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Autore: eugeal    29/03/2017    0 recensioni
I piani di Vaisey sono stati sventati e lo sceriffo è morto.
Ora Robin Hood non è più un fuorilegge e lui e Guy possono affrontare una nuova vita in una Nottingham governata da un altro sceriffo.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Allan A Dale, Guy di Gisborne, Marian, Robin Hood, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'From Ashes'
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In passato, Guy aveva avuto l’occasione di assistere a combattimenti tra cani: i soldati spesso si divertivano a organizzare giochi così cruenti e scommettevano sulla vittoria di uno o dell’altro combattente.
Lui non aveva mai apprezzato quel modo di passare il tempo e aveva proibito quel genere di attività tra le sue guardie, ma sapeva che gli uomini continuavano a farlo di nascosto. I poveri animali venivano addestrati a uccidere l’avversario e non si fermavano nemmeno quando erano feriti a morte: continuavano a mordere finché avevano la forza per farlo. A volte venivano aizzati per scommessa contro bestie feroci, lupi od orsi, e non arretravano nemmeno di fronte a zanne e artigli, a costo di essere uccisi.
In quel momento, a Guy sembrava di essere uno di quei cani. Rowan era la minaccia, il nemico da distruggere a qualsiasi costo e Guy non si sarebbe arreso fino a che non lo avesse visto morto.
Con Rowan in vita, nessuno dei suoi cari poteva essere al sicuro.
Gisborne era teso, pronto a reagire al minimo movimento dell’avversario e l’odio che provava per lui, invece di essere una distrazione, sembrava acuire i suoi sensi. Poco prima aveva visto Seth fuggire insieme a Ghislaine e quello era un sollievo, ma Guy non si permise di rilassarsi: con suo figlio in salvo, poteva combattere più liberamente, ma non avrebbe abbassato la guardia finché non avesse visto Rowan morto.
Lady Elisabeth invece era ancora lì, Guy era consapevole della sua presenza e avrebbe preferito che avesse seguito i bambini, ma non poteva distrarsi dal combattimento per mettere in salvo anche lei.
Per la donna, Guy ne era consapevole, quella lotta sarebbe stata molto dolorosa: si era legata a lui, ma Rowan era suo figlio e comunque andassero le cose, lei avrebbe sofferto.
Ma Gisborne non poteva limitarsi per addolcire la situazione per lei. Anche lo sceriffo era stato molto chiaro: Rowan era troppo pericoloso perché gli fosse concesso di rimanere in vita, troppi innocenti erano morti per causa sua.
Guy e Rowan scattarono in avanti nello stesso momento, le spade sguainate a cercare il cuore dell’avversario. Entrambe le lame mancarono il bersaglio, scontrandosi tra loro con un clangore metallico, e tutti e due gli uomini attaccarono ancora, e poi di nuovo.
Lady Elisabeth avrebbe voluto coprirsi le orecchie con le mani per non sentire quel rumore terribile, ma le sue dita erano strette attorno al manico del pugnale, e lei non poteva lasciarlo andare.
Fece un passo verso i due combattenti e poi un altro, incurante del pericolo di essere colpita.
- Rowan! Piccolo mio! Ti farai male! - Supplicò, con voce tremante.
Il bandito alzò di nuovo la spada per abbatterla contro Gisborne, lasciandosi sfuggire un ringhio di rabbia. Guy alzò la propria lama sopra la testa per parare il colpo, inclinando la lama verso il basso per far scivolare via quella dell’avversario. Si preparò a contrattaccare, ma Rowan si avventò contro la madre, pronto a trafiggerla.
Guy si mosse istintivamente: si gettò tra il nemico e Lady Elisabeth e strinse le braccia attorno al corpo fragile della donna, sollevandola di peso e cercando di spostarla dalla traiettoria del colpo di Rowan. Il bandito mancò la madre, ma, ormai sbilanciato in avanti, all’attacco, colpì la schiena di Guy con una spallata, facendogli perdere l’equilibrio.
Gisborne e Lady Elisabeth caddero a terra e Guy si affrettò ad alzarsi in ginocchio e girarsi, alzando la spada sopra la propria testa per parare un altro colpo dell’avversario.
Le spade si incrociarono di nuovo e Guy fece forza sulle gambe per rialzarsi di scatto e spingere la lama di Rowan verso l’alto, ma l’altro fece resistenza, contrastandolo con la propria forza.
I due uomini rimasero fermi, apparentemente immobili, ma in realtà allacciati in una prova di resistenza: Guy cercava di disarmare Rowan spingendo la sua spada verso l’alto, mentre Rowan faceva forza nel verso opposto, cercando di schiacciare Gisborne a terra.
Lady Elisabeth era seduta a terra alle spalle di Guy, il pugnale stretto convulsamente tra le dita, e piangeva sommessamente.
Guy sentiva il sangue che continuava a colargli lungo il braccio, sgocciolando lungo le dita e scivolandogli lungo il corpo quando alzava le braccia come in quel momento. Iniziava a perdere le forze, ma non era disposto ad arrendersi: come i cani da combattimento continuavano a lottare anche dopo aver perso una zampa o la coda, anche lui non si sarebbe fermato prima di essere morto o di aver ucciso l’avversario.
In un impeto di furia, Rowan staccò la lama da quella di Gisborne, per poi abbatterla nuovamente su di lui un attimo dopo, con la forza di un fabbro che colpiva l’incudine.
Guy vacillò, e Rowan riuscì a farlo arretrare.
Attaccò di nuovo, con talmente tanta violenza che la spada di Guy si spezzò. Guy riuscì a evitare di essere colpito dalla lama di Rowan, ma non dal suo calcio, che seguì immediatamente il fendente.
Il moncone della spada cadde a terra e lo stivale pesante di Rowan colpì in pieno il torace di Guy, gettandolo a terra e togliendogli il fiato.
Guy cercò disperatamente di rialzarsi per continuare a combattere, ma l’impatto gli aveva tolto il respiro e le forze, costringendolo a restare a terra, bloccato da un corpo che non gli obbediva.
Un attimo ancora e la spada di Rowan lo avrebbe ucciso, ne era certo.
Invece, furono le braccia di Lady Elisabeth a circondarlo, e la donna lo attirò a sé con una forza inaspettata, facendogli appoggiare la testa sulle sue ginocchia. Gli accarezzò i capelli con tenerezza, piangendo e supplicando.
- Ti prego, ti prego non fare male al mio Rowan. Il mio bambino!
Rowan emise un ringhio inarticolato e fece per avventarsi sulla donna con l’intenzione di ucciderla.
- Quello non è tuo figlio!
Guy raccolse le ultime forze, riuscì a riprendere fiato e si costrinse a rialzarsi da terra. In un ultimo, disperato tentativo si gettò di peso su Rowan e si aggrappò a lui, spingendolo contro la finestra del corridoio.
Le lamine di corno traslucide che impedivano al freddo di entrare nel castello cedettero sotto il loro peso e i due uomini piombarono sul tetto sottostante, iniziando a scivolare verso il bordo, inesorabilmente.
Moriremo, ma almeno non farai più male a nessuno.

Quando Marian girò l’angolo del corridoio, vide una donna velata che piangeva disperatamente: era rannicchiata a terra e stringeva un pugnale tra le mani. Marian riconobbe con orrore la sagoma ricurva di uno dei pugnali di Guy. Accanto alla donna c’era una finestra sfondata, e Marian corse ad affacciarsi.
Si lasciò sfuggire un grido di terrore nel vedere le sagome di due uomini in bilico sul tetto sottostante: Guy era aggrappato disperatamente alle tegole sconnesse e stava cercando allo stesso tempo di tirarsi su e di spingere nel vuoto l’uomo mascherato che si trovava poco più in basso di lui.
La luna illuminava chiaramente la scena e Marian riconobbe quell’uomo: era il capo dei banditi che l’aveva rapita e che aveva tentato di ucciderla! E ora stava lottando con suo marito, cercando a sua volta di farlo precipitare nel vuoto.
Marian si sentì raggelare nel vedere la situazione precaria di Guy, poi nel suo cuore divampò una rabbia ardente, un odio feroce verso quel bandito.
Si voltò per un attimo verso Lady Elisabeth e le prese il pugnale dalle mani senza che l’altra donna facesse la minima resistenza.
- Salvalo... Ti prego... Il mio bambino…
Marian non capì a chi si stesse riferendo, ma non aveva importanza: lei avrebbe fatto di tutto per salvare Guy. Scavalcò il davanzale della finestra e iniziò a scendere cautamente lungo la superficie inclinata, avvicinandosi ai due uomini che lottavano.
Sir Arthur arrivò poco dopo, appena in tempo per vedere Marian che usciva dalla finestra. Sua moglie era a terra, sconvolta, e lo sceriffo temette il peggio, che sia Guy che Rowan fossero morti entrambi e che lady Marian, sconvolta, si fosse gettata nel vuoto.
Pallido come un morto, si avvicinò alla finestra, cercando di trovare il coraggio di guardare. Non sapeva cosa avrebbe visto e non sapeva nemmeno cosa sperare: la morte di Rowan lo avrebbe addolorato, ma ormai sapeva che era inevitabile e forse, una volta che tutto fosse finito, il suo cuore avrebbe trovato la sofferenza, ma anche un po’ di pace.

Guy sentì il rumore provocato da qualcuno che si lasciava scivolare lungo le tegole del tetto e lanciò un rapido sguardo in alto, senza distrarre del tutto l’attenzione da Rowan: l’altro uomo era aggrappato alla sua gamba e cercava di risalire lungo il tetto e allo stesso tempo di farlo cadere.
Guy cercò di colpirlo con l’altro piede, ma non poteva muoversi troppo, o avrebbe rischiato di perdere la presa e cadere nel vuoto.
Vide Marian che scendeva con cautela verso di loro e inorridì nel vederla in bilico su quel tetto malmesso.
- Stai indietro! Non avvicinarti! - Gridò, terrorizzato al pensiero che la ragazza potesse scivolare e cadere o che Rowan potesse attaccare anche lei.
Marian si fermò, obbedendo istintivamente all’ordine del marito, e lo fissò, spaventata. Voleva aiutarlo, ma non sapeva come. Avrebbe potuto dargli il pugnale, ma Guy doveva usare entrambe le mani per tenersi aggrappato e già così era in equilibrio precario, con le dita rese scivolose dal sangue che stentavano a mantenere la presa sulle tegole.
Rowan piantò i denti nella gamba di Gisborne, stringendo la mascella con tutta la forza che aveva e Guy gridò di dolore, cercando di divincolarsi per liberarsi da quella presa dolorosa.
Marian agì d’istinto, lanciando il pugnale ricurvo verso la testa del bandito, ma l’arma mancò il bersaglio e rimase impigliato nel mantello di Rowan. Fulmineo, l’uomo lo afferrò e lo piantò nella coscia di Guy, usandolo come appiglio per risalire.
Quella nuova fitta lancinante impedì a Guy di reagire e minacciò di fargli perdere i sensi. Stordito dal dolore e dalla perdita di sangue, Gisborne perse la presa e iniziò a scivolare verso il bordo del tetto.
Con un grido, Marian si gettò in avanti e gli afferrò un polso, scivolando anche lei verso il vuoto, trascinata dal peso dei due uomini. Avrebbe potuto lasciare la presa e salvarsi facilmente, ma non lo fece. Invece con l’altra mano, con le gambe, col corpo intero cercava di aggrapparsi alle tegole e di frenare la caduta.
All’improvviso, si trovò tra le dita qualcosa che sembrava una spessa corda e vi si aggrappò, sperando che reggesse. Un momento dopo, l’inesorabile discesa verso il bordo del tetto si fermò con uno strattone doloroso che le tolse il fiato.
Per qualche attimo pensò che sarebbe morta, che non avrebbe potuto sopportare un dolore tanto intenso, poi la fitta iniziale si attenuò in un dolore sordo e lei si rese conto di tutto il resto: la mano che stringeva la corda faceva terribilmente male e le unghie spezzate sanguinavano, rendendo scivolosa la presa e altrettanto viscido era il sangue che ricopriva la mano di Guy, stretta nella sua.
Ma suo marito era ancora lì, ferito, ma vivo e non morto sul selciato del cortile e quella era l’unica cosa che contava. Marian strinse la presa, affondando le unghie nella carne di Guy: gli avrebbe fatto male, ma non lo avrebbe lasciato cadere a nessun costo. Con uno sforzo immenso, fece girare la corda intorno all’altra mano: non poteva fidarsi delle proprie forze e non voleva rischiare di perdere la presa.
Guardò in alto, chiedendosi da dove fosse arrivata quella corda provvidenziale: notò che era un cordone pesante del tipo che venivano usati per adornare tende e arazzi e vide il volto dello sceriffo, affacciato alla finestra. Incrociò lo sguardo angosciato dell’uomo e lo seguì verso il basso: Rowan era ancora aggrappato a Guy e cercava di arrampicarsi sul suo corpo, torcendo il pugnale piantato nella sua coscia.
Guy alzò lo sguardo verso Marian, gli occhi azzurri annebbiati dal dolore.
- Lasciami. Lascia andare la mia mano, è l’unico modo.
- No! Non posso! Non chiedermi questo!
Rowan estrasse il pugnale dalla gamba di Guy con uno strattone e lo affondò di nuovo più in alto, stavolta nel muscolo della spalla.
- Marian! Lasciami! Non deve risalire! - Gridò Guy, e Marian sapeva che aveva ragione, ma non poteva lasciarlo cadere.
- Avete ragione, Gisborne. Non deve. - Disse la voce dello sceriffo, vicina a lei, e la ragazza vide che l’uomo si era calato lungo il tetto, tenendosi alla corda con una mano e stringendo il moncone della spada spezzata nell’altra.
Rowan raddoppiò gli sforzi nel sentire la voce del padre e salì più velocemente. Superò Guy e ignorò Marian, continuando ad arrampicarsi lungo il piano inclinato del tetto per raggiungere e aggredire Sir Arthur. Lo sceriffo lo aspettava con la sua spada spezzata in mano, sperando che la furia omicida del figlio si concentrasse solo su di lui.
Marian fissò con odio l’uomo che l’aveva quasi uccisa, ma non poteva fare nulla, bloccata in quella posizione scomoda e dolorosa: una mano era stretta dalla corda che impediva a lei e a Gisborne di precipitare nel vuoto e l’altra era chiusa disperatamente intorno al polso del marito.
Guy era ferito e sapeva di essere sul punto di perdere i sensi, ma si costrinse a resistere ancora un po’: se fosse svenuto, non avrebbe potuto mantenere quel minimo di presa che aveva sul tetto e il suo corpo sarebbe stato troppo pesante perché Marian potesse sostenerlo, ma la ragazza non avrebbe mai accettato di lasciarlo cadere e avrebbe finito per precipitare con lui.
Con la mano libera cercò di aggrapparsi meglio alle tegole e tentò disperatamente di trovare un appiglio con i piedi che gli permettesse di alleviare lo sforzo di Marian, puntellandosi contro le tegole.
Rowan, che aveva crudelmente usato il pugnale sul suo corpo per creare un appiglio, lo superò del tutto e il peso che Marian doveva sostenere divenne più leggero perché ora doveva trattenere solo il corpo di Guy.
Gisborne guardò con orrore il bandito che correva verso lo sceriffo e si rese conto che se non fosse riuscito a fermarlo in quel momento, Rowan avrebbe ucciso l’anziano lord, poi sarebbe riuscito a risalire fino alla finestra e allora sarebbe stato libero di fare ciò che voleva: avrebbe fatto precipitare nel vuoto lui e Marian tagliando la corda che li sosteneva, poi avrebbe ucciso anche la povera lady Elizabeth e di certo sarebbe andato in cerca di Seth e di tutte le persone a cui Guy voleva bene.
Lanciò uno sguardo addolorato a Marian, consapevole che ogni suo movimento avrebbe potuto farle male, poi si mosse con uno scatto, lasciando andare la mano con cui si teneva aggrappato al tetto per afferrare la caviglia di Rowan nel tentativo di sbilanciarlo.
Il bandito cadde in avanti e Guy si sentì scivolare lungo il tetto, trattenuto solo dalla mano di Marian sul suo polso. Con un ultimo sforzo riuscì a girarsi sulla schiena, premendo gli speroni contro le tegole nella speranza di frenare la propria caduta.
Funzionò, Guy smise di scivolare verso il basso e sentì il grido di sollievo di Marian: nonostante tutto non aveva lasciato andare la sua mano.
Entrambi alzarono lo sguardo per vedere cosa ne fosse stato dello sceriffo, e videro che Sir Arthur era steso sul tetto, schiacciato dal peso del figlio.
Né Guy, né Marian potevano capire cosa fosse successo perché nessuno dei due uomini si muoveva. - Gisborne! - La voce di Robin arrivò dalla finestra, seguita dal sibilo di alcune frecce scoccate in rapida successione.
Guy le vide conficcarsi nel corpo di Rowan e si ritrovò a fissare il cielo con un sorriso vacuo.
Finalmente quell’incubo era finito.
- Ottimo tempismo, fratello mio. - Sussurrò e solo allora si concesse di perdere i sensi.

Robin si affrettò a scendere lungo il tetto, agile come un gatto. Il dovere gli avrebbe imposto di aiutare lo sceriffo per primo, liberandolo dal peso del corpo di Rowan per assicurarsi che fosse vivo, ma decise che Sir Arthur poteva aspettare.
Se Rowan era riuscito ad ucciderlo, ormai non poteva fare nulla, ma se era ancora vivo, allora poteva resistere ancora un po’.
Robin raggiunse Marian e Guy e afferrò saldamente il braccio di Gisborne.
- Ora puoi lasciarlo andare. - Disse a Marian. - Lo tengo io.
La ragazza non si mosse, incapace di lasciare la presa dopo aver resistito tanto a lungo. Robin le staccò le dita dal polso di Guy, con delicatezza.
- Torna su. Aggrappati alla corda per risalire e torna su.
- Robin… è ferito, non posso lasciarlo. Non chiedermi di lasciarlo solo. - Singhiozzò la ragazza. Robin la guardò.
-Proprio per questo devi andare. Vai a chiamare Matilda o Tuck, oppure Djaq, Guy ha bisogno di cure e anche tu. Vai. Mi prenderò cura di lui, sai che puoi fidarti di me, no?
Marian fissò per qualche attimo il viso di Guy, alzò gli occhi a guardare Robin.
- Sì, lo so. - Disse a bassa voce, poi si voltò e prese ad arrampicarsi verso la finestra con movimenti incerti. Robin la guardò risalire, pronto a intervenire se fosse scivolata.
Finalmente la vide scavalcare il davanzale e tornò a occuparsi di Gisborne. L’amico era ancora privo di sensi e giaceva immobile, terribilmente pallido.
Per prima cosa, Robin si affrettò a passargli la corda intorno al torace e l’assicurò con un nodo saldo, in modo che non potesse scivolare giù, poi, con molta fatica, iniziò a trascinarlo lentamente verso la finestra.
Allan e Archer arrivarono poco dopo, seguiti da un gruppo di soldati, e tutti e tre insieme riuscirono a portare in salvo Guy. Archer ordinò alle guardie di trasportarlo subito in infermeria, poi, a malincuore perché avrebbe voluto restare accanto al fratello, tornò sul tetto insieme a Robin per accertarsi della sorte dello sceriffo.
Insieme, spostarono di lato il corpo del bandito e si chinarono su Sir Arthur: lo sceriffo sembrava illeso, ma privo di sensi.
Robin lo scosse delicatamente e poco dopo l’uomo aprì gli occhi, ma non si mosse.
Guardò Robin: lui era l’unico oltre a Gisborne a conoscere il suo segreto.
- È morto?
Robin annuì.
- L’ho colpito con le mie frecce, signore.
Non disse altro perché Archer era lì, ma strinse una mano sul braccio dello sceriffo per fargli capire che comprendeva il suo dolore.
- Gisborne?
- Ferito, ma ancora vivo.
Lo sceriffo chiuse gli occhi e Robin lanciò uno sguardo ad Archer: il fratello stava esaminando il cadavere di Rowan per essere sicuro che fosse davvero morto.
- Non lo hai ucciso tu. - Disse all’improvviso. - Guarda, ha questo moncone di spada infilato nel cuore, quando lo hai colpito doveva essere già morto.
Robin lanciò uno sguardo preoccupato allo sceriffo e poi si rivolse al fratello.
- Archer, torna giù con i soldati, assicurati che non sia rimasto nessuno dei banditi e poi aspettaci in infermeria, ti raggiungeremo lì.
- Non vuoi che vi aiuti a tornare su? Dobbiamo anche portare via il corpo.
- Dacci qualche momento, per favore. - Robin lanciò un’occhiata a Rowan. - E quello può aspettare. Vai, aiuto io lo sceriffo.
Il fratello alzò le spalle.
- Come vuoi.
Quando Archer si fu allontanato, Robin aiutò lo sceriffo a mettersi seduto, ma Sir Arthur non accennò a volersi alzare, perciò Robin sedette sul tetto accanto a lui.
- Mi dispiace, signore.
Lo sceriffo guardò il corpo del figlio, steso sulle tegole a pochi passi da lui e allungò una mano per sfiorargli il viso sfigurato in un’ultima carezza.
- Lo avrebbe odiato… Non sopportava i gesti d’affetto. Spero che ora abbia trovato la pace che non ha mai avuto... E che Dio abbia pietà della sua anima.
Robin rimase in silenzio finché non fu lo sceriffo ad alzarsi per tornare all’interno del castello, poi lo seguì.
Alcune guardie erano rimaste in attesa, nel corridoio, discretamente in disparte e Sir Arthur le chiamò con un cenno.
- Qui c’era una donna velata, avete visto dove è andata?
Uno dei soldati annuì.
- Ha seguito Sir Guy quando i nostri compagni lo hanno portato in infermeria. Non so chi fosse, ma gli ha preso una mano e l’ha tenuta tra le sue. Jacob voleva mandarla via, signore, ma Sir Guy nel frattempo aveva ripreso conoscenza e ha detto di lasciarla stare.
- Obbedite a Sir Guy. - Approvò lo sceriffo, poi indicò la finestra. - Portate dentro quel corpo.
- Lo appendiamo alla forca come gli altri, signore?
Sir Arthur non disse nulla, non poteva dire nulla, e fu Robin a rispondere per lui.
- No. Anzi, portate via anche gli altri e seppelliteli. Non abbiamo più bisogno di quel monito, la banda è stata sterminata.
   
 
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