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Porto Eamone
Al calar del sole del
quarto giorno giunsero a porto Eamone. La città si trovava
su un promontorio roccioso che si affacciava sul Mar di Ghiaccio.
Quando era stata fondata, le mura che la circondavano erano basse, ma
adesso, con l'inasprirsi della guerra, il governatore era stato
costretto ad alzarle. Da lontano si vedeva la differenza tra la vecchia
cinta difensiva di marmo levigato dal mare e la nuova, una striscia di
blocchi regolari disposti a file alterne di testa e di taglio. Il ponte
levatoio era abbassato e le guardie, vestite con le armature recanti lo
stemma della famiglia reale, presidiavano l'ingresso, facendo pagare il
pedaggio ai contadini e a quei pochi mercanti che ancora viaggiavano
per le strade.
Quando il carro si fermò, Airis udì Arghail
discutere rapidamente con uno dei soldati, che, non appena si rese
conto di chi aveva davanti, mise da parte qualunque rimostranza.
Proseguirono ancora per un po', inoltrandosi nella città.
Nonostante l'ora, umani, nani e gnomi giravano per le vie in un
continuo e caotico via vai che nemmeno la guerra era riuscita a
intaccare. L'aria, satura dei profumi penetranti del porto, portava con
sé le urla dei mercanti che rilanciavano sul prezzo, il
cicaleccio delle donne che passeggiavano e il cigolio dei carri carichi
di beni importati e d'asporto.
- Eri mai stata qui? - domandò Hallende.
- Sì, anche se è stato molto tempo fa. - rispose
Airis.
- Quando siete stata mandata al Nord dalla regina? -
- Sì, ma sono venuta anche molto prima. -
- Mi è concesso chiedere... -
- Magari un'altra volta. - disse con un sorriso stanco.
Hallende non insisté, anche se l'espressione delusa sul suo
viso lasciava intendere che le sarebbe piaciuto saperne di
più. Ad Airis dispiacque, ma non aveva nessuna voglia di
parlare del suo passato o condividere i ricordi che quella
città aveva risvegliato in lei. Memorie felici, frammenti di
una vita precedente che erano poi diventati mattoni sui quali aveva
ricostruito se stessa.
La loro guarnigione si mosse piano tra i vicoli, imboccando una delle
tante vie che si perdevano in quel labirinto di palazzi e case. La
guerriera non sapeva esattamente dove si stessero dirigendo, ma dal
panorama dedusse che non fossero poi così lontani dalla
Piazza Grande.
Quando si fermarono, Hallende scese dal carro agile come un gatto, dopo
averle fatto cenno di fare silenzio. Airis la sentì
discutere con Arghail, informandolo che le condizioni di Arlena erano
peggiorate. Non trascorsero che pochi istanti, prima che il comandante
desse l'ordine ai suoi uomini di entrare nella caserma e rimanere nelle
loro stanze. Quando lo scalpiccio e lo sferragliare dei soldati
svanì in lontananza, Hallende tornò dentro e
l'aiutò a smontare dal carro. Appoggiandosi al suo braccio,
Airis si trascinò fuori e si lasciò condurre
nella caserma. Era un edificio imponente, con un perimetro
quadrangolare, lati arrotondati e un lato obliquo, circondato da un
muro di qualche braccio in opera laterizia. La doppia porta che si
apriva sull'ambiente interno era di un pesante legno di quercia con
fregi in ferro, lavorato con una tecnica a sbalzo in modo da comporre
il lupo della famiglia reale nella parte sinistra e l'ippocampo alato
sulla destra.
Hallende la condusse per un lungo corridoio, tenendole una mano attorno
alla spalla, con Arghail che procedeva al suo fianco con ampie falcate,
ponendo domande alla sua compagna sulle condizioni di Airis. La
guerriera, dal canto suo, rimase in silenzio, mugolando di tanto in
tanto per rendere la messinscena più verosimile. Quando
giunsero all'ultima camera del corridoio, il comandante fece un rapido
inchino, prima di chiudersi la porta alle spalle. Probabilmente,
pensò distrattamente Airis, stava andando a controllare che
tutti i soldati fossero andati nella camerata.
L'infermeria era uno stanzone spartano, con una ventina di letti
allineati su due muri e tre ampie finestre che aggettavano sulla
strada. Hallende si affrettò a chiudere le tende, mentre la
guerriera combatteva contro lo jalibeb. Appena riuscì a
toglierselo, sequestrò la sedia dietro il tavolo di cedro
dove erano state posate bende e vari barattoli, accomodandosi con un
sospiro di sollievo.
- Vuoi mangiare qualcosa? - mormorò la cerusica,
appoggiandosi al capezzale del letto di fronte a lei, - Se resisti
un'ora o due, poi posso uscire per vedere se è avanzato un
po' di pane o un mestolo di minestra d'avena. -
- No, adesso ho altro per la testa. - la guerriera si
massaggiò le tempie, - Ti ringrazio per avermi aiutata, ma
devo partire. -
- Sì, per andare alla ricerca dell'elfo. -
sospirò Hallende, - Purtroppo non posso aiutarti, non
conosco molto bene porto Eamone per dirti quali e quante navi sono
dirette al sud. Dovresti provare a parlarne con Arghail, è
un esperto di queste terre. -
A sentire nominare il nome del comandante, un altro pensiero fece
capolino nella mente di Airis. Non sapeva ancora nulla di lui, a parte
che era un uomo d'onore, che era stato adottato e che, secondo uno dei
Guardiani, lei avrebbe dovuto aiutarlo a diventare re.
“Il che, ipotizzando che sia vero e possibile, è
davvero difficile.”
- Qualcosa non va? Non vi sentite bene? - la richiamò
preoccupata Hallende.
- No, no, è stato solo un viaggio lungo e sfiancante. - la
rassicurò prontamente, - Inoltre... parliamoci chiaro: come
fate a portare per ore questo scialle in testa? È
soffocante! -
La donna scoppiò a ridere a bassa voce. Una risata limpida,
cristallina, che contagiò anche Airis.
- Avete ragione, in effetti all'inizio è davvero fastidioso.
Mia madre mi raccontava che la prima volta che ha provato a mettermelo,
l'ho buttato a terra e sono scappata via. Quando finalmente
è riuscita ad acchiapparmi, non le ho più parlato
per giorni. - tossicchiò, ricomponendosi, - Pensandoci col
senno di poi, se non avesse insistito mi sarei presa un'insolazione e
sarei stata male, ma all'epoca ero troppo piccola per capire certe
cose. -
- Non credo esistano bambini che condividano appieno le scelte che i
loro genitori fanno per loro. - commentò Airis, accavallando
le gambe e facendo scrocchiare la schiena, - Non avrei mai detto che
fossi così pestifera, comunque. Sembri così... -
- Calma e pacata? Sapete come si dice, no? La pazienza è la
virtù dei forti e io ne ho imparato il valore solo quando ho
capito quale fosse la mia strada. -
- Ti riferisci al tuo percorso per diventare una guaritrice? -
- Per lo più mi riferisco alla fede, a ciò in cui
credo. - la sua mano corse alla farfalla poggiata sul loto ai lati
della testa e il suo sguardo si adombrò, perse la
luminosità che fino a quel momento faceva vibrare le iridi
turchesi, - Solo... a volte mi sarebbe piaciuto non dover scegliere. -
Non aggiunse altro e Airis capì che non sarebbe stato giusto
domandare. Hallende aveva rispettato la sua riservatezza e aveva atteso
che fosse lei ad aprirsi; ora era il suo turno di aspettare.
- Sai, c'era un soldato tra i miei uomini che era credente. Durante le
pause tra un allenamento e l'altro, al posto di unirsi ai suoi compagni
per bere o andare a far baldoria, si rifugiava nella sua tenda e
pregava. L'ho visto spesso inginocchiarsi, con le mani giunte sul petto
e gli occhi chiusi, mentre recitava una preghiera rivolta ad Laeyr. Un
giorno gli chiesi perché lo facesse. Insomma, i miei
genitori non erano molto religiosi, e nemmeno io lo ero. Faticavo a
capire come mai dedicasse così tanto tempo a venerare un...
qualcosa che nemmeno sappiamo se esiste. Lui mi rispose semplicemente
che nella fede c'era abbastanza speranza per contrastare la
desolazione, e abbastanza amore per tollerare la solitudine.
Perciò, qualsiasi scelta tu abbia fatto, credo che sia stata
la migliore se ti ha resa la persona che sei ora. -
Un sorriso si dipinse sulle labbra di Hallende, che poi si
allungò e le strinse con delicatezza la mano, chinando
appena il capo fino a sfiorarle le dita in un tacito gesto di
ringraziamento. La guerriera la lasciò fare, senza tentare
di avvicinarsi né allontanarsi. Solo quando la
sentì allentare la presa, intrecciò le braccia
sul petto.
- Ah, puoi anche smetterla di darmi del “voi”. Odio
le formalità. - buttò lì Airis,
cambiando argomento.
- Non mi sembrava, anzi, mi avete... mi hai dato l'impressione di
bearti del tuo ruolo. - la prese in giro Hallende.
Airis scosse la testa, arricciando il naso in una smorfia fintamente
offesa, già pronta a rispondere a tono, quando sentirono
bussare. Subito si zittirono entrambe e Hallende, alzandosi, la
esortò a infilarsi sotto le coperte. La guerriera
obbedì e si girò dando le spalle alla porta,
obbligandosi a respirare con regolarità così da
dare l'impressione di star dormendo.
- Guardate che lo so che non state dormendo, Generale. -
La voce allegra di Arghail vibrò nell'aria immobile
dell'infermeria, mentre avanzava nella sua direzione. Airis
capì dalla pesantezza dei suoi passi che indossava ancora
l'armatura.
- Ha detto che possiamo darle del “tu”. - gli disse
Hallende, mentre si risiedeva sul letto.
A quel commento il comandante si fece serio: - Generale, siete sicura
che vi vada bene? Non vorremmo mai mancarvi di rispetto. -
- Come ho già detto, odio le formalità. In
pubblico le riesco a sopportare, ma in privato mi sembrano eccessive,
soprattutto dopo quello che ci siamo detti. -
Arghail annuì, poi prese la seconda e ultima sedia rimasta
dietro il tavolo di cedro e vi si sedette. Aveva un'espressione seria
sul volto e Airis intuì che quello che le stava per dire non
le avrebbe fatto piacere.
- Il re è morto, il male che lo divorava dall'interno non
gli ha lasciato scampo. Ha nominato come suo successore sua moglie,
Wecilia Mallus. Ho sentito un mercante che ne parlava mentre venivamo
qui. I funerali si svolgeranno tra un paio di giorni. -
Il cuore di Airis perse un battito e sentì un brivido gelido
serpeggiarle nelle ossa e avvilupparle lo stomaco. Si
massaggiò la radice del naso, imponendosi di restare calma e
non cedere all'angoscia . Cyril le aveva detto che il rito avrebbe
avuto luogo durante una particolare congiunzione astrale, quindi
dubitava che quell'episodio avrebbe influito sui suoi piani.
Ciononostante, non riusciva a non pensare a quanto potere quella donna
avesse accentrato nelle proprie mani: prima si era sbarazzata di
Serjel, poi di Copernico e infine di Voren. Adesso, tra lei e il
dominio assoluto della capitale, c'erano solo i dodici Consiglieri, e
forse, a breve, nemmeno loro.
“Devo sbrigarmi.”
- Qualcosa non va? - domandò cauto Arghail.
- No, sono solo sconvolta. É stato inaspettato. Non credevo
che sarebbe accaduto così presto. -
- Se non fosse che ora sul trono siede quella serpe, sarei quasi
contento di quello che gli è accaduto. - sibilò
lui, le dita intrecciate così strette da far sbiancare le
nocche.
Airis si mostrò d'accordo. Non poteva dire di aver amato un
sovrano come Voren, ma in fondo provava pietà per quell'uomo
che, come suo padre prima di lui, era caduto nella rete della Lich.
- Senti, ma... i tuoi uomini non hanno paura? -
- Paura di cosa? -
- Che tu ti possa ammalare. La febbre rossa è molto
contagiosa. -
L'uomo esitò, era evidente che non era preparato a una
domanda del genere. Era come se stesse valutando cosa dire, soppesando
le parole giuste da usare. Hallende non disse nulla, ma, da come lo
guardava, Airis capì che già sapeva cosa stesse
per dire.
- Non c'è pericolo, l'ho già contratta. -
rivelò infine, spiazzando la guerriera.
La febbre rossa era una malattia crudele, anneriva il sangue,
annichiliva la mente e distruggeva il corpo. Erano stati a centinaia i
bambini colpiti sei anni prima, per lo più figli di
contadini e mercanti girovaghi che non potevano permettersi le cure di
un bravo guaritore come Hallende. Ancora oggi quei pochi che si erano
salvati portavano i segni del loro calvario, menomazioni che impedivano
loro di camminare e che, spesso, paralizzavano anche i loro bambini. La
guerriera aveva dato per scontato che Arghail fosse il rampollo di una
famiglia nobile, che era stato adottato per succedere alla carica di un
qualche comandante d'alto rango senza eredi, ma quella rivelazione
cambiava le carte in tavola.
- L'ho contratta quando ero piccolo e vivevo ancora in campagna. Sono
stato fortunato che in quel periodo un giovane cerusico fosse stato
mandato a fare l'apprendistato nel paese vicino al mio, altrimenti non
ce l'avrei fatta. - spiegò con voce neutra, quasi atona, le
braccia intrecciate dietro la nuca, - Piuttosto... adesso cos'hai
intenzione di fare? Prendere una nave diretta a Sershet? -
- Sì, non ho molta scelta. Non sono sicura che Ledah sia
lì, ma considerando la posizione di Lysandra e quello che
vuole fare, non c'è posto più sicuro della
capitale. -
- Non posso che concordare, ma non sarà facile trovarne una.
In questo periodo i Khaleesh rendono difficile la navigazione, i
mercanti preferiscono viaggiare per terra piuttosto che affrontare il
rischio di un naufragio nelle acque gelide del Mar di Ghiaccio. Ma
forse posso chiedere a un amico se può darci un passaggio. -
- Stai parlando di Torvir? - chiese Hallende.
- Sì. - rispose, spostando lo sguardo su Airis, - Era un mio
commilitone. Abbiamo fatto l'Accademia insieme. -
- Ti fidi di lui? - s'informò Airis.
- Altroché, mi ha guardato le spalle un sacco di volte.
È come un fratello. -
- Sì, è vero, è un uomo con un grande
senso dell'onore. - confermò Hallende, mentre sulle sue
labbra balenava un sorriso divertito, - È uno scavezzacollo,
ma è una brava persona. Se glielo chiederemo, ci
aiuterà. -
Airis annuì, poi il suo sguardo si perse sulla danza di luci
che serpeggiavano sul vetro scuro della finestra.
- Non so se sia una buona idea uscire stasera. - proseguì
Hallende, scoccandole un'occhiata preoccupata, - Hai... abbiamo
affrontato un viaggio molto duro e abbiamo tutti bisogno di riposare.
Sarebbe meglio dormire qui stanotte e domattina andare a cercare
Torvir. -
- Sì, sarebbe la cosa più giusta. -
concordò Arghail, stropicciandosi gli occhi con indice e
pollice, - Domani dovrebbe arrivare anche Fadri per prendere il comando
al mio posto. Inoltre, ora come ora, non saprei in che buco si possa
essere andato a infilare quel pazzo. -
La guerriera si umettò le labbra pensierosa. Si sentiva
ancora carica, piena di energie, nonostante avesse affrontato un
viaggio a tappe forzate fino a lì. La cosa la sorprendeva e
allo stesso tempo la spaventava. Cyril le aveva detto che era un
homunculus, ma lei non sapeva esattamente cosa implicasse l'essere
rinata con quel corpo che sembrava immune a tutto.
Spostò nuovamente la sua attenzione su Hallende e Arghail,
concedendosi del tempo per pensare. La decisione arrivò da
sé: c'era in gioco qualcosa di grande, dalle sue scelte
dipendeva il destino di Esperya stessa, e non poteva permettersi il
lusso di rischiare tutto.
- Per me va bene. - acconsentì, fingendo di sbadigliare, -
Domani usciremo solo io e Hallende? -
- Sì, io vi raggiungerò quando Fadri
arriverà in città. - replicò Arghail
alzandosi, - Allora vi do la buonanotte, signore. Hallende, ti ricordi
com'è la nave di Torvir? -
- Perbacco! Ha scelto una polena talmente originale che è
impossibile dimenticarla! -
Il comandante sorrise, si inchinò e sparì oltre
la soglia, chiudendosi la porta alle spalle.
Prima di andare a dormire, Hallende studiò Airis per un
lungo momento.
- Domani devo fare una cosa. - bofonchiò tra sé e
sé.
- Cosa? -
- Niente di che, non ti devi preoccupare. -
Airis sospirò e non insisté. Una vocina nella sua
testa le ricordò che anche Myria aveva avuto la stessa
espressione prima della festa.
Hallende venne a svegliarla che era quasi l'alba. Le spiegò
a grandi linee cosa le avrebbe fatto e Airis si limitò a
sedersi sullo sgabello per lasciare che le pettinasse i capelli. Una
paletta mescolava un liquido nero vicino a un bacile pieno d'acqua,
profumava di miele, giglio e cinnamomo. Quando la donna si ritenne
soddisfatta del risultato, cominciò a spalmare l'impasto
sulle ciocche, dalla radice fino alle punte. L'operazione
durò per qualche ora. Hallende le lavò i capelli
e glieli pettinò nuovamente, per poi stringerli in una
treccia che partiva dalla sommità della nuca e dedicarsi al
trucco del viso. Per tutto il tempo Airis non parlò quasi
mai, ancora intontita dal sonno e dal brusco risveglio. Solo quando
l'altra le mise davanti un piccolo specchio, prese coscienza del
cambiamento.
- Come ti sembrano? Secondo me, ti donano. Ho scelto il colore
più scuro che avevo. -
- Sono strani... - commentò, guardandosi da ogni angolazione.
Faticava a riconoscersi nel proprio riflesso. La ragazza con i capelli
neri e l'espressione spaesata che la scrutava dallo specchio era lei,
eppure allo stesso tempo le sembrava un'altra persona. Anche le
sopracciglia erano state tinte, e le lentiggini che le punteggiavano
tutto il viso erano sparite. Soltanto gli occhi erano rimasti
invariati, ricordandole chi era davvero.
- Dai, vieni, dobbiamo sbrigarci. - la richiamò Hallende.
Aiutò Airis a vestirsi, avvolgendole il capo in uno jalibeb
nero appaiato con lo shaalar dello stesso colore. Sotto le fece
indossare dei pantaloni aderenti, una tunica di lana blu scura, dalle
maniche un po' troppo larghe per i gusti di Airis, e dei guanti di lana
che la coprivano fino all'avambraccio. Dopodiché, uscirono
dall'infermeria. Rifecero la strada del giorno precedente, completa di
sceneggiata, e quando oltrepassarono la porta, i due soldati di guardia
si spostarono senza dire nulla. Airis poté percepire i loro
sguardi di compatimento pesarle sulla nuca. Sapeva che doveva fingersi
ancora malata per evitare di attirare l'attenzione, eppure non
riuscì a trattenere una smorfia di disappunto.
Ad ogni modo, un minuto più tardi erano già
all'aria aperta, la caserma alle spalle e la via maestra di fronte.
Proseguirono a dritto per un po', poi Hallende svoltò
bruscamente in un vicolo deserto. Airis colse l'occasione e si tolse
scialle e tutto il resto, inspirando a pieni polmoni l'odore di
salsedine portato dal vento, che soffiava dall'oceano. A quel punto,
lontane da occhi conosciuti, si diressero verso il porto più
tranquille.
La strada su cui Hallende la condusse si snodava in mezzo alle case
come un serpente, zigzagando tra edifici dall'architettura disordinata,
eppure unica nel suo genere, influenzata dai vari governi che si erano
succeduti negli anni. Airis riconobbe, al di là dei tetti,
le alte torri squadrate costruite da Varian D'Uster, con le tipiche
gargolle dalla testa di drago, poi quella che fu la dimora di
Castellari Ferdians, con i balconi in pietra decorati con ibischi ed
edere rampicanti, e infine il grande tempio dedicato a Yius, il Leone
Splendente, con il suo mastodontico frontone e le colonne di marmo rosa.
La prima volta che Airis era giunta a porto Eamone, Davsten l'aveva
condotta per quelle stesse strade, descrivendole nei minimi particolari
ciò che vedeva, così che anche lei potesse godere
di quel paesaggio. Era una ragazzina allora, doveva ancora decidere
cosa fare della propria vita.
- Ti piace questo posto, vero? -
- Sì. Da cosa lo hai capito? -
- Stai sorridendo. Tu non sorridi quasi mai, non con il cuore. -
Airis indugiò, colta in fallo. Si rannuvolò
appena, poi rivolse alla donna un sorriso mesto.
- Sei una buona osservatrice. -
- È il mio lavoro. Muoviamoci, sia mai che Torvir trovi
un'altra sottana a cui correre dietro. -
Seguirono le viuzze in discesa, passando per scale scolpite
direttamente nella pietra e piazze gremite da nani, gnomi e umani
intenti a trattare sul prezzo delle merci in mostra sulle bancarelle.
In Via degli Arazzi, gioiellieri e sarti avevano aperto le porte delle
loro botteghe, esponendo abiti sontuosi o bracciali di pietre dure
provenienti da ogni parte del regno che affascinavano tutti, dal
mendicante alla donna sulla portantina. Airis ripensò alle
parole del Generale Lullabyon e a quanto fossero vere: poco importava
da dove venivi, chi eri o chi saresti voluto diventare, a Porto Eamone
avresti comunque potuto trovare un nuovo scopo o
l'opportunità di realizzare i tuoi sogni.
Dopo aver comprato qualcosa da mangiare da un venditore ambulante,
proseguirono a passo spedito fino a quando gli alberi delle navi
apparvero al di sopra dei tetti. Mentre si avvicinavano, la guerriera
si guardava intorno meravigliata. Era stata in quel luogo
più di una volta, eppure quella era la prima che lo vedeva
veramente: il porto era immenso. Si sviluppava su tutto il naturale
bacino scavato dal Mar di Ghiaccio e tutta la sua circonferenza era
occupata da approdi di ogni tipo, dove veleggiavano galeoni, galee e
vascelli maestosi o modesti. Una stretta striscia di osterie, bordelli
e negozi era stata costruita vicino al faro, che si stagliava contro
l'orizzonte in tutte le sue undici braccia di pietra bianca e
opalescente.
Hallende puntò sicura verso destra, dirigendosi verso un
piccolo approdo dove era stata ormeggiata una nave che Airis non
poté che definire particolare. La forma lunga e slanciata,
assieme al pescaggio poco profondo, le ricordava le navi da guerra di
mezzo secolo addietro, ma la vela rettangolare montata sull'unico
albero le suggerì che in realtà dovesse essere
ben più recente. Alla fine fu la prua ad attirare
maggiormente la sua attenzione, la polena plasmata come un drago
tricefalo dalle zanne snudate e gli occhi così grandi da
essere quasi sproporzionati.
- Hallende! Quanto tempo! - gridò una voce gioviale dal
ponte della nave.
Un uomo dai capelli bianchissimi, tagliati molto corti, si
sbracciò verso di loro attirando l'attenzione di Hallende,
che subito gli andò incontro.
- Torvir, come stai? Sempre occupato nei tuoi loschi traffici? -
- Sempre e comunque, mi conosci. - scherzò ammiccando, poi
si girò verso uno dei suoi sottoposti e, dopo avergli dato
istruzioni, scese sul pontile.
Aveva un accenno di barba sulle guance e sul collo e le orecchie
leggermente allungate ben in vista, adornate con orecchini d'osso di
varia grandezza. Gli occhi, di un rosso cupo, osservavano gli uomini
che stavano caricando una grossa cassa. A lavoro ultimato, si
girò a fronteggiarle, senza perdere il vago ghigno malizioso
che gli arricciava gli angoli della bocca.
Airis si stupì nel riconoscere nel suo volto un retaggio
elfico. Si domandò come fosse riuscito un mezzelfo a entrare
nell'esercito e sopravvivere. Torvir intercettò il suo
sguardo indagatore e ghignò più apertamente,
facendo scivolare le iridi scarlatte sul corpo della guerriera.
- E chi è questa meraviglia? Non mi avevi detto di avere
un'amica così carina! O forse me ne avevi parlato e io non
me lo ricordo? No, impossibile, non potrei certo dimenticarmi di una
simile bellezza nordica. -
- Smettila, non vedi che la stai mettendo in imbarazzo? - lo
rimproverò, per poi voltarsi verso Airis, - Scusalo, fa
sempre così... -
- Non ti preoccupare. -
- Ci sarai abituata, immagino. - si intromise Torvir.
- Decisamente. -
- Uh, aspetta. Hallende, non dirmi che è sposata o cose del
genere. No, perché nel caso non è un problema per
me, anzi, il fascino del proibito lo trovo particolarmente eccitante...
-
Prima che potesse andare oltre, Airis lo fermò: - Intendevo
dire che, essendo cresciuta con quattro fratelli maschi, sono abituata
a certi comportamenti. Ci vuole ben altro per scandalizzarmi. -
Con un gesto più rapido di quello che l'uomo si aspettava,
lo afferrò per le palle e le strinse come l'uva durante la
stagione della vendemmia, sulle labbra arcuate un sorriso
più divertito che minaccioso.
- Al tuo posto, terrei la bocca chiusa, capitano. E se pensi che io sia
una nave da abbordare come un pirata... ti sbagli di grosso. -
Torvir la fissò sorpreso, evidentemente spiazzato da quella
reazione. La guerriera si gustò la sua espressione per
ancora qualche secondo, prima di lasciare molto lentamente la presa.
Hallende si coprì la bocca per nascondere una risata, ma
nello stesso momento un paio esplosero nell'aria, accompagnate da una
sequela di battute e applausi provenienti dalle bocche dei marinai, che
avevano assistito dal ponte alla stregua di comari che spiano dalla
finestra.
Torvir, dopo un breve istante in cui non seppe che fare,
dardeggiò uno sguardo truce verso la ciurma, che si
zittì tornando al lavoro.
- Dicevamo... Hallende, è da molto che non ci vediamo!
Arghail come sta? - disse tossicchiando, nel tentativo di scacciare
l'imbarazzo.
- Bene, sta aspettando che Fadri venga per sostituirlo. - rispose
Hallende.
- Ah, quindi è qui in città? E come mai non
è venuto a trovarmi? Non dirmi che ce l'ha ancora con me per
la rissa alla taverna della volta scorsa. -
- No, non penso, sai che non rimane mai arrabbiato a lungo. Ha delle
cose da fare prima di partire. -
- Torna a Sershet? -
- Sì, diciamo di sì. Anche tu sei in partenza,
vedo. -
Torvir annuì e indicò con orgoglio la sua nave: -
Ho da trasportare un grosso carico di spezie fino alla capitale. Non
sarà una navigazione facile, con questo tempo
così instabile dovremo stare più attenti del
solito. Se fosse stato come ai vecchi tempi, avrei chiesto a te e ad
Arghail di seguirmi, ma... -
- Potremmo parlare da un'altra parte? -
L'uomo alzò un sopracciglio e la scrutò con
cipiglio sospettoso, prima di annuire.
- Lascio disposizioni a Sin e ti raggiungo al solito posto. -
- A dopo. - lo salutò la donna e quando furono abbastanza
lontane guardò Airis interessata, - È vero che
hai quattro fratelli maschi? -
- No, sono figlia unica. -
Hallende scoppiò a ridere e le batté una pacca
sulla spalla.
- Sei stata fantastica prima! -
- Non ho fatto nulla. -
- Sei riuscita a mettere in imbarazzo Torvir, ti assicuro che non
è un'impresa da poco. -
Airis si concesse un mezzo sorriso e assunse l'aria di una che la sa
lunga: - Diciamo che so come prendere un uomo. -
Si diressero verso la linea di edifici che si affastellavano vicino al
faro. Hallende tirò dritto fino a un palazzo basso e tozzo,
dalla facciata erosa dal tempo e dalla salsedine. Dalle finestre
accostate usciva il chiasso degli avventori.
- “Dalla Donna d'Oriente”. Non pensavo che Arghail
fosse un frequentatore di simili bettole. -
Hallende si rabbuiò e le sue labbra si incresparono in una
smorfia amara. Le dita della mano destra sfiorarono il tatuaggio,
mentre la sinistra si strinse sulla pesante maniglia di ferro nero
macchiato di ruggine. Poi, con un gesto fin troppo brusco,
l'abbassò.
Il freddo si dissipò nelle volute di fumo acre che salivano
fino al soffitto. Furono accolte dalle risate e dalle voci di uomini e
donne ubriachi, almeno quelli che non dormivano stravaccati sui tavoli
e sulle sedie mangiate dai tarli. Una cameriera vestita con un abito di
un rosso smorto diede loro il benvenuto con un sorriso stanco, mentre
sistemava bicchieri e piatti sul vassoio. L'oste dietro il bancone, un
uomo dalla stazza considerevole e il naso adunco, alzò lo
sguardo dall'orcio che stava lavando e, non appena notò le
sue nuove clienti, si immobilizzò, gli occhi puntati su
Hallende, che avanzava verso l'unico tavolo libero.
Di nuovo, Airis ebbe l'impressione che il rapporto tra Hallende e
Arghail non fosse così chiaro e limpido come cercavano di
dare a vedere. Avrebbe voluto capire cosa si nascondeva dietro lo
sguardo triste della guaritrice e cosa significava il suo tatuaggio, lo
stesso che Arghail aveva sul collo, perché ormai era chiaro
che non era un simbolo di fede. O, almeno, non era soltanto quello.
- Prendi qualcosa? - chiese Hallende.
- Sono a posto. -
- Va bene, allora aspettiamo. - sospirò massaggiandosi le
tempie, senza perdere di vista la porta.
Sembrava stanca, come se non avesse riposato durante la notte scorsa.
Nel dormiveglia, ad Airis era parso di udire il cigolio della porta che
si apriva e lì per lì lo aveva scambiato per un
sogno, ma ora, guardando l'espressione tetra di Hallende, non ne era
più così convinta.
- C'è qualcosa che non va? -
- Non ho dormito abbastanza, stanotte. - rispose la donna con un
sorriso incerto, - Tu, invece, mi sembri riposata. -
- Sì, alla fine la stanchezza mi ha vinta. Comunque, se non
vuoi parlarne basta dirlo. Tutti abbiamo dei segreti, in fin dei conti.
-
Hallende spostò la sua attenzione su un punto al di
là delle sue spalle, come se non riuscisse a sostenere il
suo sguardo troppo a lungo.
In quell'istante la porta si aprì e Torvir fece il suo
ingresso nel locale. Si era coperto il capo con il cappuccio di un
mantello foderato di pelliccia, chiuso con una spilla rotonda d'ottone,
e appesa alla cintola portava una spada lunga, infilata in un fodero
piuttosto anonimo. Quando prese posto, scandagliò l'ambiente
e richiamò l'oste con un cenno.
- Perché non ti togli il cappuccio? Non mi sembra che faccia
così freddo. - lo interrogò Airis, stranita.
Torvir si mostrò imbarazzato: - Lo so, ma vedi... Dena, la
cameriera... -
- Ho capito, non voglio sapere altro. -
Il capitano ridacchiò, poi rivolse la sua attenzione su
Hallende.
- Allora, di cosa volevi parlarmi? -
- Vai subito al sodo, come al solito. -
- Se fossi venuta solo per salutarmi, non mi avresti chiesto di venire
qui, per discutere lontani da occhi e orecchie indiscrete. Inoltre... -
puntò gli occhi su Airis, - lei ha un viso piuttosto
familiare... non vorrei fare nomi, ma... -
Le labbra della guerriera si curvarono in un lieve sorriso. Quell'uomo
non era uno sprovveduto, per niente.
- Allora evitiamolo. Dopo i complimenti di prima, potrei persino
offendermi. - allungò la mano verso di lui, - Mi chiamo
Arlena. -
- È davvero un piacere conoscerti, Arlena. -
ricambiò la stretta, calcando su quel nome con una certa
enfasi.
L'oste servì loro un piatto con del formaggio e del pane,
quindi se ne andò.
- Allora, dicevi di essere diretto a Sershet. - cominciò
Hallende.
- Sì, partiamo nel primo pomeriggio, se il tempo non si
guasta. -
- Bene. Ci chiedevamo se potessi dare ad Arghail e Arlena un passaggio
sulla tua Signora dei Mari. -
- Non possono andare con le navi dell'esercito? Sono più che
sicuro che il comandante che è venuto per prendere il posto
di Arghail non sia giunto via terra. -
- Diciamo che per questo viaggio preferirebbero un mezzo meno vistoso
per mantenere un basso profilo. -
- Tu non verresti, dunque? -
- No, io... no. Non con la tua nave. -
Torvir inarcò un sopracciglio e le fissò entrambe
dubbioso, ma non rispose, concentrandosi sullo spalmare il formaggio
morbido su una fetta di pane. Nonostante le palpebre abbassate, Airis
poteva percepire il peso del suo sguardo sulla pelle.
- Avete bisogno di non far sapere a nessuno che state tornando in
città, in sostanza. - addentò la fetta di pane e
accavallò le gambe, senza smettere di guardarle, - Non mi
piacciono i segreti, Hallende, soprattutto se coinvolgono direttamente
me e la mia nave. -
- Torvir, ascolta... -
L'uomo la fermò con un gesto annoiato della mano: - Immagino
che non abbiate intenzione di dirmi cosa avete in mente. Tu e Arghail
avete sempre questo atteggiamento che mi fa saltare i nervi, come
quelle persone che si aspettano di ricevere aiuto e favori senza
sentirsi porre domande. Dammi una buona motivazione per prendervi sulla
mia nave. Qualcosa di convincente, non la solita scusa che mi propini
ogni volta. -
La donna serrò i denti e cominciò a tamburellare
le dita sul tavolo, sostenendo lo sguardo di sfida del capitano, che
non sembrava intenzionato a mollare l'osso. Airis aprì la
bocca per intromettersi, ma, prima che potesse dire qualsiasi cosa,
Arghail fece il suo ingresso nella locanda. A grandi falcate si diresse
verso il loro e, senza troppe cerimonie, posò un sacchetto
sulle ginocchia di Torvir. Poi rimase un attimo imbambolato a fissare
Airis, incuriosito dai capelli neri, ma un'occhiata di Hallende fu
sufficiente a mettere a tacere qualunque domanda.
- Ciao, Torvir, ti trovo bene. - salutò cordiale, prendendo
una sedia dal tavolo vicino.
- Anche io ti trovo bene, anche se dovresti rifarti la barba. Sembra
che te l'abbia tagliata un macellaio. - grugnì, soppesando
il sacchetto, - Secondo te è sufficiente pagarmi per avere i
miei servigi? Pensavo fossimo amici. -
- Lo siamo, ovviamente, però so anche quanto tu tenga alla
tua beneamata Signora. Mi sembra un prezzo... ragionevole per ricevere
un favore da te. -
Torvir scoppiò a ridere, ma Arghail non si unì
alla sua risata.
- Quindi siamo giunti fino a questo punto? Piuttosto che rendermi
partecipe dei vostri piani, comprate il mio silenzio. -
commentò amareggiato, infilando la ricompensa nella
scarsella, - Come sono cambiate le cose senza che nemmeno me ne
rendessi conto... -
- Le persone cambiano, così come il rapporto che le unisce.
- rispose il comandante con un tono gelido, - Ascolta, ho bisogno solo
che cambi l'orario della partenza e che ci scorti fino alla capitale.
Non ti daremo problemi e sono sicuro che se lo dirai ai tuoi uomini,
sapranno tenere la bocca chiusa, sia quando saremo a bordo che quando
saremo sbarcati. -
- Vuoi navigare di notte?! Con i Khaleesh che non si placano da giorni
e il tempo più instabile degli ultimi dieci anni?
È una follia! -
- Non eri forse tu quello che diceva che non esiste niente di
abbastanza folle da fermarti? -
Il mezzelfo contrasse la mascella in una smorfia e scosse la testa,
versandosi un bicchiere di vino. Lo sorseggiò lentamente,
prendendosi tutto il tempo per riflettere. Airis rimase in disparte ad
osservarli. C'era una rigida determinazione nelle iridi viola di
Arghail, una fermezza che non ammetteva rifiuti. Avrebbe dovuto
sentirsi sollevata, eppure qualcosa le suggeriva che quella sua
insistenza non fosse dovuta solo alla promessa che le aveva fatto.
Strinse i pugni sotto il tavolo, imponendosi di rimanere in silenzio.
- Allora? Mi aiuterai? -
Torvir finì il suo bicchiere e lo squadrò con
un'espressione scettica prima di fare un gesto d'assenso.
- Fatevi trovare a mezzanotte al molo, Hallende ha visto dove
è ormeggiata la mia nave. Cercate di arrivare puntuali, non
ho intenzione di aspettarvi. - disse sbrigativo mentre si alzava,
calcandosi bene il cappuccio sulla testa.
- Tu, piuttosto, vedi di non partire senza di noi. - lo
rimbeccò Arghail.
Torvir gli lanciò un'occhiataccia e uscì veloce
dalla locanda. Quando la porta si chiuse alle sue spalle, Airis
intercettò lo sguardo che Arghail scambiò con
Hallende, l'aria seria quando le invitò a seguirlo e il velo
di tristezza che oscurò gli occhi della donna. Senza alcun
dubbio, c'erano dei segreti di cui non era al corrente, oscure
dinamiche affioravano dietro quei gesti e contatti visivi, e tale
consapevolezza le creava disagio.
Note d'Autrice, aka l'angolino oscuro di Hime:
Buongiorno!
Appaio perchè credo che prima o poi sia giusto per me fare
una qualche apparizione. Allora, innanzitutto, ci tengo a ringraziare
tutti i lettori, vecchi e nuovi, silenziosi e chiacchieroni, che sono
accorsi a leggere questo seguito. Davvero, siete stati in tantissimi a
rispondere ai miei messaggi e a sostenermi in questo progetto,
è stata una sorpresa piacevole e... e non so davvero cosa
dire se non “grazie”. Per ringraziarvi di tutto il
supporto e della vostra partecipazione ( saltello sempre quando trovo
una nuova recensione a questa storia **) ho pensato di indire un
Giveaway al raggiungimento della 50esima recensione che, per me,
è un traguardo importante. Che cosa si vince? Beh... una
piccola OS AU! Scelta da voi, con protagonisti i vostri beniamini u.u
per ora non vi dico di più, voglio che vi gustiate la
sorpresa quando metterò effettivamente il
“bando” sulla mia pagina autore, per ora sappiate
che il vincitore avrà voce in capitolo anche sulla trama
della suddetta OS u.u
Se volete rimanere aggiornati sullo stato del giveaway, mettete un like
alla Pagina.
Un bacione
Hime