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Autore: Roberta_Bavia    29/03/2017    0 recensioni
Ma il suo istinto gli diceva di fidarsi.
Di fidarsi di quella semi-conoscente che gli aveva dato dei grattacapi ancor prima di mettere piede sulla Terra.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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RIFUGIO

 
I rifornimenti scarseggiavano e l’aria calda e afosa di quelle giornate che sembravano volgere all’estate non aiutava gli ormai 82 sopravvissuti che, stanchi e affaticati, cercavano di ritornare al campo dopo una giornata passata tra i boschi.
Bellamy e Clarke si erano allontanati per parlare di una qualche strategia difensiva, quando Finn udì un rumore conosciuto espandersi nell’aria.
“E’ il corno! La nebbia acida!” urlò, mentre intorno a lui il gruppo si dispargeva veloce come foglie al vento. Si guardò intorno, ma né Bellamy né Clarke erano in vista.
Dovette affrettarsi a cercare un riparo, mentre pensava che probabilmente, con l’arrivo di Raven, aveva perso Clarke per sempre.

 
All’urlo di Finn, Bellamy si guardò intorno, tutt’a un tratto spaventato, come succedeva sempre quando sentiva le parole “nebba acida”. Iniziò a sudare freddo, cercando di pensare ad un qualsiasi posto in cui andare a rifugiarsi. Il campo era ancora troppo lontano, non c’erano grotte in vista.
E il panico, quel panico che lo attanagliava ogniqualvolta uscivano in missione, non lo aiutava a pensare.
Il resto del gruppo si era disperso in ogni direzione, ma lui sapeva bene che senza un posto in cui andare, senza una rotta da seguire, la maggior parte di loro forse non ce l’avrebbe fatta.


“Bellamy! Bellamy, andiamo! Sbrigati!”
Nella confusione, il moro non si era accorto della presenza accanto a lui.
Clarke sembrava calma e razionale, come al solito. La invidiava tanto per questo. Era il genere di persona che in qualunque situazione riusciva a mantenere il controllo e a trovare una soluzione.
“Seguimi.” disse, affannata, mentre si dirigeva verso nord-ovest attraverso una coltre di alberi così fitta che bloccava ogni loro passo.
Bellamy si chiedeva dove stessero andando, se la direzione fosse quella giusta.
Ma il suo istinto gli diceva di fidarsi.
Di fidarsi di quella semi-conoscente che gli aveva dato dei grattacapi ancor prima di mettere piede sulla Terra.


“Tu vuoi che tutti loro seguano te, e adesso, pensano che uno di noi abbia paura." gli aveva detto una volta.
Si mise a ridere, perso nel ricordo di quello sguardo convinto e che, in fondo, lo aveva letto e sembrava ancora leggergli dentro.
“Cosa c’è di tanto divertente?” disse Clarke con la voce spezzata mentre cercava di aprire la porta di un bunker ricoperta di foglie. “Ti sembra tanto divertente rischiare una morte dolorosa?”
“Rilassati, Principessa.” rispose, mentre si avvicinava per aiutarla.
-Principessa-, pensò. Non ricordava da quanto tempo aveva iniziato ad usare quel termine in un modo…beh, in un modo non dispregiativo.


“Ecco fatto!” esclamò lei. “Andiamo.”
Scesero nel bunker e solo ad un secondo sguardo Bellamy si accorse che il rifugio in cui si erano rintanati era lo stesso in cui, loro due, avevano trovato i fucili qualche settimana prima.
Ricordava la sensazione di sollievo al ritrovamento di quei fucili benedetti, l’odore di stantio di quel luogo inabitato da un secolo. Ricordava la sua mano sulla spalla di Clarke e il profilo concentrato di lei.
E soprattutto, ricordava quel piccolo tuffo che aveva fatto il suo stomaco nel guardare quegli occhi perfettamente azzurri che si stringevano per prendere la mira e…


“… di rifornimenti ed ora siamo bloccati qui a causa di quella maledetta nebbia!”
Bellamy, perso nei suoi pensieri, si era a malapena accorto della sfuriata, anzi, della furia che Clarke emanava in quel momento. Si muoveva come una forsennata, e questo non faceva che rendere il suo panico meno sopportabile.
“Ehi ehi, Clarke.  Calmati. Appena la nebbia sarà passata torneremo al campo e ci assicureremo che tutti ce l’abbiano fatta. Abbiamo ancora cibo e acqua per una settimana, c’è tempo.”
Mentre lo guardava, Clarke prese un profondo respiro e si massaggiò le tempie.
“Ed ora? Ora che facciamo?”
Bellamy si tolse la fondina con il fucile, la appoggiò a terra, e si mise a sedere su una specie di divano mezzo ammuffito che aveva appena notato.
“Ora” disse, sorridendo, “aspettiamo.” E batté la mano sul divano invitando Clarke a sedersi accanto a lui.
Clarke fece uno di quei sorrisi sforzati che lui aveva imparato a riconoscere e gli si sedette accanto.


Rimasero qualche minuto in silenzio. Stranamente, nessuno dei due sentiva il bisogno di romperlo. Era un silenzio disteso, di riflessione, non uno di quei silenzi imbarazzanti che le persone normali avrebbero rotto con un colpo di tosse o con qualche frase buttata lì a caso.
-Bene-, pensò Bellamy, sarcastico, mentre sorrideva, -ho appena confermato la mia teoria: io e Clarke non siamo persone normali.-
“Perché ridi?” chiese Clarke, tra il sorpreso e il sospettoso. “Lo hai fatto anche prima.”
“Beh, è solo che..” iniziò Bellamy, mentre il sorriso veniva rimpiazzato da una calda risata “..non siamo persone normali!” E iniziò a ridere, una risata incontrollabile che presto riuscì a contagiare anche Clarke.
Entrambi, seduti l’uno accanto all’altra su quel divano, ridevano con le lacrime agli occhi mentre il mondo là fuori implodeva.
Tra le lacrime, Clarke disse “Non ridevo così tanto da molto tempo.” ed espirò, cercando di calmarsi.


Una volta passato questo piccolo attacco isterico, Bellamy si alzò dicendo: “Dai, ora riposa. Provo ad affacciarmi per controllare che la nebbia se ne sia andata.”
Clarke annuì, e la loro piccola bolla di felicità si infranse.
Bellamy vide Clarke stendersi mettendo una mano sotto la guancia, come l’aveva vista fare molte altre volte. Si avvicinò alla porta del bunker, e la aprì pian piano. La nebbia era sparita.
-Finalmente!- pensò.
Tornò da lei per dirle che potevano muoversi, ma Clarke si era già addormentata.


Si avvicinò, sedendosi sul pavimento di fronte al divano. Si meritava un po’ di riposo, non l’avrebbe svegliata. Al campo lo avrebbero capito.
Mentre si agitava nel sonno, una ciocca di capelli le cadde sugli occhi.
Cercando di non svegliarla, avvicinò la mano a quella ciocca per spostarla ma poi si bloccò.
Appoggiò pian piano le dita sulla sua guancia, uno alla volta, finché tutta la sua mano si adeguò a quella posizione. Il suo istinto gli diceva di spostarsi, gli diceva che da un momento all’altro lei avrebbe potuto svegliarsi e beccarlo. Ma il suo stomaco era di nuovo in tumulto, all’altezza del petto un peso gli impediva quasi di respirare. Iniziò a guardarla. Anzi, a studiarla.
Ad occhi socchiusi iniziò a studiare le sue labbra, leggermente secche, perché non beveva abbastanza. Spostò la concentrazione sul suo zigomo sinistro, su cui una cicatrice iniziava a farsi largo, arrivando quasi fino al naso, che non aveva nulla di particolare. Ma era il suo.


In quel momento, il suo sguardo si posò su quegli occhi azzurri…quegli occhi azzurri che pochi istanti prima erano chiusi, ma che in quel momento lo stavano fissando.
-Merda, ora che faccio?- pensò Bellamy. Pensò di spostare la mano appoggiata sulla sua guancia, ma era troppo pesante, quasi non la sentiva. E poi il danno era fatto.
Incatenato com’era al suo sguardo, gli sembrava impossibile respirare.
“Cosa fai?” chiese lei, ma non sembrava arrabbiata. Un germoglio di speranza si fece strada nel suo cuore.
Bellamy fece scivolare il pollice su e giù per la sua guancia, cosa che gli dava una strana sensazione di leggerezza e felicità che non aveva mai provato prima.
“Ti tengo d’occhio, Principessa.”
   
 
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