Anime & Manga > Hakuouki
Ricorda la storia  |      
Autore: NihalDellaTerraDelVento    04/04/2017    2 recensioni
DAL TESTO: Io sono una spada!
Con rabbia scagliò nell’aria il primo fendente verso un nemico inesistente, o meglio, verso un nemico intangibile.
Io sono una spada!
Affondo.
Io sono una spada!
Taglio.
Io sono una spada!
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Chizuru Yukimura, Souji Okita
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Come foglie cadenti le sue speranze stavano venendo giù.
Perso in una crudele brezza il suo unico desiderio stava flebilmente appassendo.
Io sono una spada.
Si, lui era una spada, e le spade combattono, le spade si spezzano nel fragore della lotta.
Io sono una spada.
Le spade non dovrebbero essere lasciate ad arrugginire in un angolo, dimenticate da chi le soleva brandire.
Non era una persona dall’animo nobile, tantomeno si poteva dire che avesse un cuore puro.
Souji Okita era uno strumento, un oggetto inanimato che desiderava solo essere brandito.
Ecco perché non riusciva ad accettarlo: perché?
Perché proprio lui?
Mentiva a sé stesso dicendosi di aver smesso di porsi questa sciocca domanda, ma sapeva che, in realtà, era solo pura spavalderia. Non riusciva a non pensarci.
Perché?
Non era la paura della morte a generare questa domanda inespressa. Era una paura molto più infida e profonda: la paura di diventare inutile.


Era ironico. Aveva finalmente accettato sé stesso e aveva trovato lo scopo della sua esistenza. E, due anni dopo essersi finalmente compreso, stava appassendo.
Io sono una spada.
Come un mantra se lo continuava a ripetere.
Il suo aspetto, apparentemente, poteva essere quello di un giovane irriverente, sempre col sorriso sulle labbra, sempre allegro e sempre pronto a stuzzicare ed insultare il prossimo.
Ma quel suo sorriso non arrivava mai agli occhi, che restavano sempre glaciali e felini.
Era solo un assassino.
Lui sapeva -sapeva- che nessuno era attaccato a lui, e lui stesso non provava affetto per i suoi compagni, solo un lieve senso di cameratismo.


Obiettivi, ideali… ho provato, ma non riesco a capire queste cose. È difficile per me. Non ho nulla come uno scopo nella vita. L’unica cosa che so è che posso distruggere ogni cosa che si metta sulla strada di Kondou-san. La mia spada è semplicemente un oggetto per uccidere. Non sono diverso da una bestia.
Kondou-san crede che io abbia un cuore puro. Che possa diventare un grande spadaccino come lui. Cuore puro? Io non ho nulla del genere. Non importa quanto ci provi, non diventerò mai come Kondou-san.”



Proprio a causa della sua natura crudele niente e nessuno lo avrebbe mai fermato dal raggiungere il suo desidero: che fosse un amico, un nemico o lo Shogun stesso, Souji avrebbe ucciso chiunque avesse intralciato Kondou.
Eppure, una cosa, evidentemente, poteva fermalo; e non era un peso sulla coscienza o il rimorso. Era l’unica cosa contro il quale il temibile Souji Okita, capitano della prima compagnia dello Shinsengumi, genio della spada e terrore dei ronin era impotente: la tubercolosi.
Io sono una spada.

Quel giorno, sgattaiolò fuori dal suo futon, stanco e stressato di essere trattato come un bambino, dal momento in cui, almeno per gli altri, aveva solo un semplice raffreddore.
I passi lo portarono lontano da quella stanza che odorava di malattia e, col corpo debole per la febbre dei giorni passati, si incamminò verso il cortile.
Desiderava respirare aria pura, aria che non sapesse di sangue. Voleva sentirsi, almeno in parte, ancora vivo.
Con in mano una spada di legno andò verso l’unico ciliegio del cortile e si incantò a guardare le foglie autunnali cadere ai suoi piedi.
Io sono una spada.
Ma era una spada arrugginita, dello stesso colore delle foglie che stavano abbandonando l’albero.
Anche lui sarebbe presto appassito, per poi staccarsi e volare via fino ad arrivare per terra, dove sarebbe, infine, marcito.
Forse, prima Souji Okita era una spada, ma adesso era una flebile foglia d’autunno in balia del vento.
No.
No!
Io sono una spada!

Con rabbia scagliò nell’aria il primo fendente verso un nemico inesistente, o meglio, verso un nemico intangibile.
Io sono una spada!
Affondo.
Io sono una spada!
Taglio.
Io sono una spada!
Un altro fendente.
Un tempo avrebbe continuato così per ore, perso nella gioia di affinare le sue abilità, ma adesso, dopo appena quattro mosse, gli mancò l’aria.
Dovette fermarsi e, improvvisamente, un dolore sordo esplose al centro del suo petto, come se la sua carne stesse prendendo fuoco. Subito dopo arrivarono gli spasmi della tosse che sembrarono infiniti: ogni colpo non faceva che attizzare il fuoco nel suo petto.
Dopo quelle che parvero ore la tosse si placò e Souji, istintivamente, si guardò la mano: il rosso del suo sangue ricopriva il palmo.


-Maledizione! -


Con quella stessa mano diede al tronco un pugno che aveva la stessa potenza di una bestemmia.
Ma era stanco, sfinito per il tossire, non aveva più forze e si lasciò cadere per terra.


-…maledizione…-


Chissà, se avesse saputo come fare, forse, Souji avrebbe, per la prima volta, pianto.
Schiena contro l’albero tornò a fissare le foglie.
Giallo, rosso, marrone, arancione: quella danza di colori era a dir poco stupenda.
Ma Souji nel rosso vedeva il sangue sul suo palmo e nelle foglie sé stesso. Non riusciva a smettere di paragonarsi a quelle stupide foglie.


-Um, da quando sono così poetico? Oh, no. Che stia diventando come Hijikata-san? Ci manca solo che mi metta a scrivere haiku…-


Non c’era nessuno per cui inscenare quel sorriso o quell'atteggiamento petulante, eppure Souji lo fece comunque, quasi come a rimarcarsi di essere sempre lo stesso. Di essere una spada.
Io sono una spada.
Ma bastò guardare la spada di legno nelle sue mani per capire che non era più vero.
Okita Souji il guerriero era già morto. Restava solo questo corpo inutile.
Sarebbe, infine, rimasto indietro.
Io…
Perché gli occhi bruciavano?
Io…
Perché sentiva nel petto un dolore del tutto estraneo alla sua malattia?
Io sono…
Perché si sentiva così? Così dannatamente…
…solo.


-Okita-san! -


Una voce squillante lo riscosse dai suoi cupi pensieri.


-Okita-san. Cielo, dove si è cacciato? Perché si comporta come un bambino?! Okita-saaan! -


Seduto ai piedi del ciliegio, nascosto da un cespuglio, non c’era modo che potesse essere visto; ma lui vide chiaramente la persona che lo stava chiamando: aveva un aspetto così ingenuo e dolce che Okita stentava a credere che tutti pensavo fosse un uomo.
Chizuru.
L’espressione che aveva in quel momento era preoccupata, ma Souji la trovò comunque buffissima, come quella di un bambino capriccioso. Non poté trattenersi dal sorridere.
Non voleva farsi vedere, sapeva che sarebbe stato rimproverato per essere fuggito dalla sua camera, e allora si nascose meglio: voleva osservarla un altro po’.


-Okita-san! Ah, Saito-san, hai visto Okita-san? È scappato di nuovo. -


Improvvisamente l’espressione di Souji tornò cupa.
Mai avrebbe pensato che quello scricciolo di donna, così timida e impacciata, potesse essere così caparbia quando si trattava della sua salute.
Era l’unica persona ad essere a conoscenza delle sue reali condizioni.
Perché non l’aveva detto a nessuno? Perché stava mantenendo il segreto?
Vero, era stato lui a chiederle di farlo, ma non avrebbe mai immaginato che quella ragazza ne fosse davvero capace.


-Perché non mi hai tradito? -


Non capiva. In un mondo dove era stato tradito e abbandonato da tutti, persino da sue sorella, e solo Kondou gli aveva mostrato gentilezza, perché lei non lo aveva fatto?
Continuò a guardarla mentre, disperata, lo cercava per il cortile e si rese conto di non comprenderla. Lui l’aveva sempre trattata con sufficienza e minacciata di morte in ogni occasione, eppure lei, che in un primo momento era terrorizzata, adesso lo guardava dritto in faccia e gli stava accanto nella malattia.
Che fosse pietà? Lui odiava la pietà.
Non aveva risposta.
Eppure, non lo avrebbe mai ammesso, ma era quasi felice di non portare quel fardello da solo.
Lui, che della solitudine aveva fatto la sua casa, stava provando la gioia di condividere.
Strano…
Non sapeva perché, ma adesso quella ragazza non era più una minaccia, era…
Un compagno? Un’amica? Non aveva mai avuto nessuna delle due cose, quindi non lo sapeva.
Eppure lei era l’unica, oltre Kondou, a non averlo tradito.
Sentiva di fidarsi.
…Io… non sono più una spada…
Rimpiangeva la sua vecchia forza. Per la prima volta avrebbe potuto usarla per qualcos’altro oltre che per Kondou. Avrebbe davvero voluto aiutare quella ragazzina a ritrovare il padre.
Voleva vederla sorridere, perché quando sorrideva era ancora più buffa.
Ma non era più utile, nemmeno a lei.
Con un sospiro tornò a guardare le foglie. In quello stesso momento una si staccò, spinta dal vento, per poi cadere sulle sue gambe.
La prese, facendosela rigirare tra le dita, perdendosi in quel giallo ancora leggermente screziato di verde, immerso nuovamente in cupi pensieri.


-Okita-san! Sto andando a chiamare Yamazaki-san e Hijikata-san!!-


Ahia. Quella sì che era una minaccia seria. Se quei due avessero scoperto che era sgattaiolato via…
Souji mise giù la foglia con un sospiro, guardando solo per un istante la spada di legno con occhi piedi di rammarico prima di nasconderla tra i cespugli. Provò a pulire la mano insanguinata e, prima di uscire dal suo nascondiglio, mise su il migliore dei suoi ghigni.


-Ehy, ehy! Cosa sono queste minacce? Un povero samurai raffreddato non può neanche riposare in santa pace? Sai, mi sa proprio che dovrò ucciderti, Chizuru-chan. -


La ragazza ignorò completamente quest’ultima affermazione.


-Si può sapere dove sei stato? Sono ore che ti chiamo! Ore! Ero… ero… -


Lo sguardo di Chizuru, che prima lo aveva tanto divertito, stava diventando liquido.
Oh-oh…
Poteva leggerle in faccia che era preoccupata a morte, pensava che magari gli fosse successo qualcosa.
Souji si sentì improvvisamente colpevole. L’aveva fatta seriamente preoccupare.


-Su, su. Chizuru-chan. Sono qui, no? Come se mi potesse accadere qualcosa nel cortile! Magari una foglia autunnale avrebbe potuto attaccarmi! -


Non l’aveva convinta.
Allora allungò una mano e cominciò a strofinare la testa della ragazza: era una sensazione strana, non l’aveva mai toccata prima. I capelli di lei erano morbidi sotto la sua mano piana di calli, frutto di una vita passata a brandire la spada.


-Va tutto bene, Chizuru. Non preoccuparti…-


Lei lo guardò dritto negli occhi, ancora preoccupata e Souji provò a sfoderare il migliore e il più sincero dei suoi sorrisi.


-… e poi, ricordi? Se diventi troppo noiosa potrei ucciderti! -


Glielo disse dandole un pizzicotto sul naso prima di allontanarsi, braccia dietro la testa, ridendo di cuore.
Era troppo divertente prenderla in giro.
Dopo un paio di passi si voltò verso di lei, ancora ferma sul posto e rossa in viso.


-Quindi? Andiamo Chizuru-chan? -


A rapidi passi lo raggiunse e si incamminarono verso l’edificio, lei con su il broncio, lui sinceramente divertito dall’espressione di lei.
Per un attimo l’espressione di Souji tornò seria mentre osservava Chizuru.
Vorrei aiutarti, davvero. Ma sappiamo entrambi che non accadrà. Perché non ti allontani da me? Siamo due esistenze diverse: tu così buona e innocente e io… io sono senz’anima, per di più sono inutile. Perché stai al mio fianco, Chizuru?


-Okita-san, tutto bene? -


Sotto lo sguardo preoccupato di Chizuru, Souji tornò a sorridere.


-Oh, sì. Tutto bene! Cosa ci sarà per cena? Sono affamato. -


-Non dire bugie, fai sempre storie per mangiare! Sembri quasi un bambino. -


-Oh, crudele, Chizuru-chan! Non trattarmi così. -


...


Mentre si allontanarono nessuno dei due potè vedere che, sul ciliegio alle loro spalle, una piccola foglia aranciata restava imperterrita attaccata all’albero, resistendo al vento e all’incalzare delle stagioni.

 

 
 
 
"Ti voglio proteggere,
ti voglio proteggere.
Quando questo corpo marcirà completamente
mi chiedo che cosa guarderò,
di cosa mi preoccuperò
mentre continuerò a camminare.
 
Ti voglio proteggere,
ma non ti posso proteggere.
Ti invito ora a fare una promessa:
non importa quante volte rinascerò
andrò
nel posto pieno di luce che filtra attraverso gli alberi
dove sei tu.

Anche se io
e tu
venissimo divisi,
per sempre
io ti amerò."

Yume-A True Love Tale (Hakuouki Sekkaroku ENDING 1)

 






NOTE AUTRICE: ultimamente parlare coi membri dei vari fandom mi fa bene: parlo e mi sale l'ispirazione per una fiction.
Devo essere onesta, ho in mente di scrivere qualcosa su Okita da una vita.
Ho conosciuto Hakuouki (il gioco) e dopo mi sono interessata all'anime e, lo ammetto, mi ha rubato il cuore.
E' una storia bellissima, struggente, fondata su saldi fatti storici e con personaggi ottimamente caratterizzati.
Non scherzo quando dico di essermene innamorata o quando dico che è il miglior otome a cui abbia mai giocato.
Souji Okita mi ha particolarmente colpito e fatto innamorare. 
Comunque, precisazioni:
-la parte tra virgolette all'inizio non è farina del mio sacco, è una frase che Okita dice davvero nel gioco Hakuouki-Reimeiroku.
-il testo messo alla fine viene dalla prima ending del primo OAV e, dato che è un episodio dedicato ad Okita, la canzone parla di lui. Vi consiglio di leggervi tutto il testo e di preparare i fazzoletti.
-le parti dove Okita chiama Chizuru semplicemente "Chizuru", senza il -chan, non sono dimenticanze, ma l'ho volutamente omesso per sottolineare la serietà delle parole di Souji.
Dalla regia è tutto.
Vi piace? Ho reso giustizia a Souji?
Io spero di si, spero anche di ricevere le vostre opinioni in merito.
AGGIORNAMENTO 4/4/2017: piccoli errori corretti e modifica di alcune frasi.
Nihal.

 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Hakuouki / Vai alla pagina dell'autore: NihalDellaTerraDelVento