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Autore: _cara_catastrofe_    02/04/2017    0 recensioni
Due perfetti sconosciuti, diversi ma perfettamente compatibili l'uno con l'altra. Due vite diverse, una sola storia: un amore che riuscirà a superare la distanza, il razzismo, le differenze culturali di due paesi molto diversi ma allo stesso tempo simili.
Lei è Livia (21 anni di Asti), lui Akal (23 anni di Tirana).
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Te Dua
Capitolo 1: Un nuovo inizio
Sono quasi le 18:00, ormai è tutto pronto: la valigia è preparata e già pronta davanti alla porta della mia quasi ex casa, il biglietto aereo c’è e i soldi pure, tutto accompagnato dalle continue raccomandazioni di mia madre che sembra non finiscano mai.
“Tranquilla mamma. È tutto okay, sono abituata a cambiare posto ogni due per tre e poi sono solo sei mesi, vedrai che in un batter d’occhio sarò di nuovo qua” le dico per cercare di rassicurarla ma è una mamma e come tutte le mamme si preoccupa.
Eh già, sono abituata a cambiare spesso posto, per via del mio lavoro infatti ho già girato mezza Europa, il che non mi dispiace perché ho potuto visitare posti meravigliosi e cambiare aria fa bene di tanto in tanto e domani partirò alla volta dell’Albania. E’ la primissima volta che visito il cosiddetto “terzo mondo” per gli italiani bigotti come i miei, forse è per questo che sono più preoccupati del solito.
“Per qualsiasi cosa prendi il primo volo e torna qua eh, e ricordati di chiamarci ogni giorno per dirci come va li” si rassicura mia madre.
Io sono Livia, ho 21 anni e vivo ad Asti in Piemonte con i miei genitori e mio fratello minore Lorenzo di 19 anni. Lorenzo è molto diverso da me, a differenza mia lui è molto alto, con i capelli scuri e gli occhi verde smeraldo, come il nonno ormai defunto. L’anno scorso ha terminato il liceo scientifico con il massimo dei voti ed ora frequenta il suo primo anno di Università.
Io invece sono a malapena 1,60, i miei capelli sono mossi e lunghi, gli occhi scuri coperti da un paio di occhialoni neri ma con la montatura fine. Sono una ragazza semplice, non indosso quasi mai i tacchi, nonostante la mia bassezza, il massimo sono gli stivaletti ma con i tacchi ho avuto brutte esperienze in passato (come la volta che stavo andando a ballare con le mie amiche e sono rimasta con il tacco incastrato tra i sanpietrini disconnessi della piazza. Da quel giorno li ho aboliti del tutto e mi sono pure ripromessa che se un giorno mi sposerò, sotto l'abito bianco indosserò le scarpe da ginnastica.
Si è fatto tardi, e come ogni sera da 21 anni a questa parte, siamo tutti e quattro seduti attorno al tavolo con le mani unite a pregare prima di iniziare a mangiare e come sempre mia madre recita le solite parole che ormai anche i muri sanno a memoria per poi aggiungere
“E stai accanto a Livia durante questo periodo e proteggila sempre. Amen.” “Amen.” Ripetiamo tutti i coro per poi iniziare a mangiare il pollo preparato da mamma
“l’ho fatto per te, perché so che ti piace tanto” dice sorridendo e iniziando a tagliare il pollo fumante.
Finita la cena do una mano a mia madre a sparecchiare e poi mi dirigo in camera per cercare di dormire almeno un po’: domani sarà una lunga giornata e devo essere il più riposata possibile. Infilo il pigiama e mi metto a letto ma nella mia testa continuano a frullare i pensieri e prendere sonno sembra un’impresa impossibile: “chissà come sarà Tirana” penso “e gli albanesi? Spero siano simpatici”
e tra un pensiero e l’altro la stanchezza si impossessa di me e mi addormento.
 
Il giorno dopo la sveglia suona presto, mi alzo dirigendomi in cucina trascinando rumorosamente i piedi per terra. Una volta in cucina noto che mia madre è già sveglia che sta preparando il caffè, mi siedo e poco dopo mi ritrovo davanti una tazzina di caffè fumante. Mentre bevo mia mamma mi accarezza i capelli, mi bacia e si appoggia a me. So che per lei è difficile lasciarmi andare ma devo farlo, c’è poco da fare.
“Mi raccomando Livia”
“Mamma, stai tranquilla, non sto mica partendo per la guerra, sono solo sei mesi” le rispondo sorridendo cercando di tranquillizzarla.
Vado a vestirmi, osservo per l’ultima volta la mia stanza dalle pareti color pastello piene di poster e di foto con gli amici, sospiro e mi chiudo la porta alle spalle.

La mia famiglia mi accompagna fino in aereoporto, ormai è un rituale, abbraccio mio fratello
“Ti voglio bene Lollo” è l’unica cosa che riesco a dire, appoggio la testa sulla sua spalla e lo stringo forte: sono davvero orgogliosa di lui per tutto quello che fa e per la bellissima persona che è.
Abbraccio mio padre e scorgo una lacrima che gli riga il viso segnato dalle rughe dei suoi 52 anni.
Mia mamma invece è come ogni volta un fiume di lacrime, nemmeno stessi partendo per andare ad ammazzarmi ma capisco.
La abbraccio e poi mi allontano salutandoli con la mano e dirigendomi verso il mio aereo.
 
   
 
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