ormai abbastanza formato. La signorina di una volta non solo non l'avrebbe mai seguita in un piccolo localino del porto, ma non si sarebbe neanche mai prestata ad aiutare un cameriere. Non che fosse snob, altezzosa o menefreghista, semplicemente non ci avrebbe pensato, non avrebbe letto in un gesto tanto semplice il succo del rispetto per il lavoro altrui. Michiru era sempre stata abituata al sacrificio, allo studio e alla dedizione, passando ore chiusa ad esercitarsi in una cosa che sapeva gia' fare perfettamente, nella quale eccelleva. Ma il quegli anni adolescenziali passati insieme non aveva mai manifestato sensibilità verso gli altri. Ora invece era totalmente diversa.

La sofferenza, si sa, può portare a due sole strade; la chiusura completa o l'apertura totale verso gli altri. Accidenti se sei diventata bella! E non solo fuori, ma anche dentro. Pensò sentendo sulle labbra un'irrefrenabile voglia di baciarla.

Cercò di non badarci. “Magari la morte di tuo padre l'ha portata ad inaridirsi.” Si permise.

“Forse, ma riguardo alle mie... tendenze, non ha mai manifestato comprensione, anzi. Quando intuì che tra noi c'era qualcosa di piu' profondo di un'amicizia, diede di matto. Ricordo che fece una scenata degna dei migliori melodrammi settecenteschi. Altro che la freddezza di questo pomeriggio.” Non era stato piacevole allora vedere nello sguardo della propria madre un sentimento non molto diverso dal disgusto.

“Mi dispiace, non ne sapevo nulla. Se avessi immaginato...”

Michiru fece un sorrisetto guardandola di sottecchi. “Che cosa avresti fatto Khloe? - Disse abbassando la voce. - Le avresti urlato contro il tuo amore per poi rapirmi?”

Ma la greca non trovò quell'uscita divertente. “Lo sai che se avessi potuto lo avrei fatto. Ci avevamo anche pensato, non ricordi? Ma c'era di mezzo la mia famiglia."

L'altra abbassò la testa chiedendole scusa. Aveva avuto una pessima uscita. Ritrovò nella memoria quei discorsi al limite dell'infantile, dove allora la parola amore era stata letta da quelle due ragazzette inesperte come la più grande delle certezze, ed una fuga, la più grande delle avventure possibili.

Non parlarono più per parecchio tempo, ed una volta finita anche la seconda birra, decisero di pagare ed incamminarsi verso la pensione. Ormai era l'ora di cena e la strada che portava al Re del mare si era andata via via spopolando. Le luci del porto risplendevano nel crepuscolo serale come piccole stelle colorate di giallo e quella particolare porzione del giorno che i professionisti della fotografia chiamano l'ora blu, era da poco iniziata proprio quando le due decisero di fermarsi un attimo a godersi il mare dal parapetto del marciapiede che costeggiava gli scogli frangiflutti. L'odore dei crostacei e delle alghe colpì le narici di Michiru facendole inarcare i lati della bocca all'insù. Adorava quella particolare fragranza che ai più dava un senso di marciume e nausea.

“Mi è sempre piaciuto tanto quest'odore.” Ammise gonfiando il petto come un segugio.

Si sentiva leggera. Benedetto sia l'alcool. Almeno per questa sera. Pensò continuando ad inalare iodio.

“Lo so.”

E fu allora che rapida Khloe le portò la destra alla vita costringendola a voltarsi leggermente verso di lei mentre simultaneamente compiva un passo per avvicinarsi.

Per la seconda volta nel corso di quella pesantissima giornata, Michiru si vide costretta a stare faccia a faccia con il suo passato. Prima sua madre. Ora Khloe. Sbattendo le palpebre inarcò leggermente il collo all'indietro per sottrarsi, ma trovandosi la schiena bloccata dal muretto ed il petto premuto da quello della donna più grande, non riuscì a svincolarsi in tempo per evitare il contatto. Le labbra di Khloe si posarono sulle sue con rispetto, ma senza possibilità di farsi negare in quello che fu un bacio intenso e prolungato.

 

   
 
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