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Autore: Heihei    29/03/2017    1 recensioni
Bethyl-AU
Quegli stupidi degli amici di Beth sono determinati a rendere il suo diciottesimo compleanno memorabile, peccato che le loro buffonate la faranno restare bloccata in un brutto quartiere di una città sconosciuta, attualmente pattugliato dall'Agente Shane Walsh. Minacciata sia dagli agenti che dai criminali, dovrà rassegnarsi alla compagnia di un gruppo di zotici, tra cui un certo redneck particolarmente scontroso.
**Questa storia NON mi appartiene, mi sono limitata a tradurla col consenso dell'autrice**
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Greene, Daryl Dixon, Maggie Greeneunn, Merle Dixon
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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PREMESSA
Dato che questi due capitoli, il terzo in particolare, erano davvero brevi e collegatissimi tra loro, mi sono permessa di pubblicarli insieme. Spero non vi dispiaccia.





III. KJA / IV. Scuse

 

 

La voce al megafono annunciò quello che Minnie aveva già riferito dopo la sua conversazione con Leon: “Va bene, ascoltate, residenti di Kelly Jo Ave. Per il momento, ho bisogno che tutti voi restiate chiusi in casa. C’è un problema col vostro vicino della 708 e, finché non sarà risolto, la vostra sicurezza potrebbe essere compromessa. La cosa migliore è lasciarci fare il nostro lavoro, quindi tenete duro fin quando non vi dirò che sarà finita.
Ripeté il messaggio più volte, in diversi punti della strada.
“Lo conosco”, brontolò Andy. “Agente Walsh. E’ un gran pezzo di merda.”
“Non hanno detto per quanto tempo?”, chiese Beth con un’imbarazzante nota di disperazione nella voce.
Nick si grattò la nuca e si lasciò sfuggire una breve risata. “Dannazione, bambolina, non lo sanno neanche loro. Potrebbero metterci cinque ore come cinque giorni.”
Giorni?!”
Il suo cuore saltò un battito, non poteva restare chiusa lì dentro così a lungo.
“No”, disse Merle con un cipiglio. “Ci terranno bloccati qui massimo per una notte e poi ci scorteranno fuori dalla barricata, tutti noi. Ma potrebbero impedirvi di tornare a casa finché l’idiota della 708 con la bella macchina non si arrende o viene sparato.”
Il pensiero di dover restare anche solo per una notte non la rassicurò. Osservò i suoi compagni di sventura e si chiese se anche Minnie e Karen fossero preoccupate quanto lei, ma non sembrava.
“Se andrà così… tu dirai agli sbirri che sei sua figlia, Lola.”
Nick indicò Minnie e scelse Merle come suo finto padre.
“Mmh… vieni da papà.”
Merle si guadagnò un paio di risate da parte dei parenti di Nick.
Daryl, al contrario, sembrava infastidito. “Lola?!”
“...E loro sono le tue amiche. Siete qui perché tuo padre doveva portarvi a cena fuori, non per comprare qualcosa, capito?”, continuò Nick.
Minnie annuì immediatamente. “Buona idea.”
“Se dovrò affrontare delle accuse… con questa storia possiamo convincerli”, disse, di nuovo con la fronte sudata. “E possiamo tenervi fuori”, aggiunse in tono forzato, come se volesse convincerle che avrebbero dovuto mentire per il loro bene.
“Amico, non parlare così”, Merle si appoggiò allo schienale della sedia e incrociò le braccia al petto. “L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è che un fatalista figlio di puttana ci rovini il divertimento. Gli sbirri sono qui per la 708, non hanno alcun motivo per romperci le palle.”
“A maggior ragione, non fate nulla che possa attirare l’attenzione”, li pregò Nick. “Non rendete la situazione più precaria di quanto non sia già.”
Il suo sguardo si fermò a lungo su uno dei suoi parenti, che sembrò offendersi per essere stato indicato.
“Nessun problema, amico”, disse Merle, osservando a sua volta il parente di Nick. “Dobbiamo semplicemente ammazzare il tempo. Avete qualche DVD? Netflix?”
Mentre i ragazzi proponevano idee su come trascorrere il tempo in modo legale, Beth si avvicinò a Minnie.
“Come fai a essere così calma?”, le sussurrò.
Non solo sembrava tranquilla, addirittura sorrideva.
“Oh, sono furiosa, ma sto immaginando possibili scenari di vendetta”, rispose. “Almeno… siamo in questo casino con una buona-brutta compagnia. Possiamo ancora passare una bella serata.”
I suoi occhi guizzarono verso il ragazzo seduto più lontano da loro, uno dei parenti di Nick. Era quello più vicino alla loro età, doveva avere poco più di vent’anni. Aveva due piercing al labbro inferiore, uno per lato, e le dita tatuate.
“Minnie, sul serio?” Beth le lanciò uno sguardo di profonda disapprovazione.
“Oh, sì.”
Senza capire se faceva sul serio o no, sospirò, incrociando le braccia al petto e guardando altrove. Notando la sua reazione, Minnie le diede una spintarella e cominciò a ridere. “Sto solo cercando di alleggerire un po’ l’atmosfera. Questa nottata non deve per forza essere un disastro totale come sembra, e poi… lui è carino.”
Era la situazione peggiore in assoluto in cui poter conoscere un ragazzo. Minnie era pazza.
“Avete delle obiezioni?”, chiese Nick ad alta voce.
“Deve per forza essere quel film?”, Karen tirò fuori la lingua in segno di disgusto. “Mi sento male alla vista del sangue.”
Il ragazzo su cui Minnie stava sbavando guardò Karen dalla testa ai piedi, sorridendo.
“Io sono Evan, comunque. E lui è mio cugino Jeremiah. Come vi chiamate?”
“Oh”, Karen arrossì. “Io sono Karen, lei è Minnie e lei Beth.”
“Allora, Karen”, si avvicinò a lei con lo stesso sorrisetto di prima. “Non è sangue vero”, le sussurrò come se fosse un segreto, “è semplicemente sciroppo, amido di mais, cioccolato e colorante alimentare. Probabilmente ha lo stesso sapore di una caramella, ma potrai stringermi il braccio se hai paura.”
Il sorriso di Karen lasciò intendere quanto quella idea le piacesse. Minnie le lanciò un’occhiataccia, a cui lei ripose con un dito medio mentre raggiungeva il soggiorno con Evan.
Uno dopo l’altro, raggiunsero a loro volta la stanza, dove Nick stava montando il lettore Blu-ray. Beth e Daryl furono gli ultimi. Daryl le fece cenno di andare avanti per prima, mentre prendeva un’altra birra dal frigo.
“Prenotata!”, disse Andy lasciandosi cadere sulla sedia più grande. “Ma mi piacerebbe dividerla con una delle ragazze. Potrebbero sedersi sul mio...”
Nick lo zittì, cercandole con lo sguardo. “Tieni la bocca chiusa, per il momento. E’ già abbastanza una merda che siano ancora qui.”
Karen e Minnie risero come se fosse divertente e si sedettero sul divano, con Evan a dividerle. Merle e Jeremiah le fecero cenno che si sarebbero alzati se avesse voluto una sedia, ma Beth li ignorò e si sedette a terra a gambe incrociate vicino al corridoio, prendendo il telefono dalla tasca.
Nel frattempo, Daryl era ancora sulla soglia della cucina, combattuto tra la visione del film e la solitudine, con l’unica compagnia della sua birra.
Il film era cominciato da pochi minuti e nessuno prestava abbastanza attenzione a lei, così Beth pensò di alzarsi e di approfittare di un momento di particolare distrazione per chiudersi in bagno.
Lo specchio era rotto, una linea scura le attraversava il volto distorcendo le sue caratteristiche. Sembrava che avesse gli occhi non allineati.
Si sedette sul bordo della vasca da bagno e compose il numero di Maggie.
“Per favore, rispondi”, mormorò.
“Hey, festeggiata!” Maggie rispose dopo appena due squilli.
“Maggie...”
“Qualcosa non va?”
“Non lo so… forse no. Ti ricordi di quando mi hai detto che se mi fossi trovata da qualche parte dove non mi sento al sicuro e non posso dirlo a papà o a Shawn, avrei dovuto chiamarti e mi saresti venuta a prendere senza dirgli niente?”
Beth giocherellava nervosamente con le punte dei suoi capelli, conscia del tremolio della sua voce. Non si era resa conto di quanto fosse realmente agitata fin quando non sentì la voce familiare e confortante di sua sorella.
“Dove sei?”
“Non so il nome del posto, è un piccolo quartiere. Sono in una casa in una strada che si chiama Kelly Jo Ave. E’ successo un casino in una casa qui vicino, hanno preso qualcuno in ostaggio. La polizia è ovunque ma posso riuscire a scappare. Ho visto un alimentari poco prima di arrivare qui, sull’insegna c’era scritto Pig in a Poke, incontriamoci lì.”
“… Sei stata trattenuta dalla polizia?”
“No! Cercano solo un uomo… ma ho paura, voglio andarmene.”
Beth si asciugò le lacrime, mentre Maggie cambiò completamente tono.
“Ascolta, non aver paura. Troverò il posto e ci incontreremo, ok? Se non riesci a uscire parlerò io con gli agenti. Non preoccuparti, sto arrivando.”
“Ok.”
Beth tirò un sospiro di solievo.
“Ti voglio bene.”
Maggie riattaccò.
“Ti voglio bene anch’io.”
Cercò di ricomporsi e cominciò a scrivere un messaggio a Minnie, che tra le due era quella che probabilmente l’avrebbe degnata di una risposta, dato che Evan sembrava più interessato a Karen.
“Usciamo dal retro, Maggie sta arrivando.”
Minnie rispose subito. “Questo film non è poi così male.”
Beth osservò quel messaggio incredula per qualche secondo, finché non gliene arrivò un altro.
“Sul serio, perché stai provando ad andartene?”
“Perché questa gente non mi piace e non voglio stare qui. Andiamo!”
“Io non me ne vado e neanche Karen. Hai visto le nostre scarpe?! Gli agenti ci fermerebbero e ci chiederebbero cosa ci facciamo qui e poi saremo tutti morti. Compresa tu,
stronzetta. Io non me ne andrò e sono sicura che neanche tu arriverai lontano.”
Stringendo i denti, Beth rilesse quelle parole una decina di volte, sentendo una rabbia crescente ribollire dentro di lei. Se loro volevano restare lì, non poteva farci niente, ma lei se ne sarebbe andata comunque. Aveva già avvisato Maggie.
Aprì la porta del bagno nel modo più silenzioso possibile e la richiuse, lasciando la luce accesa. Poi, andò dritta verso la porta sul retro.

 

● ● ●

 

Fantastico, la serata si preannunciava più noiosa del previsto ed era esattamente quello che a Daryl sembrava più appropriato. Si erano sistemati tutti nel soggiorno per essere disturbati da un film splatter e per spegnere il cervello per un paio d’ore. Quest’ultimo punto poteva essere un vantaggio anche per lui, che era ancora appoggiato allo stipite della porta della cucina.
Aveva visto Beth uscire dalla stanza, ma nessun altro sembrava averci fatto caso.
Uscì dalla cucina per controllare che non stesse facendo niente di stupido e vide la porta del bagno chiusa e la luce accesa. La sentì parlare, ma non origliò. Se stava chiamando la polizia, non aveva alcun senso. Era lì fuori e aveva altri problemi di cui occuparsi. In ogni caso, decise di affrontarla una volta uscita per assicurarsi che non facesse nulla che avrebbe potuto portare le chiappe di suo fratello di nuovo in prigione.
Ci stava mettendo tempo, così tornò in cucina. Fece un ultimo lungo sorso di birra e si voltò a guardare in direzione della porta sul retro. Il suo sguardo cadde sulla staccionata giusto in tempo per vedere una mano e uno stivale da cowboy sparire oltre la staccionata.
“Merda.”
Mise giù la lattina di birra e uscì fuori. Gli alberi erano abbastanza spessi da impedirgli di vedere la strada da dove cominciava la barricata della polizia che circondava Kelly Jo Ave. Tutto ciò che riusciva a vedere erano gli alberi e, a una cinquantina di metri, una biondina che li attraversava.
“RIPORTA IL CULO QUI, RAGAZZINA!”, gridò.

Beth doveva averlo sentito, perché si fermò e si voltò a guardarlo, illudendolo per un secondo che stesse per obbedirgli. Poi scappò.
Imprecando, Daryl la seguì.
 “Sto solo cercando di aiutarti!”
Era difficile pensare a delle parole che potessero calmarla, ogni passo che faceva per allontanarsi da lui lo rendeva sempre più più furioso.
Era troppo arrabbiato per riuscire a parlare. Quindi, prima l’avrebbe fermata e poi ci avrebbe parlato o, all’occorrenza, urlato contro, se gli sbirri non erano abbastanza vicini da sentirli.
Era veloce, forse troppo per lui. Infatti, la raggiunse a circa cinquecento metri dalla barricata. Un fossato e altri alberi li dividevano dagli sbirri, ma erano comunque più vicini a loro di quanto avesse voluto. C’erano quattro volanti parcheggiate non molto lontano da lì e, in più, ce n’erano due a piedi.
L’afferrò per la spalla, coprendole la bocca con l’altra mano per impedirle di urlare. Cercò di divincolarsi, di urlare lo stesso, ma lui strinse la presa e l’urlo morì soffocato nella sua mano.
Beth inciampò sotto il suo peso e caddero entrambi sul terreno. Oltre al tonfo generato dalla caduta, Daryl sentì anche un rumore simile a uno strappo e gemette quando si rese conto di averle strappato la camicetta.
Si stava ancora dimenando sotto di lui, i suoi capelli biondi gli finivano in faccia ogni volta che cercava di guardarla negli occhi.
“Calmati, Barbie”, le sussurrò, respirando a fatica per la corsa. “Non ho intenzione di farti del male e questo non è un rapimento. Se ti senti così forte da scappare, fallo, ma prima dobbiamo mettere in chiaro delle cose.”
Con la sua mano ancora a coprirle la bocca, non riuscì a capire nulla di quello che stava dicendo. Più che altro, sembrava stesse piagnucolando e questo lo fece sentire viscido come mai nella vita.
“Non vorrai mica mettere le tue amiche in pericolo?”, ringhiò, frustrato da quello che stava facendo.
Quando sembrò essersi calmata, le scoprì la bocca.
“Se lo meritano!”, ringhiò di rimando, a voce bassa.
Mantenne la presa su di lei quando la sentì provare a scivolare via da lui.
“E tu? Vuoi metterti nei guai con la polizia? No che non vuoi, tu sei una brava ragazza, giusto? Puoi andartene, ti aiuterò anche a farlo, però così è stupido.”
Tutti gli sforzi che stava facendo per liberarsi rendevano solo la loro posizione ancora più compromettente. Daryl riuscì a sentire le sue curve strusciarsi contro di lui a ogni movimento.
“Devi smetterla”, le disse, avvolgendole le spalle con un braccio e i fianchi con l’altro, nel tentativo di spostarla.
Il tessuto della camicetta e quello dei jeans sfuggirono alla sua presa e le dita affondarono accidentalmente nella pelle nuda del bacino.
“Smettila di muoverti così”, ripeté.
Beth si pietrificò. Doveva aver capito, finalmente, cosa stava accadendo.
“Se solo mi lasciassi andare!”
“Se ti vedono e gli dici la cosa sbagliata...”
Si era concentrato troppo su di lei, a impedirle di correre dritta verso la barricata e metterli tutti nella merda. Stava pensando troppo a come stavano andando le cose, a quanto si fosse spaventata e a quanto facilmente fosse entrato nei panni del cattivo della situazione. La teneva bloccata a terra esattamente come il tipo di uomo che mai avrebbe voluto diventare. Era sempre stato un ragazzo attento, ma stava pensando a tutte quelle cose senza considerare ciò che stava accadendo attorno a loro. In quel momento era troppo difficile non pensare a quanto sembrasse brutto quello che le stava facendo. Infatti, non notò il poliziotto che aveva alle spalle fin quando quest’ultimo non lo spinse via da Beth con un calcio, gettandolo nel fango.
Era riuscito ad evitare le manette per tutta la vita e ora rischiava di essere portato via con l’accusa di tentativo di stupro. Cercò di trattenersi dal pensiero di reagire, ricordando che fine avevano fatto tutti quelli che avevano tentato di fare a pugni con uno sbirro. Odiava farsi pestare, con tutto se stesso, ma non aveva alternativa e sapeva come incassare i colpi.
Vide a malapena il volto del poliziotto prima di essere colpito in piena faccia. Quel pugno gli annebbiò la vista.
“Basta! Basta!”, gridò Beth, “Non ha fatto niente!”
Il poliziotto cominciò ad ascoltarla solo dopo altri tre pugni.
“Non ha fatto niente, lo giuro! Non mi ha toccata, stava solo cercando di impedirmi di uscire di nascosto!”
Li stava osservando con gli occhi sbarrati e inumiditi da delle lacrime che avrebbero scosso anche il più duro dei cuori.
“Mi dispiace... è colpa mia.”
Lo sbirro si alzò lentamente, tenendo comunque il ginocchio premuto contro il petto di Daryl, bloccandolo a terra. Era più grosso e muscoloso di lui, ma se fosse stata una lotta ad armi pari l’avrebbe steso. In ogni caso, visto che una zuffa con un poliziotto non poteva mai essere ad armi pari, non avrebbe mai potuto appurarlo. Si limitò a restare fermo dov’era, non proprio convinto che l’agente avesse creduto alle parole di Beth.
“Vivi qui?”, le chiese.
“No, signore”, rispose lei velocemente. “Dovevamo fermarci qui per poco. Una mia amica doveva incontrare suo padre che ci avrebbe portato a cena fuori, ma poi voi avete messo su la barricata e… voglio solo tornare a casa.”
“Beh, mi dispiace rovinare i tuoi piani, signorina, ma questa zona è chiusa fino a nuovo ordine. Potremmo avere bisogno di fare alcune domande ai residenti per avere più chiaro il quadro della situazione, capisci?”
Come poteva capire? Era stato fin troppo vago, ma lei annuì comunque, rivolgendo i suoi occhi lucidi a Daryl.
“Lui non ha fatto nulla di sbagliato, è venuto solo a dirmi che dovevo tornare a casa dalle mie amiche, che mi sarei cacciata nei guai se fossi stata vista da qualcuno di voi.”
“Su questo non posso dargli torto.”
“Per favore, potrebbe lasciarlo andare? Sul serio, mi dispiace. Torneremo indietro e ci comporteremo bene”, lo pregò.
“Spero che abbiate imparato la lezione.”
Il poliziotto finalmente alzò la gamba dal petto di Daryl e fece per andarsene.
Cominciò a respirare profondamente, i polmoni gli bruciavano e sicuramente gli sarebbe uscito qualche livido. Rialzandosi a fatica, si toccò il viso. Il naso sanguinava, ma non troppo, e molto probabilmente a breve avrebbe avuto un occhio nero.
Prima di andare via, lo sbirro rivolse a entrambi un ultimo sguardo intimidatorio.
“In quale casa state? Giusto per curiosità.”
“E’ qui dietro.” Beth indicò la direzione da cui stavano venendo. “Credo sia la 701, non so. Ci abita l’amico del padre della mia amica.”
“701? Beh, perché non ci tornate e non uscite fin quando non ve lo diciamo noi?”
“Sì, signore.”
“Tu stai bene?” Rivolse a Daryl uno sguardo di sfida.
“E’ tutto ok.”
“Se vuoi querelarmi, sono l’Agente Shane Walsh. Chiama la stazione di polizia, credo che la ragazza che si occupa di queste cose si chiami Joanna”, lo provocò.
“No”, rispose Daryl, strofinandosi la mano sporca di sangue. “Va tutto bene.”
“Restate chiusi dentro fin quando la situazione non si risolve, capito?”
“Sì”, rispose ancora Beth.
Daryl annuì e cominciò a camminare verso casa, ancora incazzato nero.
Beth rivolse all’Agente Walsh un ultimo sguardo e aspettò che fosse abbastanza lontano per stringere il braccio di Daryl.
“Mi dispiace, stai davvero bene?”
Lui si divincolò subito. “Che diavolo hai che non va? Sì, sto bene. E cazzo, ragazzina, se devi mentire a uno sbirro almeno fallo bene.”
Non riusciva a credere che avesse davvero seguito lo stupido piano di Nick, di convincere gli sbirri che una delle ragazze fosse la figlia di Merle. Ora avevano una bella gatta da pelare e le probabilità che quella storia gli facesse più male che bene erano diventate pericolosamente alte.
“E’ quello che Nick voleva che dicessimo.”
“Nick non capisce un cazzo.” Daryl scosse la testa. “E’ una bugia stupida e non è neanche l’unica che hai detto: ti ho toccata e non avrei dovuto farlo.”
Abbassò lo sguardo sulla camicetta, il lato strappato era coperto dai suoi capelli. Forse l’aveva fatto di proposito o semplicemente erano lì per caso, ma ad ogni modo avevano nascosto almeno in parte all’Agente Walsh quello che aveva combinato. Poi, una folata di vento le scoprì completamente il collo e riuscì a intravedere la coppa di un semplice reggiseno bianco con i bordi di pizzo rosa.
Beth incrociò le braccia al petto, cercando di mantenere la camicetta chiusa.
“Non avrei dovuto”, ripeté tra i denti. “Avrei dovuto lasciarti scappare.”
Giunti alla staccionata, anche se la prima volta aveva fatto tutto da sola, Beth sembrò in difficoltà di fronte a quella superficie liscia. A differenza di prima, ora non aveva dei buchi dove mettere i piedi.
Daryl osservò i suoi vani tentativi per un po’, notando che stava evitando il suo sguardo di proposito. Evidentemente, non voleva chiedergli aiuto dopo quello che aveva fatto, ma, visto che si sentiva una merda per averla spaventata a tal punto, si avvicinò senza che lei lo chiedesse e le creò un punto d’appoggio con le mani.
Ci volle un po’ per convincerla a farsi aiutare, ma alla fine si decise a guardarlo negli occhi.
“Grazie.”
Provò a sorridere, ma non le riuscì poi così bene. Teneva ancora chiusa la camicetta con una mano, ma fu costretta a lasciarla. Poggiò un piede sulle mani di Daryl e, quando le diede la spinta necessaria per poggiare l’altra gamba in cima, scavalcò atterrando goffamente dall’altro lato con un tonfo sordo.
Daryl dovette prendere la rincorsa e sforzarsi un po’ per salire senza alcun aiuto, ma non fu poi così difficile. Quando arrivò dall’altra parte, scoprì che Beth era lì ad aspettarlo, con la mano a coprirsi il seno e la stessa espressione dispiaciuta che stava indossando da quando l’Agente Shane Walsh aveva cominciato a dargliele di santa ragione.
“Daryl, mi dispiace tanto.”
Come poteva dispiacerle davvero per lui? Non le credeva, ma non poté fare a meno di annuire.
“E’ tutto a posto.”
Ma no, non era tutto a posto, non ancora. Non riusciva a smettere di pensare a come l’aveva trattata e probabilmente avrebbe continuato a rimuginarci su ancora per un po’.
Entrarono in silenzio dalla porta sul retro e tornarono in cucina. Dal soggiorno, Merle si sporse per poterli guardare meglio.
“Che diavolo vi è successo?”
Qualcuno ebbe il buon senso di mettere in pausa il film, prima di focalizzare l’attenzione collettiva su di loro. Beth si sedette a tavola, coprendosi ancora una volta la camicia strappata con i capelli.
“Niente, avevamo bisogno di un po’ d’aria”, brontolò Daryl.
Nonostante tutto, stava quasi per ridere della sua stessa bugia per quanto fosse palese.
“E la tua faccia, fratellino?” Merle scosse la testa, confuso.
“Anche l’Agente Walsh ne aveva bisogno.” Scrollò le spalle. “La mia faccia sta bene, il mio naso non è rotto, ci vedo ancora e agli sbirri non importa di noi.”
Afferrò la lattina di birra che aveva abbandonato poco prima e la finì in pochi sorsi, sedendosi e poggiando i piedi sul tavolo.
“Stai andando alla grande con questo colloquio di lavoro”, gli disse Jeremiah.
“E’ serio, sappilo”, aggiunse Evan.
“Puoi scommetterci che sono serio.”
Perfetto, si era anche dimenticato di quel maledetto lavoro. Gemette in silenzio e poggiò la lattina vuota sul tavolo, forse con troppa forza.
Gli altri, apparentemente soddisfatti di quella mezza verità, ripresero a guardare il film. Beth stava scrivendo un messaggio e lui dovette resistere al bisogno di leggere cosa stava scrivendo. Poteva dubitare della sincerità delle sue scuse, ma non pensava che si sarebbe cacciata di nuovo nei guai, almeno per il momento.
Dopo alcuni minuti, Nick entrò in cucina a prendersi una birra.
“Hey Nick, posso andare a stendermi? Non mi sento bene”, gli chiese Beth.
“Fai pure. Sai dov’è la camera da letto, vero?”
“Sì, grazie.”
Parlò mentre si alzava dalla sedia, chiaramente impaziente di andarsene il più lontano possibile da loro. La vide scomparire nel buio del corridoio a testa bassa. Il tessuto strappato della camicetta gli diede un altro piccolo assaggio del biancore della sua pelle.
Scosse la testa, non era un suo problema. Non doveva preoccuparsi della felicità di quella stupida ragazzina, stava solo cercando di salvare suo fratello e gli altri da eventuali problemi con gli sbirri e lei lo sapeva. Ma allora perché si sentiva un pezzo di merda? Frustrato, fermò Nick in corridoio.
“Hey amico, quella donna che abita qui vicino… quella che conosci...”
“Cosa?”
“E’ grassa?”
Nick aggrottò la fronte. “No, è magra. Sai, a dirla tutta, è anche carina.”
“Dove sta?”
“A due porte da qui”, rispose, accentuando il cipiglio e indicandogli il lato della strada da seguire.
“Torno subito.”
“Che diavolo vuoi fare, amico?” Nick cominciò a ridere. “Sei così disperato?”
“No, coglione.”
Uscì dalla porta del retro e riscavalcò la staccionata. Non era un suo problema, era vero, ma poteva fare qualcosa per aiutare, anche se in minima parte. E a Beth serviva una maglietta nuova.

 

 

   
 
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