Fanfic su artisti musicali > System of a Down
Segui la storia  |       
Autore: Kim WinterNight    30/03/2017    3 recensioni
Scappare non è sempre simbolo di codardia. Ognuno di noi ha un motivo valido per cui vorrebbe scappare da qualcuno o qualcosa: chi per dimenticare, chi per liberare la mente, chi per accompagnare qualcun altro nella fuga, chi per uscire di casa, chi per volere di un'entità superiore...
Ma tutti, forse, lo facciamo per cercare un po' di libertà e per rendere noi stessi più forti e capaci di ricominciare a lottare.
DAL TESTO:
Una vacanza, ecco cosa mi serviva. Non riuscivo più a stare rinchiuso in casa, forse stavolta avevo esagerato. [...]
Notai una figura rannicchiata in fondo, in posizione fetale e con le braccia strette al corpo. Tremava vistosamente e teneva gli occhi serrati.
«Non vuole uscire di lì... non so più cosa fare» sospirò lei, portandosi una mano sulla fronte. [...]
«Non ti incazzare, amico. Ci tenevo solo a invitarti personalmente al mio matrimonio.»
Digrignai i denti e osservai, senza neanche vederli, gli automobilisti a bordo dei loro veicoli che mi superavano e mi evitavano per miracolo, per poi imprecare contro di me e schiacciare sul clacson con fare contrariato. [...]
«Avresti potuto chiedermelo, magari?» commentai, incrociando le braccia sul petto.
«Avresti rifiutato» si giustificò.
Genere: Comico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daron Malakian, John Dolmayan, Nuovo personaggio, Serj Tankian, Shavo Odadjian
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
ReggaeFamily

Fuck to Forget

[Daron]




Non appena ero arrivato sulla terrazza dello Skye Sun Hotel, avevo immediatamente deciso che avrei trascorso lì la serata.

Da un paio di casse situate ai lati del chiosco in legno si diffondeva della musica reggae, e subito riconobbi dei colleghi californiani che avevano un talento assurdo e riuscivano a fondere due generi come il reggae e il jazz, creando un effetto devastante. Li ascoltavo sempre quando ero in vena di farmi una canna in santa pace e andare con la mente lontano, rilassandomi al massimo.

In quel momento le note di Praising dei Groundation riscaldavano l'atmosfera.

Mi accorsi subito che sulla terrazza non c'era tanta gente: un paio di uomini d'affari discutevano tra loro sottovoce, e sembravano due pinguini con tanto di giacca e cravatta; una famiglia formata da padre, madre e una bimba di circa dieci anni si godeva la vista panoramica scattando qualche foto, mentre una donna sulla trentina stava seduta da sola al bancone, con i piedi incastrati sulle stecche dell'alto sgabello. Mi parve di averla già vista da qualche parte, ma non riuscivo a capire dove.

Mi accostai al banco e la osservai meglio, dopo aver ordinato un Blue Mountain; era bionda e forse un po' troppo magra, abbigliata in maniera deliziosa con un leggero abito nero che le sfiorava le ginocchia e una giacca bianca posata sulle spalle. Era truccata e aveva scelto dei colori tenui, tranne per il rossetto bordeaux che le colorava le labbra sottili. Sembrava silenziosa e solitaria, e per me questo significava che dovevo assolutamente cominciare una battuta di caccia.

Il barista mi servì il rinomato caffè giamaicano in un'elegante tazzina bordeaux decorata in oro, e il profumo intenso e aromatico mi colpì immediatamente, inebriandomi e facendomi venire una gran voglia di berlo subito. Tuttavia era decisamente troppo caldo, così attesi qualche istante e nel frattempo notai che il barman non faceva che spostare lo sguardo da me alla donna seduta sullo sgabello poco distante dal mio.

«Amico, qualche problema?» indagai, afferrando una bustina di zucchero di canna. La strappai e rovesciai il contenuto nella tazzina, poi presi a rimescolarlo con il cucchiaino.

«No, solo... mi sembra di averti già visto da qualche parte» borbottò, aggrottando le folte sopracciglia scure.

Con la coda dell'occhio notai che la bionda accanto a me sorseggiava il suo drink e ascoltava discretamente la nostra conversazione.

«Davvero? Strano, non sono mai stato da queste parti. Anni fa feci un giro nella capitale, magari ci siamo visti lì» dissi con noncuranza. Era divertente notare che in quel posto nessuno sembrava sapere che io e i miei amici facessimo parte di una band abbastanza famosa. In Giamaica, evidentemente, la gente ascoltava solo reggae music.

«Non saprei... non vado spesso a Kingston.»

«Non so cosa dirti, amico» tagliai corto, facendo decisamente il coglione. Anche se può sembrare strano, non amavo vantarmi di essere chissà chi, nonostante suonassi con i SOAD da anni e anni.

A quel punto mi resi conto che la bionda stava scendendo dallo sgabello; la tenni sott'occhio e notai che si dirigeva verso il parapetto, probabilmente intenzionata a godersi il panorama in pieno relax.

Allora bevvi con calma il mio caffè e scambiai qualche chiacchiera con il barista, che in fondo non era poi così male; mi raccontò che aveva abbandonato la carriera musicale per finire a lavorare in quel posto.

«Che peccato, magari eri anche bravo. Cosa suonavi?» gli domandai.

«Il basso. Il fatto è che non volevo fare reggae, capisci? Mi piace, non dico il contrario, ma in questo posto per emergere non puoi far altro. Pare un posto da sogno, ma è molto chiuso mentalmente, non so se mi spiego... provengo da un paesino di cinquemila anime, e lì tutti ascoltano reggae oppure musica tradizionale vecchia come il mondo» mi spiegò lui, mentre sciacquava qualche stoviglia.

«Che genere avresti voluto fare?»

«Vado matto per il blues» ammise con un sorriso. «Forse avrei fatto qualcosa di jazz mischiato con il blues. Ma non reggae.»

Annuii. «Capito. È un peccato. E non hai mai pensato di emigrare? Magari negli States, in Europa, o... in Brasile, per esempio, avresti potuto fare ciò che ti pare. So che in quel paese vengono apprezzati molti artisti rock e metal, così come in Messico...» buttai lì, ricordandomi le magnifiche esperienze con i ragazzi, live come Rock in Rio non potevano essere dimenticati tanto facilmente.

«Già, ma non avevo i soldi per viaggiare. Quando sono arrivato qui, cinque o sei anni fa, pensavo di guadagnare qualcosa per partire. Ma sono sopraggiunti tanti problemi e allora... be', eccomi qua. Alla fine questo lavoro mi piace.»

«Però rimpiangerai di non esserti buttato sulla musica, scusa se te lo dico» gli feci notare.

«Probabilmente hai ragione» mormorò.

«Non è mai troppo tardi, su» cercai di rassicurarlo. Mi faceva un po' pena, poveretto. «Io ho una chitarra con me, magari uno di questi giorni ci facciamo una suonata, ti va?» gli proposi con entusiasmo. La musica era una delle poche cose capaci di risollevarmi l'umore, era sempre stato così.

Il tipo sollevò il capo e notai che i suoi occhi brillavano. «Sicuro! Ci conto allora! Tu com'è che ti chiami?»

«Daron. E tu?» Intanto lanciai un'occhiata alla mia preda e la trovai affacciata a contemplare il panorama, così decisi che era giunto il momento di farmi avanti.

«Io sono Alwan, piacere di conoscerti. Non vedo l'ora di suonare con te, mi sembri un tipo in gamba» rispose lui tutto contento.

Gli strinsi la mano, poi annunciai: «Ora vado a caccia, amico. Ci si becca in giro, okay?».

Alwan mi lanciò un'occhiata interrogativa, poi sorrise quando accennai con il capo alla bionda che stavo per raggiungere.

«Buona fortuna» concluse.

Annuii e balzai giù dallo sgabello, per poi avvicinarmi al parapetto e posizionarmi a circa un metro dalla preda.

Lei parve non notarmi, o forse aveva semplicemente deciso di ignorarmi. Se l'avevo inquadrata bene, quello era un comportamento tipico del suo carattere chiuso e riservato, ma non sarebbe stato un problema per me.

«Questa vista è spettacolare, non è vero?» esordii, poggiandomi con le braccia sulla balaustra in legno; assunsi una posa assorta e pensosa, aggrottando leggermente la fronte e puntando lo sguardo dritto davanti a me.

«Magnifica» la sentii sussurrare appena.

«Non avevo mai visto nulla di simile, è la prima volta che vengo qui» proseguii. Lei rimase in silenzio, e a quel punto mi voltai nella sua direzione. «Tu ci sei mai stata prima?»

«Mai.» La donna spostò finalmente gli occhi su di me e mi osservò per un po'.

«Non è una bella coincidenza che si siamo ritrovati entrambi qui per la prima volta?» buttai lì, indirizzandole il sorriso più timido che riuscii a produrre.

«Suppongo di sì.» Annuì leggermente e notai solo allora i suoi occhi verdi, illuminati appena dalla luce soffusa che riempiva la grande terrazza.

«Oh, che maleducato! Non mi sono presentato, mi spiace. Molto piacere di conoscerti, io sono Daron. Posso sapere il tuo nome?» Allungai con fare titubante una mano nella sua direzione.

Lei la strinse e replicò: «Piacere mio, sono Medison».

«Un nome molto bello. Anche mia sorella si chiama Medison, sai?» inventai su due piedi, trattenendo la sua mano nella mia. Quel contatto mi piaceva, sì, avevo scelto bene anche stavolta.

Lei sgranò leggermente gli occhi per la sorpresa. «Davvero?»

«Sì, anche per me è assurdo! Quante coincidenze... o forse il destino ha voluto quest'incontro» riflettei, guardandola negli occhi; nel frattempo avevo preso a carezzare piano la sua mano, e lei non sembrava intenzionata a ritrarsi da me. Stava andando tutto alla grande.

«Io...» Medison abbassò improvvisamente gli occhi sulle nostre mani. «Sono qui con il mio compagno, non penso che...»

Ci avrei scommesso, una donna come lei non sarebbe mai venuta da sola in una baia sperduta nelle coste giamaicane.

Sospirai piano. «Qual è il problema? Il tuo compagno non si arrabbierà se parliamo un po' o facciamo due passi insieme. Lui dov'è ora?»

«Era molto stanco ed è andato a letto presto.»

Che imbecille. Medison era una preda fin troppo semplice da conquistare. Se io fossi andato in vacanza con la mia donna, non avrei perso tempo a dormire da solo in camera. Chissà che razza di rammollito doveva essersi trovata.

All'improvviso un ricordo mi colpì e rimasi per un attimo interdetto: avevo già visto quella donna, ora ne ero certo. Era seduta in ristorante durante la cena, in compagnia di un uomo più vecchio di lei di almeno quindici anni. Poi i due erano stati raggiunti dalla nuova amica di Shavo.

La questione si faceva ancora più interessante e intrigante.

«Un vero peccato che tu sia sola, Medison. Non penso che lui vorrebbe che ti annoiassi, giusto? Ti tengo solo un po' di compagnia, sempre se ti va.» Feci per ritrarre la mano, ma lei mi trattenne.

«Va bene, in fondo non c'è niente di male, hai ragione» decise, poi allentò la presa e infine interruppe il contatto, posando la mano sulla balaustra.

«Magnifico. E quindi anche tu in vacanza...»

Medison annuì. «So che Alan, cioè, il mio compagno, viene spesso da queste parti per le vacanze. Voleva che visitassi anch'io quest'angolo di Paradiso» raccontò.

«Direi che ha fatto bene. In vacanza si fanno sempre degli incontri interessanti» osservai, cercando nuovamente il suo sguardo.

Stavolta rimanemmo a fissarci intensamente per un tempo incalcolabile, e io avvertivo chiara e forte la tensione sessuale farsi strada tra noi due. Ormai ero certo che avrei potuto fare di lei ciò che volevo, si trattava della classica sgualdrina che, probabilmente, si era messa con un uomo pieno di quattrini e ingenuo come un bambino.

«Medison, sono proprio contento di aver conosciuto una creatura graziosa come te» mormorai, facendo un passo verso di lei. Sollevai cautamente una mano e le scostai una ciocca di capelli dorati dal viso.

Avvertii il suo respiro accelerare per un attimo, poi mozzarsi all'improvviso. Mi afferrò la mano con una forza che non mi sarei mai aspettato e mi fissò per qualche istante.

«So cosa vuoi» disse sottovoce.

«Sì?» mi finsi sorpreso.

«Sì.» Rafforzò la stretta sulle mie dita. «Penso che possiamo divertirci un po'» concluse.

Sorrisi e annuii. «Allora seguimi.»


Se non altro mi servì per sfogarmi, quell'esperienza. Certo, non avrei mai voluto una donna come Medison al mio fianco; era una persona poco seria, ci era voluto ben poco per convincerla a venire a letto con me.

Devo ammettere che ci sapeva fare, e non si preoccupò minimamente del casino che regnava nella mia stanza. Mentre il suo Alan ronfava beato come un vecchio in pensione, io trascorsi un bel po' di tempo a sbattermi la sua compagna in tutti i luoghi possibili e immaginabili della camera d'albergo, facendola miagolare come una gattina in calore.

«Forse ora il tuo compagno avrebbe qualcosa da ridire» commentai, una volta consumato l'ennesimo amplesso.

Medison ansimava ancora, rannicchiata su di me. La sua corporatura minuta metteva in evidenza le forme appena accennate dei seni, dei fianchi e delle natiche, facendola apparire come un bocconcino decisamente appetibile.

«È stato solo un errore...» disse.

«Un errore, dici?» la canzonai, sapendo perfettamente che non era vero.

«Sì, un errore» confermò, lasciandosi cadere ancora una volta sotto di me.

«Gli errori vanno ripetuti all'infinito per essere effettivi, lo sai?»

Poi la possedetti ancora una volta, facendole capire che l'errore più grande sarebbe stato rinunciare a tutto quello che io potevo darle.

Quando infine lasciò la mia stanza, mi buttai sotto la doccia e ci rimasi per un tempo che mi parve infinito. Avevo bisogno di lavare via il suo odore, l'odore del sesso e, forse, la consapevolezza di averlo fatto con la speranza di dimenticare.

La verità era che, mentre provavo un intenso piacere in compagnia di quella sconosciuta, ripensavo a Jessica. E solo ora mi resi conto che ero incazzato nero con il mondo intero, con lei per aver scelto quel pesce lesso di Lars Ulrich, con quest'ultimo per avermi telefonato e umiliato senza alcun riguardo, con me stesso per essermi illuso che quella vacanza mi avrebbe aiutato.

Stavo andando sempre più alla deriva e non sapevo come rimettermi sulla giusta rotta.

Una volta uscito dalla doccia, gettai via lenzuola e coperte, ammucchiandole in un angolo. Frugai nell'armadio e ne trovai delle altre, così le sistemai un po' a caso sul materasso e mi ci lasciai cadere.

Non avrei sopportato di dormire con quell'odore addosso.




Ehilà, come state?

Torno a rompere soltanto per spiegarvi una cosa e chiedervene un'altra.

Ho nominato il Blue Mountain, quando Daron lo ordina al bar sulla terrazza; come ho cercato di spiegare anche attraverso i suoi occhi e i suoi sensi, si tratta di un caffè tipicamente prodotto in Giamaica, il quale è molto rinomato e costoso, coltivato sulle Blue Mountains giamaicane a un'altitudine rigorosamente compresa tra i 1000 e i 2000 metri; questo viene controllato e certificato dal governo, e infatti le piantagioni di caffè situate più in basso danno il nome ad altre qualità meno pregiate o comunque diverse. Pensate che la maturazione di questo tipo di caffè può richiedere fino a dieci mesi ed è rallentata dalla forte presenza di nebbia e precipitazioni. Ma questo è soltanto un pregio per il Blue Mountain, è un fattore che non fa che aumentare la sua rarità e il suo pregio ^^ io sarei curiosissima di assaggiarlo, e voi?

La domanda che invece vorrei porvi è: vi aspettavate un risvolto del genere nella storia? Forse da Daron ci si poteva aspettare qualcosa come una conquista “amorosa”, ma avreste mai immaginato che Medison, l'amante del momento del padre di Leah, potesse darla via così facilmente e concedersi al nostro scapestrato chitarrista?

Attendo il vostro parere e vi ringrazio tutti per il supporto, alla prossima ♥

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > System of a Down / Vai alla pagina dell'autore: Kim WinterNight