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Autore: Ghost Writer TNCS    01/04/2017    3 recensioni
Leona è nata con un potere terribile e straordinario, una forza inarrestabile originata nel cuore più profondo dell’Inferno, capace di sbaragliare qualsiasi avversario. Un mostro.
Alphard non è nemmeno nato: lui è un ibrido, il prototipo di un nuovo tipo di supersoldato. Un esperimento.
Insieme si sono diretti su Shytia, un pianeta devastato dalla guerra civile e ora saldamente nelle mani di criminali senza scrupoli, e lì hanno fondato una gilda: la Brigata delle Bestie Selvagge. Ma hanno bisogno di una grande impresa per riuscire ad emergere, per dimostrare quanto valgono.
Un giorno vengono a sapere che Adolf O’Neill, il fuorilegge che controlla la vicina Traumburg, è entrato in possesso di un antico artefatto dal valore inestimabile. Ucciderlo vorrebbe dire liberare la città, ma anche e soprattutto poter saccheggiare la sua ricchissima collezione.
Prima però dovranno trovare degli alleati: qualcuno abbastanza folle da voler attaccare la roccaforte di O’Neill insieme a loro. Qualcuno che abbia la stoffa di una Bestia Selvaggia.
“Non siamo eroi, ma se avete bisogno di un eroe, chiamateci.”
Domande? Dai un'occhiata a http://tncs.altervista.org/faq/
Genere: Azione, Fantasy, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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16. Un mostro invincibile

La villa di O’Neill era stata costruita poco dopo l’inizio della guerra civile e si trovava vicina al centro di Traumburg, così da poter controllare e difendere l’intera città. Molti degli edifici limitrofi erano stati distrutti dai bombardamenti, ma dopo la fine delle ostilità erano stati rapidamente ricostruiti, così da rendere l’ex base militare il cuore nevralgico di Traumburg.

Quella che all’inizio era stata il simbolo della vittoria indipendentista, ben presto si era trasformata la roccaforte del padrone della città, adesso invece era il teatro di un’aspra battaglia in nome di una nuova libertà.

Gli inquilini dei palazzi vicini non potevano non sentire il fragore dello scontro, ma nessuno osava sporgersi dalle finestre. Tutto quello che potevano fare era aspettare e sperare.

«Presto, fermateli! Fermateli!» gridò un centauro dal manto focato, probabilmente il responsabile di turno della difesa del cortile.

Alcuni uomini di O’Neill provarono a fare come ordinato, ma a Leona bastarono un paio di pugni per neutralizzarli e scaraventarli tra le aiuole curate. La maggior parte di loro indossava delle protezioni più o meno efficienti, ma quasi nessuno sembrava preparato per una vera battaglia.

Con la cupola energetica disattivata, lei e i suoi compagni non avevano avuto difficoltà a superare le mura difensive che circondavano la villa e avevano dato inizio l’attacco. Gli altri criminali però non si erano ancora uniti allo scontro. Per incentivarli sarebbe stato utile aprire il cancello, ma il subordinato di O’Neill che avevano corrotto non aveva ancora provveduto. Non avevano il tempo per sbloccare i battenti con la forza, e provare a aprire una breccia nelle mura sarebbe stato altrettanto difficile: il primo era fatto di vari strati di metallo, leghe e altri composti sintetici capaci di resistere perfino ad una bomba a disgregazione; la spessa muraglia invece poteva vantare la stessa ossatura, a cui abbinava un rivestimento di super-cemento, un materiale trattato chimicamente per renderlo praticamente indistruttibile.

«Certo che, se quello non si sbriga, se la sogna la seconda parte dei soldi!» esclamò Alphard dopo aver eseguito un impeccabile affondo.

Dopo varie riflessioni – e considerando il budget limitato – aveva deciso di rinunciare all’idea di comprare un’altra arma mutaforma, rassegnandosi ad usare una ben più economica spada d’energia. Non avendo una lama fisica, il peso era pressoché nullo e questo gli causava ancora qualche problema, inoltre con un’arma simile non poteva limitarsi a “colpire di piatto” un avversario privo di protezioni.

«Chissenefrega! Se ci sbrighiamo, possiamo entrare nella villa senza nemmeno bisogno di aiuto» affermò Gardo’gan con un feroce sorriso.

Ormai si era completamente ripreso dalla ferita infertagli da Danray, inoltre negli ultimi cinque giorni si era allenato molto per riabituarsi ad utilizzare l’Armatura Invisibile. Tale tecnica, unita al casco e alle fibre antiproiettile del suo nuovo completo, lo rendevano praticamente immune agli attacchi. La sua uniforme da battaglia era molto simile nell’aspetto a quelle dei suoi compagni, ma in realtà il suo prezzo era di gran lunga più elevato, infatti poteva adattarsi ai suoi cambi di dimensione senza risentirne minimamente in termini di efficienza.

Un cupo rumore meccanico attirò l’attenzione dei presenti e quasi tutti gli sguardi si concentrarono sul massiccio portone, che lentamente cominciava ad aprirsi.

«Alla buon’ora!» esclamò Alphard intercettando senza nemmeno guardare una scarica di elettricità. Si voltò di scatto e con la telecinesi spinse via il responsabile dell’attacco.

Leona, un braccio stretto intorno al collo del centauro per fargli perdere i sensi, osservò la massa di criminali che si riversavano urlando nel cortile della villa – che tra l’altro sembrava proprio lo sfarzoso giardino di una residenza nobiliare. Molto probabilmente la maggior parte di loro era addirittura peggiore degli uomini di O’Neill, per questo non si sentiva in colpa pur sapendo che molti non sarebbero usciti vivi da quello stesso cancello.

Fin dall’inizio la giovane aveva cercato degli alleati per attaccare la villa, ma una parte di lei temeva di mandare a morte certa delle persone che in fondo volevano il bene della città. Per questo, quando aveva scoperto che Ulysses desiderava trasformarla in una marionetta, ne era stata quasi felice: il fatto che lui volesse tradirla l’avrebbe fatta sentire meno in colpa nel caso lui non fosse sopravvissuto alla battaglia, e lo stesso valeva per i criminali con cui il treant si era messo in società.

La felidiana lasciò andare il responsabile della difesa, ormai privo di sensi, e fece un balzo di qualche metro. Un rumore la mise in allerta, sollevò le braccia e la statua scagliata contro di lei andò in mille pezzi. Non fece in tempo a individuare il responsabile dell’attacco che Kael lo aveva già colpito con un impulso stordente.

Al contrario dei suoi tre compagni, il coleotteriano si era appostato sulle mura e da lì poteva sparare quasi indisturbato. Data la sua visuale privilegiata, spettava a lui il compito di avvisare gli altri di eventuali attacchi a sorpresa o problemi in arrivo, ma per il momento non aveva ancora proferito parola.

«Gli uomini di O’Neill cominciano a ritirarsi» annunciò con la sua voce spettrale.

«E allora sbrighiamoci ad entrare, prima che arrivino i rinforzi!» esclamò Gardo’gan.

Le tre Bestie Selvagge, approfittando del momento di confusione nei difensori, si affrettarono a raggiungere l’ingresso più vicino della villa, ma proprio in quel momento una sagoma attraversò il cielo, abbattendosi con violenza nel mezzo del giardino.

Proprio come avvenuto per i rumori del cancello, quasi tutti si voltarono in quella direzione, e improvvisamente gli aggressori persero la loro spavalderia.

Solo pochissime persone potevano dire di aver visto la Marionetta di O’Neill, il Mostro Bianco, e di essere sopravvissute, eppure la sua fama era tale che tutti quanti lo riconobbero immediatamente. Il suo aspetto ricordava quello di un grosso licantropo, probabilmente di tipo ghiottone a giudicare dal muso più simile a quello di un orso. Il suo corpo era muscoloso ma ingobbito, con una pelliccia abbastanza corta e priva di colore, rovinata in più punti da ferite anche recenti. E non si trattava di lesioni rimediate in battaglia, ma che lui stesso si era inflitto a causa del perenne stato di prigionia. Bastava uno sguardo ai suoi occhi chiarissimi per capirlo: erano gli occhi di un predatore costretto a vivere in gabbia che finalmente poteva cacciare le sue prede. E quel giardino era pieno di prede.

I subordinati di O’Neill, seppur felici per l’aiuto, si affrettarono ad allontanarsi, temendo di poter finire a loro volta tra le grinfie di quella belva assassina, capace solo di uccidere e divorare.

Hannibal sollevò il muso e chiuse gli occhi, fiutando l’aria. Sentiva così tanti odori nuovi che faticava a distinguerli, ma non poteva assaporarli come avrebbe voluto. Il suo cervello, incatenato dalla maledizione di schiavitù impressagli da Aaron O’Neill, non poteva esimersi dall’eseguire i suoi ordini.

Riaprì gli occhi, scrutando i presenti. «Uccidi… tutti…»

In pochi istanti individuò la sua prima preda: uno degli invasori, che in un lampo di coraggio – o forse di follia – aveva pensato di approfittare di quel momento di stallo per correre verso la villa e rubare tutto il possibile.

Il corpo di Hannibal venne attraversato da saette azzurrine, identiche a quelle della Folgore Fiammante, e in un lampo raggiunse la sua vittima. La afferrò con una mano e i suoi artigli ricurvi affondarono facilmente nella carne. Sollevò il malcapitato, che ad occhio e croce doveva pesare almeno ottanta chili, e con un morso gli staccò la testa. Una parte di lui avrebbe voluto divorarlo, assaporare il sangue caldo e assorbire ogni goccia della sua energia, ma c’erano così tante prede lì intorno, prede molto più forti e invitanti.

Di nuovo richiamò l’abilità della Folgore Fiammante e, come una saetta azzurra, si avventò su un altro invasore. Questa volta il criminale, molto più alto e robusto della precedente vittima, si difese con uno scudo di energia e riuscì anche a tagliargli una mano con la sua ascia dotata di lama al plasma. Hannibal ringhiò, più di rabbia che di dolore, e lo investì in pieno con un getto di fiamme azzurre.

Il Mostro Bianco era in grado di sfruttare qualsiasi abilità magica delle vittime che divorava, ma solo fino a quando non esauriva la loro energia. A quel punto però gli restava un’ulteriore carta da giocare: poteva alterare il suo corpo, sfruttando le caratteristiche fisiche delle sue prede e mescolandole fra loro, tuttavia non poteva acquisire nessun colore al di fuori di sfumature estremamente pallide.

Il suo avversario, che aveva usato di nuovo il suo scudo per proteggersi, vide il getto di fuoco estinguersi di colpo, ma di Hannibal nessuna traccia.

Si guardò intorno, concentrato, tuttavia fu dal basso che arrivò l’attacco: la creatura si era trasformata in un serpente e in un attimo si avvolse intorno al suo corpo, bloccandolo tra le sue spire. Ricreò le braccia, questa volta però non aveva artigli, bensì chele affilatissime con cui tagliò le mani della sua vittima, disarmandola. E subito dopo pose fine alla sua agonia.

Avrebbe potuto andare avanti così per sempre, ma voleva di più. Il suo istinto lo spingeva a cercare avversari sempre più forti, sempre più potenti, così da poterli divorare per crescere ancora.

Tornò alla sua forma base e piantò i suoi occhi chiarissimi su Gardo’gan: sentiva dentro di lui un notevole potere, e fremeva dall’idea di divorarlo. Di certo quel completo antiproiettile non l’avrebbe fermato. Partì alla carica, rapido come un fulmine, ma qualcosa lo colpì. Cadde a terra, affondò gli artigli per fermarsi, ma venne colpito di nuovo. Questa volta non indietreggiò, anzi rispose subito all’attacco allo stesso modo. E una lieve scarica di dolore lo avvisò che le ossa della sua mano si erano sbriciolate nell’impatto.

Leona, che con un braccio aveva bloccato il pugno, guardò dritto negli occhi il Mostro Bianco. «Tu sei mio.»

Hannibal la fissò dall’alto dei suoi quasi due metri e mezzo, e subito qualcosa si accese dentro di lui. Non aveva mai percepito un simile potere all’interno di un essere vivente, e improvvisamente cominciò a provare un’emozione nuova: era un misto di paura, gioia e frenesia che accelerava il suo metabolismo, affinava i suoi sensi e stimolava il suo cervello. Improvvisamente si sentiva più forte, più veloce, più resistente: avrebbe dato qualsiasi cosa per affrontarla, e ancora di più per divorarla.

La sua mano, rigenerata a tempo di record, scattò rapidissima, ma la felidiana bloccò i suoi artigli e lo colpì alla testa con un calcio volante. Il Mostro Bianco venne sparato via, il cranio a pezzi, incapace di reagire. Rovinò a terra come un manichino deforme, rotolò per diversi metri e poi si fermò.

Leona si avvicinò con cautela, certa che non sarebbe stato così facile sconfiggere il suo avversario. E infatti dopo pochi secondi Hannibal si mosse, le gravi ferite vennero sanate e lui si rimise in piedi.

Invece di danneggiarlo, era come se l’attacco lo avesse stimolato ulteriormente, e i suoi occhi brillavano con ancora più ardore.

I due combattenti si avventarono uno sull’altro, bloccandosi le mani a vicenda. Il Mostro Bianco sovrastava la sua avversaria con la sua mole, ma la felidiana sfruttò la sua agilità: fece un balzo e gli tirò un doppio calcio nel petto. Le costole della creatura scricchiolarono e le spalle uscirono dall’articolazione, ma lui non ci fece nemmeno caso. Con la sola azione dei muscoli riportò le braccia al loro posto, scatenò una scarica elettrica che folgorò Leona e allo stesso tempo sfruttò la velocità di quei lampi azzurri per scaraventarla via. La ragazza si schiantò contro la cinta muraria prima ancora di capire cosa stesse succedendo, e l’impatto fu talmente violento che alcune crepe si diramarono sulla superficie di supercemento.

Ma non era ancora finita. Hannibal piombò su di lei, talmente veloce da risultare quasi invisibile, e la colpì con un pugno inarrestabile dritto in pancia. Questa volta nemmeno il muro corazzato riuscì a resistere: dei grossi pezzi di supercemento si staccarono dalla superficie, l’ossatura metallica si deformò e una specie di grosso bernoccolo apparve sul versante esterno.

Il Mostro Bianco arretrò di qualche passo per riprendere fiato e rigenerare la mano rotta per il contraccolpo, gli occhi fissi sulla sua avversaria che cadeva a terra. Ma non rimase al tappeto per molto: dopo un paio di secondi la felidiana si rialzò e sputò a terra, ma si trattava solo di saliva.

Sollevò lo sguardo verso di lui, riuscendo addirittura a sorridergli. «Complimenti, era da un…»

La raffica di terra la investì in pieno, intensa e rabbiosa come il suo avversario. La giovane, colta di sorpresa, cercò di proteggersi, ma la violenza di quell’attacco l’aveva già scagliata di nuovo contro le mura. Serrò le labbra per evitare che qualcosa le finisse in bocca, poi balzò in avanti. In un baleno superò lo sbarramento di terra e con un pugno mirò al collo del Mostro Bianco. L’impatto, alimentato dall’aura della giovane, ampliò a dismisura il suo effetto, la carne venne strappata via dalla potenza del colpo e le ossa si sbriciolarono. In un istante l’onda d’urto si estese anche al resto del corpo, sparandolo indietro fino a farlo schiantare contro le pareti esterne della villa.

Gardo’gan, che combatteva ad una trentina di metri di distanza, avvertì distintamente il frastuono dello schianto, e come lui quasi tutti i presenti.

Si guardò intorno. «Ehi, Alphard!» esclamò, e la sua voce venne trasmessa dal comunicatore integrato nel suo casco. «Devi dirmi subito chi cazzo è suo padre!»

Lo spadaccino fece un inutile scatto col capo. «Eeh? Ma non gliel’hai ancora chiesto?»

«Mi sono dimenticato» tagliò corto il sauriano. «Allora?! Hai detto che non è una semidea, ma allora che cazzo sarebbe? Un supersoldato-ibrido-maledetto-e-chi-più-ne-ha-più-ne-metta?!»

«Beh, il supersoldato ibrido sarei io, lei invece è molto peggio, ma non è stata creata artificialmente.» Eseguì una pregevole parata e poi si esibì in un calcio volante dritto sul mento del suo avversario. «Forse non ci crederai, comunque lei fa parte di una specie estremamente rara, una delle forme di vita più potenti mai esistite nell’universo, per non dire la più potente in assoluto.» Si concesse un istante per osservare la giovane che tanto amava e ammirava. «Leona è una figlia dell’inferno.»



Note dell’autore

Ben ritrovati, e come sempre grazie per aver letto questo nuovo capitolo.

Oh, finalmente abbiamo potuto vedere Hannibal all’opera. Contro uno così, perfino Leona dovrà faticare per riuscire a sconfiggerlo.

E, a proposito di Leona, nel prossimo capitolo spiegherò cosa sono i figli dell’inferno, quindi non vi anticipo nulla ;)

A presto! ^.^


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