Anime & Manga > Daiku Maryu Gaiking
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Autore: BrizMariluna    30/03/2017    4 recensioni
Il Gaiking, il Drago Spaziale e il loro equipaggio vagamente multietnico, erano i protagonisti di un anime degli anni settanta che guardavo da ragazzina. Ho leggermente (okay, molto più che leggermente...) adattato la trama alle mie esigenze, con momenti ispirati ad alcuni episodi e altri partoriti dai miei deliri. E' una storia d'amore con incursioni nell'avventura. Una ragazza italiana entra a far parte dell'equipaggio e darà filo da torcere allo scontroso capitano Richardson, pilota del Drago Spaziale. Prendetela com'è, con tutte le incongruenze e assurdità tipiche dei robottoni, e sappiate che io amo dialoghi, aforismi, schermaglie verbali e sono romantica da fare schifo. Tra dramma, azione e commedia, mi piace anche tirarla moooolto per le lunghe. Lettore avvisato...
Il rating arancione è per stare dal canto del sicuro per alcune tematiche trattate e perché la mia protagonista è un po' colorita nell'esprimersi, ed è assolutamente meno seria di come potrebbe apparire dal prologo.
Potete leggerla tranquillamente come una storia originale :)
Con FANART: mie e di Morghana
Nel 2022/23 la storia è stata revisionata e corretta, con aggiunta di nuove fanart; il capitolo 19 è stato spezzato in due capitoli che risultano così (secondo me) più arricchiti e chiari
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Gaiking secondo me'
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Le recensioni a questo capitolo sono riferite anche a quello successivo, poiché in data 13/2/2023 ho deciso di spezzarlo in due, in quanto ritenevo fosse troppo ostico, lungo e malfatto...  quindi, per chi leggerà le rece, sappia che ci saranno spoiler sul prossimo capitolo! Scusate l'inconveniente ;)
 


~ 19 ~
TRA INVERNO E PRIMAVERA
 
 
 
Alla fine, in qualche modo, faticosamente e dolorosamente, l'inverno si avviò verso la fine. L'odore dolce della primavera cominciava ad aleggiare nell'aria, insieme a una brezza che sembrava quasi portare speranza. Sembrava soltanto, purtroppo: in realtà il conflitto era ancora nel pieno del suo svolgimento e anzi, in quegli ultimi due mesi, si era profondamente inasprito.
A Briz sembrava passato un secolo dal Capodanno, l'ultima volta in cui era riuscita davvero a rilassarsi e divertirsi.
Dopo quella sera spensierata di festa e canzoni, ne erano successe di tutti i colori: attacchi, battaglie e altri rapimenti avevano messo a dura prova i componenti dell'equipaggio e, a tratti, persino i rapporti tra di loro.
Oltretutto, a un certo punto, Briz si era dovuta risolvere, naturalmente dietro compenso, ad affidarsi ad Hakiro, il ragazzino che abitava nelle vicinanze, perché si occupasse dei cavalli ogni mattina prima della scuola e verso sera, poiché nessuno di loro aveva più il tempo per farlo ogni giorno.
Sulla terrazza della sala comune, sola, la ragazza offrì il volto al pallido e  tiepido sole di un ultimo sfilaccio di inverno, in quella limpida giornata dei primi di marzo, lasciando che i pensieri corressero alle avventure più brutte del periodo appena passato.
Prima c'era stata la battaglia sulla Luna: un’avventura pazzesca, in cui erano stati attirati sul nostro satellite da un Mostro Nero. Lei, Sanshiro e Yamatake ne erano usciti vivi per miracolo, contusi e ammaccati. Il Mostro, un Condor Lunare, alla fine aveva subito il colpo di grazia dal Drago dopo una battaglia interminabile, combattuta non solo contro di lui, ma anche contro la gravità, così diversa da quella terrestre.
Il Gaiking, il Bazzora, Balthazar e il Drago stesso, avevano subito danni gravissimi, al punto che era diventato impossibile lasciare la Luna. La salvezza era venuta da Sakon: uscito con la tuta spaziale, il giovane ingegnere aveva scoperto un giacimento di titanio lunare, grazie al quale, dopo essere stato lavorato nell'officina ospitata nella pancia del Drago, erano state possibili le riparazioni. Erano diventati più forti di prima, ma quei tre giorni, passati praticamente da prigionieri sulla Luna, erano stati un mezzo incubo per tutti.1
Erano tornati provati, stanchi e psicologicamente a terra, senza più nessuna voglia di ridere o di scherzare; e ancora non sapevano quello che li avrebbe aspettati nel futuro prossimo.
L’avventura successiva, sull’Isola di Pasqua, era stata persino peggio, e Briz l’aveva relegata il più possibile nel dimenticatoio: Midori di nuovo rapita, salvata da Pete e Sanshiro poi catturati a loro volta, e liberati miracolosamente da Sakon così che Pete potesse tornare al comando del Drago e distruggere, insieme al Gaiking, il mostro di turno. Briz, con Balthazar, aveva preso quasi subito una madornale batosta e lei, rimasta semincosciente fino alla fine dello scontro, non ricordava quasi niente, né niente aveva voluto sapere.2
Erano riusciti a malapena a riprendersi, che c'era stata la triste e tragica storia di Erika…
Un Mostro Nero, dall’affascinante aspetto di un giaguaro, si era diretto verso Parigi; l’equipaggio del Drago, giunto sul posto, se lo era trovato davanti all'improvviso, pronto all'attacco, accucciato sull'Arco di Trionfo: dopo una breve lotta col Gaiking, per qualche inspiegabile motivo, si era ritirato.
Sanshiro aveva poi conosciuto una misteriosa ragazza, di nome Erika: era zelana, e voleva vendicare il suo fidanzato, Starl, un ufficiale che era morto mesi prima in battaglia. Quando Erika – era lei, la pilota del Mostro Giaguaro – aveva visto Sanshiro, aveva creduto di riconoscere in lui proprio Starl: la somiglianza era incredibile, e lei si era convinta che Starl non fosse morto, ma che i terrestri gli avessero fatto il lavaggio del cervello per poi affidargli il Gaiking.
Sanshiro le aveva spiegato come stessero realmente le cose: lui non era Starl, e sulla Terra non si usavano metodi barbari come quello di condizionare le menti altrui per costringere le persone a combattere.
Ormai convintasi che Sanshiro non fosse il suo fidanzato, Erika aveva cercato di portare a termine la sua missione tentando di ucciderlo, ma all'ultimo momento le era mancato il coraggio: il giovane somigliava talmente al suo amore perduto, che non ce l'aveva fatta ed era nuovamente fuggita con il Mostro Giaguaro. Era tornata dallo spietato generale Killer e si era fatta fare lei stessa il lavaggio del cervello, per dimenticare tutto ed essere così in grado di distruggere il Gaiking e il suo pilota. Ma, durante la successiva battaglia, Sanshiro l'aveva riconosciuta e, pur rendendosi conto che Erika non era più in sé, ormai conosceva la sua storia: consapevole che nel momento in cui avrebbe potuto ucciderlo, lei non l'aveva fatto, Sanshiro non era più stato capace di combatterla, rimanendo anche ferito.
Così era toccato a Briz.
Un leone contro un giaguaro, guidati da due ragazze: mai scontro era stato più equilibrato. I due giganteschi felini si erano affrontati con ferocia, suscitando in chi li guardava un fascino quasi perverso. Balthazar era apparso potente e invincibile, nonostante Fabrizia non fosse del tutto convinta di ciò che stava facendo: aveva sperato anche lei di trovare un modo per salvare quella povera ragazza, finché aveva capito che Erika, in realtà, cercava la morte, poiché non voleva più vivere senza Starl.
Aveva affondato i denti acuminati di Balthazar nel collo del giaguaro con tutta la ferocia possibile e, con gli artigli luminosi, gli aveva inflitto solchi profondi nel petto e nella schiena, fino a indebolirlo irrimediabilmente… ma alla fine, troppo provata emotivamente da tanta sofferenza, Fabrizia aveva dovuto lasciare l'intervento decisivo al Drago, che aveva stritolato il mostro fino a farlo esplodere.
Erika e Starl erano finalmente insieme, e avevano trovato la pace.3
Rientrata sul Drago, Briz, con le lacrime che le scorrevano sul volto, aveva visto le espressioni costernate dei suoi compagni, in particolare quella di Sakon, che non aveva potuto fare a meno di pensare come il destino di Erika fosse stato simile a quello di Lisa, il suo amore perduto: anche lei, come Erika, era stata sfruttata dalla crudeltà di Darius e loro non erano riusciti a salvarla.
Briz aveva dato uno spintone a Sanshiro, incurante del sangue che gli scivolava sulla guancia dalla ferita alla fronte.
– Non farmi mai più fare niente del genere! – gli aveva ordinato, fuori di sé al pensiero di essere stata costretta, dall’amico, ad assumersi la responsabilità di uccidere Erika, peso da cui l’aveva, infine, sollevata Pete, intervenendo col Drago.
Si era resa conto che non era tutta colpa di Sanshiro, ed era anche riuscita a capirlo, ma con qualcuno aveva dovuto prendersela, o sarebbe potuta impazzire. E non poteva tirare pugni al maledetto, schifoso Darius!
Sanshiro aveva non solo incassato in silenzio il suo sfogo, ma anche compreso quello che aveva provato l’amica; allora l’aveva abbracciata, non meno avvilito di lei, e l’aveva lasciata sbollire. Una volta calmata, Briz gli aveva chiesto scusa con una carezza sul viso, era tornata al suo posto e non aveva più parlato, chiudendosi in sé stessa.
La reazione di Pete a quella storia non era stata molto diversa; in qualche modo, ne erano stati tutti toccati. Darius e i suoi quattro generali non conoscevano i sentimenti, non capivano l'amore, l'affetto, le emozioni: ne ridevano e li sfruttavano per i loro scopi, approfittando di persone come Lisa, Erika e Starl.
Quelle tre feroci battaglie erano state le più brutali e dolorose, anche dal punto di vista psicologico, ma non erano state le uniche: gli scontri si erano fatti più frequenti e ravvicinati, più duri e cruenti, facendo emergere in ognuno di loro, a tratti, i lati più taglienti e spietati delle loro personalità.
Doc e i ragazzi sapevano di dover combattere per senso di giustizia e per la difesa della Terra, e non per vendetta o risentimento; ma tutti, dopo quella sequela di orribili disavventure, si erano sentiti sopraffatti dall’odio.
Questo sentimento negativo li portò a isolarsi per qualche tempo gli uni dagli altri; persino Sanshiro e Midori finirono per passare poco tempo insieme, figurarsi Pete e Fabrizia.
Non era nella sua indole, ma persino Briz aveva avvertito, impellente, la necessità di stare sola; e proprio ora, che sembrava aver capito di aver bisogno degli altri, anche Pete si era di nuovo ritirato in sé stesso. Tutti loro sembrarono, tutto a un tratto, anelare alla solitudine e, nei momenti liberi, cercare disperatamente solo silenzio e riposo. Daimonji li aveva capiti e non li aveva forzati.
Nonostante gli attacchi, significativamente intensificati, li mettessero continuamente a dura prova sia a livello fisico che mentale, il loro impegno e determinazione durante i combattimenti non vennero mai meno; ma dal punto di vista delle relazioni umane e sociali fra di loro, fu quasi come se quei due mesi, gennaio e febbraio, non fossero mai esistiti.
Briz si staccò dalla ringhiera della terrazza, si passò le mani tra i capelli scompigliati dalla brezza e decise di andare alle scuderie per godersi i suoi animali, sapendo che nessuno, quel giorno, sarebbe venuto a disturbarla, soprattutto Pete, che aveva intravisto poco prima di sfuggita, mentre si dirigeva ai simulatori per una sessione di addestramento.
Lo evitò accuratamente, non desiderava stare con lui, in quel periodo: non era nulla di personale, era sempre il suo Miglior Nemico e continuava a sentire per lui la cosa strana, ma lei non voleva fare niente di niente. Non aveva voglia di scambiare due parole con Midori e Jamilah; non aveva voglia di disturbare Doc con i suoi pensieri depressi; a volte non aveva voglia neppure di andare dai cavalli e li aveva quasi totalmente affidati ad Hakiro.
Non aveva voglia di niente e di nessuno, e sapeva che ciascuno dei suoi compagni era nelle medesime condizioni.
Come ognuno di loro, avrebbe desiderato solo di mettere fine a quel mostruoso conflitto… o di morire.
 
***

Un paio di giorni più tardi si ritrovarono in una delle situazioni più difficili che avessero mai affrontato, probabilmente l’avventura più brutta in assoluto fino a quel momento e che ebbe, alla fine, un unico merito: quello di riavvicinarli gli uni agli altri.  
Tutto cominciò quando una spedizione di esploratori scomparve nel deserto del Sahara. Sakon si sentì alquanto coinvolto, rivivendo la misteriosa sparizione e la morte di suo padre, avvenuta proprio in quel luogo diversi anni addietro; ultimamente aveva avuto persino il dubbio che proprio gli Zelani ne fossero stati la causa.
Il Drago accorse sul luogo per studiare la situazione e, a bordo del Bazzora, Yamatake, Sanshiro e Sakon scoprirono, nel sottosuolo, una base dell'Orrore Nero comandata dal perfido generale Ashmov, uno dei temibili Grandi Quattro.
I tre giovani scesero dal mezzo di appoggio per perlustrare meglio i dintorni: non fu la mossa giusta, poiché  furono attaccati da una squadra di Uomini Uccello. Dopo una interminabile sparatoria tra dune e massi, scappando e nascondendosi tra anfratti e speroni di roccia, Yamatake e Sanshiro riuscirono miracolosamente a fuggire, ma Sakon, nonostante una strenua resistenza per coprire i compagni, si ritrovò circondato: fu catturato e imprigionato dai nemici.
La situazione si delineò immediatamente, agli occhi di tutti, pericolosa e ai limiti del tragico poiché, alla fine, gli alieni erano riusciti in ciò che i terrestri avevano sempre paventato: avere come ostaggio Sakon e la sua brillante, ineguagliabile intelligenza.
Nella lunga e cruenta battaglia che seguì, nel tentativo di liberare il compagno rapito, contro un mostro che sembrava non presentare debolezze, il Drago Spaziale venne, inaspettatamente, duramente colpito e sconfitto.
Dopo che il Gaiking e Balthazar, malconci e con problemi gravi di funzionamento, riuscirono fortunosamente a rientrare nell’astronave, Pete fu costretto a un disperato atterraggio di fortuna tra le dune, dove il Drago, altrettanto malridotto e in buona parte fuori uso, affondò inesorabilmente nelle sabbie brucianti e lì rimase, bloccato, semisepolto nell’oceano di fuoco del Sahara.
Nessuno, lì per lì, seppe spiegarsi come fosse potuta accadere una cosa del genere. Si resero conto, sconcertati e orripilati, che il Drago era stato ripetutamente colpito in ogni suo punto debole: il nemico sembrava conoscerli alla perfezione uno per uno.
Una volta che il possente mezzo terrestre fu ridotto all'impotenza, un nutrito manipolo di soldati alati armati fino ai denti, salì a bordo. I cyborg zelani invasero ogni angolo dell’astronave, come se sapessero perfettamente dove scovare ciascuno dei terrestri; nessuno ebbe scampo: tutto l'equipaggio fu fatto prigioniero.
Nel giro di pochi minuti scoprirono, con orrore, il motivo per cui avevano perduto quella battaglia in modo così eclatante: Sakon li aveva traditi!
Ripristinate le funzioni di base del Drago Spaziale, lo stesso ingegnere passato al nemico lo pilotò in un’immensa caverna sotterranea in cui era stato ricavato un attrezzatissimo hangar nascosto agli occhi del mondo.
Daimonji e i suoi ragazzi furono fatti scendere dall’astronave, pungolati alla schiena e nelle costole dai fucili imbracciati dagli Uomini Uccello.
Quando Sanshiro scorse finalmente Sakon, attorniato dai soldati alati che parevano fargli da scorta e con, sulle labbra, un sorrisetto sarcastico e insolente, gli si scagliò contro e prese a tempestarlo di pugni fino al punto che, se non fossero intervenuti proprio i soldati nemici – e persino Doc e Fan Lee, aiutati da Jamilah – avrebbe finito per ucciderlo.
– Fermati, Sanshiro! – gridò la ragazza, disperata nel vedere il suo Prof asservito ai loro odiati nemici – Lo hanno condizionato, non può essere lucido! Gli hanno fatto il lavaggio del cervello!
Gli animi si calmarono un po’, a quell’ipotesi, rendendosi conto che tali atteggiamenti avrebbero solo peggiorato la situazione; così, tutti quanti si lasciarono condurre, più o meno docilmente, in una cella scavata nella nuda roccia, spoglia e poco illuminata, che avrebbero dovuto condividere.
Non tutti parevano convinti fino in fondo della teoria dell’asservimento: avevano sempre pensato che Sakon, grazie al suo sorprendente quoziente intellettivo, fosse praticamente immune al condizionamento mentale. Tuttavia, la tesi sembrava definitivamente smentita: Sakon appariva davvero, senza ombra di dubbio, completamente assoggettato.
Ciò che scoprirono fu alquanto agghiacciante: con l'aiuto di Sakon e del suo intelletto superiore, l’Orrore Nero voleva potenziare il Drago, eliminarne ogni punto debole e, successivamente, sfruttarlo per i loro scopi di conquista.
Tutti loro furono obbligati a lavorare di persona per rinforzarlo, eliminando ogni pecca e difetto su cui i nemici si erano concentrati per abbatterlo, e assemblando, inoltre, due grandi trivelle di acciaio zelano agganciate alle zampe.
Furono costretti a ritmi da schiavi, sorvegliati dagli Uomini Uccello armati di taser e fucili, agli ordini di Sakon. Tutti loro finirono per prendersi almeno un paio di scariche elettriche e percosse, soprattutto gli uomini, che si ribellavano con violenza ogni qualvolta vedevano una delle ragazze venire maltrattate.
Venne loro concesso il cibo – poco – e il riposo notturno – poco anche quello – solo per mantenere le forze sufficienti per lavorare.
Ribellarsi apparve fin da subito fuori discussione, sarebbe stato un suicidio sicuro, quindi non rimase loro che arrendersi a quella drammatica circostanza e cercare, nel frattempo, di elaborare un piano. Cosa non facile, quest’ultima, visto lo stato di prostrazione fisica e psicologica in cui versavano ogni volta che, a notte fonda, venivano sospinti in quella cella tutti insieme, per dedicare poche ore a un sonno leggero e tormentato su un pavimento di pietre dure e gelide.
Briz non capiva quali fossero i pensieri di Pete su quella orribile faccenda, ma certo, con la sua freddezza e autocontrollo, era quello che riusciva più di ogni altro, insieme alla ragionevolezza di Doc, a tenerli calmi e a sedare gli animi perché non succedesse di peggio.
Quell’incubo si ripeteva incessante: sveglia all’alba, – o presunta tale, dato che non vedevano la luce del sole dal momento della cattura – duro lavoro per tutto il giorno, con solo un paio di brevi momenti di pausa per mettere qualcosa di frugale e ben poco appetitoso sotto i denti, e ritorno in cella a notte inoltrata.
Era già la quinta volta che rivivevano quella routine e che, rientrando nella segreta, si delineava il prospetto di qualche ora notturna scomoda e al freddo, nella vana ricerca di un riposo decente o un’idea che concedesse loro una possibilità di fuggire da quella prigionia. Il pensiero che i lavori di potenziamento al Drago fossero quasi alla fine, e il loro tempo ridotto agli sgoccioli senza aver avuto la possibilità di trovare una soluzione, non li aiutava a mantenersi lucidi e pragmatici.   
Quando il cancello della loro prigione, manovrato da Sakon, stava per richiudersi alle spalle di Jamilah, la ragazza, in preda a un crollo nervoso improvviso, si rivoltò violentemente assalendo il giovane, scrollandolo per le spalle e tempestandolo di colpi sul petto, completamente sopraffatta dalla rabbia, dallo scoramento e dalla paura.
– Svegliati, maledizione! Svegliati, torna in te, Prof! Come puoi farci questo!? Non può essere che stia accadendo davvero! Basta, devi tornare in te!
Jami non ci aveva pensato, ma, pur nell’eventualità che, a quel suo impazzimento improvviso, Sakon si fosse potuto riprendere, non sarebbero stati affatto fuori pericolo: anzi, probabilmente i nemici avrebbero imprigionato o, addirittura, fatto fuori anche lui seduta stante.
Ad ogni modo, non andò così.
Sakon allontanò Jamilah da sé con un’espressione indifferente sul volto e un brusco spintone che la mandò a cozzare contro Sanshiro. Il pilota del Gaiking scostò con calma la ragazza da sé, lasciandosi poi sfuggire un moto di ribellione e caricando lui stesso l’amico assoggettato, pronto a colpirlo.
Sotto gli occhi inorriditi di tutti, Sakon sollevò il fulminatore e gli sparò con la massima glacialità, ferendolo a un braccio; al dottor Daimonji, che era scattato per intervenire in soccorso di Sanshiro, toccò la stessa sorte.
Sakon li colpì solo di striscio, ma tutti rimasero sconvolti e terrificati da questo fatto; mentre soccorrevano i due compagni feriti, Sakon, con il massimo disinteresse, richiuse il cancello e se ne andò.
Più tardi, seduta sul pavimento con Jamilah tra le braccia, Briz tentava invano di consolare il pianto dell’amica, silente e dignitoso ma incessante. Una parte di Jami era stata convinta, fino a quel momento, che Sakon fosse ancora recuperabile, ma quella più razionale, dopo ciò che era appena accaduto, l’aveva persuasa che, per lui, non ci fosse più nulla da fare.
La giovane mulatta finì per addormentarsi, stremata sia fisicamente che a livello psicologico, anche perché ora si era aggiunto il senso di colpa per aver provocato, pur se inconsapevolmente, la reazione violenta di Sakon.
Anche Briz, a un certo punto, si distese a terra sfinita, lanciando uno sguardo in giro: Sanshiro, con una fasciatura di fortuna al braccio sinistro, era seduto appoggiato al muro di fronte a lei, con la testa china e gli occhi chiusi. Daimonji era disteso sull'unica panca della cella, con la ferita alla spalla che era stata medicata alla bell'e meglio, poco prima, dalle ragazze, e veniva vegliato da Midori; il respiro regolare del dottore probabilmente rassicurò la sua amica, poiché Briz la vide lasciarlo per raggiungere Sanshiro e sedersi accanto a lui. Il giovane strinse Midori tra le braccia e rimasero lì, in silenzio, più o meno come tutti gli altri che, sdraiati qua e là sul pavimento o seduti appoggiati alle pareti, tentavano in qualche modo di recuperare un po’ di energie.
Con le espressioni stanche e avvilite, i ragazzi con l'ombra scura della barba incolta sui volti provati, stavano in attesa di venire richiamati, di lì a poche ore, per un altro turno massacrante di lavoro. E per cosa, poi? Alla fine, la conclusione sarebbe stata per forza una sola: ottenuto ciò che voleva, il generale Ashmov li avrebbe uccisi tutti. Tranne, probabilmente, Sakon, ormai irrimediabilmente trascinato dalla parte della causa zelana, che avrebbe messo al servizio di Darius la sua eccezionale intelligenza.
Briz chiuse gli occhi e una lacrima silenziosa le sfuggì di tra le ciglia, pensando a un'altra cosa che la tormentava: era la prima volta che si trovava tanto vicina fisicamente a uno dei giganteschi generali. Gli immensi occhi sfaccettati di Ashmov, simili a quelli di una mosca, incastonati nella grande testa ovale, sembravano inespressivi, ma la ragazza percepiva di essere studiata, come se lei lo interessasse in modo particolare. Lei, dal canto suo, detestava e temeva anche gli altri tre generali, Dankel, Killer e Desmon, ma per Ashmov aveva sempre sentito un odio e un livore molto più profondi, tanto da sconvolgerla, soprattutto perché non ne capiva la ragione.
Tormentata dal freddo, riaprì gli occhi, sentendo sul viso un lieve tocco che aveva asciugato la sua lacrima solitaria: inginocchiato al suo fianco, Pete sfoggiava un'espressione non meno stanca e demoralizzata degli altri; l'unica differenza era che, sul suo viso, la barba non era un'ombra scura, ma un riflesso dorato.
– Se stai per dirmi di non piangere, non farlo – soffiò appena, disperata, vedendo, nell’espressione di lui, la stessa propria impotenza – Entro domani saremo costretti a terminare i lavori e poi… ci uccideranno. E quello che non posso sopportare è che probabilmente, a farlo, sarà il nostro migliore amico – concluse poi, tentando di nascondere l'incrinatura nella voce.
Si girò sull'altro fianco, verso il muro, voltandogli le spalle e raggomitolandosi, tentando di respingere il gelo dal quale nemmeno la speciale uniforme riusciva a proteggerla; forse perché, in realtà, ce lo aveva dentro. Pete l’aveva già vista piangere, ma questa volta, per qualche motivo, la ragazza non voleva che lui la vedesse così scoraggiata, angosciata e senza speranze.  
Provò un ulteriore brivido, quando si rese conto che Pete si era appena sdraiato dietro di lei e l'aveva circondata con un braccio.
– Stai morendo di freddo – le disse per giustificare quel gesto.
Briz non rispose, ma si appoggiò con la schiena contro di lui, rilassandosi un po’.
 
 
Briz-Pete-prigionieri
 
Rimasero per diverso tempo in silenzio e, poco a poco, le lacrime si fermarono e si asciugarono sulle sue guance fredde, mentre entrambi si sentirono avvolgere dal calore irradiato dai loro corpi così vicini.
– Briz – la chiamò Pete, a voce bassissima.
– Sì…? – fece lei, altrettanto piano, senza muoversi.
– Se c'è un modo per uscire da questo purgatorio, ti giuro che lo troverò.
– Cosa ti fa pensare che ci sia, un modo? – gli chiese, avvilita.
– Perché… noi siamo i buoni, ti ricordi?
Briz non replicò, ma un sorriso triste le piegò le labbra: erano così lontani, i tempi in cui la loro vittoria in quel conflitto le sembrava quasi un risultato scontato. E poi, detta da lui e proprio in quella circostanza… quella frase suonava davvero singolare. Accarezzandogli il braccio che la circondava, trovò la sua mano e la coprì con la propria; lui l'abbracciò un po' più stretta.
– Anche tu stai morendo di freddo – gli disse.
– No… io non ho mai freddo: ho il cuore di ghiaccio, non dimenticarlo.
– Bugiardo – sussurrò lei, tanto piano che, forse, Pete non la sentì nemmeno.
Aveva spesso sognato, e anche desiderato – pur se con tutte le remore e i dubbi che sempre la accompagnavano su questo argomento – di dormire abbracciata a lui, ma certo non in un contesto così drammatico. Si chiese se quella sarebbe stata davvero l'ultima notte della loro vita, ma subito allontanò il pensiero per non venire travolta dalla disperazione; sentì il respiro di Pete tra i capelli, e si concentrò sul battito lento e regolare del suo cuore contro la schiena; e, lentamente, scivolarono insieme in un sonno tormentato.
Dal brusco risveglio in poi, tutto si fece veloce e confuso.
Gli uomini alati li fecero uscire dalla cella per riprendere il lavoro, compreso Doc: ordini di Sakon. Briz, a dispetto dell’immenso affetto che aveva sempre provato per l’amico, lo odiò profondamente, in quel momento.
Poi, proprio Sakon si diresse verso lei e Pete con un’espressione gelida e truce sul volto: rapido e con ben pochi riguardi, li spinse e li strattonò fino all'altro lato del Drago rispetto agli altri, immobilizzandoli contro la parete di acciaio di una delle trivelle pronte per essere montate sulle zampe del leviatano metallico.
Sakon spinse un fucile zelano di traverso contro le loro gole; Fabrizia e Pete temettero seriamente che quelli fossero gli ultimi istanti della loro vita e le loro mani si trovarono istintivamente; le dita si intrecciarono strette, alla ricerca di un’ultima manciata di coraggio che gli permettesse di morire con l’orgoglio, nonostante tutto, di avercela messa tutta. Chiusero gli occhi, aspettando il colpo fatale.
Invece, con sorpresa, sentirono Sakon parlare a voce bassissima: si sforzò di tenere un tono minaccioso e freddo, ma le sue parole riaccesero in loro un barlume di speranza.
– Fra circa venti minuti il Drago sarà operativo con le trivelle montate sulle zampe, e il portellone di ingresso si aprirà: dovrete salire il più velocemente possibile, mentre io vi coprirò. Passate voce agli altri, senza che gli zelani se ne accorgano.
Detto questo, rifilò uno schiaffo a Briz, facendola barcollare, e un pugno nello stomaco a Pete, che incassò con un gemito soffocato piegandosi in avanti. Sakon si dileguò, raggiungendo un gruppo di soldati nemici e abbaiando ordini nella loro lingua, e lui e Briz si guardarono fuggevolmente, increduli; dopo di che, nonostante il sollievo che li aveva pervasi, riuscirono a fingere velocemente di rimettersi al lavoro e, passando accanto a ognuno dei loro compagni, li avvertirono di stare pronti ai loro ordini. La speranza si riaccese magicamente nei loro cuori, ma persino Jamilah riuscì a mantenersi impassibile e a continuare il suo lavoro.
Sakon non aveva mentito: al momento stabilito aprì lui stesso il portellone principale del Drago con un telecomando.
– Ora! – gridarono insieme Pete e Briz.
I compagni scattarono come un sol uomo e salirono di corsa sull’astronave, sfuggendo miracolosamente ai micidiali raggi sparati dai fucili nemici, mentre proprio l’ingegnere rimaneva per ultimo, a coprire la fuga degli amici sparando agli Uomini Uccello con lo stesso fucile zelano con cui, poco prima, aveva finto di minacciarli.
A bordo non ci fu tempo per le spiegazioni: Sakon fece vedere a Pete come azionare le nuove trivelle di acciaio alieno appena montate, e bastarono pochi secondi perché il Capitano Richardson riprendesse pieno possesso dei comandi del suo Drago che, nei minuti successivi, seminò il panico nella base nemica, facendosi largo e devastando tutto con la nuova arma, costruita a spese del generale Ashmov! 4 
Tra fumo, fiamme ed esplosioni, il Drago Spaziale riemerse alla luce del giorno, in mezzo al sole accecante del Sahara.
Solo Ashmov, come sempre, riuscì a fuggire vigliaccamente con una piccola astronave, lasciando nel cuore di Fabrizia l'interrogativo che la tormentava: perché lui le ispirava più odio di Desmon, Killer o Dankel?
Più tardi – a diversi chilometri dalla base nemica devastata, di cui non rimaneva che una voragine colma di macerie carbonizzate – nell'ambulatorio di primo soccorso a bordo del Drago, Daimonji e Sanshiro vennero medicati per bene dalle ragazze e giunse finalmente il momento delle spiegazioni.
Tutti ebbero così la conferma che Sakon aveva sempre finto, di stare con i nemici: il condizionamento mentale non aveva effettivamente funzionato sulla sua intelligenza superiore, anzi, aveva finito per accentuarla.
Sakon, quando si era ritrovato prigioniero, aveva realizzato che,  senza l'aiuto del Drago, non sarebbe mai potuto fuggire di lì; così aveva avuto l'idea di sfruttare i nemici per potenziarlo: con questo disperato proposito, aveva fatto in modo che venisse sconfitto in battaglia e catturato con tutto l'equipaggio. Il fatto che il Gaiking, Balthazar e gli altri mezzi di appoggio, non fossero stati operativi al momento della cattura e che, successivamente, fossero rimasti all’interno del Drago senza essere toccati, era stato, tutto sommato, un bel colpo di fortuna, in tutta quella disastrosa vicenda.
Comunque, per far sì che gli zelani non si accorgessero che era rimasto lucido dopo il trattamento di condizionamento, Sakon aveva recitato la parte del traditore talmente bene – arrivando persino a sparare a Sanshiro e Doc, e colpire Briz e Pete – che anche gli amici se ne erano convinti. Ma era andata bene così, pur di non correre il rischio che qualcuno potesse involontariamente tradirsi.
A quel punto delle spiegazioni, Sakon guardò l'unica persona che non aveva mai voluto credere fino in fondo al suo tradimento, e che ora se ne stava silenziosa, in piedi, al suo fianco: Jamilah.
– Tu non ci sei cascata, però: hai creduto in me, nonostante tutto.
– No, ho ceduto ieri sera, dopo che mi sono rivoltata e tu hai sparato a Doc e a Sanshiro. Chiedilo a Briz: credo di aver pianto persino l'anima, stanotte, mi sentivo anche in colpa per averti provocato e scatenato la tua reazione.
– Effettivamente quella è stata la parte più dura per me, ma sono stato costretto a ricorrere a qualcosa di drastico, perché mi ero accorto che, già da un po’, Ashmov aveva cominciato a nutrire qualche sospetto su di me. Perdonatemi, non ho potuto fare altro, per risultare convincente con quel bastardo.
– È stato proprio questo – intervenne Pete – a far nascere in me il dubbio che tu stessi magistralmente recitando: se fossi stato davvero un traditore, non avresti ferito Sanshiro e Daimonji in modo tanto superficiale, li avresti uccisi e basta. Il sospetto è diventato certezza quando ti sei scoperto con me e Briz, fingendo di minacciarci prima di colpirci, cosa che hai dovuto fare per convincere gli zelani della tua fedeltà. Ha senso: dovevano credere che tu ci avessi redarguito per qualcosa, e non avvertiti di ciò che stavi per fare per liberarci.
Sakon era mortificato per quello che gli amici avevano dovuto passare a causa sua, ma tutti compresero: avevano volentieri pagato quel prezzo, soprattutto Sanshiro a cui, ora, dispiaceva anche averlo preso a pugni, credendolo un traditore, all’inizio di tutta quella sporca faccenda.
Ma dopotutto, i risultati di quella brutta avventura erano, ora, la libertà di Sakon e il loro Drago perfezionato, libero da molti punti deboli, e potenziato da una nuova, temibile arma: le trivelle di acciaio zelano.
Infine, Sakon confessò loro un'ultima cosa di cui era venuto a conoscenza, durante la permanenza presso i nemici: la spedizione di ricercatori guidata da suo padre, scomparsa anni addietro, era stata davvero annientata proprio dal generale Ashmov, quando, in gran segreto, era stata costruita la base zelana nel sottosuolo.
– Non ho mai inseguito la vendetta, ma, anche se ciò non mi restituirà mio padre, devo ammettere che aver distrutto quell'avamposto sotterraneo mi ha dato una soddisfazione inimmaginabile! – disse Sakon, con la voce che tremava di rabbia repressa e commozione.
E Fabrizia pensò che anche lei, tanto affezionata all'amico ingegnere, ora aveva un motivo in più per odiare ancor più profondamente Ashmov, il gigante umanoide con gli occhi da insetto.
Jamilah scosse la testa, ancora frastornata da quella orribile avventura, mentre si dirigevano in plancia lasciando Daimonji e Sanshiro a riposare in letti comodi, vegliati da Midori.
Raggiunta insieme agli altri la postazione di comando che lei e Sakon avevano sempre diviso col dottore, Jami ebbe l’assoluto bisogno di fare qualcosa che la convincesse di non stare sognando, e che il giovane fosse davvero di nuovo lì con loro: gli si avvicinò e lo abbracciò stretto, soffocando un singhiozzo contro la sua spalla. Lui ricambiò l'abbraccio, stringendola forte a sé e dimenticandosi per un po' di tutto il resto, compresa la presenza dei compagni.


 
Jami-Sakon-abbraccio

– È bello riaverti qui, Prof…
– Sono qui, Jami… anche per me è bello essere a casa. Sono tornato, va tutto bene.
– Dev'essere stato orrendo per te, subire il lavaggio del cervello. Come hai potuto resistere?
– Non è stato piacevole, devo dirlo – ammise Sakon – Ma sono riuscito ad usare un trucco per schermare i miei pensieri: ho cercato tra di essi qualcosa di bello, me ne sono riempito la mente, e mi sono concentrato solo ed esclusivamente su quello.
Jami non ebbe il coraggio di chiedergli conferma di ciò che quella spiegazione – e quello sguardo – sembravano dire. Possibile che fosse lei, quel qualcosa di bello con cui Sakon aveva colmato la propria mente? Non voleva illudersi. 
A capirlo fu, invece, l'efficiente Capitano Richardson che, molto opportunamente, spedì tutti ai loro posti dando gli ordini di partenza, lasciando soli i due e dando così prova di una insospettabile sensibilità.
Sakon tenne ancora un po’ la ragazza stretta a sé, cosa di cui lei fu molto felice, ma si limitò, oltre a prolungare quell'abbraccio, a lasciarle un bacio sulla fronte: un'insulsa cosa da fratello maggiore.
Pete e Briz, uscendo per ultimi dalla postazione, ebbero modo di notare quel gesto e si guardarono di sottecchi, scuotendo appena la testa: questi due avevano davanti una strada ancora più lunga di quella di Sanshiro e Midori.
Quello che avrebbe fatto sorridere, e forse anche  arrabbiare, in quello strano gioco di coppie che parevano giocare a rimpiattino, era che sia Sanshiro e Midori, che Sakon e Jamilah, pensavano la stessa cosa circa Fabrizia e Pete, che invece, dall’idea di poter essere davvero una coppia, non venivano nemmeno sfiorati.
Il Drago, con Pete ai comandi, si sollevò finalmente in volo, con i componenti del suo equipaggio vivi e vegeti, ma che non erano mai stati così sfiancati e male in arnese tutti contemporaneamente.
Feriti e doloranti, stanchissimi, sporchi e affamati, riguadagnarono la rotta di casa con in testa tre desideri fissi: un pasto decente, una doccia calda modello Cascate del Niagara con almeno mezzo chilo di sapone, e dormire; non necessariamente in quell'ordine.
Di un’ultima cosa avevano disperatamente bisogno, ma fu sufficiente guardarsi tutti negli occhi l’un l’altro e sorridersi, per sentirla fluire spontaneamente fra loro, senza alcuna forzatura: ritrovare il loro legame di amici, oltre che di compagni di battaglia.
Quelli che tornavano al Faro di Omaezaki da vincitori, dopo quella durissima prova, erano di nuovo un’affiatata e indivisibile squadra.
Di più: questa volta erano davvero una famiglia.
  
 
>Continua…



 
Note:
1 Episodio n° 23, “Inferno sulla Luna”.
2 Episodio n° 24 “Gli dei dell’Isola di Pasqua”.
3 Episodio n° 21, “Le lacrime del diavolo giaguaro”.
4 Episodi n° 13-14, “Le piramidi del Sahara” e “Il contrattacco del Drago Spaziale”.

 
  
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