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Autore: marea_lunare    03/04/2017    0 recensioni
E se qualcun altro prima di Rosie avesse risvegliato l'animo paterno di John? Qualcuno che farà breccia nel cuore tenero del dottore e in quello di ghiaccio di Sherlock.
-Ti voglio bene, papà-
-Anche io, piccola mia-
Genere: Angst, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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(5) I believe in you
 
Moriarty era un avversario tosto, scaltro.

Bisognava affrontarlo con i guanti, non dando nulla per scontato, prendendo ogni provvedimento possibile, considerando tutte le opzioni del caso.

Eppure era tremendamente furbo.

Un consulente criminale, una mente geniale utilizzata solo a scopi malefici: farsi pagare per salvare le chiappe ad assassini, cecchini, truffatori, la feccia della società.

Nonostante collaborasse e aiutasse queste persone, lui non era come loro.

Lui era un genio.

Malvagio, sadico, completamente pazzo ed ossessionato da Sherlock, l’unico capace di eguagliarlo in intelligenza.

Questo era il suo scopo: distruggerlo.

E Moriarty otteneva sempre ciò che voleva, con qualunque mezzo.

Fu così che lo fece a pezzi lentamente, ricoprendo un’enorme bugia di tante piccole verità, per trasformare ciò che era menzogna in realtà agli occhi della gente.

Perché quando un dubbio ti si insinua nella mente, quando inizi a non credere più che una persona sia ciò che sembra, quando quel tarlo ti corrode il cervello ed ogni certezza, non può essere scacciato.

Perché le chiacchiere e le voci di corridoio sono più forti di qualsiasi verità, incattiviscono chi le ascolta, fanno godere gli invidiosi della sfortuna altrui.

Così Moriarty sfruttò la pochezza intellettiva delle persone comuni, usò l’influenza dei giornali e di quell’enorme ragnatela mediatica che è l’umano, lasciando che le persone iniziassero a dubitare di quel detective che avevano sempre adulato come eroe cittadino.

Tutti iniziarono a non credergli più, persino chi lo conosceva bene, chi aveva spesso collaborato con lui.

Un particolare caso lasciò interdetta Sally Donovan, spingendola a credere che fosse giunto quel momento, che stavolta fosse veramente stato Sherlock ad organizzare tutto.

Coinvolse anche Anderson, continuando a confutare le sue ipotesi su delle semplici congetture, che però agli occhi dell’Ispettore Capo di NSY suonarono come delle accuse certe e verificate.

Il povero ispettore Lestrade non poté opporsi al mandato di arresto, preparandosi al peggio, sperando che Sherlock non facesse stupidaggini o continuasse a comportarsi come un’altezzosa prima donna.

Arrivare con le sirene spiegate a Baker Street non fu semplice, forse per Gregory fu quasi doloroso.

Mentre scendeva dall’auto seguito dalla chioma riccia di Donovan, si soffermò a pensare quante volte aveva salito quelle scale con disperazione, indispettendosi al solo pensiero di dover essere umiliato per l’ennesima volta dalle deduzioni di Sherlock.

Nel suo dipartimento quasi tutti odiavano il consulente, perché li faceva sentire dei perfetti idioti.

Eppure Gregory lo conosceva meglio degli altri, sapeva quanto fosse indispensabile per la polizia londinese e per Londra stessa, continuando a chiedergli aiuto ogni volta che ne aveva bisogno.

Consapevole che Sherlock fosse un grand’uomo, in cuor suo sperava che un giorno sarebbe diventato anche bravo.

Quando suonò il campanello e Sally urlò di aprire, l’umore dell’ispettore non poteva essere più nero.

Non voleva arrestarlo, perché sapeva non avere colpe, che quegli idioti dei suoi collaboratori avevano spalato merda sul suo amico semplicemente perché non riuscivano a credere che esistesse una persona tanto intelligente, quasi per invidia.

Lui conosceva la verità, ma non poteva opporsi agli ordini del suo superiore.

Inoltre, con profonda vergogna, ammetteva a se stesso di aver dubitato anche lui, a volte, della veridicità delle parole del detective, dandosi dell’idiota da solo subito dopo.
 
 
Vedere la signora Hudson spaventata ed in camicia da notte non servì di certo a migliorare la situazione.

I poliziotti salirono immediatamente al pieno di sopra, dove Lestrade vide il consulente con indosso il cappotto e la sciarpa, evidente segno di arrendevolezza e rassegnazione, nonostante il suo sguardo trasmettesse la solita freddezza, quella sicurezza impenetrabile che avrebbe sempre voluto avere.

“Signor Holmes, la dichiaro in arresto per il rapimento di due bambini”

Quella fu probabilmente la frase più difficile di tutta la sua carriera, fissando quegli occhi impenetrabili che spesso e volentieri riuscivano a metterlo a disagio.

John era sconcertato da quelle formalità.

Stavano trattando Sherlock, il suo migliore amico, come un criminale qualunque. E questo non era accettabile.

Tentò invano di opporsi, guardando l’ispettore Lestrade contrastarlo con durezza.

Quest’ultimo scese le scale in silenzio insieme a Sherlock e i due agenti che lo scortavano.

Osservò il suo ammanettamento da lontano, vedendo poco dopo John che veniva sbattuto con forza contro la portiera della stessa auto dove stavano facendo entrare il suo amico.

Subito dietro di lui arrivo l’ispettore capo con il naso sanguinante e un fazzoletto imbrattato nella mano.

Senza farsi notare, Greg voltò le spalle a tutti i presenti e si lasciò sfuggire un sorriso, ringraziando mentalmente John per aver dato finalmente una lezione a quel pallone gonfiato che aveva sempre odiato.

Un uomo tronfio, supponente e soprattutto arrogante, capace solamente di comandare a bacchetta i suoi sottoposti e di ingozzarsi di ciambelle come un disgustoso maiale.

Quel sorriso venne però subito spento nello scorgere la figura di Rachel che camminava a testa bassa in direzione dell’appartamento.

Quando la ragazza alzò gli occhi, un’espressione di paura le si dipinse in volto, vedendo John e Sherlock ammanettati contro l’auto.

“John, Sherlock!” gridò lei cercando di raggiungerli, ma Gregory le si parò davanti.

I due uomini si girarono a quel richiamo, ma non poterono far nulla perché i poliziotti li tenevano inchiodati al loro posto, aspettando ulteriori istruzioni.

“Rachel, calmati” le disse Lestrade afferrandola per le spalle.

“Greg, mi dici che diavolo sta succedendo?” gli chiese lei fissandolo con quegli enormi occhi verde scuro.

“Mi dispiace piccola, abbiamo ricevuto un mandato d’arresto per Sherlock e John ha aggredito il mio superiore. Ho dovuto farli prendere entrambi” rispose l’altro con rammarico.

“Adesso dove li porteranno?” domandò Rachel con una punta di panico nella voce.

“In centrale. Sherlock dovrà essere interrogato, mentre riguardo a John vedremo cosa fare” le chiarì lui, gioendo che la ragazza avesse mantenuto la calma.

Credeva in Sherlock Holmes, in John Watson e in lui.

Confidava nell’amicizia e la lealtà che lo legavano a lei e ai due uomini alle loro spalle.

Rachel lo abbracciò piano, cercando un conforto dove rifugiare le sue paure.

Lui la strinse con affetto, chiedendosi come fosse possibile creare un legame del genere in così poco tempo, come quella ragazzina potesse dispensare così tanto affetto nonostante tutto ciò che si portava dietro.

Un grido improvviso di Sherlock e uno sparo squarciarono l’aria.

“GETTATE LE ARMI E SDRAIATEVI A TERRA, SUBITO!” gridò il detective.

“Oh Cristo…” imprecò Greg osservando il consulente investigativo arretrare ammanettato a John, puntando una pistola carica contro tutti i presenti.

“Sherlock cosa stai facendo?!” gridò la ragazza tentando di avvicinarsi ai due, trattenuta dall’ispettore.

“Ferma, Rachel, per favore. Qui la situazione potrebbe precipitare”

John la guardò rassicurante, sorridendole per darle coraggio.

Andrà tutto bene” le disse in labiale.

Non appena tutti gli agenti ebbero gettato a terra le armi, i due si dileguarono nell’ombra, correndo come dei fuggitivi, mentre Rachel raggiunse la signora Hudson che piangeva sull’arco della porta.
 
 
 
Riuscirono a fuggire, nascondendosi nel Bart’s ormai quasi deserto.

John ricevette una chiamata urgente e fuggì, lasciando Sherlock da solo con i suoi pensieri.

Lasciandolo da solo con il suo demone, la sua nemesi, che lo aspettava sul tetto per la resa dei conti.
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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