僕は孤独さ – No Signal
☂
Secondo intermezzo: Agonia.
Parte terza.
La
figura che troneggiava su di lei sembrava un angelo.
Distinta,
si stagliava verso il cielo possente, spezzando il buio notturno con la sua
bianca presenza. Il cappotto candido cadeva fino al terreno, immacolato ad
eccezione di qualche piccola ma visibile goccia di sangue. Una costellazione
vermiglia, spaventosa, che impregnava il tessuto sovrapponendosi ad altre più
vecchie, marroni e rapprese, ad alta velocità. Il volto, invece, pareva quello di un demone.
Gli occhi dall'innaturale sclera nera spiavano impassibili e annoiati la sola superstite
della squadra Itadashi.
Riversa
sul marciapiede, in una pozza della sua stessa urina, c'era una ragazza dai
capelli neri, che spuntavano arruffati da sotto il casco della divisa
antisommossa del ccg. Teneva gli occhi ambrati fissi su quelli del ghoul,
incapace di distoglierli.
Sto morendo, si diceva in una lenta
litania, sto morendo.
In
mano aveva ancora la sua quinque. Intatta e inutilizzata, stretta nel pugno
sottile che tremava inesorabilmente, sembrava più un ombrello fra le mani di
una vecchietta che un’arma da combattimento. Le cadde, addirittura, mentre il
mostro avanzava un passo silenzioso verso di lei.
Aiko
Masa, vent'anni sprecati a rincorrere le persone sbagliate, stava morendo. Non
si chiese cosa avrebbe trovato una volta compiuto il passo, né se avrebbe
incontrato nuovamente Kenzo. Non pensò ai suoi genitori che non avrebbe più
rivisto, quel fratello con cui non parlava e quello che aveva abusato della sua
ingenuità. Non dedicò nessun pensiero ai suoi cari, ai suoi compagni caduti o
alla sua nobile causa che l'aveva condotta al martirio.
No.
Si
maledì per la vita che aveva scelto, per essersi iscritta all'accademia e per
essere arrivata fino a quel punto, pronta a morire per niente. Si maledì
pentendosi del suo modo di prendere le scelte con leggerezza e ingenuità. Si
maledì perché quel kagune rosso come il fuoco l'avrebbe spezzata in due da un
istante all'altro.
…Allora
perché non lo faceva? Perché la squadrava impassibile, con l’espressione celata
dietro alla maschera rossa che portava sulla bocca?
La
risposta risiedeva nella piccola figura comparsa alle sue spalle.
Aiko
non l'aveva sentita parlare, i sensi le si erano come paralizzati per il
terrore, né l'aveva vista sino a che questa non era apparsa da dietro la sagoma
maestosa del ghoul albino, affacciandosi come una bambina timida che vuole
uscire a giocare.
Seppur
più piccolo, quell’essere riuscì a incuterle ancor più terrore, tanto che
ritrasse le gambe verso il petto, portando un braccio sul viso a schermarlo. Le
bende che la avvolgevano celavano il volto e ogni minima porzione di pelle.
Sembrava una bambina, con quelle orecchiette sul cappuccio della mantella e la
sciapa a fiorellini. Era la cosa più inquietante che avesse mai visto in tutta
la sua vita. Ciò che maggiormente la raggelò, fu la sua voce. Una risata di
cuore, leggera come una cantilena, uscì ovattata dalle bende, mentre un occhio
mostruoso la spiava intensamente. Aiko si sentì come se quell'unica iride
visibile sarebbe stata in grado di sbirciare la sua anima e strappargliela via.
«Qual
è il tuo nome?»
Il
ghoul bendato l'aveva chiesto con tono leggero, mostrando se possibile nuovi aspetti
infantili e terrorizzandola ancor di più. Aiko sobbalzò, guardandola chinarsi
sulle gambe a pochi centimetri da lei. Non parve metterle fretta. Portò un
gomito al ginocchio e il volto coperto di garza sul polso, in evidente attesa.
La
ragazza passò gli occhi su di lei e poi, di nuovo, sul ghoul bianco, ben più
famoso.
Tatara.
«Masa.
Il mio nome è Masa.»
«Ciao,
Masa.»
Accadde
qualcosa di molto strano. Un paio di dita bendate passarono sulla fronte
dell'agente, scostandole i capelli corvini. Con quel solo occhio scoperto, la
bestia le stava osservando il volto giovane. «Dovresti tagliarli, sei così
carina. Con un volto del genere, una frangetta sarebbe-»
«Perchè
non mi ammazzi?!»
Una
mano saettò fino alle labbra di Aiko, quando registrò che era stata lei a
parlare. Non aveva controllato i nervi e aveva caduto alla tentazione di porre
quella domanda che le ballava sulla punta della lingua dall'arrivo della figura
bambinesca. Ora sì che l'avrebbe uccisa. Si sarebbe infuriata e avrebbe
concesso al ghuol albino di far scempio delle sue carni.
Ma
non accadde nemmeno questo.
Qualsiasi
cosa si fosse immaginata, Aiko dovette ricredersi; il ghoul non fece una piega,
limitandosi a sporgersi ancora di più verso di lei. La mano, dalla fronte scese
alla guancia, che tirò leggermente in un buffetto. «Perchè io credo che ogni
vita debba avere un'utilità. Un senso. Oggi tu non morirai, Masa del ccg. Non
senza aver avuto un solo istante determinante nella tua patetica vita.»
Qualcosa
si ruppe nel petto di Aiko. Cosa poteva mai saperne quel mostro di lei?
Avrebbe
dovuto spingerla via, correre a perdifiato per qualche metro e attendere che il
lungo kagune di Tatara la trafiggesse nella schiena. Sarebbe dovuta morire
così, come la codarda che era, trapassata da parte a parte, con le spalle
rivolte al fronte della battaglia.
Invece
rimase lì ad ascoltarla e determinò il suo destino.
«Scommetto
che sia una persona molto codarda» la voce suadente del ghoul bendato la
investì, raggelandola. Avvertì le sue dita scorrere sotto il mento per
sganciarle il casco, che cadde con un tonfo poco lontano da lei, al suo fianco.
«Non ti piacerebbe, per una volta, essere straordinaria come un'eroina uscita
dalle pagine di un romanzo?» Aiko non comprese e questo il ghoul dovette
percepirlo, perchè ridacchiò fra sé e sé. «La farò molto semplice, Masa: la tua
vita, da oggi, appartiene a me.»
«Credi
sia saggio?» la voce dell'altro ghoul la fece sussultare. Persa in quell'occhio,
si era sentita come se in quel luogo si trovassero da sole. Si sentì molto
stupida, al pensiero che invece anche l'altro poteva parlare. Il bendato, però,
non ascoltò quel pallido tentativo di protesta. Le bende si mossero impercettibilmente. Il
piccolo ghoul le stava sorridendo.
«Io
sono Eto.»
«Eto...»
Assaporò quel nome particolare, ripetendolo in un leggero sospiro. Poi tutto
terminò in un istante, perché essa si scostò da lei. Chiunque fosse quel mostro,
era maledettamente importante.
«Oh,
è quasi ora di entrare in scena» canticchiò Eto, saltellando sui piedi. Poi si
voltò un'ultima volta verso Aiko, indicandola scherzosamente. «A buon rendere,
allora. Tornerò a riscuotere questo mio favore! Mi raccomando…» il tono si fece
più tagliente, come un ammonimento «Che rimanga fra noi! Un segreto fra
ragazze.»
Così
com’era apparsa, Eto sparì e quello divenne
l'inizio dei giochi. Aiko passò
lo sguardo sulle sue mani, cercando poi di alzarsi in piedi nonostante il
tremore alle gambe. Sentiva i pantaloni umidi, non riuscendo però a vergognarsi
per l'essersela fatta sotto. Era stata salvata? Da un ghoul? Poteva dirsi un
salvataggio? E da quel momento la sua vita sarebbe appartenuta ad Eto. Ci
poteva fare l'abitudine? Poteva accettarlo? Doveva.
A
fugare ogni dubbio, prima di andarsene, ci pensò Tatara. La guardò con il
disgusto negli occhi, volgendole un’ultima occhiata indisposta, prima di darle
le spalle per allontanarsi. Non prima di averla ammonita a dovere: «Arriverà il
giorno in cui ti pentirai molto amaramente di non aver implorato Eto di averti
divorata oggi.»
Capitolo
quattordici.
Quando
il conto dei morti ebbe fine e gli agenti superstiti ebbero l’opportunità di
spiare l’alba dallo spiazzo di fronte al Lunar Eclipse o da una stanza
d’ospedale, tutto ciò che pareva palese allo sguardo era il coinvolgimento
diretto di Aogiri. L’intera operazione era stata orchestrata dal gruppo
terroristico, il quale aveva dimostrato di essere a conoscenza di ogni singolo
spostamento degli agenti, oltre che delle formazioni. Ai gruppi più forti, di
fatto, erano stati contrapposti i membri più determinanti.
Era
iniziata sin da subito una vera e propria caccia alla talpa, ma le indagini e
gli interrogatori del classe speciale Marude non avevano portati a nessun
risultato. Chiunque fosse l’informatore interno alla ccg, era stato bravo a
nascondere le sue tracce ed evitare quindi di essere scoperto.
Quello
che Marude non sapeva era che le talpe, in realtà, erano due.
Tre,
se tenuto conto anche del legame fra Furuta e Kanou. Legame del quale nemmeno
Masa era al corrente, così come del fatto che non era la sola spia dentro alle
mura di vetro della sede centrale.
La
sigaretta le si consumava fra le dita velocemente a causa del vento che tirava
quel pomeriggio. Le esequie dei caduti erano terminate da quasi un’ora, ma
molti di loro ancora non trovavano la forza di spiantare i piedi dal terreno
erboso del piccolo cimitero marziale. Di fronte a lei Saiko singhiozzava,
stretta ad Akira, che la stava invitando a sfogare tutto quel dolore che covava
nel petto da ormai quattro giorni. La lapide di Shirazu era semplice, il suo
nome inciso con ideogrammi spessi e ben visibili. C’erano dei fiori, qualche
bigliettino, ma nulla di più.
Per
fortuna, Shirazu non lasciava dei figli e una moglie. Non come Machibita, Umeno
e Nezu, vittime della squadra Ito, i cui parenti avevano lasciato il campo
santo da diversi minuti, lasciando ritto come un lampione di fronte alle lapidi
Kuramoto. Teneva gli occhi bassi, i capelli a nascondere il viso distrutto e
vergognoso. Dietro di lui, silenziosi nel loro supporto, Hirako e Kuroiwa
aspettavano di riaccompagnarlo a casa. L’intervento alle costole era andato
bene, ma il dottore si era raccomandato almeno due settimane di riposo. Questo
non lo aveva comunque fermato dal firmare un’uscita anticipata dall’ospedale
contro il consulto medico, per assistere ai funerali.
Era
così Kuramoto, dopotutto. Venivano sempre prima gli altri e il vivere
quella situazione come una sua mancanza
lo stava uccidendo.
Gli
occhi di Aiko si scontrarono con quelli di Take, che le fece un cenno
inequivocabile.
«Scusatemi.»
disse a Yonebayashi e a Mado, notando solo in quel momento la mancanza di
Mutsuki. Si avvicinò al terzetto, appoggiando le mani sulle spalle di Ito e
accarezzandogli le braccia, liberandosi anche della sigaretta seppure non
l’avesse finita. Cercò il suo sguardo, guardando preoccupata il suo viso. «Non
tormentarti, non potevi fare nulla.» gli sussurrò per quella che sarebbe potuta
essere tranquillamente la cinquantesima volta «Ora devi andare a casa. Non
rischiare di mandare l’intervento all’aria.»
Il
biondo annuì senza replicare, cercando di tirare un pallido tentativo di
sorriso. Si abbracciarono molto delicatamente e poi si avviò con passo cauto
insieme a Takeomi. Take rimase indietro, accostandosi ad Aiko, che non riusciva
a staccare gli occhi preoccupati dalla schiena del ragazzo.
«Tu
come ti senti?» chiese all’uomo, senza voltarsi a guardarlo.
«Come
vuoi che mi senta?» rilanciò lui, con tono neutro, facendola voltare nella sua
direzione un po’ stupita. Si guardarono. «Erano miei uomini.»
«Lo
erano.» Il tono di Masa uscì un po’ più duro di quanto avrebbe voluto, ma Take
la irritava. Sbuffò una risata incolore, «Si sgretolerà mai il marmo di cui sei
fatto o dovrai seppellirci tutti, prima?» Hirako non replicò e lei, irritata,
alzò una mano, iniziando ad allontanarsi. «Buona serata, prima classe.»
Aiko
si sentiva incoerente. Lei aveva fornito ad Aogiri le armi per ciò che era
accaduto, ma Take aveva lasciato la sua squadra, per codardia o per mancanza di
talento, chi lo sa, ma lo aveva
fatto. Durante l’operazione non lo aveva registrato, ma dentro di lei, per
quanto avesse detto a Hirako che non lo pensava, credeva fermamente che se
tutto fosse andato come doveva andare con lui presente, allora non sarebbero
morte così tante persone.
Non
sarebbero morti Umeno e Nezu. Non sarebbe morto Machibita. Non sarebbe morto
Shirazu. Era più semplice incolpare Take, in quel momento. Era più facile
pensare che lei avesse solo riportato le informazioni e che se avessero avuto
un talento nel combattimento del genere con loro, forse sarebbe finita
diversamente.
Sapeva
a monte che ad aspettarli a quel piano c’era Noro. Lo sapeva e non aveva
comunque detto nulla per mantenere solida la sua copertura. Quello che però le
era sfuggito era la portata del disegno di Eto: loro non dovevano passare e basta.
Se lo avesse saputo, se Eto le avesse detto di non avvicinarsi al tetto, forse
si sarebbe inventata qualcosa. Ito coordinava le squadre, sarebbe stato
dannatamente semplice.
Molto
più semplice di uno scontro all’ultimo sangue, quanto meno.
Come
fosse passata da quei pensieri che la tenevano sveglia la notte all’affibbiare
l’intera colpa a Take, che effettivamente non era presente perché non era di
sua competenza, non le era chiaro. Ma andava bene così. Era abituata a
scaricare sull’ex mentore ogni cosa e lui era abituato a incassare,
fregandosene.
Questo
almeno era quello che pensava lei.
«Perché
hai quella faccia?»
Aiko
si accostò a Urie, di fronte alla lapide di Shirazu, unendo le mani sul grembo.
Lui le lanciò un’occhiatina, tornando poi a guardare la pietra incisa. «Non è
venuto.» Masa annuì, non avendo bisogno di chiedere conferma per sapere che
parlava di Sasaki. «Tu invece?»
«Ho
fatto la stronza con Hirako e mi sento in colpa.» Guardandosi attorno, Aiko
notò che gli altri erano spariti. «Saiko e Tooru?»
«L’associato
Mado le ha portate a casa.» rispose Urie senza colore, non rendendosi nemmeno
conto di aver sbagliato genere. O di averlo indovinato dopo tanto tempo a
sforzarsi di dire qualcosa che non pensava. «Io aspettavo te.»
«Scusa,
è stata dura mandare Kuramoto a riposarsi.» si accostò di più a lui, passando
il braccio attorno al suo e appoggiandosi con il capo alla sua spalla, mentre
gli occhi accarezzavano i kanji impressi sulla targa commemorativa. «Speravo
che sarebbe venuto, sai? Non lo vediamo da quella notte, in pratica. Ha anche
liberato la stanza, stamattina.» lui si irrigidì appena «Non lo hai sentito?
Non sapevo cosa volesse fare, così l’ho chiesto ad Akira. Lei ha detto che ora
che lo hanno sollevato dall’incarico di essere il nostro mentore, tornerà a
casa del classe speciale Arima.»
«Non
ci ha messo molto a dimenticarsi di noi dopo la straordinaria promozione fuori
stagione, non pensi?»
Aiko
sollevò il capo, spiando il profilo del nuovo caposquadra e mentore. Poi sbuffò
piano.
«Tra
me e te, non so dire chi sia più acido, oggi.» soppesò, tirandolo per il
braccio, così da iniziare ad avviarsi all’auto. «Per il resto dell’anno, direi
tu.» Urie non si spostò di un centimetro, così la ragazza dovette ricorrere a
qualche parola incoraggiante per costringerlo a staccarsi da quel luogo. Parole
che, però, la stavano uccidendo dentro a causa del costante e martellante senso
di colpa che le attanagliava lo stomaco. «Troveremo chi ha portato via il corpo
di Shirazu e anche chi ha permesso che succedesse.» gli sussurrò,
accarezzandogli la nuca con gentilezza. Ottenne così il suo sguardo, dopo non
poca fatica. «Ora però andiamo, sei stanco morto e anch’io ho bisogno di
dormirci su.»
Ottenne
un veloce cenno di assenso, così iniziò a incamminarsi per prima, prendendogli
la mano come per tirarselo dietro. Quando il passo dell’altro si fece più
deciso, tornarono a parlare. «Credi che ci sia qualcosa sotto?» domandò,
riferendosi a Sasaki.
Di
nuovo, Aiko non ebbe bisogno di domandare delucidazioni sul soggetto.
«Non
lo credo. Ne sono sicura.»
☂
La
prima volta che Masa Aiko incontrò Hsiao Ching Lì era
appena uscita dalla doccia. Si stringeva addosso un accappatoio viola chiaro
con tanto di cappuccio calato suoi capelli corti che gocciolavano, tenendo in
mano i vestiti da buttare nel cestone della lavanderia e il phon nell’altra.
Aveva
sentito che un nuovo Quinx sarebbe entrato in famiglia di lì a qualche giorno,
ma non se lo aspettava quella domenica sera. Si erano avvicinata per prima,
notando la luce accesa in quella che era stata la camera di Shirazu per tutta
la sua permanenza allo chateau, trovandosi di fronte quella bellissima donna taiwanita, molto garbata e dal viso gentile, seppure
altero.
Lei
e Saiko avevano passato la cena a guardarla. Il suo corpo era a dir poco
perfetto, così come le sue maniere, estremamente educate. Aveva una voce
delicata, da bambina, seppure sembrasse più grande dei suoi diciotto anni.
Sembrava più donna di Masa, che lì dentro era la più vecchia.
A
una settimana precisa dal funerale del precedente caposquadra, quattordici
giorni dopo la sua morte e solo tre da quando nell’arco di un pomeriggio Aiko e
Kuki avevano svuotato quella stanza, un nuovo elemento del team era entrato a
far parte delle loro vite e prometteva bene. Questo perché Hsiao era una
giovane donna estremamente talentuosa, proveniente dall’accademia speciale del
ccg, ovvero il ben poco conosciuto Giardino Soleggiato. Si sapeva poco su quel
posto, solo che da esso venivano anche Arima, Furuta e la povera Hairu. Eccetto
Nimura, che doveva essere una triste eccezione, sfornava agenti di alto
livello.
«Domani
devo consegnare a Matsuri, a cui d’ora in avanti i Quinx faranno rapporto
diretto, le riassegnazioni.» Urie, che non sembrava
aver voglia di mangiare il riso che Mutsuki si era tanto impegnato a preparare
loro, scostò il piatto per poter piazzare sul tavolo una serie di fogli. Passò
gli occhi su i componenti della squadra, in particolare la nuova arrivata,
prima di tamburellare la penna sul primo modulo. «Come sapete, ora sono io il
caposquadra. Dobbiamo decidere il mio vice e dividerci di nuovo in coppie.»
«Il
vice è Yonebayashi, no?» chiese Aiko, prendendo la salsa di soia e iniziando ad
annegarci quel riso tristemente insipido, sorridendo comunque a Tooru che
sembrava un po’ demotivato da quel tentativo andato male di cena. «Si va in
base all’anzianità di servizio?»
Urie
e Saiko si scambiarono uno sguardo, poi fu lui a risponderle. «In realtà, ne
abbiamo parlato oggi pomeriggio e Saiko mi ha suggerito un altro candidato per
questa promozione.»
«Chi?»
«Tu.»
Aiko
lo guardò sorpresa, sbattendo le palpebre rapidamente. Lei, tolta Hsiao, era
l’ultima arrivata all’interno del team. Lavorava da un po’ più tempo di loro,
ma per merito, in quel progetto, veniva dopo Yonebayashi. A dirla tutta, prima
di lei, doveva esserci anche Mutsuki.
La
sorpresa del giorno doveva essere il passaggio dalla squadra Mado a quella di
Matsuri Washuu. Invece Urie le stava proponendo qualcosa di grosso. «Perché
avete deciso di nominare me?»
Saiko
prese un sorso di acqua per buttare già quel boccone pesante, prima di
risponderle, con Urie che già compilava tutte le varie scartoffie,
infischiandosene allegramente. «Tra il caposquadra e il suo vice deve esserci
coordinazione.» disse semplicemente la ragazzotta, guardandola con una punta di
malizia. «E nessuno qui è affiatato quanto lo siete voi due.»
«Quando
non litigate.» puntualizzò Tooru, allungando un vassoio con dentro degli
spiedini di gamberi un po’ bruciati.
«Ma
se accetto non saremo più partner, Cookie. Tu poi come li risolvi i casi?»
Lui
la guardò esattamente come se le stesse internamente dando della stronza,
riuscendo quindi a strapparle un sorriso sinceramente divertito. Poi sospirò,
girandole i fogli «Fammi un autografo qui e stai zitta.»
«Quindi
è deciso? Sono il tuo secondo? Che onore.» Masa firmò, prima di ripassarglielo,
incrociando le mani sotto il mento «Come hai deciso di riorganizzare
l’organico, capo?»
Lui
non ci dovette nemmeno pensare, tutto preso dallo scrivere. «Aspettiamo due
nuovi acquisti.» spiegò, «Fino al loro arrivo, tu lavorerai in coppia con
Mutsuki e io con Hsiao. Saiko invece sarà relegata al lavoro di ufficio che
dovrà fare andando effettivamente in ufficio. Non come quando c’era Sasaki, che
te ne stavi in casa a dormire.»
Tooru
e Aiko si guardarono stupiti e Saiko decise di non replicare alla frecciatina.
Si schiarì la voce, così da attirare l’attenzione di Urie. «Sicuro che non
preferiresti mettere me con Masa?»
«No.
Lei è un’investigatrice molto abile, ha bisogno di qualcuno che non la
rallenti.»
«Ma
caposquadra!»
Kuki
parve percepire un cambiamento d’aria, così osservò Mutsuki con attenzione.
«Qualcosa non va?»
«No,
nessun problema.» rispose questo, grattandosi la nuca un po’ a disagio.
Aiko
prese in mano la situazione, «Siamo solo tutti stupiti che tu mi abbia fatto un
complimento.» lo prese in giro, prima di rivolgersi a Hsiao. «Questa è una cosa
molto rara.»
«Non
è vero.» si difese immediatamente Urie, prima di sospirare «Rimane un solo
problema, a questo punto. Come facciamo con le stanze? Quando arriveranno i due
ragazzi, ne mancherà una.»
«Quella
di Sasaki si può dividere.» disse Mutsuki, abbassando gli occhi sul piatto,
continuando a storcersi le mani come aveva iniziato a fare dall’inizio di
quella conservazione, manifestando il suo disagio di fronte alla necessità di
ricalibrare la squadra. Più di tutti, Tooru stava soffrendo quei cambiamenti.
Urie
però non era d’accordo. «Negativo» disse di fatto, «L’ho presa io quella di
Sasaki. Così c’è più posto per i miei…. Oggetti personali.»
«Hai
già montato il cavalletto nella stanza vuota?» chiese stupita Aiko, alzando le
sopracciglia. Lui annuì «Sei peggio dei barboni abusivi.»
«Allora
sembra proprio che dovrete dividerla voi due.» Saiko li guardò con ovvietà,
mentre entrambi socchiudevano le labbra per contrattaccare. Lei però fu più
veloce e si rivolse a Hsiao, «Anche se è contro le regole, stanno insieme.»
«Questa
è una stronzata!»
«Saiko,
smettila con la disinformazione!»
Hsiao,
dal canto suo, non sembrò particolarmente toccata dalla cosa.
«Lo
avevo capito.»
Aiko
si passò la mano sulla faccia, cercando di non mostrarsi divertita come in
realtà era. Urie cercò di darsi un contegno, dopo aver fulminato con gli occhi
Saiko. Terminò di compilare le carte in silenzio, prima di prendere una busta e
ficcare tutto dentro.
A
quel punto si alzò in piedi, serio «Abbiamo a disposizione un paio di giorni
per entrare in confidenza con questa nuova realtà. Abbiamo perso due membri
importanti, ma noi siamo ancora qui e mi assicurerò che tutte le mancanze che
ci sono state durante l’amministrazione Sasaki non si propongano più.
Buonanotte e Saiko, tu inizi subito domani mattina. Alle sette alla sede
centrale. Ti conviene partire presto, la metropolitana potrebbe tardare.»
Deciso
a chiamare Matsuri per comunicargli le disposizioni, Urie sparì su per le
scale, ignorando le lamentele di Yonebayashi, che lo rincorse disperata. Non
voleva alzarsi alle cinque e mezzo.
«Tutto
questo non è normale.» spiegò Masa alla nuova arrivata, «Di solito Urie non
spadroneggia in questo modo. Ma non preoccuparti, ci penso io a quietarlo.»
Hsiao
le sorrise,alzandosi con in mano il piatto da lavare «Ne sono certa.»
Aiko
guardò soddisfatta Mutsuki, prima di realizzare. «No aspetta, cosa hai
capito?!»
☂
Tenere
in mano due sacchetti pieni di cibo stava diventando difficile, soprattutto
perché non trovava le chiavi nella tasca. Si appoggiò alla parete accanto a lei
per ben due volte, prima di riuscire ad estrarre il maledetto mazzo, aprendo
infine la porta.
Una
musica leggera si espandeva per l’aria, sorprendendola. Era convinta che non
avrebbe trovato nessuno.
«Sono
io.» si identificò subito per evitare di avere dei guai. Ci mancava solo un
kagune nella pancia per concludere al meglio la giornata. Andò diretta in
cucina per appoggiare tutto quanto, iniziando a disfare la spesa sul ripiano.
Un
paio di braccia le strinsero la vita, strappandole un sorriso.
«Fameeee.»
uggiolò Eto, strusciando il viso contro il braccio dell’altra ragazza. «Hai
portato i mochi?»
«Pistacchio
e fragola.»
«Se
ti chiedessi di sposarmi, lo faresti?»
Masa
rise, passandole entrambe le scatole. La più bassa delle due le saltellò
attorno, prima di accomodarsi sul ripiano, seduta con le gambe a penzoloni, già
con un dolcetto in bocca, mentre spiava l’altra spostare i contenitori per
alimenti pieni di carne umana per fare spazio al resto. Che Eto potesse
camminare sulla linea di metà fra i due mondi era risaputo e questo le
permetteva anche di mangiare cibi di ogni tipo, anche se la carne le serviva
per il grande dispendio di cellule RC che era causato dal suo kagune. O peggio,
dalla kakuja.
«Sei
venuta presto.» le fece notare la scrittrice, sospettosa «Non è che ti hanno
seguito?»
«Perché
dovrebbero?» chiese Masa a quel punto, appoggiandosi con il fianco al ripiano,
mentre rubava un dolcetto dalla scatola che Eto aveva in mano. «Sono stata
promossa a vice caposquadra e le indagini per cercare la spia all’interno del
dipartimento si sono spostate sugli interni della sezione operazioni. Credono
che sia uno degli strateghi ad aver spifferato tutto, ci sarebbero delle
chiamate sospette da dentro la sede centrale.»
«Che
noi non abbiamo mai fatto, no?»
«Figurarsi.
Non sono un genio come te, Eto. Però non sono nemmeno così cretina.» La mora ci
pensò su, mentre apriva la giacca di pelle per liberarsene. La appoggiò allo
schienale dello sgabello, prima di sedersi su di esso, guardando Eto dal basso.
«Sasaki è andato via, comunque.» le comunicò seria, «Sono entrata nella Quinx
Squad solo per tenerlo d’occhio per te ed ora sono ufficialmente bloccata lì.
Non posso chiedere il trasferimento alla squadra Arima senza motivo, sarebbe
sospetto, soprattutto dopo questa promozione che non mi aspettavo.»
Eto
non aspetto di deglutire il biscotto, per rispondere. «Non devi andare da
nessuna parte, infatti. Ora i Quinx sono sotto Washuu in persona, no?» Aiko
annuì, per niente colpita dal fatto che l’altra avesse quel tipo di
informazioni. Il Gufo sapeva sempre tutto quanto, sempre. «Tienilo d’occhio per me. La sua famiglia di fedifraghi
stronzi va tenuta controllata.» Eto fece una pausa, soppesando un pensiero,
prima di esternarlo «Se l’avessi potuto prevedere prima non ti avrei fatto
sottoporre a quell’intervento. A conti fatti, però, ora sei molto più interessante,
Aiko-chan.»
«A
conti fatti» riprese Masa «Se tutto va come deve andare, avere un kagune
potrebbe essermi molto utile.»
La
porta d’ingresso si aprì nuovamente e a distanza di qualche secondo,
all’interno della piccola cucina ad angolo, furono in tre. Un uomo alto, dai
tratti somatici cinesi, con i capelli chiari e gli occhi severi si presentò di
fronte a loro tenendo in mano una cartella da professore di pelle marrone
conciata. Guardò Aiko per qualche istante, prima di rivolgersi a Eto.
«Non
hai bisogno della spesa, quindi?»
«Hanno
promosso Aiko-chan!» disse questa senza rispondergli, mentre il dottor Huang si
spogliava della parrucca e delle lenti a contatto, tornando a essere Tatara.
«Non sei contento della tua apprendista?»
«Perché
si sta costruendo una carriera sui cadaveri dei suoi amici?» domandò tagliente
quest’ultimo, facendo abbassare gli occhi a Masa. Non aveva ancora finito.
«Kanou ti manda i suoi saluti e i più sinceri ringraziamenti. Si sta divertendo
molto con il corpo che gli hai regalato.»
«Prego.»
fu tutto ciò che Aiko ebbe da ridire, secca ma conscia di non avere il potere
di rispondere male al ghoul albino,
prima di alzarsi. «Sarà meglio che vada.» indossò nuovamente la giacca,
mentre Eto buttava in fuori il labbro, scontenta del fatto che l’altra se ne
stesse già andando. «Se è tutto, farò rapporto non appena mi verrà assegnato
una caso. Ad ogni modo, ci vediamo venerdì. Vengo a prendere Seidou per
portarlo fuori.»
Tatara
non le diede il tempo di fare un passo. «Devi fare un lavoro molto prima di
venerdì, Mèi mèi.»
le comunicò, attirando la sua attenzione. «Devi andare a parlare con lo
scarafaggio. Ha informazioni su un probabile acquirente per una parte
dell’acciaio quinque. Lui ha chiesto personalmente di te.»
Masa
controllò l’ora sul cellulare, notando che aveva un paio di messaggi di Urie in
segreteria, «Vado ora. Ti faccio sapere in un paio di giorni, Lǎoshī.»
Gli
fece un piccolo inchino, prima di allungare una mano per sfiorare il braccio di
Eto. Uscì in fretta, senza dilungarsi troppo in saluti, consapevole che se
Tatara si era diretto lì subito dopo aver lasciato l’università, doveva avere
qualcosa di molto importante da comunicare.
Quanto
meno, il luogo in cui era diretta era relativamente vicino.
☂
-Torni
per cena? Oggi pensavo di cucinare io.-
Aiko
sorrise, parcheggiando l’auto sotto a un fatiscente palazzone grigio dall’aria
degradata. Lanciò uno sguardo a una delle finestre, notando che era socchiusa e
che quindi la persona che cercava doveva essere per forza in casa.
«Pensavo
di tornare, però ora che mi hai dato questa informazione…»
-Sto
cercando delle ricette decenti su internet, forse darò fuoco alla cucina.-
Accomodandosi
meglio sul sedile, Aiko controllò l’ora sul telefono. Premette uno dei due
auricolari meglio nell’orecchio, ridacchiando. «Cookie, l’ho appena realizzato:
ora sei tu la mamma.»
-….Stai
zitta. Mi hai già invaso la camera con la tua roba. Non sei nella posizione di
dire niente.-
«Come
se l’avessi deciso io di dormire insieme a te. Dà la colpa a Yonebayashi.» fece
una piccola pausa, sentendolo imprecare sotto voce, «Sarò a casa fra un paio di
ore, devo passare al supermercato perché manca qualcosa?»
-No,
abbiamo tutto. Quello che manca sarà il cibo vero, visto che questa roba non
riuscirò mai a cucinarla.-
«Abbiamo
i depliant di diversi ristoranti d’asporto, in caso. Ci sentiamo dopo, capo.»
-Alle
otto, Aiko.-
La
ragazza agganciò scuotendo piano il capo, sinceramente divertita dalla svolta
che avevano avuto gli eventi. Urie che cucinava per tutti, assurdo anche solo
pensarlo. Prese un bel respiro, scordandosi per un attimo di quella bella vita
parallela e tornando a cucire i panni di Labbra Cucite, anche se solo
mentalmente.
Non
aveva bisogno della maschera per quello che stava per fare.
La
porta di ingresso del palazzo era stata scardinata mesi prima, così non ebbe
motivo di suonare il campanello e avvisare del suo arrivo. Salì quattro piani
per le scale, giacché in quel posto schifoso anche l’ascensore aveva deciso di
non funzionare. Non c’erano probabilmente i soldi per ripararlo, ma in quel
buco di quartiere ai margini della ventitreesima con la ventiquattresima c’era
da aspettarselo. Quella era in assoluto una delle zone più disagiate e
problematiche dell’intera Tokyo. Per tutti i giapponesi, la ventiquattresima
circoscrizione della capitale era tristemente famosa per la sua delinquenza e
per i crimini violenti che si consumavano ogni giorno al suo interno.
Eto
era cresciuta in quel luogo senza luce e Aiko non la biasimava quando nei suoi
occhi leggeva il desiderio di dare fuoco al mondo.
Il
vero problema di quella zona non era solo la marcata povertà dei suoi
residenti, ma anche una forte sovrappopolazione. I palazzoni come quelli in cui
si trovava in quel momento erano comuni, vecchie case popolari donate
dall’imperatore per gli indigenti della città come dimora provvisoria, che però
era diventata definitiva per un numero di famiglie in continua crescita.
E
per molti ghoul, consapevoli che la mano della giustizia faticava ad arrivare
fin lì.
L’uomo
col quale doveva parlare viveva in un appartamento confinante con altri due
appartenenti, per l’appunto, a dei ghoul. Masa ne sentiva l’odore attraverso le
pareti, il piscio che le fece storcere il naso misto al forte tanfo della
cadaverina. Portò la manica al viso per
schermarsi, mentre con l’altro pugno batteva sulla porta.
Un
uomo sui trentacinque anni, magro in modo quasi malsano e con due occhi magenta taglienti le aprì la porta,
mostrandole lo scorcio di un appartamento carino, in netto contrasto con l’ambiente
circostante.
«Ti
aspettavo tra qualche giorni, primo livello Masa.»
«Invece
eccomi qui ora, secondino Tsubasa.»
Si
fece da parte, consentendole di entrare e sfilarsi le scarpe. Con i piedi ben
appoggiati sul parqué riscaldato, Aiko si guardò attorno, constatando che le
entrate di Huso Tsubasa dovevano essere aumentate di molto.
«Uno
schermo piatto da quaranta pollici, una consolle di ultima generazione….
Computer Apple…. Te la stai cavando davvero bene.»
Lui
sorrise serafico, facendole segno di sedersi al tavolino. In strada esplosero
alcuni colpi di pistola, seguiti da un urlo e Masa si augurò solo che la
macchina stesse bene. Non sarebbe stato divertente spiegare a Urie perché
l’aveva riportata bucata.
La
ragazza si sistemò, guardandolo servirle il tè in modo molto elegante. Per un
ragazzo nato e cresciuto in quel quartiere, non era altro che una recita.
«Fallire
il test finale per diventare un agente anti ghoul è stata la tua fortuna.» lo
prese in giro senza gentilezza, mentre lui incurvava le labbra in un sorriso
serafico, per niente toccato da quella provocazione. «Io non guadagno così
tanto in nemmeno due anni.»
Tsubasa
era una giovane promessa del ccg, ma non aveva passato il profilo psicologico
per essere ammesso. Gli era stata diagnosticata una sindrome di disturbo
dissociativo, invece che venirgli dato un diploma e alla fine si era ritrovato
a fare il secondino nella Cochlea, terzo livello, con i ghoul di grado S+ e SS.
Una vita infame, che però lui aveva saputo svoltare, trovando le amicizie
giuste.
«Il
mio maestro mi ha inserito nel giro.» le fece sapere, come se non fosse ovvio.
«Ora lavoro per lui sia dentro che fuori dalla Cochlea. Il tuo maestro, invece?
Non ti ha ancora mangiata, quindi suppongo che prima o poi ti darà anche lui
quello che meriti, sempre che tu te lo meriterai.»
Aiko
gli sorrise, tagliente «Il mio maestro respira aria libera e passa le serate a
con gli occhi rivolti verso le stelle. Sappi che è molto più probabile che a
finire divorato, sarai tu. Sai che un antico proverbio cinese recita che i
meriti di un apprendista vanno valutati-»
«Scusa
se ti interrompo, tesoro. Non vorrei dirlo così sfrontatamente, ma dei proverbi
di un assassino come Tatara, non me ne faccio poi di molto.»
«Allora
parliamo di affari» lo riprese indispettita la ragazza, ignorando la tazza
fumante che le era stata messa sotto il naso. «I miei superiori mi hanno detto
che hai un potenziale acquirente per una parte dell’acciaio quinque che abbiamo
rubato. Quantità e prezzo, grazie.»
«Diretta
come al solito, penso sia per questo che fai girare la testa molti uomini.» fece una pausa, dopo aver
insinuato e lei colse la palla al balzo per rilanciare.
«Molti,
sì. Tu non fai parte del mio club esclusivo di amanti, però. Che peccato,
Tsubasa. Non farmi perdere altro tempo, ti ricordo che ora ho un kagune e che i
vicini ti mangerebbero molto prima dell’avvio di un’indagine.»
Lui
rise, inclinando di lato il capo, mentre le dita andavano a tamburellare il
ripiano del tavolo, tradendo quindi un certo nervosismo. Era affetto da un
disturbo istrionico della personalità, vedersi svilito in quel modo doveva
essere a dir poco avvilente.
«Alle
volte mi chiedo come sia possibile che tu abbia superato quel test e io no. Hai
un problema di gestione della rabbia, agente.»
Comprendendo
l’andamento della conversazione, Aiko prese un sorso di tè. «Questa è una bella
domanda, sai? Noriko cerca di farmi sospendere da due anni e mezzo, ma non ci è
ancora riuscita. Cosa posso dirti, non sono pazza come te che ti sei attaccato
alle sottane di Donato Porpora di tua spontanea iniziativa.»
«Effettivamente,
farsi fottere dal proprio fratello causa una certa pena negli altri. Scommetto
che il tuo amico Hirako ne prova parecchia.»
La
tazzina ripiena di liquido caldo gli arrivò addosso, lasciandolo senza parole
per quel gesto. Due occhi differenti, uno giallo come il miele e l’altro rosso
con la sclera nera lo stavano fissando, mentre la giacca di pelle tremava
all’altezza delle reni.
Doveva
fare dietro front, Tsubasa lo sapeva.
«Mi dispiace, ho esagerato. Sai, fatico a controllare le parole. Forse ho anche
un po’ l’Asperger.» pulendosi con un tovagliolino, l’uomo cercò di sorriderle
leggero, nonostante la vena sulla sua fronte pulsasse. «Torniamo ai nostri
affari, che dici?»
«Ti
conviene.»
Lui
si schiarì la voce, incrociando le mani di fronte a sé, «Duecentoquaranta mila
yen per venticinque chili.»
Masa
alzò le sopracciglia, senza controllare il suo occhio di proposito.
«Ne
voglio almeno il doppio e solo perché mi stai sul cazzo, Tsubasa.»
«Allora
penso che dovrai parlare personalmente con il signor Uta.»
Masa
si alzò in piedi, sistemandosi la giacchetta. «Preferisco lui a te, schifoso
scarafaggio.» Si avviò alla porta, recuperando le scarpe e maledicendo l’altro
per quella perdita di tempo. A quanto pare però non avevano ancora finito.
«Credo
che ci vedremo presto in Cochlea.» le disse sciolto, come se non avesse appena
fatto il bagno nel tè e visto un affare sfumare. Lei si voltò a guardarlo,
perplessa «Non ti anticipo niente, ma ci sono grandi cambiamenti dentro ai
Clown. Potresti aver bisogno del signor Porpora molto presto.»
«Che
sfiga, speravo di non rivederti per molto tempo.» lo guardò alzare il dito
medio verso di lei, poi aprì la porta, uscendo senza nemmeno salutarlo. Lasciò
sbattere la porta con forza quando la lasciò andare, cercando di gestire la
rabbia che le faceva formicolare le dita della mano. Piegò il collo di lato,
chiudendo un attimo gli occhi per cercare di calmarsi, ma quel fetore schifoso
che la circondava non stava aiutando il processo.
Quando
una porta si aprì, spalancò di nuovo le palpebre. Due bambini sussultarono,
tornando in casa e gridando «Un sekigan! La fine è arrivata! Un sekigan!»
Aiko
strinse gli occhi cercando di controllarsi e quando ci riuscì, si sbrigò a
lasciare il palazzo. Tornata in macchina, dopo aver constatato che era ancora integra, prese un
respiro. Poi prese il telefono, mettendosi di nuovo gli auricolari e attese di
mettere in moto e avviarsi per part partire la chiamata.
-Si?-
«Sto
tornando, ma c’è stato un incidente, potrei metterci un po’.» mentì con la
solita abilità, sistemandosi seduta e ritrovando almeno un po’ la calma.
Almeno
le mani avevano smesso di tremare.
«Quindi,
quale piatto della cucina giapponese intendi profanare stasera?»
Continua…
☂N.d.A.☂
Il
capitolo non è stato betato.
Grazie
a chi continua a leggere e a Virginia che imperterrita commenta in solitaria.
C.L.