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Autore: SheDark    30/03/2017    0 recensioni
Tratto dal testo:
"Michael era capace di mettermi a disagio con la sola sfrontatezza, era una sensazione che odiavo e con cui allo stesso tempo avevo imparato a convivere.
«Tu mi odi vero?» formulai la domanda che mi frullava in testa da tempo con una semplicità che lasciò di stucco anche me.
Sapevo che avrei dovuto aspettare per avere una risposta."
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Prima storia della serie 5 Stuff Of Season (5SOS)
Genere: Fluff, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Michael Clifford, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '5 Stuff Of Season (5SOS)'
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Come previsto i Clifford si trasferirono da noi nel giro di qualche giorno, o meglio, Daryl iniziò a vivere a casa nostra da praticamente subito, mentre Michael andava e veniva. Il padre gli aveva affidato le chiavi della precedente abitazione nell'attesa che scadesse il contratto d'affitto e spesso il ragazzo preferiva fermarsi li per restare da solo. Aveva bisogno dei suoi tempi e la coppia gli dava i suoi spazi. Per ora, le poche volte che si era degnato di fermarsi per la notte, aveva dormito su una brandina nella camera del mio fratellino .
Con il passare del tempo tutto sembrò andare a posto e anche Michael iniziò a passare sempre più tempo in nostra compagnia; finché, dopo le tre fatidiche settimane, decise di rimanere definitivamente (ovviamente non aveva avuto altra scelta, a meno che non preferisse dormire sotto ad un ponte).
Inizialmente la convivenza con i Clifford al completo sembrò andare bene: credevo che dopotutto non sarebbe stato così difficile riuscire a sopportare Michael, anche perché di solito  se ne stava tutto il tempo con le cuffie (ipotizzai che quel suo isolamento fosse per evitare contatti con la realtà) e si aggirava per la casa come uno zombie, passandomi davanti senza nemmeno rivolgermi la parola. E a me stava bene così.
A scuola la situazione non era tanto diversa da quella a casa poiché in quel breve lasso di tempo tra i corridoi si era sparsa la voce della convivenza tra  Harris e Clifford (le notizie corrono veloci!). E Michael, dopo tutte le domande che gli venivano fatte e sopratutto le frecciatine sul fatto che ora abitasse proprio a casa della ragazza che aveva sempre preso di mira, si era chiuso a riccio. I suo solito gruppo di amici, probabilmente stufatosi dei suoi comportamenti alquanto lunatici, lo avevano emarginato. Solo uno, Calum Hood, era rimasto nella vana speranza di riuscire ad abbattere il muro che Mike aveva costruito intorno a se. Mi faceva quasi pena a vederlo così giù, non sembrava nemmeno più lui.


*  *  *
 

Mi guardai intorno trovando il cortile della scuola solitamente vuoto, immaginai che molti avevano visto in quell'ultimo venerdì prima delle vacanze di Autunno un pretesto per rimanere a casa. Il mio sguardo si posò su un ragazzo che avevo iniziato a conoscere fin troppo bene negli ultimi tempi; così mi diressi a passo sicuro verso al tavolo più isolato dov'era seduto, notai qualcuno lanciare occhiate incuriosite mentre prendevo posto davanti a lui.
«Mamma ci rimarrebbe male a sapere che non ti piace il pranzo che ti ha preparato.» dissi riferendomi al suo panino mangiato a metà, cercando di rompere il ghiaccio.
«Vattene.» rispose in un sibilo.
Feci un profondo respiro per restare calma ed evitare di insultarlo. «Mike, mi vuoi dire cosa c'è che non va?» continuai imperterrita, posando una mano sulla sua, cercando di dargli conforto.
Non lo avessi mai fatto: Michael tolse subito la mano da sotto alla mia saltando in piedi adirato. «Ho detto vattene!» ripeté, questa volta gridando. Ora avevamo l'attenzione di tutti addosso. Perfetto.
«Se allontani anche le persone che cercano di aiutarti non ti lamentare se poi rimarrai solo!» risposi per le rime alzandomi dal tavolo e andandomene senza voltarmi.
 

*  *  *
 

Era l'ultima ora e Mrs Jackson stava spiegando come suo solito le noiosissime espressioni matematiche che tanto odiavo.
Stavo scarabocchiando su un foglio per passare il tempo quando sentì il telefono vibrare nella tasca dei jeans. Lo presi tenendolo nascosto sotto al banco, era il messaggio di un numero sconosciuto:

[ Michael deve dirti una cosa. ]

Mi voltai verso il suo banco, Calum che gli era seduto accanto alzò la mano in segno di saluto e immaginai fosse suo.  Digitai velocemente una risposta:

[E che me lo dica!
O ha bisogno dell'ambasciatore che parli per lui? ]

Vidi Hood rabbuiarsi nel leggere il mio messaggio. Mi sentì un po' in colpa, quella volta Calum non aveva fatto nulla e io me la stavo prendendo con lui. Poi il mezzo neozelandese diede una gomitata all'amico, Michael un po' innervosito  puntò gli occhi nei miei e con le labbra mimò uno “scusa”.
Gli feci vedere il pollice in su, in modo che capisse che era tutto ok. Sebbene non avessi ancora mandato giù il modo in cui si era girato poco prima, sopratutto dopo che mi ero esposta per aiutarlo nonostante tutti gli scherni che avevo subito da parte sua, ma sapevo che quello era il massimo che potevo aspettarmi da lui.
Mi venne in mentre una cosa, presi il telefono (tenendolo ovviamente nascosto) e cercai il numero di Michael:

[ Sei venuto in macchina oggi? ]

Mi ricordai che quella mattina, quando ero uscita per prendere il bus, Mike stava ancora dormendo, e poi arrivata a scuola me lo ero trovato davanti.

[ Si, perché?]

Proprio come sospettavo.
 

[ Me lo dai un passaggio fino a casa? ]

Tanto dovevamo andare entrambi nello stesso posto.
Guardai Michael che mosse il capo, lo interpretai come una risposta affermativa. Mi voltai verso la lavagna per continuare a “seguire” la spiegazione, in attesa che la lezione finisse.
 

*  *  *
 

Ero fuori dai cancelli della scuola in attesa che Michael passasse per caricarmi in macchina, l'avevo visto fermarsi alla fine della lezione per scambiare due chiacchiere con Hood e io ne avevo approfittato per fare  lo stesso con Luke che invece stava aspettando il bus. Stavamo commentando la giornata quando sentì il rumore di un'auto di mia conoscenza.
«Quello non è Clifford?» chiese Luke.
Mi voltai. Michael stava varcando la cancellata alla giuda di una Mini Covertibile celeste.  Mi sentì avvampare dalla rabbia: Stava guidando la mia Mini! Non la usavo io per andare a scuola, perché doveva farlo lui?!
«È proprio un gioiellino quest'auto.» disse mentre mi passava davanti.
Feci per salire, soffocando un attacco di isteria, ma un'altra ragazza mi precedette saltando nel posto del passeggero approfittando del tettuccio reclinabile.
«Ci vediamo a casa. Ciao!» detto ciò Michael parti senza darmi il tempo di replicare. Mi raggiunse una risata mentre la mia auto si allontanava.
 

*  *  *
 

Entrai in casa livida di rabbia, alla fine avevo dovuto prendere il pullman per colpa di quell'idiota. «Mamma!» chiamai, dovevo assolutamente dirle quello che aveva combinato.
«Non c'è.» la voce di Michael mi raggiunse dal piano superiore.
«Con te non ci parlo. Sei uno stronzo!» gridai in risposta, «Dov'è?»
«È andata a prendere Marvin.»
A passi pesanti lo raggiunsi al piano di sopra: dovevamo fare quattro chiacchiere. «Mi devi minimo delle scuse.» dissi appoggiata allo stipite della porta della camera del mio fratellino. Michael non mi degnò nemmeno di uno sguardo, ma notai che cercava di nascondere un sorriso. «Ti è sembrato divertente?» continuai sempre più incazzata.
«Si, molto!» rispose mentre mi passava vicino superandomi con uno zaino sulle spalle.
«Che stai facendo?»
«Trasloco.» disse mentre si dirigeva verso la mia camera da letto, ma poi si voltò verso la porta della cabina armadio.
Capì solo allora cosa intendeva: si stava spostando in un'altra stanza!  Tutto sembrò muoversi al rallentatore: mi fiondai verso di lui, gridando il mio dissenso, allargando le braccia e piazzandomi davanti alla porta.
«Questa è la mia camera!»
«Tu hai già una camera.» mi fece notare lui, che stava già perdendo la pazienza, indicando la porta alle sue spalle (ovvero la mia stanza vera e propria). Le nostre grida si sentivano in tutta la casa, ma tanto non c’era nessuno. «Fammi passare!» continuò lasciando cadere lo zaino sul pavimento e spingendomi con forza di lato per impugnare la maniglia della porta.
«NO!» urlai io in tutta risposta e lo tirai via, ritornando a difendere il mio territorio, «Torna nella camera di Marvin.»
«Sei un egoista e un’idiota!» gridò il ragazzo, «Levati!»
«Ha parlato quello che mi ha lasciato a piedi,» gli ricordai, «e con la mia auto persino!»
Ci stavamo insultando per bene, quando sentii il rumore della chiave girare nella porta di casa: mamma doveva essere arrivata, lei avrebbe risolto la situazione.
«Mamma, mamma!» gridai a gran voce senza spostarmi di un solo millimetro, mentre il ragazzo mi osservava con la schiena poggiata al muro di fronte, lo sguardo arreso e le braccia conserte.
«Dimmi tesoro.» mio madre ci raggiunse al piano di sopra.
Iniziai così a spiegarle la situazione e di quello che era successo dall'uscita da scuola. Quando ebbi finito, lei prima guardò me e poi posò gli occhi su di lui. «Mike, caro, perché non inizi a mettere a posto le tue cose nella tua nuova stanza?» gli disse amorevolmente.
Allora era stata mamma a dargli il permesso di spostarsi. Traditrice!
«Ma…» iniziai io, quasi balbettando, mentre il ragazzo varcava la soglia guadandomi con gli occhi verdi colmi di trionfo e di sfida. «E non gli dici nulla che ha preso la mia auto senza permesso?!» commentai ancora.
«Gli ho detto io che poteva prenderla, era in ritardo.» spiegò la donna.
Era sempre più sconcertata: come aveva potuto dare il permesso a quel disadattato di guidare la mia macchina. Ancora più traditrice!
«Non fare così, Sam.» cercò ancora di consolarmi mia madre. «Ti ho  spostato i vestiti nel guardaroba in camera tua.»
«Io non ho un guardaroba!» sentenziai.
«Oh che sbadata, mi sono scordata di dirtelo. Mentre eravate a scuola Daryl ti ha montato un suo armadio che aveva nella vecchia casa, spero ti piaccia.»
Non risposi, andai in camera sbuffando e battendo i piedi a terra, la porta sbattè alle mie spalle: il nuovo armadio stava li, appoggiato contro la parete; andai ad esaminarlo constatando che i miei vestiti erano stati stipati tutti là dentro, erano così tanti che per poco non rischiai di finire sepolta dai miei stessi indumenti. Mi fecero quasi pena.
Sotto sotto me lo sarei dovuto aspettare, non potevo pretendere di avere due stanze (una per il letto e l’altra per il vestiario) mentre Michael era obbligato a condividere la stanza con Marvin, quasi come un reietto: mi ero comportata da egoista. Purtroppo i sensi di colpa non erano abbastanza per sovrastare il mio orgoglio, quel ragazzo si stava appropriando pian piano delle mie cose e la cosa non mi andava giù, ma dovevo conviverci, per la felicità di mamma.
Mi stesi sul letto, per cercare di calmarmi un po’ mettendomi gli auricolari. Rimasi così per un’oretta buona con la musica che martellava nelle orecchie, ma l’arrabbiatura non intendeva andarsene: quel ragazzo riusciva a mandarmi su tutte le furie solo con la sua presenza. Decisi che la cosa migliore per calmarmi fosse una doccia rilassante, così senza nemmeno togliermi le cuffiette mi recai al bagno.
Aprii la porta canticchiando e, dando le spalle alla doccia, iniziai a svestirmi. Con le orecchie occupate dalla musica non avevo sentito l’acqua scorrere finché non mi scivolò un auricolare dall'orecchio mentre mi sfilavo la maglietta: qualcuno aveva lasciato il rubinetto aperto.
Lentamente mi voltai, la tenda della doccia era chiusa e il vapore caldo saliva al soffitto, mi avvicinai per andare a chiudere l’acqua. Avevo appena allungato un braccio quando quella smise da sola di scorrere e la tenda si mosse: a quanto pareva non ero l’unica ad aver avuto l’idea di fare una doccia.  Rimasi bloccata così, a fissare la tenda in plastica azzurra che veniva spostata di lato, e mi ritrovai di fronte il viso stupito e bagnato di Michael. Passò un secondo in cui entrambi ci guardammo increduli, prima che iniziassimo a gridare tutti e due.
«Oddio, ma sei nudo!» urlai portandomi una mano per interrompere quella orribile visione, «Copriti!»
«Mica faccio la doccia con i vestiti.» rispose lui secco, tirandosi la tenda davanti per nascondere la sua nudità.
«Non mi guardare!» gli urlai rendendomi conto che ero coll'intimo indosso, così mi avviluppai addosso il primo asciugamano che riuscii a trovare.
«Tranquilla, tanto non c'è nulla da guardare.» disse lui di rimando. Lo fulminai con lo sguardo, offesa. «Che cosa ci fai qui? Non hai visto che il bagno era già occupato?!»
«No! Volevo fare una doccia… perché non ti sei chiuso a chiave?»
«E tu perché non bussi?» chiese di rimando. «Comunque se vuoi possiamo condividerla.» continuò con tono ammiccante.
«Oddio che schifo! Dimmi che non l’hai detto veramente. Ma neanche per sogno!» risposi disgustata.
«Sappiamo entrambi che ti piacerebbe!» mi gridò dietro mentre me ne andavo.
Uscii dal bagno ancora più arrabbiata di prima: non solo Michael si era appropriato della mia casa, della mia auto e della mia cabina armadio, ma ora anche della mia doccia. Questa volta era davvero troppo.

   
 
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