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Autore: Black Swallowtail    03/04/2017    0 recensioni
Nonostante Azure Kuri sia tornata alla normalità, vincolata ad Aidan Reiss dal loro patto, decide di seguirlo nel suo mondo distorto e brulicante, che si nasconde appena al di sotto della superficie della razionalità umana.
I mostri orribili e gli spiriti gentili non smettono mai di vorticare attorno all'uomo, perché, dopotutto, questa è la loro natura, ed è per tale motivo che esistono uomini come Aidan.
E non sempre si tratta di spiriti che vogliono aiutare il prossimo.
Una maledizione ricade inevitabilmente su chi si costruisce attorno un'identità ripugnante e disgusta perfino se stesso — una maledizione che avvelena l'animo e divora la carne.
La rende pietra.
Genere: Introspettivo, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Scary Monsters and Nice Spirits'
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IV

Sticks and stones can break my bones.

 

Il disgusto è il senso di repulsione che si prova verso un qualcosa, o in questo caso un qualcuno, di particolarmente grottesco o insopportabile, al punto da risultare intollerabile all'occhio. Solitamente, non è una parola che venga utilizzato nei riguardi di una persona, a meno che non nasconda qualcosa, un motivo che va oltre l'aspetto fisico. È difficile arrivare a provare disgusto per qualcuno solo per via del suo aspetto; e si tratta di un caso estremo, dire in faccia ad una persona che la sua presenza è, per noi, ributtante.

Mentre mi rigiro tra le coperte, con la luce del primo mattino che entra pigramente attraverso le serrande chiuse, pochi raggi slavati in cui balla lentamente il pulviscolo dorato, il filo dei miei pensieri si aggroviglia attorno a questo singolare problema, la cui responsabilità è ricaduta sulle nostre spalle. Un problema terribilmente grave, che si avvicina alla morte, decisamente peggiore di qualsiasi altro fenomeno sovrannaturale che ho avuto la possibilità di osservare, attraverso le lenti sfocate dei miei occhi appena abituati alla nuova realtà.

Rimugino tanto intensamente, perché non riesco a dormire e perché, piuttosto che farmi del male, piuttosto che lasciare a briglia sciolta i miei pensieri verso emozioni che ancora, a volte, mi sembrano estranee, preferisco concentrarmi sul problema più immediato. Mi ripeto, mentalmente, che prima è necessario mettere a posto i tasselli di questo puzzle scombinato, risolvere questo rompicapo, e poi di pensare egoisticamente a me stessa.

Perciò, fuggo dalle domande, dai pensieri e dai ricordi più scomodi e pungenti, talmente brucianti ed instabili che rischiano di inumidirmi gli occhi. Mi sento ancora inadeguata ed incapace di controllare le mie reazioni ed i miei sentimenti; per quanto tenti di nasconderlo, mi sento fragile e ho paura di crollare su me stessa come un castello di carte. E la mia unica sicurezza, il mio unico appiglio, mi sembra ora meno solido di prima. E quindi, fuggo dai dubbi e dalle paure, immergendomi completamente in questo mare di pensieri, così che il suono lì fuori, al di sopra della superficie, non mi giunga che attutito, lontano, un rumore di fondo a malapena udibile.

Jeiv Kondras è una persona decisamente diversa da quanto la immaginassi. È come se si sforzasse di mostrarsi agli altri sempre perfetto ed intoccabile, ma di fronte a noi, di tanto in tanto, sono riuscita a cogliere un fremito, nella sua espressione, quasi come si fosse aperta una vistosa crepa attraverso il suo viso per qualche istante, rivelando, attraverso i suoi occhi, la sua espressione, una persona diversa dall'ammirevole studente che conoscono tutti. Ma ancora più di questo, sono state le sue parole, il modo con il quale ci ha parlato della ragazza verso la quale ha indirizzato i nostri blandi sospetti – e mi sono chiesta, come potrebbe una persona provare disgusto per un'altra, senza averla conosciuta sufficientemente da intravederne gli aspetti peggiori della personalità.

Il disgusto è ben più intenso dell'odio. Si può odiare una persona, ma sopportarne la vista ed il pensiero; dopotutto, per odiare, è necessario avere costantemente un'immagine ben chiara, nella mente, che rimane lì ad alimentare il disprezzo gorgogliante.

Provare disgusto è qualcosa di più intenso, una sensazione talmente divorante e ricolma di ributtante ripugnanza, che anche solo il pensiero di quella persona è insopportabile. Non è possibile provare qualcosa di simile semplicemente per via dell'aspetto fisico e Rui Miviel, almeno nella foto dell'annuario, mi è sembrata una ragazza ordinaria, non diversa da me o da tante altre. Eppure, nonostante questo, il tono di Jeiv era inequivocabile, i suoi occhi sono completamente mutati, come se il nostro interlocutore fosse cambiato, nel momento in cui ci ha detto il suo nome, in cui ha visto la sua foto.

Prova repulsione per quella ragazza... Ma per quale motivo, uno come lui, noto per la sua disponibilità, per la sua capacità, intelligenza, dovrebbe farlo?

Quello sguardo che ho sfiorato, non era lo sguardo di Jeiv Kondras, lo studente modello. Si trattava di una persona del tutto diversa, nascosta, che non avrei mai sospettato poter esistere, sotto a quella facciata. Come se—

Una vibrazione interrompe il filo dei miei pensieri, un rumore breve e secco, che si esaurisce dopo un attimo, sicuramente proveniente dal cellulare lasciato sul comodino. Allungo la mano attraverso le coperte, osando esporre solo le dita al freddo che regna nella stanza, al di fuori del rassicurante calore del letto, afferrando il telefono e, socchiudendo gli occhi, per ripararmi dalla intensa luce dello schermo, apro il messaggio senza bisogno di guardarne il mittente. C'è solo una persona, dopotutto, che mi abbia mai scritto un messaggio.

Mi alzo faticosamente dal letto, riponendo il telefono al suo posto; stringendomi nelle spalle, per resistere all'improvvisa vampa di brividi che si allunga sulla mia pelle, mi avvicino alla finestra, poggiandomi contro il davanzale, salutando silenziosamente il sole del primo mattino. Non ci rimane molto tempo, due o tre giorni al massimo, ha detto Aidan, per cui non possiamo perdere tempo. Dovrei sentirmi più preoccupata, ed invece, l'unica cosa a cui riesco a pensare, è un nome associato ad un volto sconosciuto, che per quanto tenti di allontanare, torna sempre ad infastidirmi con la sua presenza, con quella domanda senza risposta. Di cui non ho voluto sentire la risposta. Una parte di me ha inequivocabilmente paura di sentire quelle parole che temo potrebbero uscire dalla sua bocca; ma senza sapere, sarò tormentata per sempre da questo fantasma?

Aidan è di fronte al cancello che mi aspetta, scorrendo attentamente la stessa pagina di annuario di ieri, soffermandosi, ogni tanto, su una foto diversa. È come se tornasse, come un chiodo fisso, alla stessa immagine, dopo averne viste una o due, rimanendo a guardarla con intensità insolita, assorbito da essa, per qualche istante, prima di continuare a scorrere. Riesco ad intravedere appena la sagoma della ragazza nella foto ma, in quell'unico istante che il mio occhio coglie, sono sicura di non aver intravisto Rui Miviel, ma un'altra persona. Mordendomi appena il labbro inferiore, mi chiudo il cancello alle spalle, salutandolo con un tono di voce simile ad un bisbiglio, esitante; dopo la domanda che gli ho posto ieri, non sono sicura di come comportarmi, con lui, sopratutto dopo essere fuggita ancora prima che lui potesse rispondermi.

Non appena sente lo sbattere ferreo della serratura del cancello, ripone rapidamente il cellulare, lasciandoselo scivolare in tasca. Per un secondo, il suo sguardo sembra quasi volermi trapassare da parte a parte, indagare ogni singolo centimetro del mio viso, con una tale intensità da farmi sbocciare un leggero rossore sulle guance. Storce appena la bocca.

“Hai dormito male?”

Rimango in silenzio, paralizzata da quella domanda inaspettata. Ero più preparata ad un riferimento a ieri sera, non a qualcosa di così... normale. Così normale da essere insolito. Apro la bocca senza troppa sicurezza, ma non sono sicura di riuscire a fidarmi della mia voce, quindi preferisco scuotere la testa. Aidan scrolla le spalle e mi fa cenno di seguirlo, senza aggiungere nulla, lo sguardo perso, gli occhi puntati davanti a sé, senza riuscire a vedere davvero la strada che stiamo percorrendo, immerso in una riflessione criptica.

“Ho scoperto di che genere di maledizione si tratta. Ha come catalizzatore un semplice foglio di carta sul quale viene incisa una formula. È spiegato in un libro che ho letto ieri...” dà un colpetto al cellulare, “E che ho fotografato appositamente.”

Mi sento impacciata. Non mi era mai accaduto prima, con lui. Non avevo mai dubitato delle parole da rivolgergli. Non mi sono mai sentita così... Lontana. Forse sto inutilmente complicando la situazione e mi sto nuovamente stringendo le mie stesse catene attorno ai polsi; ma il pensiero di non riuscire a comunicare con lui, mi dà una sensazione strana. Quasi paurosa. Riesco a mormorare una domanda impacciata, solo raccogliendo la mia poca determinazione, “Perché stiamo uscendo così presto?”

“Rui Miviel arriva sempre prima a scuola degli altri,” esordisce, con un'urgenza nella voce proporzionale alla velocità del suo passo, “E se vogliamo parlarle il prima possibile, dobbiamo sbrigarci. La situazione di...” mi lancia una rapida occhiata di sottecchi, come a chiedermi silenziosamente aiuto.

“Jeiv Kondras.” completo al suo posto, affiancandolo, mentre attraversiamo l'ennesima stradina di quartiere, senza una sola voce ad infastidirla, senza alcun suono a contaminarla, al di là del nostro scalpiccio e dello sporadico rombare di qualche macchina. L'ora preferita di Aidan, quella in cui giorno e notte si fondono e sfumano l'uno nell'altro.

“Sì, proprio lui. La sua situazione sta peggiorando. La maledizione progredisce a vista d'occhio.”

“Possibile sia peggiorato così tanto, nel corso di una notte?”

Aidan scrolla le spalle, “Non so cosa provochi il peggiorare di questo maleficio, ma di qualunque cosa si tratti, non ci lascia molto tempo.”

Osservandolo per un secondo, effettivamente mi sorprendo di non averlo capito prima. Non lo ha mai fatto per gli altri, dopotutto. Anche ora, la sua urgenza, questo suo voler aiutare una persona di cui non ricorda nemmeno il nome, non è un'opera di altruismo, ma di estremo egoismo. Qualcosa che compie per se stesso. Avrei dovuto capirlo prima, che ciò che fa, è tutto per se stesso, perché non riesce a stare lontano dall'occulto.

Nemmeno in una situazione come questa.

Nell'atrio, ci sono solo una manciata di studenti arrivati con largo anticipo, per ripararsi dal freddo o magari per scappare in biblioteca, nel tentativo di studiare all'ultimo minuto, o affollando i due distributori automatici di bevande calde, uno di fronte all'altro, sui due lati opposti del corridoio. Un gruppetto se ne sta a chiacchierare a bassa voce, attorno alla macchinetta di destra, che emette un basso sibilare meccanico; quando il grugnito meccanico cessa, l'aroma ed il tepore del caffè sfiorano le nostre narici, ed il loro brusio riempie le orecchie, mentre li superiamo. Aidan, senza una parola, avvertendo la mia confusione, indirizza il mio sguardo verso l'altro distributore, il più isolato e meno utilizzato; davanti alla macchinetta, completamente sola nel corridoio vuoto, sta una figura stretta in una ampia sciarpa che le avvolge il viso, nascosto già da un paio di grandi occhiali dalla montatura semplice che le conferiscono una sorta di aria d'ingenuità. I suoi occhi, attraverso le lenti, sono così grandi e nervosi, come se scrutassero con sorpresa ogni cosa sul quale si posino, e per questo sente il bisogno di tenerli nascosti al di sotto di una frangia ordinata e perfettamente simmetrica.

Riesco a riconoscerla nonostante metà del suo volto sia riparato dalla sciarpa, perché la sua immagine mi è pulsata nella testa per tutta la notte, mentre riflettevo disperatamente per distrarmi da altri pensieri velenosi. Una ragazza timida, insicura, che si nasconde dal mondo, che preferisce allontanarsi; che si sente inadeguata ed imbarazzata, al punto da schermare perfino i suoi occhi. Che arrossisce quando nota che vi avviciniamo, quasi posso intravederla tremare, stringere le labbra, capendo che stiamo venendo a parlarle.

Per quanto i suoi occhi siano rifugiati sotto i suoi capelli, non posso fare a meno di avvertire un tremolio in essi, come se si fossero sbarrati di colpo, nel riconoscere la figura che accompagno, la persona che ha fama di conoscitore dell'occulto, per coloro che sono disposti a crederci, a prestare orecchio alle dicerie, senza metterle da parte come stupidaggini e fantasie insensate. Conosce Aidan, sena alcun dubbio.

“Lo so.” mi anticipa lui, quando sto per farglielo notare, annuendo seccamente. Sembra sorpreso, addirittura avverto del disappunto, nel suo tono di solito così neutro, nel rendersi conto di aver sbagliato il suo giudizio. Quindi, quella di Rui non è un'ipotesi del tutto insensata, un vicolo cieco come credevamo, come era convinto fino ad un attimo fa Aidan.

Possibile che una ragazza come lei, che sembra così impacciata, così minuta ed esile, che fugge dal mondo delle altre persone, abbia lanciato una maledizione mortale, solo perché è stata respinta ed insultata?

Non c'è nulla di disgustoso, in lei, è il primo, spontaneo pensiero che sento spuntare in me nel momento in cui Aidan le si avvicina, senza che lei osi alzare lo sguardo, le guance arrossate e la mano che tamburella nervosamente contro il display elettronico sul quale lampeggia la scritta “Selezionare una bevanda”. Nessuno parla, come se l'aria fosse immobile ed il mondo congelato, in fremente attesa di qualcosa.

Dall'aula di musica, le note liquide di un pianoforte, come acqua che scorre, gocciolando, di roccia in roccia, accompagnano ogni movimento, ogni singolo passo, che muoviamo mentre le arriviamo accanto, mentre lei nervosamente continua a non staccare gli occhi dallo scorrere esitante delle lettere sullo schermo del distributore, dalla monotona frase che la invita a scegliere, a premere un pulsante.

“Dodici,” esordisce Aidan, facendo sgusciare la mano sul tastierino numerico e selezionando una bevanda al posto della ragazza, nonostante la mia protesta, “Il cappuccino è l'unica cosa decente che fa questo distributore. Ma tu lo sai meglio di me.”

Con un tonfo di plastica su plastica, un bicchierino viene fatto scivolare sulle estremità di un artiglio, che lo tiene fermo il tempo necessario a far colare al suo interno una miscela di un liquame nerastro e biancastro, formando una schiuma grigiastra, dall'aspetto tutt'altro che invitante, ma nonostante ciò, Rui lo afferra con le dita esitanti, soffocando un'esclamazione quando il calore della bevanda le solletica i polpastrelli. Lo beve senza ancora osare incrociare il mio sguardo, o quello di Aidan, a piccoli sorsi nervosi.

“Sai perché sono qui, no?” Lo studioso dell'occulto estrae lo smartphone dalla tasca, scorrendo per un istante la galleria di immagini piuttosto scarna sotto ai miei occhi, fino a trovare la foto, scattata direttamente da un libro antiquato, anch'esso fitto di caratteri gotici, il cui titolo recita semplicemente Maledictio. Il colore scompare lentamente dalla carnagione già pallida della ragazza, fino a lasciare un pallore cinereo, di gesso, gli occhi che si posano esitanti sullo schermo, poi su Aidan, a mostrare, attraverso di essi, un panico che la sta lacerando. Una paura che la fa a pezzi dall'interno. La sua bocca, tremante, si apre per parlare, senza che ne esca alcun suono, per cui la richiude immediatamente, mentre qualcosa di lucido inizia a colarle lungo la guancia, cadendo con un gocciolio nel liquido scuro che regge in mano.

Lacrime salate, nel caffè amaro.

“Mi dispiace...” sussurra, senza muoversi, senza nemmeno osare portarsi le mani al viso per asciugare il pianto, “Mi dispiace...” singhiozza, scuotendo appena la testa, il respiro incerto, come se ogni boccata costasse una fatica indicibile, “Mi dispiace...” mormora, con una voce che è ancora meno di un sussurro, meno di un mugolare ferito, “...Non volevo fare nulla di male.”

Senza lasciare quel cappuccino torbido, crolla in ginocchio, quasi schiacciata dal peso delle parole di Aidan, dai nostri sguardi che le ricadono addosso.

“Non volevo fare nulla di male...” scuote la testa, “Ma quella lettera... Quella lettera...”

Mi inginocchio accanto a lei, stringendole le spalle minute, e la sento trasalire al contatto fisico, ma senza opporsi, lasciando che il mio abbraccio impacciato la consoli. Forse, se qualcuno lo avesse fatto prima, non sarebbe accaduto.

Forse se qualcuno lo avesse fatto con me, non mi sarei sentita tanto vuota.

Non provo compassione o empatia, per lei. Il mio è solo un riflesso inconscio.

Per un istante, in Rui, ho visto un'altra ragazza in lacrime, che singhiozzava da sola, in un luogo buio, sola.

“Accompagniamola su quella panchina. Dobbiamo parlare.”

Senza aggiungere altro, Aidan si piega su di lei, tenendola in piedi, aiutandola a camminare sulle gambe tremanti ed improvvisamente deboli, prive di forza. Singhiozza ancora, sottovoce, gli occhiali appannati che velano gli occhi ricolmi di lacrime.

E, beffardamente, Evie Halliwell, dall'aula di musica, continua a suonare quella sua canzone struggente, come un pianto malinconico, stridente rispetto a quello di pentimento della ragazza al mio fianco.

Alla fine, non ci eravamo sbagliati. Rui Miviel, dall'aria così innocente ed insospettabile, sospinta da chissà quale veleno, ha maledetto Jeiv Kondras. Ha parlato di una lettera, ed è proprio questa che , calmati i singhiozzi, cerca frugando nella sua borsa, tirandone fuori un modesto biglietto, in una bustina aperta con cura, senza strapparne la carta. Aidan la prende dai piccoli, deboli palmi, sfiorandone appena la pelle, e ne estrae il pezzo di carta all'interno.

Un vago, delicato odore di tulipani riempie le mie narici, spingendomi ad abbassare la testa, che tenevo alta, puntata verso la porta della classe da cui sgorga la musica, come un ruscello che si allontani da un lago, attirando la mia attenzione sulla lettera di colore lilla pastello, la fonte dell'aroma così morbido e tenue da sfiorare appena le narici.

Aidan aggrotta la fronte, mentre legge rapidamente il contenuto della missiva, e le sue dita si stringono attorno agli angoli del foglio, stropicciandoli appena, con una sorta di frustrazione, o di disappunto, che ho visto raramente mostrarsi nelle sue azioni. Me la porge, senza una parola, voltandosi invece verso Rui, che, pur avendo soffocato il rumore del pianto, continua a lacrimare dagli occhi arrossati e ricolmi di pentimento. Pieni di paura.

La calligrafia della lettera è estremamente elegante e piena di svolazzi, come se fosse stata scritta da un esperto di calligrafia, e per questo irriconoscibile. Nessuno scriverebbe in questo modo normalmente, si tratta quasi di uno sbeffeggio, una risata alla scrittura dai caratteri spigolosi e gotici di Aidan, questa così morbida e sinuosa, come uno specchio che rifletta l'opposto di ciò che ha davanti.

Mi basta leggere le prime righe per capire di cosa si tratta. Non sono un'esperta di maledizioni o veleni sovrannaturali, ma non ci vuole un profondo conoscitore come Aidan per riconoscerne uno, quando lo si ha davanti. È un dettagliato procedimento su come scagliare un maleficio utilizzando del veleno di basilisco come elemento primo. Una maledizione piuttosto complessa, ma spiegata con una precisione tale da risultare comprensibile ed attuabile da chiunque, perfino da chi non abbia passato del tempo a studiare l'occultismo e la magia. Una trascrizione parziale della pagina fotografata da Aidan.

“Tutto è iniziato il giorno dopo essere stata respinta da Jeiv. Nel mio armadietto, ho trovato una lettera come quella, con la stessa calligrafia. Era una lettera consolatoria, piena di calore e comprensione. Leggerla mi ha fatto stare meglio, mi ha aiutato a mitigare il dolore. Ogni giorno, sono arrivate nuove lettere in cui mi consolava...” si porta una mano alla bocca, come a voler soffocare le sue stesse parole, “E mi ha convinta a eseguire quella maledizione. Ho bruciato tutte le lettere, come mi ha chiesto, tranne questa.”

“Quindi ti sei fidata di una persona che non hai mai visto ed hai maledetto una persona condannandola a morire?” La campanella infrange l'atmosfera di sospensione in cui eravamo immersi. Aidan scuote la testa, rassegnato, facendomi cenno di seguirlo, alzandosi in piedi.

“Non lo sapevo!” l'urlo che esce dalla gola di Rui è disperato, “Non sapevo cosa sarebbe accaduto. Non credevo... Non appena ha smesso di venire a scuola, io ho saputo che era colpa mia, ma non volevo! Non volevo!” Mentre ci allontaniamo nel corridoio, la sento continuare ad implorare e piangere, ma non ho il coraggio di voltarmi, di guardarla mentre si accartoccia e crolla. Non ho nemmeno la forza di consolarla. È stato un suo errore, dopotutto... Non c'è perdono né consolazione, per queste cose.

Facciamo le nostre scelte e ne accettiamo le conseguenze. E prima o poi, in modi che non possiamo prevedere, queste tornano da noi.

Ora, sia Jeiv che Rui lo sanno bene.

Aidan rimane silenzioso per tutto il resto della mattina, affogando nei suoi pensieri e, per quanto tenti di parlargli, non sembra riservarmi più di una o due parole in risposta. C'è qualcuno che ha manipolato l'ingenuità e la solitudine di Rui, spingendola ad una vendetta apparentemente senza alcuno scopo. Qualcuno che conosce i punti deboli delle persone, che sa bene come muovere una persona, che riesce a vedere attraverso di essa. Qualcuno che si è rivolto al mondo del sovrannaturale, sfuggendo alla realtà come noi.

Chiunque sia in grado di comprendere una persona superandone l'aspetto e la maschera che indossa, è in grado di muovere gli altri a suo piacimento. È in grado di capire la vera natura delle persone, quando gli altri, che gli stanno accanto, non possono fare altrettanto, per quanto lo vogliano. Aidan è una di queste persone?

O anche la sua, alla fine, è solo una maschera, per rifugiarsi lontano dal mondo che lo disgusta?

Una maschera è quello che vogliamo mostrare agli altri, per nascondere quello che davvero si muove in noi. A volte, per nasconderlo perfino a noi stessi, perché ammetterlo sarebbe ancora più insopportabile che sentirlo incosciamente. Credo di capire perché Jeiv Kondras provi disgusto per Rui Miviel, non per il suo aspetto, non per la sua proposta, non per qualcosa che ha fatto, ma semplicemente per ciò che è. Per quel che rappresenta per lui; ed è per tale ragione, che mi è sembrato di scorgere un'altra persona, in lui. No, non un'altra persona, ma il vero se stesso, che abilmente tiene segregato al di là dell'identità che si è costruito, soffocando quel che era prima.

Rui Miviel lo disgusta, perché gli ricorda se stesso.

Alla fine delle lezioni, la musica del pianoforte è ancora udibile. Come un armonioso richiamo che sembra sospingerci, si avvicina e lenisce il nostro dolore, la nostra delusione, la nostra preoccupazione. Ma questa musica, in questo momento, alle orecchie di Aidan, suona come un avvertimento, qualcosa di beffardo, di sogghignante.

Di fronte al cancello di uscita, nel cortile, si volta a guardare la finestra aperta che dà sull'aula di musica, quasi sperasse di scorgere per un istante la figura di Evie Halliwell piegata sul pianoforte, immersa nell'esecuzione, come una ninfa, una creatura non di questo mondo, in quella stanza che appare come separata dalla nostra realtà.

Quante cose ti turbano, Aidan?

Mi fermo al suo fianco, azzardando a sfiorare piena di esitazione appena la sua spalla, “Stai bene?”

“Sì. Sì, certo. Stavo solo pensando...” sussurra con voce assente, “Non importa.”

A me importa.

Vorrei riuscire a dirlo, ma la mia bocca mi tradisce, la mia voce non vuole uscire.

A me importa sapere cosa pensi.

A me importa sapere cosa ti tormenta.

“—Va bene.”

Non è questo che avrei voluto dire. Forse non è nemmeno questo che lui vorrebbe sentirsi dire.

La mia mano sfiora appena il suo gomito, in un debole contatto, flebile, forse appena percepibile, un calore così lontano che dai miei polpastrelli raggiunge appena la sua pelle. Si ferma, le spalle che si abbassano, come se un peso fosse stato momentaneamente sollevato da esse.

Vorrei parlare, ma non riesco a dire nulla. Improvvisamente, anche solo pronunciare una parola è diventata un'impresa impossibile.

Solo una frase, è questo che mi basterebbe.

Ma è lui a riempire quel vuoto che si è creato, a colmare quel silenzio che non riesco più a rompere. Senza che si volti, mi sussurra, talmente piano che il vento minaccia di portare via le sue parole, “Quando tutto sarà finito... Ti risponderò. Ti dirò chi è Ayane.”

Stringo più forte la sua manica.

“Sì.”

Soffia un venticello che porta con sé le note dall'aula di musica.

Note e—un vago odore di tulipano.

 

 

 

   
 
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