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Autore: chloecantsleep    04/04/2017    1 recensioni
Come Tachihara scoprì che Gin è una ragazza
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gin Akutagawa, Michizou Tachihara
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Tachihara mandò giù un sorso del liquido scuro che gli era appena stato servito in una tazzina fumante. Tutte le mattine prima di andare al lavoro, si fermava in quel bar per godere del tepore e la bontà di quell’ottimo caffè che lo aiutava a svegliarsi e gli dava la carica necessaria per poter piantare proiettili in testa ai nemici con precisione.
Sedeva sempre allo stesso tavolino, in fondo al locale, vicino all’enorme vetrata che dava sulla strada, così poteva vedere il viavai di persone e automobili sulla strada sotto il cielo che lentamente si tingeva di azzurro. Quella vista lo aiutava a rilassarsi e a svuotare la mente almeno un po’, prima di andare al lavoro, e fu proprio mentre osservava tutto quell’andirivieni, che l’elegante e leggiadra figura di una ragazza gli saltò all’occhio. La sua bellezza spiccava in mezzo alla folla, e Tachihara venne totalmente rapito dal suo corpo esile e i suoi lunghi capelli neri.
Quel giorno la fortuna – o forse il fato? – aveva deciso di stare dalla sua parte, portando la fanciulla all’interno di quello stesso locale. Seguì ogni suo movimento con lo sguardo, da quando fece il suo ingresso, a quando se ne andò. Si era avvicinata al bancone del bar, e senza nemmeno sedersi, aveva ordinato il suo caffè, lo aveva bevuto velocemente e se ne era andata alla stessa velocità con cui era arrivata.
Non era riuscito a cogliere l’attimo andandole a parlare – non aveva nemmeno avuto il tempo di prepararsi un discorso mentale che avesse avuto un senso –, ma la fortuna volle restare dalla sua parte ancora una volta, riportando la ragazza in quel bar anche le mattine che seguirono.
Rimase ad osservarla a lungo prima di decidersi a farsi finalmente avanti, non perché fosse timido, non lo era mai stato, ma perché si rendeva conto che le sue doti di abbordaggio fossero estremamente scarse. Finiva sempre per risultare invadente o un completo idiota che non riusciva a formulare una frase sensata.
Pensò che cominciare con un gesto semplice come offrirle il caffè sarebbe stato il più opportuno in un contesto come quello. Si alzò dal suo posto e si diresse verso il bancone del bar dove era appena stato servito il caffè alla fanciulla.
“Glielo pago io” esordì senza esitazione.
Lei si voltò verso di lui per vedere in volto chi avesse appena parlato, e sussultò nel constatare che il ragazzo accanto a lei era lo stesso Tachihara con cui lavorava in squadra. Perché la giovane che tanto aveva attirato la sua attenzione, altri non era che Gin.
Sentì il volto prendere calore e fu tentata di scappare, ma si rese conto che sarebbe potuto risultare sospetto e peggiorare la situazione. Cercò di mantenere la calma e di comportarsi normalmente, come se nulla fosse, tuttavia non riuscì a godersi il caffè e lo bevve più in fretta del solito per allontanarsi il prima possibile da Tachihara, sperando che non l’avesse riconosciuta.
Se Gin si ripresentò in quel locale, fu solo perché era il più vicino a casa sua e il caffè che servivano soddisfaceva i requisiti del suo palato. Inoltre sperava che si arrendesse, siccome il giorno prima lo aveva completamente ignorato, finendo addirittura per pagarsi il caffè da sé.
Sperava male.
Il suo atteggiamento non lo aveva scoraggiato per nulla, e il giorno seguente tornò alla carica. Questa volta, però, prese a cianciare insopportabilmente di cose inutili, tanto che Gin si chiese se davvero fosse più idiota di quel che credeva, tanto da non rendersi conto di starla mettendo a disagio, o se era un suo passatempo cercare di rimorchiare la prima che gli passava davanti. Iniziava a sentire il bisogno impellente di metterlo a tacere piantandogli un coltello in gola, quando, finalmente, si decise a stare zitto.
“Posso sapere almeno il tuo nome?” domandò lui dopo aver sospirato.
Gin gli rivolse per la prima volta uno sguardo, seppur truce, da quando le si era avvicinato.
“No” rispose fredda e diretta, congedandosi subito dopo.
Ancora una volta era stato brutalmente respinto senza riuscire a capacitarsi del perché, ma non avrebbe lasciato perdere così facilmente, non avrebbe atteso un altro giorno per riuscire a parlarle o anche semplicemente per rivederla. Uscì dal locale non appena quell’idea malsana gli balenò per la mente, e cominciò a seguirla, avendo cura di mantenersi a debita distanza da lei. Dovette ammettere che non avrebbe mai immaginato di cadere così tanto in basso da arrivare a pedinare una sconosciuta di cui si era infatuato. Credeva che avrebbe rischiato di fare tardi al lavoro per quella che gli altri avrebbero considerato una sciocchezza, ma più proseguiva, più si rendeva conto che quella era la stessa strada che percorreva ogni mattina per raggiungere il quartier generale della Port Mafia. Pensò fosse una coincidenza e non ci fece troppo caso.
La vide allungare improvvisamente il passo, trovandosi costretto ad adeguarsi al suo ritmo. Che lo avesse notato era impossibile. Era stato prudente, nessun comune mortale sarebbe stato in grado di accorgersi di lui.
La perse di vista quando girò l’angolo, corse più velocemente possibile per raggiungerla, ma quando svoltò anche lui si ritrovò in un vicolo, dove l’unica via di fuga era oltre una rete alta un paio di metri, e di lei nessuna traccia. Nella sua testa iniziò ad insinuarsi il dubbio che lei non fosse seriamente una comune mortale, ma qualche essere sovrannaturale – avrebbe spiegato anche cotanta bellezza –, ma non gli sembrava plausibile come ipotesi. Avrebbe dovuto solo fare più attenzione ed essere più rapido, per ora non gli restava altro che aspettare la mattina successiva.
Si recò nel locale prima del solito. Alle sei in punto era già seduto al tavolino, con il caffè bollente davanti, intento ad osservare Yokohama che si svegliava. I minuti passavano, ma della ragazza nemmeno l’ombra. Era in ritardo? O aveva esagerato nel seguirla e l’aveva spaventata? In quel caso non sarebbe più tornata.
Era passata più di un’ora ormai, e Tachihara aveva perso le speranze, rassegnandosi all’idea che, molto probabilmente, non l’avrebbe più rivista. Si alzò dal suo posto e uscì dal bar accompagnato dal tintinnio della campanella sulla porta.
Rischiò anche di fare tardi al lavoro a causa del tempo che aveva perso ad aspettare la sua fiamma. Ma per quanto fosse iniziato disastrosamente quel giorno, non finì altrettanto male.
Quando lasciò l’enorme edificio che ospitava il quartier generale della Port Mafia era tarda sera. C’erano solo i lampioni ad illuminare la strada che Tachihara stava percorrendo, la luna era nascosta dalle nubi. Camminava guardandosi distrattamente intorno, a quell’ora non c’era quasi mai nessuno in giro da quelle parti, e a lui piaceva godersi la quiete di Yokohama.
Quella sera, però, non era completamente solo. Se ne rese conto quando, volgendo lo sguardo verso il marciapiede dall’altro lato della strada, notò un’altra persona percorrere quella stessa via. Non la riconobbe immediatamente a causa della scarsa illuminazione, ma quando la luce di uno dei lampioni le rischiarò il volto, capì di chi si trattava: era riuscito a ritrovare la ragazza di cui si era invaghito. Doveva essere per forza destino, o forse la fortuna lo amava.
Continuò a seguirla da quella distanza, anche se, per meglio dire stavano solo andando nella stessa direzione, finché, ancora una volta, lei non sparì tra le mura di un vicolo. Il ragazzo attraversò la strada per non perderla di vista, e si addentrò anche lui lì, badando bene a non farsi scoprire anche questa volta.
Il vicolo era buio a causa degli alti palazzi ai lati della stretta strada che non lasciavano passare la poca luce presente la sera. Nella penombra, Tachihara riusciva a distinguere la silhouette della ragazza che camminava silenziosamente, non si poteva udire un solo suo passo. Lui, però, non fu altrettanto quieto. Immerso nell’oscurità del vicolo non riusciva a vedere dove metteva i piedi e inciampò. Il rosso perse un battito quando Gin smise di camminare all’improvviso; rimase ferma per alcuni istanti con tutti i sensi in allerta, così che potesse riuscire a percepire qualsiasi eventuale movimento nel vicolo. Si voltò nella sua direzione, e lui pregò con tutto se stesso che il buio fosse sufficiente a nasconderlo. Tirò un sospiro di sollievo quando la vide tornare sui suoi passi, e riprese ad avanzare anche lui, cercando di fare più attenzione. Tuttavia ogni suo sforzo era stato inutile: Gin si era, infatti, accorta comunque della sua presenza, e se ne rese conto nel momento in cui se la ritrovò a pochissimi centimetri da sé, così velocemente che se avesse voluto ucciderlo non se ne sarebbe nemmeno accorto, col suo coltello puntato alla gola. Si guardarono dritti negli occhi per lunghi, interminabili secondi, e fu allora che la riconobbe. Il coltello era quello che usava sul posto di lavoro, la sua furtività e velocità peculiari, e quegli occhi grigi inconfondibili… Non poteva starsi sbagliando, era proprio lei.
“Gin?” sussurrò il suo nome in preda allo stupore.
Non era facile accettare il fatto che per tutto quel tempo aveva corteggiato una sua collega che, come se non bastasse, credeva fosse un uomo.
“Eri solo tu!” sbraitò lei quando si rese conto di chi stava per accoltellare. Credeva di essere pedinata da qualche membro di qualche organizzazione nemica che la voleva morta; capitava spesso quando si faceva parte della Port Mafia, e lei era stata messa spesso in guardia da quel tipo di situazione, perciò era sempre pronta a reagire. Ma questa volta si era solo scavata la fossa da sola.
Nessuno dei due disse nulla, si fissarono a vicenda in silenzio per alcuni istanti che ad entrambi parvero anni. Fu Tachihara il primo a proferire parola: “Quindi… Sei una ragazza?”
“Non ci arrivi da solo?” rispose lei acidamente.
Lui si maledisse mentalmente nel rendersi conto di quanto sciocca e ovvia fosse quella domanda: “S-sì, giusto” balbettò lui messo in difficoltà dall’ostilità della ragazza nei suoi confronti, perciò decise di evitare altre domande sulla faccenda, nonostante fosse curioso di sapere perché si spacciava per un ragazzo.
Gin sospirò cercando di calmarsi: “Ti chiedo solo di mantenere il segreto” disse poi seria: “Pensi di esserne in grado?” domandò con una punta d’ironia nella voce.
Tachihara sembrò pensarci su per un momento, poi annuì e disse: “In cambio mi lascerai tenerti compagnia la mattina?”
In un primo momento, lei lo guardò di traverso, ma poi pensò che le sue intenzioni non erano cattive in fondo, e non doveva essere una così pessima passare del tempo con lui prima di andare al lavoro.
“Come vuoi” disse, poi riprese a camminare verso la fine del vicolo.
“Posso accompagnarti fino a casa?”
Gin si fermò quando udì di nuovo la voce del ragazzo, e si voltò a guardarlo. Probabilmente il suo sguardo non doveva essere risultato molto amichevole, visto il sussulto che scosse Tachihara.
“Solo se vuoi, ovviamente…” aggiunse quando si accorse che sarebbe potuto risultare invadente.
“Non ce n’è bisogno, so badare a me stessa” rispose freddamente lei.
Stava per tornare sui suoi passi, quando si rese conto che con la sua risposta così diretta poteva averlo ferito, ed effettivamente Tachihara non poteva negare di esserci rimasto non poco male.
“Però… Se vuoi, fai pure” si rimbeccò arrossendo appena, e rivolgendogli un leggero sorriso. Il primo da quando si conoscevano.
Tachihara ricambiò il sorriso, la raggiunse in pochi passi, per poi avviarsi insieme a lei verso casa.

 
   
 
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