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Autore: Leonhard    30/03/2017    4 recensioni
Judy si volse verso la sagoma della lontana Zootropolis. Vixen aveva detto che il cavallo era il pezzo più forte della scacchiera, Alopex aveva scelto un cavallo per guidare gli eventi: forse avevano previsto tutto, forse no, ma in fin dei conti era quasi giusto che fosse stato un cavallo a dare scacco matto e vincere la partita.
E la città, sapeva, avrebbe continuato a bruciare.
Genere: Guerra, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Capitan Bogo, Judy Hopps, Nick Wilde, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Distopian Zootopia'
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Sulla scacchiera



 
Dopo anni di fedele servizio, tre visite dal tecnico e mezz’ora di ricerca infruttuosa, il computer di Judy Hopps si ritrovò improvvisamente privato della tastiera. La coniglietta abbandonò la testa contro la scrivania, frustrata, mentre il pc la guardava sornione dall’alto delle sue venti pagine aperte.

Judy sospirò esasperata, prima di tirare nuovamente su la testa e tornare a leggere gli articoli sullo schermo: il caso Tujunga aveva fatto scalpore per appena cinque giorni: titoli come Volpi scomparse nel nulla, La polizia brancola nel buio e Sempre meno code rosse per le strade le riempivano gli occhi con i loro caratteri cubitali troneggianti sopra degli articoli di cronaca scritti fittamente.

Alla data riportata sull’ultimo articolo pubblicato, le volpi scomparse nel nulla erano almeno un centinaio: maschi, femmine, da operai a telecronisti, e aveva sentito una stretta al cuore quando tra le foto segnaletiche erano comparsi anche musetti di cuccioli. Tutti scomparsi dopo essere entrati nel distretto di Foresta Pluviale, le ultime tracce trovate sempre nei pressi del quartiere di Tujunga.

Poi il nulla.

Sempre, ogni volta, per ogni volpe: impronte, ciuffi di pelo e tracce di vestiti fino a quel quartiere poi più niente, come se arrivate lì le volpi svanissero nell’aria. Quella era stata una settimana frenetica e in parecchie foto aveva riconosciuto il muso perennemente concentrato di Jack Savage e l’espressione corrucciata di Alopex: apparentemente nemmeno lei era mai stata capace di cavare un ragno dal buco.

Cominciava sempre con una volpe qualsiasi, l’ultima era stata una volpacchiotta delle medie di nome Sheryl: era uscita da scuola, tornata a casa e fatto i compiti. Aveva chiacchierato con la madre, giocato alla Myu Sport con il padre e si era fatta raccontare da un amico elefante qualche suo ricordo della Seconda Guerra Mondiale.

In serata aveva cominciato a comportarsi in maniera strana: era diventata improvvisamente silenziosa e inquieta, vagava da una stanza all’altra senza un apparente motivo, controllando fuori dalla finestra come se cercasse qualcuno. Poi aveva preso la porta e nel giro di un ora aveva raggiunto il distretto di Foresta Pluviale. La pattuglia incaricata di sorvegliarla l’aveva seguita di nascosto, ma un leone e un ippopotamo non erano bastati: la piccola Sheryl aveva girato dietro un grosso e frondoso albero circondato di muschio e nei secondi che servirono ai due agenti di seguirla era svanita.

Puf, non c’è più.

Chi parlava di una cospirazione, chi di un racket clandestino, chi addirittura di una malattia: molte associazioni avevano fatto pressione ai piani alti, la polizia era stata letteralmente lapidata di aggettivi molto poco onorevoli ed il sindaco aveva garantito che i migliori agenti dei distretti, nonché la stessa Alopex la Duecento, erano al lavoro per far luce su questo mistero. Il nome della volpe delle nevi aveva avuto il potere di calmare gli animi e la caccia era cominciata a ritmo serrato.

Per una settimana.

Gli articoli successivi nominarono ancora il caso Tujunga, ma con talmente tanta superficialità da mettere quasi in dubbio che una cosa del genere fosse mai successa. Gli enti per la difesa dei diritti delle specie fecero esplodere uno scandalo che durò appena tre giorni, poi si mitigò anche quello: l’ultimo riferimento al caso Tujunga che Judy trovò fu in occasione della promozione di Jack e Alopex.

La coniglietta deglutì secco: la pagina davanti ai suoi occhi era un elenco delle foto delle volpi scomparse, con tanto di nomi ed età. Volpi anziane, cuccioli, arzilli commessi, entusiasti esploratori e caotici gruppi di giovani esemplari la fissavano con sguardi traboccanti di vita e ricordi e serenità. Poi un nome le invase lo sguardo di costernazione, mentre calde lacrime le lucidavano gli occhi minacciando di rompere gli argini.

Priscilla Wilde.

Anche lei la guardava con gli stessi occhi di Nick: brillanti e limpidi, aperti in un’espressione furbesca leggermente sbiadita dall’età. Tutti quegli occhi che la fissavano senza vederla le fecero salire il battito cardiaco a mille e si affrettò a chiudere la pagina web e respirare profondamente, facendo scemare il timore: tutti quegli occhi chiedevano chiarezza, tutti quei musi chiedevano giustizia.

Judy abbassò lo sguardo sul suo quaderno: aveva annotato i nomi di tutte le volpi, assieme ai passi salienti ed agli ultimi luoghi in cui erano state viste. Fissò l’ultima data e l’ansioso nervosismo lasciò il posto ad una furiosa stizza: non sarebbe servito a nulla dopo tutti quegli anni, ma doveva fare chiarezza. Prese la penna a forma di carota e la fissò per qualche secondo, prima di scrivere al fondo dell’elenco il nome dell’ultima vittima del caso Tujunga.

Nicolas Piberius Wilde.

Quella volpe l’avrebbe salvata, a qualsiasi costo.


 
La sua decisione, a ripensarci il giorno dopo, non era stata tra le migliori anzi: lo spettacolo che avrebbe avuto davanti agli occhi quando fosse scesa dal treno l’avrebbe convinta di questo, ma in quel momento, a venti minuti dalla stazione centrale di Zootropolis, studiava lo schermo del cellulare con occhi concentrati, cercando ancora informazioni sul caso Tujunga.

La sua partenza era stata precipitosa, senza bagagli e sorda a quello che Stu Hopps evidentemente considerava ‘il suo buonsenso’ che le diceva che una coniglietta non poteva vagare per una città com’era diventata Zootropolis per cercare una volpe, anche se si trattava di Nick. Lei si era fermata ad ascoltare le sue parole una volta soltanto ed aveva scosso la testa.

“Nick è là fuori ormai da tre giorni” aveva detto secca. “Se ha nominato il caso Tujunga vuol dire che la sua partenza riguarda quel caso: voglio vederci più chiaro”. La sua decisione era presa e non aveva più permesso al genitori di cercare di riportarla sulla retta via dei bravi conigli campagnoli: aveva salutato tutti, preso il treno e partita alla volta della città.

Nella carrozza deserta aveva avuto modo di ripensare tardivamente alla sua impetuosità e chiedersi in un angolo remoto della sua mente se fosse effettivamente stata una cosa saggia. Fissava distrattamente le sua zampe cercando di pensare a qualsiasi cosa che la convincesse che la cosa migliore da fare era scendere alla prima fermata e tornare a casa, senza tuttavia riuscirci.

Nick era da qualche parte la fuori, incapace di esprimersi e di confondersi: quanto sarebbe servito alla folla di prede di individuarlo? Ed il lupo poliziotto? Quanto tempo ci avrebbe messo a radunare un branco e tornare alla Tana dei Conigli? Fu colta dal sospetto che per Nick potesse essere già troppo tardi e che la cosa migliore da fare fosse proteggere la sua famiglia.

Scosse la testa e scese dal sedile, cominciando a misurare la carrozza deserta passeggiando nervosamente. Per Nick non era troppo tardi e la sua famiglia sicuramente si sarebbe potuta difendere da sola: queste due frasi erano degli imperativi che ululavano nella sua testa che non ammettevano obiezioni. L’unica differenza che c’era tra la sua famiglia e Nick era che i suoi potevano parlare.

Guardò la fine del suo viaggio farsi sempre più vicina: la città era ancora grande e lucente, traboccante di promesse e di speranza e, anche se lei sapeva che quella non era la stessa Zootropolis in cui una Judy Hopps era giunta con il sogno di
rendere il mondo un posto migliore

combattere per la giustizia con quel distintivo così faticosamente guadagnato, ai suoi occhi quelle promesse erano sempre lì, ad assicurarle che tutto quello che voleva era presente, da qualche parte in quei distretti, nascosta nelle strade, rinchiusa dietro i luccicanti palazzi ed i ricchi negozi.

E quello che voleva aveva la pelliccia rossa.

Quando il treno si fermò alla stazione centrale e le porte si aprirono con un sibilo, davanti agli occhi sconvolti di Judy apparve la Zootropolis che aveva difeso con tutte le sue forze per mesi. Fuori dalla stazione, i muri erano coperti di graffiti, bidoni dati alle fiamme e strade invase da fogli di giornale, lattine e vetri rotti. Poco lontano, un’enorme grata chiudeva fuori dalla piazza una strada in cui vagava una lince curva sulle quattro zampe. Il mammifero si volse verso di lei, scoccandole uno sguardo che non seppe decifrare.

In quegli occhi lesse tutto ciò che la città era diventata: caotica, fredda e frenetica, incapace di esprimersi, si parlare e di ascoltare. Rimase a guardarla per qualche secondo, poi cacciò un rauco miagolio dicendole qualcosa che lei non capì e si dileguò dietro l’angolo, svanendo per la strada. Judy la seguì con lo sguardo e poi tornò a guardarsi intorno, vedendo la città come pochi secondi prima non era riuscita a scorgere.

La poca vita che c’era per la strada era nervosa e si guardava intorno con occhi attenti, quasi si aspettassero un attacco. Una gazzella comparve dietro l’angolo, si fermò davanti ad una porta coperta di graffiti e scritte e si guardò intorno con urgenza prima di spingere all’interno dell’edificio il cucciolo che teneva per la zampa. Velocemente lo seguì e la porta si chiuse: anche a quella distanza, Judy poté distintamente sentire la chiave girare due volte nella serratura.

“Ma cosa…” mormorò a sé stessa.

“Ehi bambola” chiamò una voce dietro di lei. Un gruppo di torelli la circondò: magliette a righe, giacche nere e pantaloni strappati e sbiaditi. Uno di essi aveva un piercing a forma di anello nelle narici. “Mi sembri un po’ troppo pulita per essere di queste parti”.

“Cosa ti fa pensare che non lo sia stata?” chiese lei incrociando le braccia. Il bovino sorrise.

“Immagino che ti sia persa il meglio” disse. “Questo è il nostro quartiere: se vuoi passare devi pagare il pedaggio”. La coniglietta drizzò le orecchie mentre il branco attorno a lei muggiva piano, facendo commenti su come gliele avrebbero tirate volentieri quelle orecchie solo per vedere la sua espressione mentre riscuotevano il pagamento.

“Non oserai…!” commentò. Il sorriso del torello si trasformò in un ghigno.

“E perché no?” replicò lui. “Questo è il paese dei balocchi se ti accompagni alla banda giusta. E con una ritoccata ai vestiti il tuo branco giusto potrebbe essere il nostro, cara mia copertina di Playbun*”.

“P-Play…” balbettò Judy, afferrandosi istintivamente le braccia.

“Ho un debole per le femmine basse” continuò il mammifero sbuffando dal naso. “E sei fortunata: ho anche rubato un completo di pizzo che…EHI! PRENDETELA!”.

Judy corse via, rifiutandosi di sentire il resto. Corse per la strada senza vedere nulla, scavalcando gli ostacoli in maniera automatica senza soffermarsi su nessun particolare. Nella sua testa si chiedeva perché.

Perché era cambiata così tanto la città? Con il capitano Bogo come sindaco poi…perché per le strade giravano individui simili liberamente? Avrebbero dovuto essere in una cella per quello che avevano fatto e di cui andavano evidentemente fieri: in quei pochi secondi aveva conteggiato almeno cinque reati per cui un paio di mesi in prigione sarebbero stati ad onorem.

Perché stava scappando per una strada che ricordava pulita, luminosa e piena di vita con un branco di tori alle calcagna che vociavano, muggivano e lanciavano bottiglie e lattine nella speranza di colpirla. Svoltò l’angolo e continuò a correre, continuò a non voltarsi indietro, a guardare il degrado ed il marcio che la circondava, a chiedersi quella maledetta domanda

perché?

che imperterrita, implacabile, insofferente esigeva una risposta e la esigeva chiara e veloce. Svoltò un secondo angolo e s’infilò in un piccolo vicolo: gli occhi tornarono a funzionare e Judy poté osservare con terrificante chiarezza il muro di mattoni davanti a lei farsi sempre più vicino, mentre le voci dei bulli dietro di lei non sparivano, facendosi anzi più chiare e più vicine.

“Ah, hai gusto mio piccolo batuffolo” osservò il toro con il piercing fermandosi all’imboccatura del vicolo. “Appartato e romantico, esattamente come piace a me: andremo molto d’accordo”. Judy si volse, dando le spalle al muro: la stazza del mammifero chiudeva la strada fuori e l’ombra si stagliava verso di lei, avvicinandosi sempre di più.

Si guardò intorno, cercando una via di fuga che non c’era. Il cuore nel suo petto sembrava impazzito e l’adrenalina che sentiva scorrerle nel corpo come un fiume in piena le paralizzava i movimenti. I sensi si acuirono e si rifiutò di chiudere gli occhi, certa che dietro le palpebre avrebbe visto il suo immediato futuro: mai avrebbe pensato che il suo ritorno a Zootropolis sarebbe stato sancito con uno stupro di branco.

“Adesso fai la brava: non hai dove scappare” diceva il toro, sempre più vicino, sempre più imponente. “So essere delicato sai? E poi, hai il muso di una a cui potrebbe piacere”. Quell’ultima frase le fece salire la bile, ma prima che potesse fare qualsiasi cosa avvenne il miracolo.

Accanto a lei si aprì la finestrella di un seminterrato ed una figura ne scattò fuori. Judy si sentì prendere per la vita e sollevata da terra, si sentì nell’aria un piccolo scoppio ed il toro svanì in pochi attimi in una coltre di fumo.

“LASCIAMI!” urlò, dimenandosi e scalciando. La figura non allentò la presa e lei si sentì scattare in avanti; pochi secondi e la luce svanì, lasciando il posto ad una penombra quasi confortante. Sentì nuovamente la terra sotto le zampe e sgambettò via dal suo aggressore, prendendo possesso del primo angolino che trovò.

“Agente Hopps…” salutò una voce stanca. Davanti ai suoi occhi, comparvero gli occhi celesti e gelidi di Jack Savage: la camicia, una volta impeccabile, era stropicciata, lacera e senza una manica, i pantaloni erano sporchi di fango e grasso e la testa della lepre era fasciata da una benda con una chiazza rosso scuro sulla fronte. Lo sguardo non era cambiato: lucido, freddo e padrone della situazione.

“Bentornata a Zootropolis”.
 

 

*Sta naturalmente parlando di Playboy
   
 
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