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Autore: esmoi_pride    31/03/2017    3 recensioni
"Storie di Saab" è un medieval fantasy slash nato nel mondo di Pathfinder che racconta le vicende della famiglia imperiale dell'Alba di Saab, città devota al dio minore Saab e dalla recente fondazione, luogo di grandi promesse e di speranza. E' l'ideale se siete alla ricerca di drow poco ortodossi, elfi carini, slash andante e una misteriosa storia sulle origini del Dio e della sua città, da scoprire capitolo dopo capitolo.
E' una storia che si domanda cosa è giusto e cosa è sbagliato, e lo scopre attraverso le esperienze di Vilya Goldsmith, un ragazzo che non sa se potrà mai riuscire a diventare un uomo. Lo scoprirà proprio a Saab, città creata sotto antiche rovine secondo la missione di suo padre Azul: riunire la gente oppressa e discriminata in un solo popolo che guadagni forza e unità, e che accolga tutti quelli come loro. Intrecci tra molteplici personaggi mostreranno una città ricca di diversità, e le azioni di Vilya ci porteranno a chiederci quanto possa essere doppia la linea estrema dove le cose non sono più giuste, né sbagliate, e quanto spesso potremmo finire per percorrerla.
Genere: Dark, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash, FemSlash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Storie di Saab'
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Ciao a tutti! Chiedo perdono per il ritardo della pubblicazione *-*' Vi avviso che a un certo punto la storia verrà censurata per via del regolamento di EFP, dunque, se desiderate leggere la scena non censurata, vi basterà cliccare su questo link OPPURE sui tre asterischi rossi ( *** ) che vedrete nel punto in cui la scena è stata censurata. Buona lettura!




 
Casualità.







Valentino venne svegliato dall’uccellino magico che ogni mattina cinguettava alla finestra della camera da letto. Sapeva di potersi alzare con calma, così restò con la guancia premuta sul cuscino e lo sguardo perso verso la parete che aveva di fronte, mentre indagava con la mente sugli accadimenti della sera precedente.

Il Consigliere sapeva che la spia trovata a Palazzo il giorno precedente non era la minaccia che Valentino aveva avvertito. Lui, al contrario degli altri, si aspettava qualcosa. Non sarebbe mai riuscito a scovarlo: un elfo dei boschi non era rintracciabile dalla magia degli umanoidi. Gli elfi dei boschi erano creature insolite, la cui magia apparteneva alla natura, intessuta in un linguaggio antico e ormai lontano.
Nelle tasche degli abiti di foglie dell’elfo aveva rinvenuto missive scambiate con Città Altà che lo collegavano all’alleanza nemica. Niente affatto astuto da parte sua. A quanto pare Città Alta non si era assicurata dell’affidabilità del suo alleato, troppo interessata alla sua potenza. I nobili erano consapevoli delle capacità della sua razza, e a gran ragione. Il suo non poter essere rintracciabile, né agli occhi né alla magia, se non di sua spontanea volontà, e i sortilegi misteriosi e potenti che imbracciava erano riusciti a fare breccia nella sicurezza del Palazzo e a minacciare la vita del Principe stesso. Era anche possibile che Città Alta avesse sottovalutato il nemico, e non si fosse disturbata a celare il proprio coinvolgimento negli attacchi.

Valentino corrugò la fronte quasi senza accorgersene nel riflettere su ciò che più lo preoccupava della situazione. L’elfo dei boschi non era stato persuaso o controllato, non era una pedina di Città Alta: era un volontario. Poteva intuirlo da due cose: i toni delle missive e in secondo luogo la conoscenza della razza che la vicinanza con la Foresta Incantata gli aveva permesso. Era raro che gli elfi dei boschi fossero soggetti a qualsivoglia magia o signore. Proprio per questo l’Imperatore li aveva da sempre considerati ottimi alleati, fedeli nella misura in cui erano neutrali e interessati a mantenere pacifico il loro territorio. Tuttavia, gli elfi dei boschi, per quanto empatici nella loro comunità, erano degli individui autonomi, cosa che fin troppo spesso sfuggiva agli stranieri, che dall’esterno li vedevano come semplici creature, quasi animali. In quanto individui potevano fare scelte che andavano contro gli ideali comuni e agire non a nome della loro razza, ma della loro persona. Questo elfo dei boschi aveva qualcosa contro il Gran Regno di Saab, o contro il mondo umanoide, oppure aveva solo intenzione di creare caos. Non sapere, alla fine di tutto ciò, il motivo della sua violenza, lo turbava profondamente.

A destarlo dalle sue preoccupazioni fu l’inspirare delle narici di Ra’shak, accanto a lui, sull’altra piazza del letto, che si rigirava fino a distendersi o meglio, spalmarsi, su di lui, entrambi proni. La sua mano callosa si posò sul fianco del biondo e lo strinse morbidamente, e il muso del jaluk si infranse tra i capelli chiari per inspirare a fondo il suo odore. Doveva essere un odore intenso a quell’ora della mattina, in un letto caldo e condiviso per almeno otto ore dai loro corpi. Per Valentino il piacere con cui Ra’shak si perdeva nel suo profumo era lusingatore, ma come ogni cosa che riguardava il jaluk, anche sinistro. Ebbe la sensazione che Ra’shak volesse mangiarlo. Ma sapeva che lui non era quel tipo di creatura. Per grazia di Saab.

Il rumore umido delle sue labbra dischiuse risuonò accanto al suo orecchio mezzo appuntito prima che il jaluk iniziasse a mordicchiarlo. Il biondino mugugnò con tono impastato.
“Mhnh…”
Ma Ra’shak non si fece intenerire dalle proteste del ragazzo. Il suo viso si chinò, e iniziò a posare piacevoli baci sul collo roseo. Valentino socchiuse gli occhi fino a serrarli e, controvoglia, gli porse il proprio collo. Ra’shak continuò ad assaggiarlo – e la sua mano iniziò ad accarezzarlo più a fondo, mentre una certa durezza iniziava a palesarsi contro una natica del mezz’elfo. Il biondino sollevò una mano per infrangerla nella chioma della nuca bianca del jaluk e in un altro mugugno cercò di rendere chiara la propria posizione.
“Mh… no… Rash…”
Ma Ra’shak risalì con le labbra fin sotto l’orecchio del ragazzo e iniziò a torturare quel lembo di pelle; insieme il suo corpo si scostò dal materasso, reggendosi con un gomito, e pressò con chiarezza il bacino e l’erezione tra le natiche del più giovane; e una volta lì si strofinò lentamente in avanti e finì per premere l’altro contro il materasso, mentre la sua mano scendeva fino a stringergli il sesso non del tutto sveglio, dalla morbida stoffa di un pantalone senza patta.
Provocò un gemito nel mezz’elfo, che vedendolo infierire e soffocarlo strizzò gli occhi e si arrese, zittendo, per subire passivamente le attenzioni del più forte. Ra’shak iniziò a sfregare la propria erezione contro il solco fra i glutei del ragazzo in un ritmo lento ed eccitato. Si gustava piano quegli strofinamenti tra i loro corpi, attenuati dalle stoffe dei loro pantaloni, e cercava di rendere Valentino ugualmente partecipe massaggiandogli l’erezione per inturgidirlo.
“Mmmh…” Gemette Valentino tra le labbra chiuse in una smorfia. Le sue dita si scostarono dalla nuca di Ra’shak, trascinando qualche ciocca bianca con sé. Il suo corpo reagì alle attenzioni e man mano riempì la mano del jaluk, che aveva preso a masturbarlo sul serio. A un certo punto la mano scura si scostò per sciogliere il nodo dei pantaloni del biondino e abbassarglieli. Si incastrarono sulla rotondità dei glutei sodi e Ra’shak dovette pazientare per riuscire a calarglieli fin sotto il bacino. Premette ancora l’erezione sul suo corpo caldo ed esalò un sospiro nel sentirlo meglio. Valentino subì anche quel sospiro accanto al proprio orecchio, in un mugolio incerto.

“Ra’shak…” Cercò di far intuire al jaluk la propria reticenza dal tono di voce. “… stavo… riflettendo…”
Venne nuovamente zittito dal calore quasi ardente del sesso ora nudo del compagno che premeva lungo il solco tra i suoi glutei. Lì avvampò, ritirò le labbra nella bocca in una smorfia, e sentì il chiaro pulsare della propria erezione. Maledizione… quel dannato jaluk non voleva proprio saperne. Lui si svegliava colto da mille preoccupazioni e Rash cosa faceva? Cercava di scoparsi il suo culo, maledizione! Valentino afferrò con più convinzione la sua nuca e voltò il viso per rivolgersi a lui, tentando un tono deciso.
“Ra’shak, qui c’è un Consigliere che sta cercando un modo intelligente di non farci ammazzare-”

Era così preso ad imporsi che non si accorse subito della perdita di calore sulla propria schiena – e sulla mano, che aveva perso Ra’shak - finché non sentì un altro brutale strattone ai pantaloni e Ra’shak non glieli levò del tutto di dosso.

“Ahn!” Esclamò. Premette le mani sul materasso per reggersi mentre veniva trascinato più giù dallo strattone. Le sue cosce ora nude si smossero per tornare su, e fu quel temporeggiamento che gli impedì di ribellarsi oltre, perché quando ne ebbe di nuovo l’occasione sentì a un tratto i glutei venirgli allargati e subito dopo la lingua scivolosa di Ra’shak che vi si infilava per tormentargli i pressi dello sfintere.

“… tutti…” terminò con molta meno decisione la frase, la faccia premuta contro il cuscino e le cosce che si allargavano. Ra’shak affondò meglio la faccia tra le sue natiche e iniziò a prepararlo con la lingua. I gemiti, ora compiaciuti, di Valentino, riempirono la stanza man mano che Ra’shak infilava le dita dentro di lui e le faceva guizzare fuori e dentro, stimolandolo nelle zone erogene più profonde. Non lo sorprese sentire, all’uscita delle dita, l’erezione rovente dell’uomo pressare sui muscoli della sua apertura inumidita e rilassata, senza dargli un attimo di tregua, e insistere molto lentamente nella pressione finché, chinandosi in avanti verso il mezz’elfo, Ra’shak non riuscì a scivolargli dentro e allargarlo ancora più di quanto aveva fatto prima, strappandogli un grido.

“Rash!” Esclamò Valentino, stringendo convulsamente il cuscino.

Ra’shak non lo ascoltò. Affondò dentro di lui quanto riuscì e si ritirò di poco per riprovare a entrare completamente in lui. Valentino, tra i fremiti del suo corpo sconvolto, vittima del desiderio dell’uomo, si fece penetrare fino a sentire il calore del suo bassoventre contro i glutei, in un gemito spezzato, e le penetrazioni proseguirono fino ad assestarsi in un ritmo affiatato. A quel punto l’erezione di Valentino era già dura e pulsante e lui stava urlando contro il cuscino e lacrimando dal piacere. Venire scosso dagli scatti sicuri e affiatati di Ra’shak che lo possedeva gli fece rizzare i capelli e mescolare goduria ad altra goduria. Urlò il suo nome e venne nel letto, e continuò a offrirsi all’erezione del compagno finché lui non gli venne dentro in un intenso colpo di reni e un gemito appagato, che la bocca esaurì sulla nuca bionda del ragazzo.

 
***


I bassifondi di Risvith erano nient’altro che un labirinto di vicoli stretti, le cui pareti erano i muri dei lunghi palazzi residenziali addossati tra loro. La loro altezza impediva ai più umili di vedere il cielo se non nelle fessure tra un tetto e l’altro e la strettezza delle vie dava ai viaggiatori la sensazione di stare soffocando. L’acqua di sporco e sapone, gettata dalle finestre dalle signore intente a pulire, sciacquava per quanto possibile le strade abbandonate a se stesse.

Un uomo anziano e grasso, avvolto in un anonimo mantello marrone, avanzava lungo la via del bordello. Si soffermò a osservare le persone che circondavano l’entrata, seduti su barili e casse. Una ragazza giovane ma con il volto invecchiato dalle asperità della vita stava ricucendo quieta un vestito, assorta nel suo intento. Accanto a lei una vecchia signora la imitava e ogni tanto la correggeva. Appena più in disparte, un giovane ragazzo stava macchinando con un piccolo giocattolo di astuzia fatto di legno. All’altro lato della porta c’erano due donne che parlavano tra loro sottovoce, così da non disturbare la quiete della via, e poi due ragazzi seminudi che facevano lo stesso; le parole erano rade, in una vaga tensione che però l’anziano uomo non afferrò. Un uomo era in disparte, poggiato al muro del bordello, accanto ai due ragazzi, e fumava una sigaretta.

L’anziano si portò davanti alla porta e tirò la corda del campanello, che si sentì risuonare all’interno dell’edificio. Dopo poco la porta si aprì e una donna molto truccata lo invitò con voce civettuola, posando una mano sul suo accenno di gobba.
“Alto Consigliere, da quanto non vi vedevamo! Prego, entrate, entrate…”
La signora molto truccata lo accompagnò all’interno e non si accorse che la porta era stata trattenuta da una delle donne che prima stavano parlottando. Questa si alzò dal barile su cui era seduta per tenere meglio la porta.

Si sentì un fruscio, dopo il quale la ragazza dal volto segnato smise di cucire e lasciò il vestito sulla cassa per alzarsi in piedi. Andò a fissare con sguardo solenne il fondo della via, certa di quello che avrebbe trovato. Il Serpente non l’aveva delusa: si trovò proprio davanti ai suoi occhi, mentre la tuta incantata scioglieva l’inganno dei suoi abiti e faceva scomparire il mantello illusorio che lo copriva, per mostrarsi nelle sue spirali verdi e nere.
Abbassò la maschera – che lo copriva da metà naso in giù – e puntò gli occhi castani in quelli di lei prima di farli spaziare sugli altri, che l’avevano seguita subito dopo e lo stavano fissando, in piedi, con la stessa sicurezza. L’uomo in fondo sollevò il mento con impazienza. I due ragazzi seminudi incrociarono i loro sguardi eccitati e insieme intimoriti prima di tornare a guardare la spia.
La ragazza dal volto segnato lo accolse con un lento piegare in avanti del capo, poi indietreggiò e una sua mano si sollevò per indicare la porta aperta e invitarlo.
Il Serpente ricambiò quel cenno del capo e avanzò senza che i suoi stivali producessero rumore. Superò la ragazza ed entrò nell’edificio. La donna che teneva la porta la chiuse dopo il suo passaggio e incrociò lo sguardo della ragazza.

Non si sentirono urla. Seppero che l’Alto Consigliere era finito quando il Serpente uscì di nuovo dalla porta.
“Sapeva che sarebbe stato rischioso tornare, ma non ce la faceva proprio a trattenersi…” borbottò l’altra donna in un tono dolce e ironico, stringendosi nelle spalle poco dopo. La prima la seguì: “E giocare con le corde come piace a lui a volte può essere fatale.”
Il Serpente scrutò in silenzio le due donne, poi cercò gli occhi della ragazza dal volto segnato che sostenne il suo sguardo. Dopo un muto discorso, entrambi si salutarono con un lento e rispettoso chinare del capo. Poi il Serpente si smosse dalla propria posizione e si incamminò di nuovo lungo la via per sparire a un angolo.

 
***



Quando il Comandante entrò nella stanza delle terme la piscina era bella fumante e due serve accovacciate sul bordo avevano appena finito di posizionare le candele e i fiori profumati.
Esse si alzarono e si ritirarono per lasciarlo solo.
Il Comandante avanzò tronfio nella sala e lasciò che la vestaglia di seta, con lo stemma della Signora Bianca ricamato sul petto, gli scivolasse di dosso, così da rivelare il corpo muscoloso e alto che rendeva onore alla sua carica. Aveva un viso quadrato ma dai lineamenti eleganti con una mascella importante e capelli biondi e folti che si fermavano all’attaccatura della nuca.

Si fermò davanti all’entrata della piscina e si portò le mani ai fianchi nell’osservare con delizia le acque limpide e calde nelle quali stava per fare le sue abluzioni. Il piacere sul suo volto venne rovinato da una smorfia quando notò, poco prima degli scalini che si immergevano nella piscina, una chiazza di acqua che bagnava le piastrelle del pavimento e stonava con la perfezione del resto della stanza.

Scrollò il capo e avanzò senza più ritardare il suo piacere. Un piede calpestò incurante la disordinata chiazza d’acqua, e l’altro sfiorò il bordo degli scalini discendenti. La natura della chiazza venne messa in discussione quando il sorprendente intervento di un terzo piede fece capolino da dietro il Comandante per tirargli indietro il più avanzato in uno sgambetto e lui, nel tentativo di mantenere l’equilibrio, trasferì istintivamente tutto il peso sul piede immerso nella pozza che però risolse di farlo scivolare in avanti. La sua testa incontrò con precisione matematica, e allo stesso tempo sorprendente semplicità, uno spigolo del bordo della vasca in un rumore sordo prima che il suo corpo cadesse nell’acqua.

L’acqua fumante iniziò a tingersi di rosso e il Serpente non si smosse dalla parete della stanza. I suoi occhi azzurri rimasero a lungo fissi sull’uomo per accertarsi che non fosse solo svenuto, ma definitivamente morto. Quando fu soddisfatta il serpente si scostò dalla parete e i capelli mossi ondeggiarono insieme a lei; andò a una finestra e la aprì per poi sparirvi oltre.
Di lei non rimase alcuna traccia.

 
***



“Ah! Sì!”
Le cosce allargate della Dama Faunice Dan Domehrsein accoglievano la testa mora di un mezz’elfo dalla pelle color cioccolato e i muscoli torniti. Il moretto affondava le labbra tra di esse e si dava un gran da fare per soddisfare la signora. Dall’espressione presa doveva farlo anche con piacere. Dama Faunice era una donna giovane e bella dai lunghi boccoli castani, e in quel momento il suo corpicino sinuoso era percorso da un sentiero di fini catenine dorate e si stava inarcando tra le pieghe delle lussuose coperte del baldacchino.

“Ahn…” la donna gemette ad occhi chiusi mentre la lingua del suo schiavo stuzzicava l’apice del suo clitoride ormai inturgidito. I pesanti preliminari stavano durando da un po’, ma la Dama non sembrava avere intenzione di saziarsi. Il mezz’elfo si scostò e le lanciò uno sguardo furbo.
“Mia signora…”

Afferrò un cuscino e lo poggiò sulla sua testa, poi si scostò per darle le spalle e indietreggiando si sedette su di esso. Il peso del suo corpo fu abbastanza da rendere difficoltoso il respiro alla Dama. Lui si distese di nuovo e tornò a tormentare la vulva della donna; man mano lasciò sapientemente che il suo peso la soffocasse, facendola mugolare dal piacere.
Si staccò da lei in una pausa prestabilita in cui lei poté scostare il cuscino e ansimare per riprendere fiato. Dopo poco fu lei a nascondersi di nuovo sotto il cuscino, ad afferrare l’anca del moretto e a spingerselo addosso.

Quando venne indebolita dalla mancanza d’aria lo spinse di nuovo via e lui si scostò portando il bacino in aria. Ne approfittò per sporgersi più in avanti e leccarla approfonditamente e lei gemette rumorosamente nel sentire il proprio corpo avvicinarsi al culmine del piacere. Furono entrambi troppo presi dalla foga per accorgersi che la porta, i cui cardini erano stati curiosamente oliati con cura dai servi il giorno prima, si era aperta.

Il cuscino pressò di nuovo sul viso della signora. Lei lo accolse con un gemito più compiaciuto degli altri. Quel cuscino si scostò e le diede aria, ma lei emise un verso di protesta e così subito dopo la pressione tornò sulla sua faccia fino a impedirle di respirare. Versi esclamativi venivano ovattati dalla stoffa e dalle piume d’oca del cuscino e riempivano le orecchie del mezz’elfo che continuava a stimolarla con la bocca per farle raggiungere l’orgasmo. Intanto, dietro di lui, accovacciato oltre la testa della donna e contro la testiera del letto, il piccolo Serpente aveva le braccia tese e le mani pressate contro quel guanciale e il capo inclinato e abbassato verso di esso, e aspettava pazientemente che la donna iniziasse a farsi mancare il respiro.

Il mezz’elfo non si accorse neanche che Dama Faunice aveva smesso di gemere di piacere e iniziato a urlare di terrore, né che i suoi fremiti convulsi non erano più dati dall’orgasmo in arrivo ma dalla morte che sopraggiungeva, e non poté notare la morsa d’acciaio con cui le mani di lei avevano afferrato i polsi del Serpente, che però non si mosse di un centimetro e rimase lì dov’era finché lei non morì asfissiata.

L’asfissia fu accompagnata però da un orgasmo e lo schiavo poté accogliere le contrazioni compiaciute della vulva con altre doviziose leccate, mentre il Serpente si scostava, scendeva dal letto senza far rumore e usciva dalla porta. Quando però si rese conto che Dama Faunice aveva smesso di muoversi si interruppe interdetto e si scostò dal suo corpo.

“Dama Faunice? Mia signora?”

Voltò il viso, ma con la coda dell’occhio non notò movimenti. Si voltò del tutto e le levò il cuscino dalla faccia per scoprire l’espressione contratta di terrore con la quale Dama Faunice aveva lasciato quel mondo. Un urlo di sgomento lo afferrò mentre si stringeva il cuscino al petto. Si guardò attorno allarmato e solo allora vide la porta aperta. Ansimando per il panico gridò il nome della sua padrona e iniziò a piangere. La strinse forte in un abbraccio; gli altri servi lo trovarono in quello stato quando vennero a sostituire i carboni dello scaldaletto.

 
***



Finalmente, all’ora di pranzo, Azul era riuscito a emergere dalla piramide di documenti della Sala del Consiglio e intrufolarsi tra i porticati del Palazzo. Voleva approfittare della bella giornata per godersi il sole che illuminava il cielo terso e gli scaldava la pelle, e il profumo dei fiori che trapelava dai giardini al centro dei chiostri.

Passeggiava tra l’ombra dei porticati e la luce dei giardini con uno dei suoi abiti belli. Questo in particolare aveva uno strascico che gli piaceva molto. Sopra la testa portava una corona più modesta delle solite, di legno, ma graziosa. Era trattenuta alla capigliatura da dei dentini, come un pettine. Dietro la nuca spuntavano dei prolungamenti come rami, o corna, lunghi pochi centimetri, che erano stati colorati di bianco, e da lì scendeva flessuosa verso il basso e superava le orecchie per accarezzargli l’inizio degli zigomi scuri. Attaccati alla corona, dei leggeri drappi di stoffa rossa gli decoravano i capelli e nascondevano le tre scabrose cicatrici a lato del suo cranio.

I giardini erano poco percorsi per l’orario e solo il cinguettio degli uccellini disturbava la loro quiete. Azul si prese del tempo per apprezzare quel momento, camminando piano lungo i sentieri e inspirando il profumo delle piante che lo circondavano. Si nascose di nuovo dal sole quando fu inghiottito da un altro porticato, e affacciandosi al prossimo chiostro sostò sotto l’arco che lo introduceva e posò una mano affusolata sulla sua pietra pallida, permettendosi di spaziare con i grandi occhi.

Gli giunse l’eco di due voci così familiari da scaldargli il cuore. Spostò lo sguardo tra le panche del giardino poco lontano e intravide i suoi due figli seduti sulla stessa panca.
So’o aveva le gambe incrociate in una postura ben poco regale e tra esse aveva una ciotola di cereali, carne e verdure che portava alla bocca con un cucchiaio. I suoi occhi curiosi erano puntati sul libro che il fratello maggiore aveva tra le mani.
Vilya indossava la maglia color sabbia che Imesah gli aveva regalato, nonostante la luce del sole colpisse entrambi i fratelli con il suo calore. Parlottava con il biondo e gli porgeva il libro per indicargli una riga precisa. So’o annuì masticando a bocca chiusa in un’espressione buffa e Vilya continuò a parlare portandosi il libro davanti alla faccia, come se non riuscisse a leggere.

Azul incrociò le braccia al piccolo petto e poggiò una spalla allo stipite dell’arco in una posa rilassata. Rimase in disparte a osservare i ragazzi.

So’o rimase a guardarlo per un po’ finché non sembrò decidere di dovergli dare fastidio e si sporse con la mano per posarla sul libro e spingerlo giù. Il libro scivolò dalle mani di Vilya e finì sulle sue gambe; Vilya lo recuperò prima che cadesse a terra e lanciò un’occhiata indispettita a So’o, che gli rivolgeva un sorrisetto soddisfatto.
Il jaluk schiaffò la copertina del libro sulla faccia del più piccolo e il mezzodrow venne spinto all’indietro in un verso sorpreso. Si agitò senza vedere quello che stava facendo e tra le risate del fratello maggiore si versò un po’ del contenuto della ciotola sui pantaloni.
Una volta trovata la faccia del drow la sua mano iniziò a schiaffeggiarla e Vilya dovette distrarsi per difendersi. Così So’o riprese la vista e si protese verso il fratello maggiore andandogli addosso; la ciotola di cibo che gli stava sul grembo si rovesciò sulla panca e poi cadde a terra senza che nessuno dei due se ne curasse. Il moro protestò in un lamento che venne sepolto tra altre risate quando il biondo prese a pizzicargli i fianchi e fargli il solletico, costringendolo ad accartocciarsi su se stesso.

In un sospiro Azul si scostò dallo stipite e si voltò. No: non aveva alcuna voglia di continuare a spiare i suoi bambini. Non era carino stare a guardare.

Anche perché sapeva cosa stavano facendo.

Avanzò di qualche passo verso il giardino, e appena oltrepassò l’arco il sole lo investì illuminandolo con la sua luce. Azul sollevò gli enormi occhi gialli al cielo terso, verso Saab.

Gli sibilò con voce roca, certo che lui potesse sentire.
Non sarò io a fermarti.”


 
***



Non fu chiaro chi dei due avesse iniziato per primo. Non appena la porta della stanza fu chiusa i due ragazzi si strinsero in una morsa d’amante e le loro bocche si unirono in un bacio affiatato.

Vilya fece risalire le grandi mani lungo i fianchi del più giovane fin dietro la schiena e poi risalì sul davanti per accarezzargli le tempie e infrangere le dita tra i suoi capelli biondi. So’o non voleva saperne di staccarsi dal fratello: ad occhi serrati si riempì i palmi dei suoi pettorali e poi scese fino all’ombelico per aggrapparsi ai lati del lembo dei pantaloni. Con un paio di passi goffi in avanti Vilya spinse il fratello verso il letto. So’o incespicò un paio di volte ma lo assecondò finché i tendini delle ginocchia non incontrarono il letto e lo fecero cadere all’indietro.

Il drow venne trascinato nella caduta e riuscì a non spiaccicarsi del tutto addosso a So’o tendendo le braccia in avanti per intercettare il materasso; si adagiò poi su di lui, in uno sfregare sensuale, mentre So’o faceva scivolare le furbe manine dietro di lui per stringergli piano entrambe le natiche. Continuarono così, strofinandosi ed esibendosi in umidi baci finché non furono talmente eccitati che la strettezza dei pantaloni gli procurava dolore.

“Ahn…” Gemette So’o, cercando di scostarsi dalla bocca avida del più grande per riprendere fiato. “Vilya…”
Il drow chinò il viso per aggredire il suo collo. Gli strappò un gemito più alto e lo stordì per qualche secondo; ne approfittò per passare la mano tra i loro corpi e iniziare a massaggiarlo da sopra la stoffa dei pantaloni.
“Ah!” Lo sentì esclamare. Infierì sulla sua eccitazione e così sul collo del ragazzo, che nel piegare all’indietro la testa glielo stava porgendo. Il corpo del moro, attillato a quello dell’altro, riusciva a percepire i potenti fremiti che ne scuotevano già il corpo.

In un moto di frenesia Vilya scese a succhiare la porzione di petto abbronzato che si intravedeva dallo scollo della maglia. Il corpicino del mezzodrow si inarcò nel sentire la bocca voluttuosa del fratello su di sé e in un grido So’o strinse le dita tra i suoi capelli mossi. La mano di Vilya andò a violarlo più a fondo: si infilò sotto i lembi della maglia e, saggiando la morbida pelle della sua pancia, la scostò via nel risalire fino al petto. Questo provocò un altro squittio del fratellino, che era ormai caldo come se fosse febbricitante e con le guance arrossate, e si era proteso ancora di più verso le sue cure.

Vilya staccò le labbra dalla pelle di So’o per dargli un momento di tregua, anche con la mano. Alzò il viso per cercare il suo. So’o riuscì lentamente a riprendersi per incrociare il suo sguardo con due occhi lucidi. I loro respiri affannati riempirono la stanza in un nuovo silenzio. So’o lo fissava con impaziente attesa. Vilya riuscì a leggere anche una stilla di paura in lui, inconfondibilmente colpa dell’inesperienza. Preso da un moto di tenerezza Vilya premette di nuovo le labbra sulle sue in un dolce bacio, nel tentativo di rassicurarlo.

La sua mano accarezzò le linee sinuose della pancia del fratellino e sentì al tatto il brivido che era riuscito a provocargli. Abbandonò le sue labbra per scendere con tutto il corpo. Il muso affondò sul petto del ragazzo, che era stato scoperto, e iniziò a posarvi i primi baci. Sentì So’o gemere e poi interrompere il respiro per deglutire. Vilya si prese il suo tempo: succhiò la pelle e scese piano mentre la schiena del mezzodrow si staccava dal materasso per offrirsi a lui. Intanto la mano scura lo esplorava; giocò con la patta dei pantaloni, sbottonò i primi bottoni rivelando la punta della sua eccitazione per poi lasciarla insoddisfatta, e calò sull’inguine per massaggiarlo in una tortura quasi insopportabile. So’o prendeva grandi boccate d’aria.

Arrivato sulle sue costole Vilya cercò di attenuare la tensione facendo il cretino. Le sue carezze rallentarono e intanto prese a mordicchiargli minacciosamente un lembo di pelle come se volesse mangiarselo tutto. So’o emise un mugugno e sollevò il viso arrossato dal cuscino per rivolgergli uno sguardo imbarazzatissimo. Vilya sollevò le palpebre per godere del suo faccino irresistibile e socchiuse gli occhi nella smorfia divertita che gli si era dipinta sul volto.

Lo lasciò stare e tornò a fare sul serio. Discese finalmente lungo gli addominali morbidi del ragazzo che formavano le linee sinuose del suo ventre. Iniziò a posarvi umidi baci. Sentì la mano del fratello affondare nella sua chioma e stringere pianissimo l’attaccatura dei capelli. Non ci diede peso e continuò a baciargli la pancia, avvicinandosi all’ombelico. Tornò ad accarezzargli l’inguine con la mano e So’o emise un lungo gemito a bocca chiusa e gli strinse i capelli. Vilya si spinse oltre: sorprese l’altro spingendosi ancora più giù in un solitario, ma eccitante bacio che era stato posato appena più in basso. So’o sospirò e la sua morbida pancia si contrasse al ritmo dei polmoni, in uno spettacolo che rese Vilya ancora più eccitato.
Riprese a baciarlo verso il fianco ma ridiscese presto dove aveva interrotto e stavolta non lo lasciò insoddisfatto, ma scese fino ad incontrare la patta dei suoi pantaloni. So’o gemette; la sua mano premette la faccia di Vilya contro il proprio bassoventre. Le mani del drow finirono di sbottonare i pantaloni e glieli tolsero di dosso. Quando So’o ebbe disteso le gambe Vilya lo sentì vittima di un fremito più agitato.

“Mh…”

Alzò lo sguardo aspettandosi che So’o lo avrebbe ricambiato. Infatti il più piccolo lo stava guardando e gli occhi insicuri cercavano i suoi. Il biondo deglutì di nuovo e abbassò appena di più gli occhi prima di riportarli a lui.

So’o era a dir poco sconvolto. Ansimava affannosamente, il suo corpo era ricoperto da una lucida patina di sudore e, esausto, aveva lasciato che gli arti si accasciassero scompostamente sul materasso. Il drow si distese sul fianco accanto a lui e lo cinse con un braccio. Affondò il muso nell’incavo tra il collo e la spalla del biondo e prese ad accarezzarlo piano nell’attesa che si riprendesse.
   
 
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