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Autore: Andy Black    04/04/2017    1 recensioni
Un uomo senza scrupoli dona ad un altro uomo senza scrupoli l'opportunità di tornare nel suo tempo, dal quale era stato bandito, imprigionato ed incatenato in una cella d'un tempio di mille anni prima. Lionell Weaves tornerà nel presente carico d'odio, pronto per consumare la vendetta che bramava da tempo nei confronti della figlia, oracolo e cristallo di Arceus, secondo le sue fonti. Il suo obiettivo è sempre lo stesso: uccidere sua figlia Rachel e recuperare il cristallo di Arceus, da consegnare al malvagio Xavier Solomon. Tuttavia l'intera Unione Lega Pokémon avrà qualcosa in contrario e farà di tutto per fronteggiare la minaccia di un mondo senza un dio.
[Diversi personaggi][OldrivalShipping, CandleShipping, SpecialJewelShipping e tanto altro][Storia con linguaggio volgare e parti violente];
Buona lettura;
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Green, N, Nuovo personaggio, Silver, Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Manga, Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Pokémon Courage'
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20. Rovine


 
Sinnoh, Evopoli, Casa di Gardenia
 
La neve quella mattina s’appoggiava debole sui tetti già candidi della città. Talvolta scivolava giù ma lo faceva di rado, cadendo in mucchi grossi e piccoli e inondando i vialetti delle villette a schiera di Coronet Street. Evopoli era una bomboniera, soprattutto in inverno, quando una mano di bianco donava eleganza a quella perla tra due valve fatte di boschi e montagne.
La prima casa di Coronet Street, o l’ultima se si procedeva dal senso opposto, era quella della Capopalestra di quel luogo meraviglioso, Gardenia.
Il suo programma quotidiano era parecchio duro dato che, essendo una figura importante per l’intera città, doveva essere costantemente sul pezzo. Quindi sveglia all’alba, indossava una tuta e scendeva in cantina, che aveva sapientemente trasformato in palestra personale. Lei e i suoi Pokémon cominciavano con un’ora di esercizi, fino a quando l’orologio non segnasse chiaramente che fossero le sette. Una volta finiti gli allenamenti si spogliava e si lavava velocemente, quindi si asciugava, piastrava i capelli e indossava quella fascia nera che le permetteva di tenere i ciuffi ribelli lontani dagli occhi.
Mangiava due frutti e alle nove era già nei suoi uffici, nella Palestra che si trovava proprio al centro della città.
E lavorava, lavorava duramente, almeno fino a mezzogiorno. Se aveva l’opportunità di uscire, cioè, se in quel momento non stava lottando contro qualche sfidante, evadeva per cinque minuti, si sgranchiva le gambe e prendeva un caffè al bar della strada di fronte. Ma poco dopo era di nuovo la Capopalestra, sistemava la fascia nei capelli e tornava al lavoro. Fino alle quattordici, quando aveva un’ora per mangiare.
Preferiva farlo al sole, cosicché i suoi Pokémon si nutrissero con lei. Del resto era entrata in simbiosi con quelle creature d’erba; erano con lei per la maggior parte della sua giornata.
Alle quindici era di nuovo in Palestra e smontava alle diciotto. Passava per il supermercato, comprava una baguette e delle verdure, più qualcosa da cucinare come portata principale.
Si divertiva a fare la spesa, poteva ascoltare le sue necessità e dare importanza ai suoi vizi.
Tornava poi a casa, infilava nuovamente la tuta e correva per un’altra oretta sul suo tapis-roulant, prima di farsi un bagno rilassante di almeno mezz’ora, con le candele accese e gli oli profumati a creare un’atmosfera piacevole.
Si asciugava nuovamente, infilava il pigiama e cucinava mentre ascoltava il radiogiornale. Soleva mangiare ascoltando un po’ di musica rilassante quindi, a giorni alterni, leggeva un buon libro o vedeva un film alla televisione.
Alle ventitre esatte era nel suo letto, e dormiva.
La vita della bella Capopalestra era questa, sostanzialmente. Doveri e piacere riuniti in ventiquattro ore.
Ma se nevicava tutto saltava.
I suoi programmi erano rigorosamente per un clima dove il sole, al massimo la pioggia, baciavano il suo mondo.
La neve non era contemplata tra le possibilità.
Da qualche mese a quella parte Marisio si era trasferito da lei. Ormai si frequentavano da un po’ di tempo e gli obblighi professionali della donna avevano costretto il ricco Allenatore ad allontanarsi da Canalipoli, dove viveva, muovendosi verso est.
E a Gardenia faceva piacere. Non solo perché le piacesse la compagnia, in particolare quella di quell’uomo, ma anche perché con lui poteva riempire in maniera più divertente i vuoti delle sue giornate.
Capitava spesso che si allenassero assieme.
Anche la doccia la facevano assieme.
Verso ora di pranzo lui portava il cibo alla Palestra, e mangiavano assieme fino a quando lei non rientrava. A fine turno lui era lì, a controllare che tutte le finestre fossero chiuse.
Andavano poi al supermercato assieme, facevano la spesa, si allenavano e facevano un’altra doccia.
Poi mangiavano e guardavano un programma in tv.
O magari facevano un’altra doccia.
Insomma, la vita di Gardenia era rimasta sostanzialmente la stessa. Era cambiata soltanto la sua attività sessuale, oltre al pigiama, più elegante e sexy di quello che soleva indossare.
La routine però quel mattino fu sconvolta. Quando si svegliò quel mattino, l’orologio segnava le quattro e quarantaquattro. Era in anticipo rispetto alla tabella di marcia.
Marisio si scoprì leggermente ma sapeva che Gardenia si sarebbe svegliata non appena avesse mosso le coperte, e infatti così fu.
“Già te ne vai?” domandò lei, con voce compressa. Accese la luce, stringendo subito le palpebre non appena il bulbo s’illuminò.
“Sì, devo arrivare rapidamente a Giubilopoli. Ho il check-in alle sei e mezza e l’aereo partirà poco dopo”.
“Ti accompagno” fece, scoprendosi a sua volta e sistemando il pigiama, che era salito e aveva lasciato nuda la pancia.
Marisio sorrise, silenzioso come sempre.
“Che c’è?” domandò Gardenia, divertita.
“Sei davvero meravigliosa”.
“Ma grazie!” esclamò, inginocchiandosi sul letto e baciando l’uomo che amava. “Com’è il tempo fuori?”.
“Ancora neve”.
“Uff...” sbuffò lei, con i capelli arruffati sulla fronte.
Marisio si limitò a sorridere, tirando a sé la donna e baciandola ancora, con più passione.
“Starò via per pochi giorni. Credo che domani potrei essere già di ritorno”.
“Ti aspetterò a braccia aperte. Ma non conosci i motivi di queste convocazioni?”.
“No” disse l’uomo, sbottonando la camicia del pigiama e rimanendo a petto nudo. Leggera peluria scura cresceva ordinata e verticale e partiva dall’ombelico fino a nascondersi oltre il bordo dei pantaloni del pigiama. Gardenia la carezzava spesso, nei momenti d’intimità.
“Mi pare molto strano che la Lega di Kanto e Johto ti abbia contattato personalmente. Hai fatto qualcosa di male?”.
“Io non faccio mai nulla di sbagliato. Almeno non con coscienza” rispose, sfilando anche il pezzo di sotto. S’avviò in boxer nel bagno della camera, seguito subito dopo dalla donna.
“Aspettami” disse quella, sfilando la camicetta e rimanendo soltanto con gli slip. Levò anche quelli e rimase davanti allo specchio, guardando il riflesso del volto stanco e i capelli spettinati, acconciati solitamente in quel carré fulvo. Cercò di ammaccare la capigliatura con la mano ma non ci riuscì, scatenando il sorriso dell’uomo, che le scivolò alle spalle e le baciò il collo, carezzandole addome e seno.
“Sei bellissima...”.
“Non ho un filo di trucco, Marisio... Non dire assurdità... Con la capigliatura post-coito e le occhiaie scavate...” sorrideva lei, voltandosi e aprendo l’acqua della doccia.
Lo baciò una, due, tre volte, carezzando quel viso che cominciava a pungere.
“Devi raderti...” sorrise poi, grattando con le unghie le guance dell’uomo.
Mostrò a sua volta il sorriso, Marisio, baciandole la punta del naso. “Hai ragione”.
“Non puoi presentarti così trasandato”.
“Non sono trasandato”.
Allungò poi la mano verso l’acqua che scendeva dalla doccia. Era ancora fredda. La stessa mano strinse poi la donna e le carezzò il collo; dalle dita cadde una piccola goccia, che le percorse l’intera lunghezza della schiena.
Gardenia rabbrividì, inarcò la schiena e chiuse gli occhi. Quando li riaprì si ritrovò davanti lo sguardo di Marisio, grigio come il cielo di quel mattino.
“Sei meravigliosa...”.
Noncurante della temperatura dell’acqua, Gardenia trascinò il suo uomo sotto il getto della doccia.
 
*
 
Aveva viaggiato per circa un’ora in volo sul suo Salamence e aveva raggiunto Giubilopoli.
Era sceso al volo dal suo Pokémon, poggiando le scarpe di pelle nera sulla passerella d’ingresso dell’aeroporto. Il suo bagaglio era un pratico trolley grigio, che lo seguiva fedelmente.
Un paio di ragazze, in viaggio verso qualche meta esotica, lo riconobbero e si voltarono, meravigliandosi di come il vestito blu gessato gli cadesse a pennello sulle spalle e sulla vita.
Era un bell’uomo, con quegli occhi dallo sguardo profondo e i capelli pettinati, tirati indietro.
Elegante, salì sul volo che diverse ore dopo lo avrebbe fatto scendere a Johto.
Si sedette sul sedile 16P, posto finestrino, e si perse a guardare fuori per qualche minuto, fino a quando qualcuno non si avvicinò.
“No! Il posto finestrino è già occupato!”.
Marisio conosceva quella voce, gli era molto familiare. Si voltò, vedendo Matilde fissarlo con più attenzione.
“Ma tu...” fece lei, spalancando poi gli occhi. “Marisio!” esclamò, sorridendo. L’uomo emulò il sorriso e se la ritrovò addosso, in una stretta fin troppo amichevole.
“Hey, Matilde... ciao...”.
Quando quei due si conobbero erano in una situazione assai critica, col Team Galassia che minacciava l’intera Sinnoh. E la ricordava, praticamente una bambina, aveva poco più di dieci anni, e portava i capelli in maniera davvero vistosa. Marisio ricordava anche la camicetta bianca con i lustrini rosa, che aveva indossato nei giorni in cui avevano contribuito alla pace. Poi confrontò quell’immagine con l’ormai donna che aveva davanti, con i denti dritti e i capelli legati in una lunga coda di cavallo, una sola, che scendeva ripida lungo la schiena.
“Non ti vedevo da anni! Come stai?!” chiese quella, espansiva come sempre.
L’uomo annuì, mantenendo l’espressione divertita sul volto. “Tutto bene. Tu, invece?”.
“Mah... sono un po’ contrariata del fatto che non ci sia nessun altro aereo per Johto prima di martedì... del resto la convocazione è per oggi. Ma arriveremo!” rispose.
Neppure la sua logorrea era cambiata.
“Convocazione a Johto?”.
“Ah, già! Non dovevo parlarne!” si rammaricò, inarcando le sopracciglia.
“Lance?” domandò l’altro, vedendola annuire.
“Sì. Ho ricevuto proprio ieri quella telefonata ed è stato tutto così... strano... Cioè, Lance ha chiamato proprio me!”.
“Ha contattato anche me”.
“Oh... Allora ci saranno anche gli altri, sicuramente!” sorrise quella, felice.
Marisio allungò il collo e si guardò attorno. Vedeva soltanto teste senz’identità che spuntavano dalla cima dei sediolini.
“Non lo so. Sai perché ci hanno chiamati?”.
“No, a dire il vero... Spero per qualcosa di bello. Sono stata a Hoenn e Kalos ma mai a Johto. Dicono che sia piena di storia, che sia bellissima e che...”.
“È vero. È così”.
“Ci hanno chiamati...” interruppe qualcuno alle loro spalle. “... perché devono parlarci di lavoro”.
Matilde e Marisio si voltarono, vedendo Chicco appoggiato tra i sediolini. La ragazza spalancò gli occhi, di quello strano color violaceo, e si avvinghiò al suo collo.
“Ci sei anche tu?! Che bello!” esclamò.
“In realtà ci siamo tutti...” fece il ragazzo, cercando di divincolarsi dalla presa, senza successo.
Marisio si alzò in piedi, fissando Chicco negli occhi. Ormai era diventato un uomo fatto e finito: aveva abbandonato quella capigliatura strana, adottandone una più consona, con i capelli rossi, sciolti, lunghi fino alle spalle. La carnagione era rimasta sempre la stessa, olivastra, e permetteva ai suoi occhi, di quel color cremisi così acceso, di risaltare.
“Porti il pizzetto, ora?” sorrise Marisio, quasi prendendolo in giro. Gli strinse la mano e, sporgendosi, fu in grado di vedere, accanto a lui, Demetra e Risetta.
“Che bello! Ci siamo davvero tutti!” esclamò Matilde, appurando come le due donne non fossero cambiate di una virgola.
Demetra riposava, con la testa piegata verso destra, e la lunga e classica treccia smeraldina poggiata sul seno.
“Cerchiamo di non urlare” ribatté Marisio.
“Oh, per quel che mi riguarda dovreste starvene totalmente zitti” rispose asettica Risetta, scatenando il sorriso nel suo vicino di sedile.
“Certo. La mia donna è rimasta sempre la persona più espansiva del mondo”.
“State assieme, ora?! Non ci posso credere!” esclamò nuovamente Matilde, stringendo i pugni.
“Sì. Non è da molto”.
Marisio guardò Risetta e le fece un cenno col capo. Lei lo guardò come sempre, con lo sguardo di chi non era interessato a nulla. Ciò scatenò il sorriso in Chicco.
“Non cambierà mai... non prendertela, amico”.
“Figurati”.
“Ti sei tirato a lucido, vedo!” sorrise, dando una pacca sulla spalla dell’uomo.
“Visto quanto sta bene?!” esclamò invece Matilde.
“Volevo essere presentabile. Ma... quindi non si sa di preciso di cosa stiamo andando a parlare?”.
“No” rispose l’altro. “So che si tratta di lavoro, e so che è stato Lance a chiedere di noi perché mio fratello Vulcano ha parlato con Camilla, che a sua volta ha parlato con lui” concluse, grattandosi il mento.
“Stai seduto, che tra un po’ si parte. Avrete tempo di fare i piccioncini quando saremo coi piedi per terra... Odio gli aerei” replicò Risetta, costringendo tutti a sedersi ai propri posti. Marisio notò come non fosse cambiata di una virgola: stessa capigliatura a maschietto, corvina, stessi occhi truccati pesantemente e stesso vaffanculo stampato sul viso.
Obbedì anche lui alla Stat Trainer e si mise a sedere.
Sarebbero partiti mezz’ora dopo, ma al momento del decollo tutti ormai dormivano.

 
Kanto, Altopiano Blu, Sala Riunioni della Lega Pokémon Unificata di Kanto e Johto

Lance era l’ultimo a dover accedere nella grande stanza adiacente alla Sala D’Onore. Non aveva finestre, non c’era possibilità di guardare verso l’esterno.
In ogni caso avrebbero visto da vicino una delle pareti inferiori del Monte Argento, nel quale era stata scavata quella stanza.
Caldi luci gialle addolcivano l’ambiente, mentre l’atmosfera era chiaramente tesa.
C’erano quattro sedie vuote accanto a Jasmine, e Angelo, Valerio e Sandra parevano pensierosi. Lorelei sedeva proprio subito dopo la cugina di Lance, prima che la grossa tavolata fosse interrotta dalla sedia vacante del Campione. Dall’altra parte vi erano in Superquattro, con Karen che apriva la fila e Bruno che la chiudeva. Koga e Pino erano seduti tra i due, il primo serio e il secondo con un leggero sorriso sul volto. Infine vi erano i cinque Stat Trainer, atterrati a Fiordoropoli un paio d’ore prima. Avevano atteso qualche minuto prima che un elicottero della Lega li prelevasse e li portasse sull’Altopiano Blu.
C’erano ansia e tensione, dal lato più vuoto del tavolo. Era la prima volta che Chicco vedeva da vicino Jasmine, che era peraltro la fidanzata di Corrado. Sapeva che fosse a Johto da qualche tempo.
Tuttavia il volto della donna non pareva essere dei più felici. Ricordava di aver visto, tramite suo fratello Vulcano, la fotografia di quella donna e aveva pensato che fosse molto bella; invece, quello che aveva davanti, era il dipinto di una donna rasa al suolo. Indossava una maschera di disperazione che non le si addiceva e anche Valerio aveva la stessa espressione sul volto; al contrario, Angelo sembrava essere più tranquillo, nonostante non riuscisse a smettere di giocare con la fede che portava al dito. Infine guardò Sandra, che non smetteva di sospirare e di guardare verso il basso.
Sentiva la tensione.
Pochi secondi dopo il Campione fece il proprio ingresso nella stanza, indossando il solito giubbino di pelle rossa. Lo smontò, rimanendo soltanto con un’aderentissima maglietta nera.
“Benissimo, ci siete tutti. Innanzitutto comincio con un breve riepilogo” fece, sedendosi. Stropicciò gli occhi, mentre parlava, quasi a volersi nascondere dagli sguardi che aveva davanti.
“Le rovine d’Alfa sono state attaccate da un gruppo di mercenari, l’altra notte. Volevano rubare i mosaici e, tranne che per quello nella Sala 1, ci sono riusciti... Erano capeggiati da...” e allungò poi la mano destra verso Jasmine. “... da una donna che le assomiglia in tutto e per tutto”.
Matilde strinse gli occhi e appuntì lo sguardo.
“Una sosia?”.
“No. È più complicato di così. In ogni caso...” sospirò, stropicciandosi l’occhio destro. “... durante l’intervento dei Capipalestra hanno perso la vita Chiara, Furio, Raffaello e Corrado, che era in congedo autorizzato dalla Lega di Sinnoh a Olivinopoli...”.
Ancora una volta, l’attenzione generale della gente si spostò su Jasmine, che abbassò lo sguardo e sospirò. Era nota a tutti la relazione che la donna aveva intrapreso col Capopalestra di Arenipoli, e la notizia della sua morte non era certamente passata inosservata. Una lacrima prese a scenderle silenziosa sulla guancia, mentre Valerio, accanto a lei, cercava di rincuorarla stringendole una mano. Chicco li scrutava con occhi pesanti.
“Credo sia meglio che tu esca a prendere un po’ d’aria...” le fece Lance.
“H-hai ragione... È inutile che io stia qui...”.
Cercò di reggere l’impalcatura d’autocontrollo che si era costruita, fino a quando l’ansia non la costrinse ad alzarsi in piedi. Il bordo del lungo maglioncino bianco le cadde sulle ginocchia.
“Andrò via da qui”.
“Aspetta” la fermò Lance. “Voglio sapere se continuerai a mantenere le tue responsabilità come Capopalestra di Olivinopoli e guardiana del faro”.
La donna abbassò lo sguardo, sconfitta da quelle ore di terrore, senza sonno né speranza. Si voltò, tornando al tavolo e poggiando le mani sul piano freddo e ricoperto di scartoffie.
“Io non voglio...” sospirò, con le lacrime che scendevano copiose sulle guance. Il pianto sporcava le sue parole ma lei cercava di non lasciarsi andare, di rimanere ferma e chiudere quella porta con tutta la forza che aveva in corpo. “Non voglio. D-delle persone sono morte, ed erano tutti miei amici... persone che amavo. Io n-non riesco più a sentirmi sicura... a sentirmi forte. E a Olivinopoli non riesco più a tornare... in quei posti dove... Corrado” sbuffò poi, sorridendo amaramente. “Lui non era neppure un Capopalestra di Johto e... ed è morto”.
Le lacrime colavano dal mento, cadendo accanto alle sue dita sottili.
“Non è semplice, lo so” le fece poi Lance.
“Non lo sai! Tu non sai niente!” ribatté con rabbia Jasmine. Una rabbia del tutto fuori dai suoi parametri, che costrinsero il Campione a sospirare. Si limitò a umettarsi le labbra e a guardare Sandra, che rimase con le braccia conserte sotto al seno, nel silenzio più che totale.
“Io spero... spero davvero che voi...” fece poi la donna, alzando gli occhi verso Marisio. “... Io spero...” poi tossì, e pulì con la manica del maglione il volto. “Io spero che voi riusciate a fare bene. Spero che chi verrà assegnato alla città di Olivinopoli ami la mia gente... le mie persone. Che guidi il faro con cura, che sia...” fece, fermandosi e sospirando. “Che... che sia una guida... una gu-guida per tutti gli... gli... Allenatori e....” poi si fermò. Tutti la guardavano in silenzio, attendendo le sue parole, mentre le lacrime non finivano la loro corsa. Le unghie cercarono invano di graffiare il tavolo in metallo, e le dita si ritirarono, fino a quando i pugni si strinsero, come gli occhi.
Tutti avevano davanti una donna finita.
“I-io... Non ce la faccio, scusate...” disse, muovendosi rapidamente verso l’esterno e sbattendo la porta. Il rimbombo anticipò le urla disperate che si propagavano nel corridoio alle loro spalle, e tutto ciò contribuì a riempire di disagio e angoscia i presenti.
Valerio guardava Lance fisso, prima di sospirare.
“Ma come fate a non capire?”.
Lance sospirò, guardando Pino e incrociando le mani sul tavolo.
“Capire cosa, di preciso?”.
“Dove eravate?” rispose di contro il Capopalestra di Violapoli ai Superquattro. Passò poi lo sguardo sul Domadraghi. “Tu... tu dov’eri?”.
“Altre situazioni ci hanno tenuti impegnati, Valerio”.
 “Ma per quale motivo eravamo lì prima di voi?! Noi siamo autorità locali! Quella delle Rovine d’Alfa è una zona d’interesse storico che vede coinvolti interessi enormi! Johto, senza quei mosaici, è più povera! Dovevate essere lì!”.
“Vi avremmo raggiunti a breve” ribatté Lance. “E a questo punto mi pare di capire che anche tu non voglia più mantenere la tua posizione a Violapoli”.
L’uomo si alzò in piedi. Chiuse gli occhi lentamente e li stropicciò con le dita.
“Ho sempre adempiuto ai miei doveri con tutta la responsabilità e la professionalità del caso. Prima di essere un uomo, prima di essere un agente di polizia, prima di essere un Capopalestra, io ero un cittadino di Violapoli... Ne ho preservato le tradizioni, ne ho curato le ferite, e ho addestrato i piccoli Allenatori che poi vi raggiungevano qui, all’Altopiano Blu... Io non ho mai chiesto nulla, a voi, da quando sono in carica. Le ricompense essenziali derivavano dal vedere la mia gente tranquilla e sicura di scendere per strada, e vivere la propria vita con gioia e speranza...”.
Marisio lo guardò con interesse. Riconobbe le ferite che gli laceravano l’animo.
“Ma poi vedo ciò che è successo, ci penso, ci ripenso...  Io ho dato tutto me stesso, per costruire quel castello di sicurezza e condivisione, che è Violapoli. Ma ora la gente è morta, perché il mio lavoro non è bastato. Ora affondo i piedi nelle rovine di questo mondo, così differente da quello che ricordavo, e non lo riconosco più... i miei Pokémon sono... beh, sono morti” disse tra i denti, senza riuscire più a trattenere le lacrime. “E senza Pokémon non esiste Capopalestra...”.
Lance annuì, ma pareva tranquillo.
“Sicuramente c’era un legame affettivo tra te e i tuoi Pokémon, ma è il minore dei mali. Puoi tranquillamente ricostruire un team, col tempo”.
“Sì, potrei. Ma quello che tu chiami il minore dei mali...” fece l’altro, scimmiottando la voce del Campione. “... si scontra col maggiore dei miei problemi. Che sei tu”.
Lance sbatté le palpebre lentamente.
“Era palese che avessi un problema con me, Valerio”.
“Io, le urla di Jasmine, le sento ancora, anche se lei ora è lontana. E non dimenticare mai, mio caro Campione supremo, che la colpa di esse è unicamente tua”.
Si alzò.
“E voi Superquattro, non siete altro che burattini inutili nelle mani di un uomo con deliri di onnipotenza. Io vado via” concluse, sparendo poco dopo e riempiendo d’ulteriore silenzio quella camera maledetta.
Tutti guardavano Lance.
“Angelo...” disse poi quello, come se nulla fosse successo. “Tu lasci?”.
L’uomo dai capelli biondi fece cenno di no.
“Se me lo consentirete, sarò ancora il Capopalestra di Amarantopoli”.
“Assolutamente” annuì l’altro. “E tu, Sandra?”.
La donna rimase in silenzio, a fissare il vuoto coi grandi occhi azzurri spalancati. Sembrava incatenata ai suoi pensieri, ed era restia a tornare alla realtà.
“Rimarrò a Ebanopoli” fece, compiacendo suo cugino.
“Bene. Perfetto.  Questo significa che abbiamo le città di Violapoli, Azalina, Fiordoropoli, Olivinopoli, Fiorlisopoli e Mogania senza la giurisdizione di un ufficiale della Lega” disse. “Angelo e Sandra manterranno i propri posti. Ora c’è bisogno di riempire le altre Palestre”.
Si voltò verso destra, dove Lorelei era rimasta in religioso silenzio per tutto il tempo. Demetra era rimasta affascinata dall’eleganza del suo viso, ornata dai piccoli occhi celesti nascosti dalle doppie lenti degli occhiali e la postura dritta del busto. Teneva le braccia congiunte sotto l’ampio seno, e la testa alta.
Guardò Lance non appena quello terminò di parlare.
“Lorelei...”.
“È per questo che mi hai chiamata?”.
“Sì. Mogania è perfetta per te, sei nel tuo elemento. Hai l’autorizzazione a fare tutti gl’interventi di ammodernamento necessari nell’edificio che prima apparteneva ad Alfredo. Accetti di prendere in carico il titolo di Capopalestra di Mogania?”.
Tutti gli occhi erano puntati su di lei.
“Mi cogli alla sprovvista, Lance...” sospirò l’altra.
“Ho bisogno che tu mi pari il culo. Avrai tutto il supporto che ti servirà, e parleremo più tardi d’ogni cosa...”.
“Va bene” concluse quella pochi secondi dopo. “Accetto”.
 “Ora tocca a te, Demetra. Sei mai stata a Johto?” domandò Lance, ma Risetta lo interruppe subito.
“Aspetta. Ci stai offrendo un lavoro fisso?”.
“Quello che sto facendo, in pratica, è trovare dei nuovi Capipalestra, forti e affidabili” rispose il fulvo. “Camilla ha detto che questo è il vostro perfetto identikit”.
“Johto è un po’ lontana da casa mia...”.
“Questo è lavoro, non una vacanza in un resort. Come ogni lavoro prevede uno stipendio, degli indennizzi e dei giorni di ferie che puoi usare per tornare a casa tua”.
Gli occhi dei due crearono scintille.
“Insomma, Demetra...” si voltò nuovamente verso di lei. “Avevo pensato ad Azalina per te. Che ne pensi?”.
La donna dalla lunga treccia verde inarcò le sopracciglia. “Beh... io...”.
“Anche tu avrai l’opportunità di personalizzare come meglio credi la tua Palestra. E poi Azalina si trova al centro di un’area meravigliosa, il Bosco di Lecci. Atmosfere spettacolari e tradizione. Saresti una boccata d’aria fresca”.
Arrossì, Demetra, abbassando il volto.
“Guarderai l’edificio e mi darai una risposta definitiva. Per quanto riguarda Matilde avevo pensato a...”.
“Sì?!” interruppe subito lei. “A cosa avevi pensato?!”.
“Alla più grande città di Johto: Fiordoropoli”.
“Wow! Sì!” esclamò quella, con gli occhi sognanti.
“Saresti effettivamente a tuo agio, in una grande città. Tantissime attrazioni e altrettanti giovani. La Palestra diverrebbe una grande attrattiva con te”.
“Ci sto!” sorrise, stringendo entusiasta gli occhi violacei.
“Per te, Chicco, avevo pensato la selvaggia Fiorlisopoli. Anche per te valgono le stesse condizioni. Potresti andare velocemente da Risetta, so che state assieme. Infatti per lei volevo proporre Olivinopoli, bella città di mare, con quel tocco di malinconia... Naturalmente potrai...”.
“Con me evita le moine...” ribatté la moretta.
“Che ne dite?”.
“Se per Chicco va bene...” sospirò quella, ruotando gli occhi verso l’alto, annoiata. L’uomo sorrise debolmente, quasi arrossendo.
“Sai, Lance... è una grande opportunità!” sorrise quello. “Sarebbe davvero importante per me riuscire in questa cosa, ma dovrò valutarla per bene”.
“Ne hai tutte le capacità” ribatté Lance. “Ma comprendo la tua iniziale confusione...”.
Il silenzio si appropriò per qualche secondo di quella stanza. Poi Lance riprese parola.
“Rimani solo tu, Marisio...” sorrise il Campione, gioviale. “Per te avrei pensato a...”.
“Violapoli” interruppe lui.
“Già...” disse Lance, gustandosi quella pausa per un attimo. “Violapoli. Valerio ha già fatto una presentazione più che degna della città”.
“Devo pensarci. Non credevo che volessi mettermi a capo di una Palestra, ma che ti servisse aiuto per qualche operazione”.
Lance unì le mani sul tavolo, proprio davanti a lui. La tensione era così densa da poterla vedere avvolgere tutti.
“Sarebbe una svolta, per la Lega di Johto. Sei un grande Allenatore, tutti assieme, voi otto, alzereste di molto il livello delle Palestre di questa regione”.
Si alzò dalla sedia, Lance. “Sarebbe un bene anche per chi vive qui. Aumentando la difficoltà creeremmo una sorta di sfida agli Allenatori più forti, che giungeranno da tutta la nazione per sconfiggervi. Rendetevi conto, turismo e richiesta per tutta Johto”.
Si abbassò sul tavolo, piantandovi i palmi sulla superficie fredda. S’avvicinò al suo volto, e Marisio poté chiaramente vedere la determinazione nei suoi occhi ambrati. “Ho bisogno di te, Marisio”.
E la cosa lo attirava davvero parecchio.
Perché sarebbe diventato finalmente il re di qualcosa, avrebbe potuto sfruttare delle strutture di allenamento all’altezza e migliorare ulteriormente le sue capacità.
Però Gardenia aveva il suo stesso ruolo, a diverse ore di aereo, e aveva le stesse  responsabilità che avrebbe acquisito; quella scelta avrebbe ucciso la loro relazione, fatta di abitudine e passione, nemici paradossali che avevano trovato un equilibrio.
“Come ho già detto, ci devo pensare”.
   
 
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