Anime & Manga > Haikyu!!
Segui la storia  |       
Autore: Ode To Joy    02/04/2017    2 recensioni
REWRITING in Progress
[Kageyama x Hinata]
[Iwaizumi x Oikawa]
[Daichi x Suga]
"Ti racconto una cosa: quando un corvo riesce a trovare il proprio compagno gli rimane accanto per tutta la vita."
In un mondo la cui storia è scritta da continui giochi di potere tra principi e re, due regni continuano a scontrarsi senza che vi sia mai un vincitore.
"C'è una lezione che non devi mai dimenticare: un Re che decide di combattere da solo, è un Re sconfitto in partenza."
In un mondo in cui si può solo perdere o vincere tutto, alle volte è utile ricordare che anche il più grande avversario può divenire il più forte degli alleati.
"Alla fine, il Re più potente è sempre quello con a fianco più compagni disposti a seguirlo fino alla fine."
[Medieval+Fantasy -AU]
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Koushi Sugawara, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama, Tooru Oikawa
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'The Raven Crown '
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
28
Di sole e d'estate


Il rumore delle onde del mare che accarezzavano la sabbia era l’unica cosa a spezzare il silenzio di quel paesaggio di morte.
La guerra ne aveva disegnato le linee con crudele fermezza tingendo la spiaggia bianca su cui aveva fatto i suoi primi passi col crudele colore del sangue.
Il sangue dei suoi uomini, dei suoi amici, della sua gente, della sua famiglia.
Tutto ciò che era nato per proteggere a costo della sua stessa vita giaceva a pezzi, in riva al mare e lui non aveva potuto far nulla per evitare una simile catastrofe.
Sollevò lo sguardo verso il castello che sorgeva sulla scogliera. Le bianche torri erano cadute sotto i colpi dei nemici che erano venuti dal cielo, come divinità malevole pronte a punirli per tutta la loro superbia.
Perché era quella che li aveva spinti fino a quel punto di non ritorno, no?
La superbia. La sete di potere. Il desiderio di elevarsi ad essere dei… O quanto di più simile ci fosse.
Erano stati gli artefici della loro stessa caduta ed ora era rimasto solo lui, l’ultimo su di un campo di battaglia che vedeva il trionfo di una vincitrice ancora e per sempre imbattuta: la morte.
Perché gli fosse ancora concesso di respirare era un mistero a cui non aveva la forza di venire a capo.
Piangeva, le mani sporche di sangue artigliavano la sabbia non più bianca ma era un appiglio instabile, inutile. Di fronte a lui, l’Aquila giaceva morta. Di un’ala non era rimasto nulla, dell’altra sono piume bruciate. La testa era girata, il collo spezzato.
E lui non si sentiva poi così tanto protetto avvolto nel suo mantello violaceo come gli succedeva quando era bambino e suo padre lo sollevava tra le braccia per fargli vedere il mare.
Era bellissimo quell’orizzonte ed era stato suo fin dalla nascita.
Non aveva saputo dargli la giusta importanza ed ora sarebbe stata l’ultima cosa che avrebbe visto in vita sua disperandosi perché il nemico gli concedesse un istante ancora per ammirarlo.
Chi l’aveva sconfitto, però, aveva da tempo dimenticato cosa fosse la pietà.
Un violento spostamento d’aria alle sue spalle non lo spaventò, attirò semplicemente la sua attenzione.
Nessuno aveva abbattuto la bestia e sapeva che era solo questione di tempo perché uscisse allo scoperto per completare la sua opera e fare di quella distruzione totale il suo capolavoro.
Lo aveva lasciato in vita ancora un poco soltanto per permettergli di vedere dove le gloriose azioni dell’Aquila li avevano portati.
Si voltò.
Gli occhi del drago erano di un blu che sarebbe potuto essere meraviglioso, se solo le scure pupille da rettile non li avessero resi terrificanti. Le enormi ali bianche ripiegate sulla schiena.
Era scritto che sarebbe accaduto.
Era stato deciso molto tempo prima della nascita di entrambi ma sia l’uno che l’altro avevano combattuto la loro battaglia contro il destino e contro loro stessi.
Si alzò in piedi e seppe che quello che vedeva negli occhi blu di quel Drago bianco era il riflesso della sua fine.
La bestia si avvicinò e spalancò le fauci.
Non gli restava che accettarla.

 
 
La storia di Kenjirou era tanto banale che se ne vergognava.
Figlio più piccolo di una famiglia di nobili minori, era riuscito a distinguersi durante l’addestramento regolare come Arciere e questo gli aveva garantito un posto molto vicino al giovane Re dell’Aquila. Nessuna sete di gloria, nessun inciampo e nemmeno una personalità particolarmente adatta alle relazioni di gruppo.
Non c’era niente in Kenjirou che potesse definirsi interessante.
A parte i segreti…
”Tu lo ami, non è vero?”
Quelli che non poteva confidare a nessuno perché Kenjirou, in realtà, un amico non lo aveva.
Fino al giorno in cui l’unica persona che avesse mai invidiato, aveva fatto un passo verso di lui quando avrebbe avuto tutto il diritto di calpestarlo.
Il suo legame con Eita non poteva definirsi una vera e propria amicizia. Il Mago e Satori erano amici, oppure quest’ultimo ed il Re dell’Aquila. Kenjirou era entrato in quell’equazione strisciando e passando per vie di cui, suo malgrado, si vergognava. Eppure, non rimpiangeva nulla del peccato che aveva commesso.
Eita ne era venuto a conoscenza quasi subito. Satori anche e spesso Kenjirou si era chiesto che cosa frenasse entrambi dal liberarsi di lui. Perché, che a lui piacesse o meno, Wakatoshi non gli apparteneva.
Una parte di lui era di Eita e l’altra, per quanto fosse doloroso ammetterlo, era e sarebbe sempre stata del Re Demone.
Nella breve lista degli amanti del Re dell’Aquila – perché, a dispetto delle dicerie, era davvero breve – Kenjirou era quel tipo di amore che nessuno avrebbe mai voluto rappresentare. Un amore che amore non era. Un amore a senso unico che differiva da quello di una prostituta per il suo cliente solo perché non era coinvolto del denaro.
”Se lo ami… Se lo ami davvero, prova a raggiungere il suo cuore. Ti prego, Kenjirou. Io non ci sono riuscito e Tooru si è rifiutato di farlo. Ti scongiuro, trova il suo cuore…”
Kenjirou non avrebbe mai dimenticato quel giorno.
Non avrebbe mai dimenticato lo smarrimento che lo aveva colto perché Eita gli aveva appena concesso il cuore del Re dell’Aquila a parole ma, dopo, gli aveva messo tra le braccia il fagottino che stringeva con amore al petto.
Quella era stata la prima volta che aveva tenuto Tsutomu in braccio. Ricordava quella manina minuscola stretta intorno al suo indice e rammentava di aver giurato a se stesso, sebbene Eita non glielo avesse chiesto, che non l’avrebbe più lasciata andare.
Per questo, Kenjirou sentì il respiro venire meno quando udì le grida del Principe dell’Aquila nel cuore della notte. Sì, fu proprio per questo che uscì dalla sua camera e si precipitò in quella di Tsutomu senza preoccuparsi di dover giustificare la sua presenza in alcun modo.
Satori era già lì e Wakatoshi aveva afferrato le spalle del ragazzo svegliandolo bruscamente.
Gli occhi di Kenjirou incontrarono per un istante quelli del Cavaliere ma il Re nemmeno si accorse della sua presenza. Non ebbe molta importanza quando Tsutomu aprì di colpo gli occhi aggrappandosi alle braccia di suo padre come se stesse annegando in un mare invisibile.
Sia l’Arciere che il Cavaliere si avvicinarono al letto.
Il ragazzo tremava, le guance pallide e madide di lacrime.
Chiamarono il suo nome ma non rispose, gli occhi chiari fissi nel vuoto. Gli occhi di Eita.
“Tsutomu!” Tuonò Wakatoshi prendendogli il viso tra le mani.
Il Principe trasalì spingendosi verso i cuscini, poi passò lo sguardo atterrito sui loro volti come se li vedesse per la prima volta. “Il… Il…”
“Tsutomu, respira…” Mormorò Satori stringendogli una spalla. “Piano, respira…”
Il ragazzo chiuse gli occhi e prese un respiro profondo. Kenjirou si azzardò ad allungare una mano per liberargli il viso dalla frangia di capelli corvini madida di sudore.
Fu allora che Wakatoshi sollevò gli occhi ed incrociò i suoi.
Un istante, niente di più.
“Il drago…” Singhiozzò Tsutomu.
Tutti e tre riportarono l’attenzione su di lui.
Satori sospirò. “Tsutomu, il drago è morto. Tobio lo ha abbattuto, ricordi? Tu c’eri…”
“No!” Esclamò il giovane irato. “Era un altro drago. Un drago bianco! Ero a casa, sulla spiaggia e c’erano centinaia di morti intorno a me.”
“Era solo un brutto sogno,” intervenne Kenjirou. “Nessuno riesce ad invadere Shiratorizawa da generazioni e lo sai.”
Solo Wakatoshi rimaneva in silenzio ascoltando con attenzione ogni parola che usciva dalla bocca di suo figlio.
“Non era un brutto sogno!” Sbottò Tsutomu. “Lo dicevate anche dei miei incubi prima che il drago arrivasse qui, al Castello Nero! Bene, è successo! Questa volta è stato lo stesso… Non era un sogno, io ero lì! Io sarò lì e quel drago mi divorerà dopo aver distrutto la nostra casa ed averci massacrati tutti!” Scoppiò a piangere disperato, terrorizzato.
Satori guardò il suo Re alla ricerca di un aiuto valido ma Wakatoshi continuava a rimanersene in silenzio, lo sguardo fisso sulla figura tremante di suo figlio.
“Tsutomu,” Kenjirou gli prese il viso tra le mani costringendolo a guardarlo. “Ascoltami bene. Tu sei il Principe dell’Aquila, erede al trono del Regno di Shiratorizawa. Sei l’ultimo di una dinastia di grandi sovrani e prodi guerrieri… Sovrani e guerrieri che hanno reso la tua casa impossibile da conquistare, lo capisci? Tuo padre Wakatoshi è il Re più potente dei Regni liberi e tu lo diverrai dopo di lui. Sei sopravvissuto per pura fortuna all’ira di un drago ma ciò che ti minacciava non esiste più, ricordi? Il drago è morto.”
Tsutomu si calmò. Piangeva ancora ma, almeno, sembrava aver recuperato il lume della ragione.
Satori rinnovò la stretta sulla sua spalla. “Tutto bene, ragazzino?”
Il Principe annuì debolmente rilassandosi contro i cuscini. “Sì, sto bene…” Non era completamente vero ma aveva già umiliato se stesso fin troppo per una sola notte.
Wakatoshi si alzò dal letto e si diresse verso la porta senza dire una parola. Sembrava che per lui non fosse successo niente.
“Dove te ne vai, ora?” Domandò Satori.
Il Re si fermò al centro della stanza. “Andate a dormire,” ordinò. “Domani lasceremo questo castello.”
Kenjirou fu sorpreso da una simile affermazione ma non disse nulla. Ci pensò Satori ad esprimere il pensiero di entrambi. “Ci diamo alla fuga?” Domandò. “Abbiamo fatto qualcosa di cui potremmo essere accusati?”
Wakatoshi lanciò loro un’occhiata da sopra la spalla. “Partiamo domani,” ripeté. “Questa è la volontà del vostro Re.”
Ancora una volta, quegli occhi taglienti incrociarono quelli di Kenjirou.
L’Arciere non poté fare altro che abbassare lo sguardo.
“… E quando lo troverai, ti prego, salvalo.”
 
 
***
 
 
“Tobio, è meraviglioso qui!”
Shouyou era il sole.
Non era un giudizio che la mente di Tobio aveva partorito spontaneamente. Se non ricordava male, era stata sua madre a fare una simile affermazione durante uno dei loro noiosi dialoghi che avevano come fine quello di spingere il Principe Demone ad avvicinarsi un po’ troppo all’erede al trono di Karasuno.
In quel momento, semplicemente, Tobio si ritrovò a pensare a quel paragone e concludere che, in fin dei conti, era piuttosto vero. Lui era ancora nel cortile interno della tenuta di campagna intento a legare le briglie del suo cavallo e di quello del piccolo stupido, mentre Shouyou lo osservava con un sorriso luminoso affacciato ad una delle finestre del piano superiore. Una di quelle del salotto vicino alle camere padronali, se non ricordava male.
Come fosse arrivato fino a lassù nel tempo di un respiro era un mistero su cui Tobio non perse tempo ad interrogarsi. Quello che davvero lo irritava, era che tutti gli idioti gli erano andati dietro lasciando i cavalli a vagare per il cortile come se fossero delle galline troppo cresciute.
Sì, Shouyou era davvero un raggio di sole… Uno di quelli fastidiosi del primo mattino che, in un modo o nell’altro, riuscivano sempre a penetrare attraverso le tende per colpirlo dritto in faccia.
“Perché non fai uscire tutti quegli idioti a calci per sistemare questo casino!” Sbottò il Principe Demone indicando i destrieri privi di cavalieri. “Se qualcuno di loro scappa non correrò a riprenderlo e il padrone idiota se ne ritornerà al Castello Nero a piedi!”
Shouyou sbuffò sonoramente. “Quanta antipatia per una giornata di sole!” Esclamò allontanandosi dalla finestra.
“Shouyou, non ignorarmi!” Urlò il Principe Demone dall’esterno, peccato che l’altro non gli stesse più dando ascolto.
“Io ancora devo capire che cosa ci facciamo qui,” disse Kei con tono annoiato. Si era accomodato su una delle poltrone di quello che pareva un salotto e senza nemmeno scomodarsi a togliere il telo che la ricopriva.
“Shouyou ha ragione, però,” disse Tadashi con un sorriso allegro continuando ad aprire le finestre per far entrare aria fresca tra quelle mura rimaste disabitate per mesi. “Qui è davvero bellissimo,” commentò appoggiando le mani sul davanzale ed osservando i campi dorati che li circondavano.
Kei scrollò le spalle. “Se vi piacciono le atmosfere bucoliche…”
Shouyou liberò la poltrona accanto alla sua dal telo che la ricopriva e glielo gettò addosso sollevando una gran quantità di polvere. “Il giorno in cui troveremo qualcosa che piace a te, Kei, saremo prossimi alla fine del mondo. Tanto vale che continui a non essere contento da nessuna parte!” Disse divertito.
Il Cavaliere si liberò del telo con un calcio tossendo per la polvere.
“Aspettate,” esclamò Tadashi. “Aspettiamo di aprire tutte le finestre prima di scoprire i mobili o la polvere ci soffocherà. Kei dai una mano, per favore,” aggiunse sfiorando una spalla del giovane dai capelli biondi.
“Se è per favore,” replicò il Cavaliere alzandosi in piedi con aria scocciata. “Che devo fare?”
“Apri le finestre nelle altre stanze, lasciamo entrare l’aria.”
Shouyou si passò una mano sui vestiti liberandoli distrattamente dalla polvere che vi si era posata sopra. Si avvicinò ad una delle finestre che dava sul retro della tenuta. “Wow…” Disse senza fiato perdendosi in quel mare d’oro che si estendeva di fronte ai suoi occhi.
Non vi erano tesori del genere nella montuosa Karasuno. C’erano valli meravigliose e praterie incolte ma c’era qualcosa di magico in quello spettacolo. In realtà, non poteva fare a meno di vedere un po’ di magia in tutto quello che lo incantava da quando era arrivato a Seijou.
Doveva essere l’euforia di poter far sue tante cose e luoghi fino ad allora sconosciuti.
Oppure la consapevolezza che le sue ali potevano, finalmente, essere simbolo di libertà e non più di maledizione.
Il vento d’estate gli accarezzò il viso infilandosi tra i suoi capelli. D’istinto sollevò una mano facendola volteggiare. Chiuse gli occhi ed assaggiò la brezza tra le dita, sulla pelle…
“Ti piace davvero così tanto?”
Si voltò e gli occhi blu di Tobio risposero al suo sguardo.
Shouyou sorrise. “Possibile che tu non veda alcuna bellezza in tutto questo?” Domandò.
Tobio scrollò le spalle avvicinandosi alla finestra a sua volta. “Non ho mai negato che sia bello,” replicò. “Ma l’ho avuto da quando sono nato.”
Shouyou sospirò. “Non darlo per scontato, Tobio.”
Il Principe Demone lo guardò storto. “Non sto dando per scontato niente,” ribatté. “In guerra, questa bellezza, come la chiami tu, è la prima cosa che va persa.”
Shouyou annuì distrattamente non volendo fare sue simili immagine negative in una giornata tanto bella. “Quindi è qui che tu ed i tuoi genitori passavate l’estate, se non al castello in riva al mare.”
Tobio annuì appoggiando i gomiti al davanzale. “Quel castello è lontano,” spiegò, “inoltre, penso che questo posto avesse un significato particolare per i miei genitori.”
Avesse?” Domandò Shouyou curioso. “Perché? Non lo ha più?”
L’espressione di Tobio non cambiò drasticamente ma il Principe dei Corvi non si lasciò sfuggire il modo in cui la linea della sua bocca divenne improvvisamente più dura. Abbassò lo sguardo. “Scusa, ho parlato troppo.”
Sì, lo aveva fatto ma Tobio non disse nulla a proposito: era la sua oscurità e sua sarebbe rimasta.
“Mi viene voglia di volarci sopra,” ammise Shouyou con un sorriso incantato osservando la distesa di grano.
Tobio si voltò, osservò il suo profilo e l’espressione serena che indossava. Gli piacque pensare di esserne l’artefice in qualche modo. “Allora fallo…”
Gli occhi d’ambra si fissarono nei suoi, grandi, sorpresi. “Cosa?” Domandò.
“Se vuoi volare, allora vola.”
Le labbra di Shouyou si piegarono in un sorriso imbarazzato. “No, non posso…” Disse distogliendo lo sguardo dal viso del Principe Demone.
“Per quale ragione?”
“Non conosco la zona e il sole è alto…”
“Non dire sciocchezze. Puoi volare, orientarti non è difficile per te,” lo interruppe Tobio. “Inoltre, ci sono solo campi qui intorno ed un boschetto nella direzione opposta, verso nord, se segui il fiume controcorrente. Non è come la foresta del Castello Nero, non puoi perderti.”
Shouyou si umettò le labbra come se stesse assaggiando quella tentazione. “Potrebbe vedermi qualcuno.”
“Saresti un corvo che vola su di un campo di grano.”
“Sì, ma se dovessi ritrasformarmi, resterei senza vestiti e…”
“Cerca di non essere tanto stupido e ritrasformati solo una volta che sarai tornato qui.”
Shouyou gli lanciò un’occhiata storta ma la sua espressione si addolcì immediatamente. Ridacchiò. Una risata nervosa.
“Che ti prende adesso?” Domandò Tobio.
Shouyou scosse la testa. “È che non ho mai avuto tanta libertà…”
“Allora usala bene,” concluse il Principe Demone allontanandosi dal parapetto. Shouyou lo seguì con lo sguardo ma Tobio si voltò solo dopo essere arrivato dalla parte opposta del salotto. “Sei ancora qui?” Domandò con espressione scocciata.
Shouyou sorrise. “Grazie…”
Tobio inarcò le sopracciglia confuso, poi scosse la testa e si voltò. Gli altri due idioti di Karasuno parlavano con naturalezza all’interno della camera che era appartenuta ai suoi genitori. Avrebbe dovuto raggiungerli e discutere con loro e gli altri della divisione delle camere. Eppure, non si mosse, come se fosse in attesa di qualcosa. L’idiozia era non sapere cosa.
“Shouyou…” Si voltò ma l’unica risposta che ricevette fu una carezza da parte del vento estivo.
Sul pavimento del salottino vi erano alcune piume corvine.
Tobio attraversò di nuovo la stanza, ne raccolse una esaurendo la distanza tra sé e la finestra. Appoggiò la schiena al davanzale dando le spalle al paesaggio. Passò i polpastrelli sulla piuma: era morbida, completamente diversa dal piumaggio di qualsiasi volatile avesse abbattuto.
“Chissà cosa si prova?” Domandò a se stesso.
“Cosa si prova a fare cosa?”
Tobio sollevò gli occhi ed incrociò gli sguardi confusi di Kei e Tadashi. Entrambi stringevano al petto un mucchio di teli impolverati che dovevano aver tolto da sopra i mobili della camera. Fece una smorfia: adesso avrebbe anche dovuto ringraziarli.
“Il Principe Demone parla da solo, adesso?” Domandò il Cavaliere con un sorrisetto sarcastico.
No, decise, poteva anche non farlo.
“Dov’è Shouyou?” Domandò Tadashi guardandosi intorno.
Tobio si voltò a guardare il campo di grano all’esterno. “Sta volando…” Rispose con naturalezza lasciando andare la piuma nera. Il vento la portò via.
Sia Kei che Tadashi trasalirono. “Cosa?!” Domandò quest’ultimo in panico. “Ma… Ma…”
“Non c’è nulla di cui preoccuparsi,” li rassicurò il Principe Demone, poi li superò per scendere le scale. “Venite di sotto. Ci sono alcune cose di cui dobbiamo parlare tutti insieme.”
Tadashi guardò il Cavaliere con espressione allarmata. “E adesso cosa facciamo?”
La vena sulla tempia destra di Kei stava pulsando dolorosamente. “L’idiota può anche spezzarsi entrambe le ali per quel che mi riguarda,” affermò con tono decisamente irritato. “Quando ci riconsegneranno il suo cadavere, daremo tutta la colpa al Re dei tiranni.”
“Kei!”
 
 
***
 
 
Non c’erano dubbi sul fatto che la corte di Seijou brillasse sotto molti punti di vista ma la discrezione, di certo, non era uno di quelli.
I Cavalieri di Shiratorizawa non avevano fatto altro che entrare ed uscire dal Castello Nero per tutta la mattina intenti a prepararsi per la partenza e tutti gli uomini del Re Demone – o, forse, sarebbe stato meglio dire del Primo Cavaliere – erano rimasti ad osservarli con attenzione, come se stessero assistendo a qualche spettacolo senza precedenti.
Koutaro sbuffò. “Peccato…”
Tetsuro lo guardò stranito. “Come sarebbe a dire peccato?”
“Chi maltratteremo, ora?” Si lagnò l’uomo che era stato il sovrano di Fukurodani.
Tetsuro sgranò gli occhi. “Hai ragione!” Esclamò preoccupato. “Senza contare che i ragazzi non sono più al castello.”
“Già!”
“Tranquilli! Tranquilli!” Intervenne Takahiro con un sorriso diabolico. “Siamo fortunati che Tobio non si sia fatto amico anche gli altri,” disse indicando il gruppo di ragazzini che osservava la scena da sotto le logge. Solo Yuutaro ed Akira si accorsero del gesto del Cavaliere e si scambiarono uno sguardo confuso a proposito.
Koutaro fece una smorfia. “Ma quelli sono troppo normali.”
“E a noi piacciono i casi umani.”
Issei incrociò le braccia contro il petto. “Ci sono sempre quelli simpatici di Dateko che non vanno da nessuno parte,” propose.
“Sì, Futakuchi è uno spasso da far irritare,” ammise Tetsuro. “Ma se ci sbaraglia dietro il gigante? Questo catello non è abbastanza grande per nasconderci tutti!”
“E noi sguinzagliamo il cane!” Esclamò Takahiro puntando l’indice verso Kentaro, il quale stava intavolando una sorta di conversazione con Shigeru… Tra un ringhio e l’altro.
“Come faranno a comunicare quei due?” Si domandò Issei.
Fu allora che una testa rossa scese le scale dei piani nobili per la gioia di Koutaro e Tetsuro.
“Satori!” Esclamò il primo.
“Ci mancherai!” Aggiunse il secondo fingendo di asciugarsi una lacrimuccia.
Il Cavaliere di Shiratorizawa rivolse loro un sorrisetto sarcastico. “Non lo dire con tanta sicurezza,” replicò. “Non si sa mai quando gli eventi potrebbero farci incontrare di nuovo e quali eventi.”
Sia Koutaro che Tetsuro inarcarono le sopracciglia.
“Ci ha appena dichiarato guerra?” Domandò quest’ultimo.
“Se è così,” disse Koutaro portando una mano all’elsa della spada sfoggiando un ghignetto di sfida. “Perché aspettare?”
“Perché aspettare cosa?”
Tutti i Cavaliere drizzarono la schiena fingendo una qualche compostezza mentre il Primo Cavaliere emergeva dalla folla e compariva davanti a loro. “Non eravate tanto attenti nemmeno mentre squartavano il cadavere di quel drago.”
“Non si possono fare risse con i cadaveri, Hajime,” spiegò Takahiro innocentemente, mentre Issei annuiva.
Il Primo Cavaliere li guardò uno per uno con sguardo molto eloquente. “Se proprio volete fare i perdigiorno, fatelo in silenzio,” ordinò. “Lasciate che mi giunga una sola parola di una lite tra uno di voi e quelli di Shiratorizawa e ve ne farò pentire.”
Koutaro e Tetsuro ingoiarono a vuoto, poi forzarono un sorrisetto innocente.
Hajime sbuffò annoiato, poi prese a guardarsi intorno. Satori rispose alla sua occhiata salutandolo con un cenno del capo.
Il Primo Cavaliere ricambiò. Kenjirou uscì dalla rocca in quel preciso momento, alle sue spalle il Principe dell’Aquila.
Gli uomini erano quasi pronti per partire e non c’era alcuna traccia di Wakatoshi.
Un pensiero fastidioso passò per la testa di Hajime in quel momento e si voltò verso i suoi uomini. “Avete visto Tooru?”
 
 
Tooru si sedette su ciò che rimaneva del suo Trono Nero osservando la sala distrutta come un bambino che fissa il suo giocattolo preferito andato rovinato per sempre. “Quanto ci vorrà perché torni come prima?” Si domandò gonfiando le guance.
Sì, Seijou era un Regno tutt’altro che povero e fare dei lavori di ristrutturazione non li avrebbe mandati in bancarotta, senza contare che architetti, mastri e operai sarebbero stati felici di avere del lavoro ben pagato da svolgere ma Tooru non poteva che irritarsi di fronte a tutto quel caos.
No, non era colpa di nessuno, certo… A parte del moccioso di Wakatoshi e della sua stupida campagna di conquista al nord, forse ma Tooru aveva il bisogno psico-fisico di lamentarsi di qualcosa almeno una volta al giorno e Tobio non era nei paraggi, quindi…
Si alzò, passò la punta delle dita sul bracciolo del trono ricoperto di polvere e portò gli occhi verso le grandi finestre. La maggior parte era in frantumi ed il vento estivo lo raggiunse accarezzandogli i capelli. Guardò l’orizzonte e pensò a Tobio, a dove doveva aver portato Shouyou.
La risposta era semplice ed un sorriso graziò le labbra del Re Demone mentre ci pensava. “Ah, il piccoletto si divertirà a volare su tutti quei campi di grano,” commentò tra sé e sé. Gran parte dell’estate era già passata e non ci sarebbe voluto molto perché Tobio tornasse a casa con il suo piccolo corvo.
Tooru si chiese se sarebbero stati pronti ad udire quello che aveva da dire loro quando sarebbero tornati.
Si chiese se lo sarebbero stati lui e Hajime.
“Tooru…”
Il Re Demone riemerse dai suoi pensieri ma non fu particolarmente sorpreso di trovare il Re dell’Aquila al centro della sala distrutta. “Ah, giusto!” Esclamò allontanandosi dal Trono Nero per esaurire la distanza tra loro. “Te ne torni al tuo Castello Bianco.”
Tooru sorrideva con democratica educazione. Wakatoshi indossava la sua solita espressione. “Sì,” confermò. “Ma volevo parlarti prima di partire.”
Tooru reclinò la testa da un lato con espressione confusa. “E di cosa?”
 
 
C’era una cosa su cui Eita aveva insistito particolarmente nel periodo in cui erano stati per così dire amici.
“Non avercela con Tooru. Quello che gli ha fatto Wakatoshi non è nulla che io e te saremo in grado di perdonare.” Gli aveva detto una volta, poi aveva sorriso al neonato tra le sue braccia. “E gli devo così tanto…”
In risposta, Kenjirou gli aveva fatto notare che l’unico motivo che aveva avuto il Re Demone per concedere ad Eita la possibilità di concepire un figlio con Wakatoshi era di potersi liberare di loro. Il Mago, però, a quel punto aveva sorriso. “E chi lo biasimerebbe?” Aveva replicato. “Ciò non toglie che lo abbia fatto…”
L’Arciere non era stato tanto arrogante da rimproverarlo per la sua ingenuità. Forse, in fin dei conti, aveva ragione: Tsutomu era nato e lui ed il Re avevano avuto la loro occasione di essere felici.
Ma a che prezzo?
Non era stato Tooru di Seijou a far del male ad Eita. In un certo senso, Kenjirou era più colpevole di quello di quanto lo era il Re Demone.
Come in tutti i giochi tra Principi e Re, l’unica d’accusare era la sete di potere ed il destino aveva voluto che fosse proprio Wakatoshi ad incarnarla.
Eita lo aveva perdonato. Kenjirou, suo malgrado, era stato attratto verso il suo Re proprio da quel lato oscuro, invincibile.
Poi c’era Tooru…
Sì, Wakatoshi gli aveva fatto cose che Kenjirou non sarebbe mai stato capace di perdonare.
Eppure… Eppure…
Non era la gelosia a spingerlo a provare disprezzo per il Re Demone perché, in realtà, a Tooru non importava. Ed era proprio quello l’affronto peggiore.
Eita aveva rinunciato alla sua vita e Kenjirou al suo onore. Tooru avrebbe potuto avere tutto e non aveva voluto niente.
L’Arciere era consapevole di quanto infantile fosse il suo disappunto ma questo non lo rendeva meno reale.
Quando rientrò al Castello Nero e salì nei loro alloggi per assicurarsi che non si fossero dimenticati nulla, non si sorprese di trovare la servitù già impegnata a ripulire tutto da cima a fondo. Evidentemente, il Re Demone era ben felice di essersi liberato di loro.
Strinse i pugni e si voltò con una smorfia ma non andò lontano.
La sorpresa sul viso del Primo Cavaliere era riflesso della sua. “Kenjirou…”
L’Arciere si sorprese che si ricordasse il suo nome. Da parte sua, non rammentava che si fossero mai rivolti la parola.
“Perdonate l’intrusione,” disse con fredda educazione. “Volevo solo assicurarmi che non ci fossimo dimenticati nulla.”
Hajime annuì. “Il tuo Re non è qui?”
Kenjirou scosse la testa. “Lo stavo cercando anche io.”
“Ed io stavo cercando il mio.”
“Immagino che siano insieme, allora,” non voleva essere velenosa quell’affermazione da parte di Kenjirou ma il viso del Cavaliere si oscurò comunque.
“Immagino…” Replicò voltandosi.
Semplice. Il solo ed unico dialogo che l’Arciere del Re dell’Aquila ed il Primo Cavaliere del Re Demone avessero mai avuto non aveva ragione di protrarsi oltre. In fin dei conti, di che cosa avrebbero mai dovuto parlare?
L’unica cosa che avevano in comune era solo l’infinito ciclo di tradimenti in cui erano stati trascinati da uomini più potenti di loro.
“Generale?” Lo richiamò.
Hajime si fermò e si voltò. “Sì?”
Kenjirou esitò un istante. “Permettete una parola?”
 
 
Non appena Wakatoshi ebbe finito di parlare, Tooru inarcò le sopracciglia e gli rivolse una smorfia. “Sei impazzito, Wakatoshi?”
L’espressione del Re dell’Aquila non cambiò di una virgola. “Non mi prendi sul serio, Tooru?”
Il Re Demone incrociò le braccia contro il petto. “Guardati intorno, Wakatoshi,” gli suggerì con poca gentilezza. “Ti sembro nella posizione di non poter prendere sul serio storie come quella?”
Wakatoshi annuì. “E quindi?”
Tooru sbuffò voltandosi e facendo qualche passo in direzione del trono. “Quindi, cosa, Wakatoshi?”
“I sogni di Tsutomu non sono semplicemente dei sogni,” insistette il Re dell’Aquila. “Può non avere il mio potere ma nelle sue vene scorre anche il sangue di Eita.”
Il Re Demone lasciò andare un sospiro stanco. “Non dirlo come se fosse una benedizione…”
“Se lo sentissi urlare nella notte capiresti che non la considera tale,” replicò Wakatoshi.
Tooru si voltò nuovamente. “E, così, tuo figlio ha sognato che Shiratorizawa cadrà per mano di un drago.”
“Così pare…”
“Mi stai chiedendo aiuto, Wakatoshi?”
“Non lo so,” ammise il Re dell’Aquila. “Per chiederti aiuto dovrei avere un nemico contro cui muovermi ed una strategia da proporti.”
“E, ufficialmente, quello che Tobio ha abbattuto era l’ultimo drago in circolazione,” Tooru scrollò le spalle, “o, almeno, ci fa comodo credere che sia così.”
Wakatoshi rifletté per alcuni istanti. “Che cosa ne sa il consorte di Koutaro?”
Tooru scosse la testa. “Era un bambino quando il suo paese è andato distrutto dai draghi. A mio figlio e agli altri ragazzini ha raccontato storie di cui lui stesso ha sentito semplicemente parlare dagli adulti che aveva intorno.”
“Sì, ma potrebbe aiutarci a trovare quel paese perduto,” insistette il Re dell’Aquila. “Era un Regno?”
Tooru scosse la testa. “Un Regno che esisteva almeno poco più di vent’anni fa ma di cui né tu né io abbiamo mai sentito parlare?” Domandò sarcastico. “Un Regno perduto distrutto dai draghi… Sembra la trama di una favola.”
“E che cosa ipotizzi, allora?”
“Sulle carte non c’è nulla,” pensò Tooru. “Qualunque luogo fosse…” Si bloccò e puntò gli occhi scuri verso le vetrate in frantumi della sua sala del trono.
Wakatoshi inarcò appena un sopracciglio.
“Tooru…”
Il Re Demone si voltò solo perché la voce del Re dell’Aquila gli suonò strana. Di fatto, non era stato solo Wakatoshi a chiamare il suo nome.
Hajime se ne stava sulla grande porta mezza scardinata a scambiarsi sguardi gelidi con il sovrano di Shiratorizawa. Tooru accennò un sorriso, poi si accorse che il suo Cavaliere non era da solo.
“Kenjirou?” Domandò.
“Vostra Maestà,” salutò cordialmente l’Arciere chinando la testa, si rivolse poi a Wakatoshi. “Mio Re, siamo tutti pronti. Il Principe sta aspettando.”
Il Re dell’Aquila annuì una volta, poi cercò gli occhi del Re Demone. “Finiremo il discorso un’altra volta?”
Tooru annuì.
Erano ad almeno cinque metri di distanza ma Kenjirou strinse i pugni comunque.
Dal canto suo, Hajime non si scansò né chinò il capo di fronte all’altro sovrano.
“Primo Cavaliere,” salutò Wakatoshi superandolo.
“Re dell’Aquila,” rispose Hajime osservando allontanarsi con la coda dell’occhio. Il suo sguardo incrociò quello di Kenjirou per un istante ma l’Arciere seguì il suo sovrano lungo il corridoio vuoto senza indugiare oltre. Quando si voltò di nuovo, il viso di Tooru era tanto vicino al suo che trasalì.
“Che diavolo fai, idiota?!”
Tooru lo afferrò per i lembi della casacca tirandolo verso di sé con un sorrisetto diabolico stampato in faccia. “Sai a che cosa sto pensando, Hajime?”
Il Primo Cavaliere assottigliò gli occhi. “No e non lo voglio sapere.”
“Sai cosa potremmo fare noi in queste ultime settimane estive?”
“Niente,” propose Hajime quasi minacciosamente. “Assolutamente niente!”
“Risposta sbagliata!” Rispose Tooru con un po’ troppo entusiasmo scuotendolo appena. “Io e te, mio caro Hajime, andremo a caccia di draghi!”
 
 
 
“Che cosa stavi facendo?” Domandò il Re dell’Aquila un po’ troppo freddamente perché fosse una domanda casuale.
L’angolo destro della bocca di Kenjirou si sollevò lentamente. “Non ti trovavo,” si giustificò. “Ho sospettato che fossi con lui ed il Primo Cavaliere sapeva dove trovarvi, tutto qui.”
Camminavano l’uno al fianco dell’altro in quel momento ma Kenjirou sapeva che se avessero incontrato qualcuno di loro conoscenza lungo quel corridoio si sarebbe dovuto impegnare per far passare quel dettaglio come casuale ed assicurarsi di rimanere prontamente un passo dietro al suo Re.
Wakatoshi continuò a guardare fisso di fronte a sé. “Tutto qui?”
Kenjirou non poté trattenersi dal sfoderare un ghigno. “Pensi che abbia cercato di sedurlo come ha fatto Eita per punire te?”
Il Re dell’Aquila si arrestò di colpo afferrandogli il braccio e non con troppa gentilezza. “Non prenderti gioco di me, Kenjirou.”
L’Arciere non ebbe problemi a rispondere a quello sguardo tagliente. “E tu non offendermi.”
Wakatoshi strinse le labbra per un istante, poi lo lasciò andare. “Perdonami,” disse con quell’unica nota di sincerità appena accennata che era in grado di esprimere. “Non era mia intenzione.”
Kenjirou gli credette. “Hai lasciato qualcosa in sospeso con il Re Demone?” Domandò. Voleva solo provare se anche il suo signore gli avrebbe concesso la grazia di fidarsi di lui.
“Nulla d’importante,” rispose Wakatoshi riprendendo a camminare.
Kenjirou chiuse gli occhi per un istante: Eita gli aveva chiesto di trovare il suo cuore e a stento riusciva ad avere la sua fiducia.
Non disse niente.
Lo seguì e basta e lo fece stando ben attento a restare almeno un passo dietro di lui come era buona educazione.
 
 
***
 
 
Tobio aveva lasciato la finestra della camera aperta.
Una candela appoggiata sul comodino ed un libro di favole aperto sulle gambe. Lo aveva trovato nella sua vecchia camera da letto, quella in cui aveva accomodato quel Cavaliere dalla faccia da stronzo e quella Guardia reale che assomigliava più ad una dama di compagnia.
Tobio girò pagina sistemandosi meglio contro i cuscini del letto. Ricordava quel libro: Tooru lo aveva recuperato dalla biblioteca per tenerlo occupato durante il viaggio in carrozza dal Catello Nero a lì ed aveva continuato a leggerglielo prima di metterlo a letto nelle sere in cui Hajime crollava distrutto non appena toccava il letto.
Erano state solo sue e di Tooru quelle serate
”Vuoi uscire a vedere le stelle, Tobio-chan? Shhh… Facciamo piano, non dobbiamo svegliare papà.”
Tobio ricordava il modo in cui sedeva contro il petto del Re Demone, la sua mano tra i capelli e quella voce idiota che cercava d’imitare tutte quelle dei personaggi di quelle favole. Ricordava anche che, alle volte, quelle storie non era sufficienti per cullarlo ed allora Tooru gli rivolgeva un sorriso complice e lo aiutava ad infilarsi gli stivaletti stringendogli la mano.
”Vuoi uscire a vedere le stelle, Tobio-chan? Shhh… Facciamo piano, non dobbiamo svegliare papà.”
“Ridicolo…” Commentò lasciando il libro di favole aperto sul petto. Appoggiò la nuca ai cuscini e fissò il soffitto. Sì, poteva essere ridicolo quanto voleva ma quei ricordi erano reali e quei momenti tra loro due non erano un inganno, un’illusione, un sorriso forzato per mascherare sentimenti troppo scomodi per poter essere espressi.
C’era stato un tempo in cui Tooru gli aveva sorriso con sincerità.
C’era stato un tempo in cui non in cui il pensiero che Tooru lo amasse non lo aveva mai sfiorato perché lo aveva dato per scontato, naturale.
C’era stato un tempo in cui, per Tobio, c’erano stati solo mamma e papà e tutto il resto era un insieme di dettagli a cui non era necessario dare importanza.
Lasciò andare un sospiro. Era inutile ripensarci, ora: la breve stagione dell’infanzia era sfumata in altro e alla fine di quel nuovo capitolo della sua vita, Tobio sarebbe stato un uomo ed allora nemmeno il ricordo della mano che stringeva la sua sotto un cielo stellato nelle notti d’estate avrebbe più avuto molta importanza.
Qualcosa entrò dalla finestra e lo strappò da quei pensieri malinconici.
Il piccolo corvo si posò sul pavimento di legno, poi saltellò guardandosi intorno.
Tobio rispose allo sguardo di quei piccoli occhi luccicanti. Si girò di nuovo mostrandogli la coda.
Più tardi, il Principe Demone non avrebbe saputo descrivere con esattezza quello che vide in quel momento ma avrebbe mentito se avesse affermato che lo aveva stupito. La camera venne illuminata da un veloce ma gentile scintillio. Simile a polvere di stelle.
Alcune piume corvine danzarono in aria per poi posarsi a terra.
Tobio ne seguì una con lo sguardo e quando questa finì sul pavimento e sollevò di nuovo gli occhi blu, il piccolo corvo non c’era più.
Shouyou gli dava la schiena, i grandi occhi d’ambra lo guardavano da sopra la spalla. “Ti dispiace?” Domandò. Si stava stringendo nelle braccia. Forse, più per imbarazzo che freddo.
Tobio, da parte sua, alla sua nudità a stento aveva fatto caso.
“Aspetta…” Si alzò in piedi ed il libro di favole finì tra le lenzuola.
Tadashi gli aveva lasciato dei vestiti da notte da dare al suo Principe una volta che fosse tornato. Tobio si limitò a prendere la camicia da notte e a porgergliela.
“Grazie,” Shouyou accennò un sorriso vestendosi velocemente. Alla fine, si voltò e lo guardò dritto negli occhi. “Non sei arrabbiato,” disse sorpreso.
Tobio inarcò un sopracciglio. “Perché dovrei esserlo?” Domandò tornando accanto al letto per recuperare il suo libro.
“Sono stato fuori tutto il pomeriggio,” disse Shouyou con voce flebile. “Gli altri dormono tutti?”
“Sì…”
“Anche Kei e Tadashi?”
“Sono nella stanza accanto e non escludo che siano attaccati al muro che ci divide aspettando di sentire la tua voce.”
Shouyou si umettò le labbra. “Li ho fatti preoccupare, vero?”
Tobio lo guardò dritto negli occhi. “Hai avuto il tuo assaggio di libertà, no?” Gli fece notare. “Non ti è piaciuto?”
Un sorriso incantato comparve sulle labbra di Shouyou. “Sì…” Mormorò quasi commosso. “Sì, infinitamente.”
“Stai per metterti a piangere?”
“No,” mentì il Principe dei Corvi mordendosi l’interno della bocca. “È solo che mi sento… Credo di essere in conflitto con me stesso, tutto qui.”
“Tutto qui?” Tobio lo guardò con una smorfietta sarcastica. “Gli uomini impazziscono per i conflitti interiori.”
“Non prendermi in giro.”
“Non ti sto prendendo in giro,” replicò il Principe Demone seriamente.
A Shouyou bastò guardarlo negli occhi per capire che era sincero. “Dove…” Indicò il letto con un veloce gesto della mano. “Questa è la tua camera, vero?”
“No,” rispose Tobio. “Era quella dei miei genitori. Kei e Tadashi sono nella mia.”
Il Principe dei Corvi annuì. “Dove posso dormire?”
“Qui…”
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “Ma tu…”
“C’è un divano nel salotto,” chiarì subito Tobio. “Starò bene…” Detto quello, sarebbe anche potuto andare a dormire. Avrebbe pensato l’indomani a come rendere quella loro visita nelle campagne di Seijou costruttiva.
C’era poco da decidere, in realtà: avrebbero aiutato con il raccolto e, nel tempo rimasto, avrebbe continuato ad addestrare Shouyou e a permettergli di volare. Forse, avrebbe anche potuto portarlo alla cascata, dato che quell’estate non avrebbero avuto il tempo di viaggiare fino al mare.
“Tobio, aspetta…”
La piccola mano intorno al suo polso lo prese tanto di sorpresa che il libro che stringeva tra le dita cadde a terra provocando un tonfo paragonabile al colpo di un cannone.
Entrambi i Principi si ritrovarono a fissare l’oggetto dalla copertina rossiccia. Si chinarono entrambi ma Shouyou lo raccolse per primo. “È un libro di favole,” disse con espressione intenerita. “Ne avevo uno simile a casa. Era il mio libro preferito. L’unico che abbia mai letto di mia spontanea volontà, a dire il vero.”
“Non mi sorprende…” Commentò Tobio.
Shouyou gli fece la linguaccia, poi lo aprì. “Wow!” Esclamò. “C’è anche la leggenda del Principe Corvo.”
“Ed un sacco di storie avvincenti sui draghi,” aggiunse Tobio con meno entusiasmo. “Possiamo tranquillamente dire che è la cronaca della nostra vita.”
Shouyou sollevò gli occhi d’ambra dalle pagine ingiallite. “Vuoi restare ancora un po’?” Propose. “Lo leggiamo insieme, ti va?”
“Lo conosco a memoria,” ammise Tobio. “E tu anche, probabilmente.”
“Allora commentiamo insieme quanto queste favole siano distanti dalla realtà,” insistette Shouyou. “È la nostra vita, lo hai detto tu.”
Tobio gli prese il libro dalle mani e posò gli occhi sull’illustrazione di un drago nero in volo. “Mi parlerai anche del tuo conflitto interiore?”
Shouyou scrollò le spalle. “Solo se lo vorrai, altrimenti…”
“Lo voglio,” tagliò corto Tobio. “Sei una mia responsabilità e se cominci ad avere pensieri oscuri di cui non sono a conoscenza mi sentirò in dovere di prenderti a calci per farti parlare.”
Shouyou sbuffò. “Sempre gentile tu, vero?” Si mise a letto con un saltello e Tobio si accomodò accanto a lui. C’era abbastanza spazio per permettere ad entrambi di stare comodi e di mantenere una distanza dignitosa.
“Cosa c’è?” Domandò Tobio sfogliando il libro di favole senza realmente porre attenzione alle pagine. “La libertà ti fa sentire in colpa.”
Shouyou sorrise amaramente. “Più o meno…”
“Nessuno è qui per rimproverarti.”
“Sì, ma i miei genitori hanno lottato tutta la vita per evitare che facessi quello che sto facendo.”
“Shouyou, i tuoi genitori sono gli stessi che volevano farti sposare col tuo Cavaliere per evitare che finissi in qualche corte lontana come consorte ed ora sei con me, a Seijou ed il tuo potere non è più un segreto.”
“Per te non lo è,” sottolineò il Principe dei Corvi.
“Nessuno svela al primo che capita i suoi talenti.”
“È questo che credi che abbia?” Domandò Shouyou sorridendo. “Un talento?”
Tobio lasciò in pagine le pagine ingiallite per rispondere allo sguardo di quegli occhi d’ambra. “Credi che esista un uomo in questo mondo che non abbia mai desiderato di volare?”
Il sorriso di Shouyou scivolò via ma sentì un tepore all’altezza del petto che lo convinse ad aprirsi ancora un poco. “C’è un’altra cosa,” mormorò. “Pur sapendo che, probabilmente, sto mancando di rispetto ai miei genitori e a chiunque mi ha protetto da sempre… Non credo di poter più fare a meno di questa libertà, Tobio.”
Il Principe Demone accennò un sorriso. “Lo sospettavo…”
Shouyou tornò a sorridere, le ombre del suo conflitto interiore dimenticate. “Seijou è meravigliosa!” Commentò entusiasta. “Ho volato su quei campi di grano per tutto il giorno… Il vento d’estate tra le piume, le spighe che mi sfiorano le ali quando volo basso e… E i colori! L’oro che splende quando il sole è alto ed il rosso del cielo al tramonto.” Si lasciò ricadere sul cuscino fissando il soffitto della camera di nuovo con quel sorriso commosso. “È bellissimo…”
Tobio non comprese da dove venisse la sensazione che provò in quel momento. Era tiepida, silenziosa, simile alla soddisfazione ma più grande.
E Shouyou non gli rese le cose più facili quando tornò a guardarlo. “E tutto questo è grazia a te…”
Tobio resse quello sguardo semplicemente perché era troppo orgoglioso voltarlo altrove. “Non essere stupido…” Disse scuotendo la testa e si alzò in piedi. “Dormi, adesso. Non pensare che ti farò poltrire domani…”
Shouyou lo guardò storto e gli fece la linguaccia.
Arrivato sulla porta, Tobio si umettò le labbra, maledì se stesso e poi si voltò. “Buona nof… Buona net…”
Shouyou inarcò le sopracciglia, poi rise.
Tobio s’innervosì, le guance rosse. “Ehi!”
“Buona notte anche a te, Tobio,” disse Shouyou gentilmente.
Il Principe Demone se ne resto lì, immobile come il peggiore degli idioti.
Impiegò un indignitoso lungo minuto a ricordarsi come abbassare la maniglia ed uscire dalla stanza.
 
 
***
 
 
Tsutomu cavalcava a testa bassa, lo sguardo fisso sulle sue stesse dita strette intorno alla briglia del suo destriero.
“I tuoi pensieri fanno troppo rumore, moccioso, piantala.”
Il Principe dell’Aquila sollevò lo sguardo e si ritrovò a fissare il non poi così gentile sorriso di Satori. “Dunque?” Insistette il Cavaliere. “Che cosa passa di così complicato per quella tua testolina caotica?”
Tsutomu s’imbronciò. “Non sono affari tuoi…”
“Uhm…” Satori finse di pensarci. “Io credo, anche se potrei sbagliare, che sia da biasimare qualche Principe di qualche altro Regno, vero?”
“Stai zitto…”
“Anzi, più di uno,” continuò il Cavaliere imperterrito. “Ipotizzerei quello che sembra essere nato per metterti in ombra e quello che, tuo malgrado, gli sta addosso come se ci fosse una catena invisibile a legarli,” sospirò con aria melodrammatica. “E pensare che quel piccoletto era anche capace di trovare della simpatia in te. Penso sia l’unico fanciullo sulla faccia della terra che non ti ha mai guardato con l’espressione di chi ha un gran desiderio di sputare in faccia a qualcuno.”
“Hai finito?!” Sbottò Tsutomu. “C’era una legge su ci offende gli eredi al trono…”
Satori lo guardò con fare altezzoso. “Dillo a chi non ti ha salvato il culo dopo avertelo ripulito innumerevoli volte, mio Principe.”
Tsutomu sgranò gli occhi ed arrossì, poi voltò lo sguardo altrove stringendo con forze le briglie tra le sue mani.
“Volevi partire con loro, vero?” Ipotizzò Satori con tono un po’ più gentile.
“No!” Mentì il Principe dell’Aquila.
Il Cavaliere sospirò. “Non sei stato molto fortunato, sai?” Ammise. “Non voglio biasimarti per la tua pessima personalità, conosco troppo bene tuo padre.”
“La smetti d’insultarmi?” Abbaiò Tsutomu.
“La tua sfortuna sta nel non aver condiviso la tua infanzia con qualcuno di altrettanto pessimo,” concluse Satori. “Guarda me e tuo padre: siamo due casi umani!” Se avesse potuto essere onesto, Wakatoshi era quanto di più lontano ci fosse dal termine umano ma non era necessario che il Principe lo sapesse. Il punto era un altro.
Pur con i loro oggettivi problemi, che fossero sotto forma di poteri o di personalità strambe, Satori e Wakatoshi erano cresciuti insieme e Reon con loro. Eita si era aggiunto al gruppo con particolare naturalezza e, alla fine, erano sempre stati al fianco l’uno dell’altro in qualsiasi situazione… Anche quando uno di loro aveva tradito tutti gli altri.
Tsutomu non aveva avuto una simile fortuna.
Tobio, pur essendosi già inimicato tutta la nobiltà della sua generazione, poteva vantarsi almeno dell’appoggio di quegli eredi che non avrebbero mai ereditato un trono o di quei giovani soldati nati sotto una bandiera diversa da quella di Seijou e ancora leali nei confronti di un sovrano caduto.
Tsutomu aveva avuto loro e questo gli aveva garantito la sicurezza di una successivo senza inciampi, certo ma Satori sapeva che avere degli amici della propria età era un’altra cosa. Specie in quella burrascosa stagione che era l’adolescenza.
“Senti…” Provò tenendo gli occhi fissi sulle spalle larghe del Re dell’Aquila. “Tu sai dove sono andati?”
Tsutomu scrollò le spalle. “Ho sentito gli altri idioti della corte del Re Demone dire qualcosa a proposito delle campagne di Seijou.”
“Oh!” Satori annuì interessato. “Per tua informazione, conosco la strada.”
Il Principe lo guardò confuso. “E quindi?”
Il Cavaliere scrollò le spalle. “Detto e considerato che tuo padre non ti ha mai dato uno schiaffo in vita sua e che io sono l’adulto responsabile tra di noi, puoi sempre dare la colpa a me quando ci beccheranno.”
La situazione era meno chiara di prima per Tsutomu. “Perché dovrebbero beccarci?”
Satori alzò gli occhi al cielo e sbuffò. “Perché ora tu corri verso est ed io ti vengo dietro.”
Il Principe dell’Aquila sgranò gli occhi, poi strinse le labbra e scosse la testa. “No…”
“Sì, invece!” Insistette Satori. “Stai per compiere quattordici anni. È ora che tu divenga ribelle ed insopportabile… Ah, quello lo sei già.”
“Ti dimentichi la faccenda del drago?”
“Ah, quella possiamo anche fartela passare,” disse il Cavaliere con un sorrisetto inquietante. “Sei stupido, ti sei perso nel castello e il piccolo di Karasuno ed il padrone di casa ti hanno tratto in salvo.”
Tsutomu ghignò. “Preferisco la versione in cui scappo da te.”
“Vuoi un calcio in bocca o vuoi essere protagonista di un’avventura?” Domandò Satori tra il divertito e l’irritato.
Il Principe dell’Aquila si fece serio: la proposta era allettante… Molto più che allettante. Sollevò lo sguardo sulla schiena di suo padre. Anche Kenjirou gli dava le spalle e, a giudicare dalla calma della scena, avrebbero impiegato qualche minuto per riprendersi dalla sorpresa.
Forse, sarebbero anche potuti sfuggire senza bisogno di dare spiegazioni.
Forse… Ma poi cosa avrebbero fatto. Anche ammesso che Tsutomu trovasse il luogo in cui Tobio aveva condotto Shouyou e gli altri, che cosa aveva intenzione di fare? Non sarebbe stato il benvenuto e a Tobio avrebbe dato un gran fastidio.
Il fiume dei suoi pensieri s’interruppe lì. A Tobio avrebbe dato un gran fastidio.
Un ghignetto diabolico comparve sulle sue labbra. Si voltò di nuovo verso il Cavaliere e questi gli sorrise con fare complice.
“Al mio tre,” disse Satori. “Uno… Due…”
“Tre!” Tuonò Tsutomu girando il suo cavallo di colpo e galoppando quanto più veloce poteva tra gli alberi, verso est.
Verso il Regno di Seijou.
 
 
***
 
 
Tutto sommato, a distanza di due giorni dalla partenza dei ragazzi, i Cavalieri avevano trovato un altro modo di divertirsi.
“Hajime, dammi quelle briglie!”
“Io non ti do un bel niente, fino a che non scendi da quella sella e torni ad essere l’imitazione più o meno credibile di una persona normale!”
“Hajime, non essere rude!”
Se si fossero accorti di star intrattenendo un pubblico non se ne curarono molto perché era almeno una mezz’ora buona che andavano avanti in quel modo e nessuno degli spettatori aveva alcuna intenzione di fermarli.
“Ci diamo un limite per intervenire?” Propose Issei.
“Aspettiamo che passino alle mani,” rispose Takahiro.
“No, le mani è troppo poco!” Esclamò Koutaro. “Deve scorrere il sangue.”
Tetsuro annuì con convinzione. “Sì, sangue,” concordò. “Quello di Hajime. Per quello di Tooru possiamo anche restare a guardare.”
Persino quelli di Dateko si erano presi una pausa dai loro orgogliosi principi ed erano usciti all’aperto per assistere alla scena. “Non posso credere che il nostro Regno sia caduto per mano di due idioti di tali proporzioni,” commentò Futakuchi stringendo i pugni.
Il gigante accanto a lui osservava la scena con espressione neutra. “Fanno ridere,” fu, però, il suo commento.
“Non sarà questo a renderli nostri amici,” replicò con astio l’Arciere che era stato Generale dei soldati di Dateko. “Che umiliazione…”
“Oh, io non la prenderei così male, Futakuchi,” intervenne Tetsuro. “Tooru può essere alla pari di Wakatoshi come Re ma senza Hajime non sarebbe arrivato molto lontano.”
Koutaro annuì. “Proprio così!” Esclamò. “A Tooru la corona ma il potere militare è tutto di Hajime. Nemmeno le leggendarie mura di Dateko avrebbero potuto nulla contro di lui!”
Futakuchi li guardò con astio fulminante. “Dissero i Re a cui fu portato via il trono senza che Tooru dovette versare una goccia di sangue.”
Issei e Takahiro sapevano che sarebbe stato poco corretto scoppiare a ridere per una geniale sconfitta inflitta dal loro Re, quindi si assicurarono di tenere la bocca ben chiusa mentre le loro labbra tremavano per le risate mal trattenute. Koutaro e Tetsuro, però, incassarono quel colpo con stile: le braccia incrociate contro il petto, la schiena dritta, la testa alta… E gli sguardi di due pesci morti.
“Che cosa sta succedendo qui?” Domandò Kenma facendosi largo tra la folla, Keiji dietro di lui.
“Keiji!” Koutaro tirò immediatamente il compagno vicino a sé. “Dov’è la nostra splendida principessa?”
“Sta ancora dormendo,” rispose Keiji senza nessuna particolare intonazione. “Ma che succede qui?” Domandò reclinando la testa per dare un’occhiata alla scena oltre la spalla del suo compagno.
“Per farla breve,” rispose Tetsuro sia per Kenma che per Keiji. “Tooru è uscito saltellando… Sì, saltellava ed anche allegramente e ha preteso che uno dei servi gli portasse due cavalli sellati. Hajime l’ha seguito furibondo e, in pratica, è una mezzora buona che Tooru sale e scende da quel cavallo pretendendo che il nostro Generale faccia lo stesso e lo segua…”
“Ed il Primo Cavaliere ovviamente non è d’accordo,” concluse Kenma, poi sospirò. “Nulla di nuovo.”
Keiji fece una smorfia. “Lo sarebbe stato anni fa, prima che Tooru ci tradisse tutti.”
“In effetti è tutto tanto familiare da essere inquietante,” disse Takahiro. “Sembra di essere tornati a quando eravamo ragazzini e Hajime era libero di pestare l’erede al trono a sua discrezione.”
Issei scrollò le spalle. “Non era così violento. Erano tutte minacce.”
Takahiro scrollò le spalle. “Lo ha minacciato di ammazzarlo brutalmente almeno sette volte nell’ultima mezz’ora, stanno recuperando il tempo perso…”
“Per caso, sono di nuovo come un tempo?” Fu Keiji ad avere il coraggio di fare quella domanda per primo ad alta voce. Gli occhi di tutti furono su di lui, tranne quelli di Kenma.
Dopo, Issei guardò Takahiro e Koutaro guardò Tetsuro.
“Qualcuno sa qualcosa?” Domandò quest’ultimo a tutto il gruppo. “Se qualcuno sa allora parli.”
Kenma prese un respiro profondo. “Tetsuro,” disse sollevando lo sguardo, “pensi davvero che se fosse successo qualcosa tra lui e Tooru, Hajime sarebbe venuto a raccontarlo a chiunque di voi.”
“Ehi! Ehi! Ehi!” Esclamò Koutaro indignato. “Siamo i suoi uomini fidati, siamo quelli che gli coprono le spalle ad un passo dalla morte. Siamo amici!”
Kenma annuì. “Certo, lo siete,” confermò. “Ma era Tooru il suo migliore amico, non voi.” Tornò a guardare i due litiganti. “Pensate davvero che qualunque altra amicizia possa prendere il posto di un legame così?”
Alla fine, Hajime strattonò con violenza il piede del Re e Tooru cadde da sella crollandogli addosso. Il cavallo, spaventato, uscì dal cortile interno correndo verso le scuderie.
Il Primo Cavaliere strinse gli occhi per il dolore, “Maledizione…” Sibilò, mentre l’altro gli faceva il piacere di togliersi di dosso. Quando riuscì a guardarlo in faccia, Tooru era livido di rabbia. “Dannazione, Iwa-chan!” Quel soprannome scivolò sulla sua lingua con dolorosa naturalezza e fece altrettanto male rendersi conto di quanto fosse strano pronunciato dalla sua voce. Quasi estraneo…
Erano anni che non lo chiamava così.
Erano anni che aveva perso il diritto di farlo.
Se Hajime fu scosso da quel semplice evento, Tooru non gli diede il tempo di dimostrarlo: strinse i pugni e rientrò nella rocca come un bambino offeso che abbandona una discussione che sa di non poter vincere. Il Primo Cavaliere sospirò, poi si alzò e fece per seguirlo ma si fermò.
Solo allora notò la piccola folla che doveva essere stata attratta da tutto il caos che lui e Tooru avevano provocato.
Sentendo un vago senso di panico, tutti i Cavalieri alzarono le mani come se si stessero arrendendo ad un nemico troppo forte da sconfiggere.
“Noi non abbiamo visto o sentito niente!” Esclamò Takahiro ed Issei annuì.
“Siamo appena arrivati!” Aggiunse Koutaro e Tetsuro gli diede man forte facendo cenno di sì con la testa.
Kenma e Keiji si scambiarono un’occhiata ma decisero di non commentare in alcun modo la situazione.
Hajime si limitò a guardarli in cagnesco, poi rientrò per cercare il suo Re.
Koutaro tirò un sospiro di sollievo, poi sorrise con aria trionfante. “Credo che l’abbia bevuta!”
 
 
***
 
 
Tadashi non riusciva a smettere di sorridere e Kei era di pessimo umore.
“Smettila…” Disse il Cavaliere con aria annoiata afferrando il calice d’acqua che l’amico gli stava porgendo.
Tadashi si limitò a ridacchiare. “Non ci credo che non ti stai divertendo almeno un po’.”
Il Principe Demone aveva ordinato loro di rendersi utili con la gente del posto e quei campi di grano si estendevano al punto che Kei cominciava a pensare che ci sarebbe voluto un esercito per finire il lavoro prima della stagione fredda. Tadashi si era occupato di viveri e bevande accomodandosi all’ombra dell’unico albero che potesse offrire riparo dal sole cocente d’agosto.
Kei non ce l’aveva con lui, però. No, ce l’aveva con quel Principe dei tiranni che dopo averli praticamente minacciati per convincerli a rendersi utili, era sparito chissà dove con quell’altro idiota del loro erede al trono.
“Certo,” replicò con sarcasmo asciugandosi il sudore dalla fronte. “Il divertimento di una vita intera in un solo giorno!” Vide Lev far roteare la falce tanto in alto che per poco non decapitò il braccio di Kanji.
“E stai un po’ attento!” Esclamò quest’ultimo quasi blu in faccia per la paura.
“Che branco d’idioti…” Commentò Kei a bassa voce appoggiando la schiena al tronco dell’albero con un sospiro.
“Non essere sempre così negativo,” disse Tadashi con un sorriso gentile. “Dovremmo essere felici per Shouyou, almeno.”
“Eh?” Kei lo guardò con aria annoiata. “Felici per cosa?”
Tadashi sbatté le palpebre un paio di volte. “Non lo hai notato?”
“Che cosa avrei dovuto notare?”
Tadashi scrollò le spalle con un sorrisetto. “Tobio e Shouyou. Si urlano contro tutto il giorno ma stanno continuamente insieme ed il nostro Principe sorride più spesso da quando sta con lui.”
Kei inarcò un sopracciglio. “C’è mai stato un periodo della sua vita in cui Shouyou non ha sorriso?”
“Avanti!” Esclamò Tadashi. “Hai capito che intendo…”
“No e non ho alcuna voglia di farlo,” il Cavaliere tornò a fissare i campi di grano portandosi il calice alle labbra per prendere un altro sorso d’acqua.
Non aveva idea di che cosa vedesse Tadashi nel legame tra quei due idioti ma Kei, di sicuro, non vedeva nulla di buono. Come se si potesse ottenere qualcosa del mettere insieme due idioti. Uno fin troppo ingenuo e l’altro tirannico per natura, tra l’altro.
“Se saremo fortunati, prima che cada la prima neve saremo di nuovo a casa,” disse e lo sperava davvero.
Tadashi lo guardò sorpreso. “Vuoi tornare a casa?”
“Tu no?”
La giovane Guardia abbassò lo sguardo arrossendo appena. “Non è che non mi manchi casa, però…” Prese a torcersi le dita.
“Però cosa?” Insistette Kei. “Non ti starai affezionando a questo posto, a questa gente…”
Tadashi lo guardò duramente. “E anche se fosse?”
Il Cavaliere lo guardò sorpreso da quel cambio di tono. “Ti sei offeso, ora?”
Tadashi tornò immediatamente in sé. “No, Kei, solo che…”
“Solo che cosa?” Domandò Kei irritato. “Finisci una frase in una sola volta.”
L’altro strinse le labbra e scosse la testa. “Lascia stare…”
Kei sbatté le palpebre un paio di volte: aveva la netta sensazione che Tadashi si fosse arrabbiato con lui ed era una novità a cui non era preparato. “Ehi…” Fece per toccarlo, per convincerlo a tornarlo a guardare negli occhi ma vennero disturbati.
Fu il rumore di cavalli al galoppo a spingerli a voltarsi. A Kei bastò guardarli da distanza per capire che erano soldati e recuperò la spada che aveva abbandonato sulle radici dell’albero, pronto a battersi se fosse stato necessario.
Tadashi si avvicinò a lui. “Chi sono?” Chiese intimorito.
Kei non rispose. Solo quando arrivarono ai piedi della collina, entrambi riconobbero i colori dei Cavalieri di Seijou e si rilassarono.
“Cavaliere…” Saluto un giovane dai capelli corvini che Kei aveva conosciuto durante uno dei duelli amichevoli al Castello Nero. Non ricordava il suo nome, però.
“Yuutaro!” Urlò Lev dal campo di grano sollevando la mano in segno di saluto. “Oh, c’è anche Akira…”
Se Kei non ricordava male, doveva essere il ragazzino con l’aria perennemente annoiata alla destra del Cavaliere che aveva parlato.
“Il Principe Demone è qui?” Domandò Yuutaro.
Kei si concesse un minuto per contarli: erano una decina, troppi perché avessero cavalcato fino a lì per recapitare un messaggio importante.
“No…” Rispose infine.
Yuutaro strinse le labbra per un istante. “Alloggiate alla tenuta del Re Demone?”
“È una grande casa bianca,” intervenne Tadashi. “Tra i campi ed il boschetto sulle colline.”
“È quella…” Confermò Akira.
“Siete qui per ordine del Re,” indagò Kei, che ancora non era riuscito ad intuire la natura del loro viaggio.
“Viviamo in un Regno libero, Cavaliere,” replicò Yuutaro. “Abbiamo viaggiato di nostra iniziativa…”
Intuendo il tono polemico, Kei fece una smorfietta. “Se il vostro castello dovesse subire un attacco a sorpresa, non credo che il vostro Re sarebbe tanto felice di non sapere dove trovarvi.”
Yuutaro sgranò gli occhi ed Akira gli lanciò un’occhiata apertamente velenosa.
Tadashi si fece avanti stringendo un polso dell’amico come a suggerirgli di non esagerare troppo. Kei accettò il consiglio semplicemente perché nessuno dei due Principi era presente e perché non era suo interesse dare il via ad una disputa tra Cavalieri.
“Invece di stare lì a non fare nulla, venite a dare una mano!” Sbottò Kanji senza rispetto.
Di fatto, l’espressione di Yuutaro si fece indignato. “Come osa,” sibilò. “Qualcuno dovrebbe ricordargli che è figlio di un Regno che è stato distrutto dal nostro!”
“Calmati, Yuutaro…” Disse Akira con tono apatico.
Gli altri Cavalieri, però, non parvero nutrire sentimenti diversi. Kei li vide riflessi nelle loro espressioni, nel modo in cui guardavano i due giovani provenienti da Nekoma e Dateko e, sorprendentemente, gli fu subito chiaro perché Tobio non li tollerava: probabilmente, il Principe Demone era troppo stupido per ricordarsi da quale lato del Regno provenisse ognuno dei suoi uomini ma non c’erano dubbi sul fatto che fosse dolorosamente consapevole che quelli nati a Seijou non rendevano onore al loro titolo di Cavaliere al punto da guadagnarsi il suo rispetto.
Kei non glielo avrebbe mai detto ma, forse, quello era un punto su cui potevano essere d’accordo.
“Che diavolo ci fate voi qui?”
Il Cavaliere non dovette voltarsi per capire chi aveva parlato: il tono gentile era stato sufficiente.
Tobio li squadrava tutti con freddezza dall’alto del suo cavallo bianco, la spada dei Re di Seijou appesa alla cintura e le maniche della camicia arrotolate fino al gomito. Kei fece una smorfia e si chiese se dopo averli mandati a sgobbare era andato a schiacciare un pisolino o se era talmente disumano da non essere in grado di sudare.
“Vostra altezza!” Salutarono in coro i Cavalieri di Seijou.
Tobio sfilò davanti a loro studiando i loro visi uno ad uno. “Yuutaro, china la testa quando saluti il tuo Principe,” disse fermandosi davanti al giovane in testa al gruppo.
Kei non poté fare a meno di notare come il Cavaliere strinse le briglie del suo cavallo tra le dita: probabilmente stava immaginando che fosse il collo dell’erede al trono.
Yuutaro chinò la testa. “Mio Principe…” Ripeté quasi sibilando.
Felice di aver ottenuto quel che voleva, Tobio drizzò le spalle con orgoglio. “Andate alla tenuta, lasciate i cavalli e poi datevi da fare,” ordinò senza premesse.
Kei guardò Tadashi e questi scrollò le spalle.
Yuutaro divenne livido di rabbia e così anche Akira ma non dissero nulla mentre giravano i cavalli.
“Un momento,” Tadashi prese a guardarsi intorno. “Dov’è Shouyou?”
“Eh? Ah, sì, abbiamo un Principe anche noi,” replicò Kei con sarcasmo e l’altro gli diede una gomitata.
“Starà volando qui intorno,” rispose Tobio distrattamente scendendo da sella. “Buona, buona…” Aggiunse accarezzando il muso della sua cavalla.
Tadashi sgranò gli occhi. “Volare qui intorno!” Esclamò.
Kei gli schiaffò una mano sulla bocca. “E questo il genere di allenamento che vuoi dargli?” Domandò. “Tu non fai un bel niente tutto il giorno e lui vola in giro?”
“Kei, mi hai fatto male,” mormorò Tadashi massaggiandosi la bocca.
“Non urlare che il nostro Principe vola in giro per abitudine, allora,” replicò Kei con tutta calma. “Se il Principe mi facesse il piacere di rispondermi…”
“Nessuno a Karasuno gli ha permesso di conoscere il suo potere,” replicò Tobio. “Posso aiutarlo con la spada ma non posso aiutarlo ad essere forte se lui è il primo a non conoscere le sue possibilità!”
“Shouyou non ha bisogno di essere incoraggio, Principe Demone,” disse Kei incrociando le braccia contro il petto. “Solo controllato.”
Tobio gli lanciò una breve occhiata. “Questa poteva essere la politica della casa di suo padre ma siamo nelle mie terre, ora,” disse. “I reali di Karasuno sapevano cosa facevano quando me lo hanno affidato, per tanto…” Scrollò le spalle. “Dei tuoi consigli non me faccio nulla.” Afferrò le briglie del suo cavallo e risalì la collina.
Kei e Tadashi continuarono a fissare l’orizzonte di fronte a loro, mentre li superava.
“Sei ancora sicuro di voler restare qui?” Domandò il Cavaliere.
 
 
***
 
 
Hajime entrò nella camera di Tooru che era quasi ora di pranzo e non si disturbò a bussare.
L’idiota non era uscito dalle sue stanze per tutta la mattina ed il Cavaliere cominciava ad avere un’idea dello stato in cui versava. Di fatto, quando aprì la porta, si ritrovò davanti una stanza ancora buia.
Alzò gli occhi al cielo. “Tooru…” Gemette sbattendo la porta alle sue spalle ed attraversando la camera da letto. “È passato un giorno, il tuo malumore dovrebbe essere sulla via del miglioramento, ormai!” Esclamò aprendo le tende.
La figura al centro del letto si rifugiò prontamente sotto le lenzuola. “Hajime…”
“Sì, sono io!” Esclamò il Cavaliere facendo il giro del letto per scoprire la seconda finestra.
Tooru gemette, poi uscì dallo scoperto. “Hajime!”
Aveva i capelli in disordine e l’espressione di chi è sopravvissuto a stento ad una notte brava.
Suo malgrado, Hajime rise. “Ma che cosa hai fatto?!”
Tooru gli lanciò un cuscino quasi alla cieca e, ovviamente, lo mancò. “A meno che tu non mi abbia portato un cucciolo di drago, lasciami in pace…”
Hajime alzò gli occhi al cielo. “Non possiamo tornare al popolo delle stelle come ai vecchi tempi?” Domandò con sarcasmo. Recuperò il cuscino fino a terra e si sedette in fondo al letto appoggiando la schiena ad una delle colonne del baldacchino. “Sembravi un invasato ieri e tutta la corte ha assistito!”
Tooru strinse uno dei cuscini al petto e lo guardò negli occhi. “Tu non capisci…”
“Non capisco perché tu non parli come le persone normali!” Replicò il Cavaliere. “Tutti hanno delirato su quel maledetto drago per settimane ed ora cominci tu?”
Tooru sbuffò passandosi una mano tra i capelli. “Non parlavo di quel drago…”
“Quello l’ho capito, non sono idiota!” Esclamò Hajime. “Tu ne vuoi uno vivo! Vuoi catturarlo, no? Perché vuoi catturare un drago? Ti serve compagnia?”
“Quanto sei spiritoso,” commentò Tooru muovendosi nella sua direzione. “Hajime, la questione è seria…”
Il Cavaliere lo fissò. “Prova a dirmelo mentre sembri un essere umano adulto e non ti muovi a carponi sul letto…”
“Hajime!” Tooru gli afferrò una mano e lo guardò dritto negli occhi da sotto la frangia di capelli in disordine. “Il Principe dell’Aquila ha fatto un sogno e…”
“No! No! No!” Sbottò Hajime con gli occhi sgranati. “Non voglio più sentir parlare di sogni premonitori per il resto della mia vita!”
Tooru lo guardò duramente. “Va bene!” Esclamò. “Manderò una spedizione sulle montagne, a cui parteciperò anche io, alla ricerca di un nido di drago da cui prendere un cucciolo! La ragione sarà semplicemente affar mio e potremmo tornare a convivere ognuno con i propri segreti!”
Hajime sospirò stancamente. “Sei sempre così melodrammatico…”
“Hajime, stammi a sentire, va bene?”
Il Cavaliere alzò le mani come a dire che non andava da nessuna parte.
Tooru si umettò le labbra, gli occhi brillanti. “È destino che Shiratorizawa cada per mano di un drago.”
Hajime resse quello sguardo alla perfezione. Sbatté le palpebre un paio di volte ma il Re Demone continuò a guardarlo con quel sorrisetto inquietante che compariva solo quando un piano oscuro lo teneva occupato. Di fatto, in un’altra occasione, Hajime si sarebbe fatto rigido e avrebbe affrontato la situazione come la sua natura di Cavaliere gli suggeriva.
Tuttavia…
“Un drago sarà la causa della caduta di Shiratorizawa…” Ripeté.
Tooru annuì.
“E nostro figlio morirà combattendo il Re dell’Aquila per amore del Principe dei Corvi.”
Tooru divenne serio di colpo, poi colpì il braccio del Primo Cavaliere con rabbia. “È una cosa seria, Hajime!”
“No,” Hajime scosse la testa. “Era una cosa seria prima, ora sta diventando un delirio!” Si alzò dal letto ma Tooru si appese al suo braccio impedendogli di fare un solo passo.
“Hajime, non è il momento di mettere in discussione il lume della mia ragione.”
“Mai creduto che tu lo avessi, tranquillo.”
“Hajime, sono serio,” Tooru si sedette in fondo al letto stringendo le dita intorno alla mano del Cavaliere. “Wakatoshi crede che Tsutomu abbia gli stessi poteri di Eita. Se pensi che io stia delirando va bene ma Eita lo hai conosciuto e sai come ha dato alla luce suo figlio. La magia esiste, lo sappiamo entrambi! Tobio non sarebbe qui se non fosse così!”
Hajime tornò a sedersi. “Va bene…” Sospirò. “Quindi Tsutomu ha sognato che Shiratorizawa verrà distrutta da un drago?”
Tooru annuì ancora una volta.
“Bene,” lo sguardo del Cavaliere si fece gelido. “Quindi, tu pensi di crescere un drago a Seijou quando Wakatoshi è a conoscenza dei sogni di suo figlio? E magari speri pure che questo non scateni una guerra che possa distruggerci tutti, vero?”
Tooru smise di sorridere immediatamente. “Non sei divertente…”
“Non volevo esserlo!” Sbottò Hajime. “Ma che ti passa per la testa?”
“Tsutomu deve aver fatto quel sogno per una ragione!” Affermò Tooru con convinzione. “Non possiamo ignorarlo e basta.”
“Qualunque ragione ci sia dietro il sogno di Tsutomu, non credo che la distruzione di suo padre sia tra queste.”
“Ma noi non dobbiamo distruggere Shiratorizawa!” Esclamò Tooru, alla fine. “È un alleato potente e che me ne faccio di un Regno in cui un drago ha disseminato il caos? Hai visto la nostra sala del trono, no? Immagina in grande.”
Hajime lo guardò fisso. “Tooru, dimmi qualcosa… Qualunque cosa che mi convinca che non sei completamente uscito di senno e che devo farti abdicare in favore di nostro figlio.”
Tooru fece una smorfia sprezzante. “Sì, buttati nel dirupo insieme a tutto l’esercito già che ci sei!”
“Tu stai dicendo di volere un drago perché è destino che uno distrugga Shiratorizawa ma non lo vuoi usare per sconfiggere Wakatoshi!”
“Esatto!” Affermò il Re Demone. “Così che Wakatoshi sappia chi è padrone del suo destino!”
A quel punto del delirio, Hajime non sapeva davvero più che faccia fare. “Perché noi non ci accontentiamo di batterci contro il destino,” disse con voce incolore. “No, noi vogliamo controllarlo!”
“Hajime!” Tooru era sul punto di arrabbiarsi davvero. “Il nemico ha svelato un punto debole e noi…”
“È un alleato, non un nemico!” Sbottò il Primo Cavaliere. “E deve continuare esserlo, Tooru! Devo ricordarti chi mi hai rivelato un segreto vecchio di quindici anni riguardo alla futura, tragica morte di nostro figlio?”
“Ed è per Tobio che…”
“No, non è per Tobio, Tooru!” Hajime si alzò in piedi. “L’alleanza con Shiratorizawa può essere per Tobio! Voler stringere in pugno il destino dell’unico Regno che t’impedisce di essere l’unico ed assoluto sovrano di tutte le terre conosciute è per te, Tooru! Solo per te!”
Tooru non replicò in alcun modo, qualsiasi sfumatura sciocca sparì immediatamente dal suo viso e si fece indietro. “Tregua,” disse alzando entrambe le mani. “Un passo indietro, va bene? Dimentica quello che ho detto fino ad ora…”
Per la prima volta dopo anni, Hajime ebbe la netta sensazione che Tooru stessa davvero cercando di andargli incontro, invece di restare fermo delle sue convinzioni senza nemmeno ascoltarlo. L’espressione del Cavaliere si addolcì mentre annuiva. “D’accordo…”
Tooru annuì. “Però non cambia che Tsutomu fa sogni pericolosi e che questo potrebbe essere un problema.”
“Ha sognato la distruzione del suo regno,” disse Hajime. “Come potrebbe essere una minaccia per noi?”
“Siamo alleati, lo hai detto tu,” disse Tooru tornando a sedersi in fondo al letto. “Se Shiratorizawa è destinata a cadere, alla fine. Che cosa ne sarà di tutti noi?”




***
 
 
Tobio riemerse dall’acqua con un sospiro.
Faceva davvero caldo quel giorno ed una piccola, remota parte di lui era dispiaciuta per quei poveri idioti che se ne stavano nei campi ad aiutare i contadini, mentre lui aveva la libertà di bagnarsi nelle acque della cascata nascosta nel boschetto più a nord, vicino alle montagne.
Era piccola e remota, però.
Un pensiero fastidioso di cui liberarsi con una scrollata di spalle.
Per il resto, Lev e gli altri si divertivano e più Yuutaro ed Akira s’irritavano, più Tobio aveva motivo di sentirsi soddisfatto. Quei figli di nobili troppo viziati avevano un gran bisogno di spaccarsi davvero la schiena per qualcosa, dato che nel combattimento non eccellevano affatto.
Seijou era stata la casa di grandi Cavalieri, suo padre tra tutti ma, ora, Tobio davvero non sapeva cosa ne sarebbe stato di quel glorioso esercito che aveva tenuto testa a Shiratorizawa, aveva conquistato Dateko e, in quanto numero, era di gran lunga superiore a quello di qualsiasi Regno.
Tobio però di quei numeri non sapeva che farsene quando non si fidava nemmeno della metà di quei soldati.
S’infilò i pantaloni sopra la pelle ancora umida e si passò una mano tra i neri capelli ancora gocciolanti. “Maledizione…” Borbottò tra sé e sé facendo a pugni con quelle riflessioni scomode.
Che la nobiltà non lo vedesse di buon occhio non era una gran novità ma col gran numero di esili che c’era stato durante la rivoluzione di quindici anni prima, in pochi avrebbero osato alzare la testa in sua presenza, specie quando c’erano almeno tre sovrani caduti alle sue spalle.
Tetsuro, Koutaro e Kaname potevano avere le loro ragioni per nutrire rancore nei confronti di Tooru ma, di fatto, Tobio aveva ricevuto solo gentilezza da parte loro. Dai primi due più idiozia gratuita, in realtà.
Si chiese se essere figlio di suo padre influisse e la risposta fu tanto semplice che strinse le labbra ed ingoiò a vuoto per cercare di liberarsi dell’amarezza che aveva risalito la sua gola come un conato di vomito.
La frattura tra i suoi genitori era stata sotto i suoi occhi da sempre, evidente in ogni dettaglio del mondo che lo circondava. Come aveva fatto a non capirlo prima?
Un gracchiare alla sua destra lo distolse da quei pensieri. Gli occhi blu si sollevarono ed incontrarono quelli neri e rotondi di un corvo che se ne stava tra l’erba, sotto il sole d’estate e lo guardava a testa alta, quasi con arroganza.
Tobio fece una smorfia. “Che cosa vuoi?” Domandò. “Se vuoi dire la tua dilla e basta, non stare lì a fissarmi.”
Il volatile si limitò a reclinare la testa.
“Sei stanco di volare?” Chiese Tobio. “Fa troppo per allenarsi ancora, quindi non preoccuparti. Sei in grado di disarmarmi almeno una volta su dieci, ormai. Non migliorerai più di così, fattene una ragione.” Un pensiero gli attraversò la mente. “Potrei farti duellare con qualcuno, però. Ormai, hai un controllo della spada quasi perfetto… Quando non ti agiti come un idiota. Non puoi contare sulla forza del tuo braccio in situazioni normali ma sappiamo che quando serve tiri fuori quel tuo potere e riesci anche a spezzare le spade, quindi…” Scrollò le spalle. “Non sei male, tutto sommato. A questo punto, se imparassi a controllare il tuo potere alla perfezione, potremmo sommare l’arte della spada a quello e…”
Uno spostamento d’aria improvviso lo travolse portando con sé un gran numero di piume corvine.
Tobio sgranò gli occhi e se ne rimase lì come un idiota a fissare il corvo di fronte a sé.
Quando udì la risata cristallina alle sue spalle seppe di essere strato un idiota.
Una piccola mano fredda s’infilò tra i capelli umidi sulla sua nuca e Tobio strinse gli occhi in una smorfia che suggeriva tutta la voglia che aveva di prendersi a pugni da solo.
Quando sollevò di nuovo le palpebre, Shouyou era inginocchiato nell’acqua più bassa del laghetto e lo guardava con espressione evidentemente divertita.
“Non ridere, stupido,” lo avvertì il Principe Demone con tono glaciale.
Per tutta risposta, Shouyou si strinse nelle spalle e ridacchiò. “Scusami ma eri troppo buffo.”
“Credevo fossi tu!”
“Per questo è divertente…”
Tobio lo guardò seriamente. “È pericoloso così, però,” disse. “Devo essere in grado di riconoscerti o finirò per tirarti di nuovo una freccia addosso.”
Shouyou s’imbronciò. “Non puoi smettere di tirare ai corvi e basta?”
“Ho avuto una crisi isterica perché uno dei miei Cavaliere ha abbattuto un corvo dopo la nostra impresa contro il drago!” Replicò Tobio con forza. “Vorrei evitarlo in futuro!”
Shouyou, allora prese in seria considerazione la cosa. “Gli addestratori di rapaci, di solito, legano qualcosa intorno alla zampa del loro animale.” Disse ricordando alcuni episodi di quando era bambino.
Tobio fece una smorfia. “Tu riesci a perderti tutti i vestiti non appena ti trasformi.”
“Sì, ma tu potresti legarmi qualcosa intorno alla zampa dopo!”
Tobio scosse la testa poco convinto. “Stupido come sei te lo perderesti in volo,” disse. “Inoltre, non sei un animale, sono io che devo imparare a riconoscerti.”
Shouyou avvertì un piacevole calore all’altezza del petto a quelle parole. “Sei gentile…”
Tobio lo fissò confuso, poi scrollò le spalle. “C’è un mercato nella cittadina più grande della zona per la festa del raccolto. Potrei trovare un guantone per rapaci. Potrei osservarti mentre voli.”
Il Principe dei Corvi sorrise. “Mi passi la tunica?”
Tobio lo fece, poi voltò lo sguardo per permettergli d’indossarla senza sentirsi osservato.
Tornò a guardarlo solo quando si sedette accanto a lui.
“Non ti annoieresti?” Domandò Shouyou.
Tobio scrollò le spalle. “Sono un cacciatore, Shouyou,” gli ricordò. “Osservo i volatili volare da quando sono bambino. So che imparerei a riconoscerti se avessi la possibilità di osservarti, di studiarti…” Raccolse una delle piume nere che era finita sull’erba e la esaminò affascinato esattamente come era accaduto il giorno del loro arrivo.
“Ti piacerebbe provare?” Domandò Shouyou di colpo.
Gli occhi blu si fissarono in quelli d’ambra.
Il Principe dei Corvi sorrideva, le gote un poco arrossate ed una luce speranzosa nello sguardo che Tobio non seppe spiegarsi. “Non saprei come fare ora come ora, lo ammetto,” disse Shouyou. “Quando ci siamo ritrovati sospesi tra la vita e la morte ho agito d’istinto…”
“Non ricordo molto della nostra caduta da quella torre,” ammise Tobio. “Almeno, però, io avevo tutti i vestiti addosso.”
“Ci ho pensato, sai? Quella notte tu stringevi me e Tsutomu si è aggrappato a te prima del crollo. Io, però, ho pensato a te… Ho pensato che dovevo salvare te.”
Tobio sbatté le palpebre un paio di volte. “Pensi che sia stato l’unico a rimanere con tutti i miei vestiti addosso perché tu ti sei concentrato su di me?”
Shouyou scrollò le spalle. “Credo…”
“E allora perché non riesci a ritrasformarti senza perdere i tuoi?”
“Non devo concentrarmi molto quando lo faccio,” ammise il Principe dei Corvi. “Le prime volte che ho volato l’ho fatto nel dormiveglia. Per me farlo è spontaneo come respirare.”
Tobio annuì. “Dovresti provare a spendere qualche energia mentale sulla questione vestiti. Se potessi trasformarti a tuo piacimento su di un campo di battaglia sarebbe un’arma potentissima per te ma non puoi rischiare di rimanere nudo come un verme.”
Shouyou lo fissò con attenzione. “Non hai risposto alla mia domanda, Tobio.”
Il Principe Demone lo guardò. “Gli esseri umani sognano di volare da sempre, Shouyou.”
“Nemmeno questa è una risposta.”
“Ma cosa vuoi?” Sbottò Tobio stendendo sulla schiena ed incrociando le braccia dietro la testa. “A sentire te, sembra che non esista sensazione più bella al mondo!”
“È così,” confermò Shouyou. “È la cosa più bella che abbia mai provato in vita mia. Non credo esista nulla di paragonabile…”
Suo malgrado, Tobio si ritrovò ad osservarlo con attenzione. “Quanto soffrivi quando t’impedivano di volare?”
Shouyou lo guardò come se lo avesse schiaffeggiato, poi sorrise ma una tristezza infinita aveva oscurato il suo sguardo. Si stese accanto al Principe Demone ed entrambi restarono a guardare il cielo azzurro attraverso la chioma dell’albero che li riparava dal caldo sole d’estate.
Intorno a loro c’era solo pace.
“Impara a controllare la trasformazione,” disse Tobio.
Shouyou si voltò ad osservarne il profilo.
“Diviene padrone del tuo potere e poi, se vorrai, m’insegnerai a volare.”
E gli occhi del Principe dei Corvi s’illuminarono di nuovo.
“Tobio, non per vantarmi ma abbiamo trovato qualcosa che devo essere io ad insegnare a te.”
“Stai zitto, Shouyou.”
 



 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Haikyu!! / Vai alla pagina dell'autore: Ode To Joy