Note preparatorie alla lettura: ecco, sì, alla fine ho deciso di riprendere questa storia impolverata nello scaffale dei numerosi progetti e, complice la curiosità e lo spirito innovativo, mi sono ritrovata a cliccare su quella voce (‘Aggiungi nuova storia’); curiosità, be’, perché non pubblico long dal lontano 2012 e l’ultima volta non è che sia andata proprio divinamente, anzi! Tant’è, che ho finito per cancellarla. Ma adesso siamo nel 2017, sono passati sei anni, ed io ho acquisito uno stile totalmente nuovo – sebbene non perfetto; quella condizione, ahimè, non so se potrò mai raggiungerla perché ora come ora sono costantemente nella fase del ‘revisiona, revisiona, revisiona’ e al massimo ‘riscrivi, riscrivi, riscrivi’. Sono una dura critica persino nei confronti di me stessa. Eppure, sono del parere che se le storie non siano soggette ad alcun tipo di lavorio e dedizione, tanto vale appendere la penna al chiodo. Non sono convinta neppure delle One-Shot già esistenti nella mia pagina – anche quelle sono state scritte tempo addietro e perciò risentono del precedente stile. ‘Stepbrothers’ nasce come una sfida, alla parte di me incostante e indecisa, che non riesce il più delle volte a concludere nulla perché, talvolta, come tutti gli scrittori, ha i suoi momenti ‘no’, in cui l’ispirazione parte indisturbata per luoghi sconosciuti, lasciandola con il fiato sospeso e l’acqua alla gola per la frenesia e la fretta del pubblicare. Ecco, dandovi un assaggio di questa storia imperfetta, non voglio palesare alcuna pretesa. Non so, probabilmente riceverà riscontri negativi, probabilmente rimarrà incompleta, perché per adesso ho deciso di pubblicare solo il prologo, di gettarmi a capofitto in questa impresa, senza lasciarmi sfuggire l’occasione, ma all’alba del nuovo anno mi sono solidamente promessa di rischiare subito, anche alla cieca, per non avere rimpianti in seguito. Mi farò male? Con tutta probabilità sì, ma quello sarà l’incentivo per spingermi a riprovare, finché non otterrò risultati soddisfacenti. Perdonate le mie paturnie ma mi sentivo in dovere di informarvi, di avvertirvi.
Vostra, Dandelionx.
Prologo
What I want to say is thanks for coming back.
[...]
Welcome back I really missed you
Now will you take me into your arms?
[...]
Don’t act like you hate me, I see you smiling...
- Welcome back, IKON
- Fu
il primo pensiero che saettò nella mente di Ella, una volta
chiusa la lettera,
ora stropicciata e intrisa di lacrime meschine, in un pugno mentre il
suo petto
veniva scosso dai suoi singhiozzi.
- Come
aveva potuto sposare un’altra donna che non fosse sua madre?
E cosa più
importante, come aveva potuto farlo senza dirle nulla prima? Era stato
molto
vile da parte sua confessarlo dietro una lettera e lei non sapeva con
quale
coraggio lo avrebbe guardato negli occhi una volta atterrata a Miami.
Per
quanto la riguardava il suo papà poteva andarsi a fare
fottere insieme a quella
maledetta lettera che ora occupava un posto d’onore sul
linoleum che ricopriva
il pavimento dell’aereo.
- Buffo
che non le avesse pagato neppure il viaggio. In effetti quando aveva
ricevuto
quella prima lettera in cui il suo vecchio le comunicava che doveva con
urgenza
fare ritorno nella sua calda Florida avrebbe voluto rispondere con
un
perentorio no. Le vacanze invernali
non erano ancora giunte al termine e anzi, i suoi nonni materni, dove
alloggiava in quel periodo, avevano bisogno di lei più che
mai allo Chalet ora che nel
Montana cresceva
l’affluenza di turisti. Tuttavia aveva dovuto fare uno sforzo
e raccattare
qualche effetto personale di corsa poiché temeva fosse
successo qualcosa di
grave. Poi, proprio mentre stava per imbarcarsi aveva deciso di leggere
quella
seconda lettera, sul cui dorso vi era inciso di aprirla solo una volta
salita
sul mezzo. Ella era stata più volte tentata dalla
curiosità ed ora che era a
conoscenza dell’amara realtà si rendeva conto che
sarebbe stato preferibile e
più saggio aprirla direttamente dopo la prima. Oramai era
troppo tardi per
volgersi indietro e cancellare tutto. Lei era una Duncan di nome ma nel
profondo sapeva di essere al cento per cento una
Garner, come la sua defunta madre, che le mancava ogni
giorno di
più. Sua madre Regan era una donna splendida e lei
l’aveva sempre ritenuta un
esempio da emulare; di lei era riuscita a ereditare la
caparbietà soprattutto,
una forza d’animo incredibile e il coraggio di affrontare
tutte le situazioni a
testa alta anche se esse sembravano apparire impossibili
all’apparenza e così
avrebbe fatto anche quella volta. Sorrise mentre con gli occhi scorgeva
la
distesa di nuvole che si intravedevano attraverso
l’oblò dell’aereo, stringendo
tra le dita il ciondolo di sua madre, che aveva spesso lo strano potere
di
calmarla.
- Si ritrovò a ripensare alle settimane passate nel Montana insieme ai suoi cari e cordiali nonni, alla conoscenza di splendidi amici, come Harriett Reynolds, la ragazzina che perseverava con i suoi pattini nonostante la mancanza di giusto equilibrio la facesse rovinare sempre al suolo o il guardiano Wallace Carter che le rivolgeva ogni mattina un sorriso per farle iniziare bene la giornata e infine sospirò afflitta al pensiero di Xavier Lance, l’enigmatico quanto affascinante ragazzo incontrato per caso durante una discesa con il quale aveva stretto un rapporto molto piacevole, nonostante la sua poca fiducia nel genere maschile, e si chiese se sarebbe riuscita a rivederlo, a parlarci di nuovo o i problemi a casa l’avrebbero sommersa tanto da non permetterle di raggiungere nuovamente le sue spensierate vacanze. Con quell’ultima riflessione si assopì finché il sonno non la colse completamente.
- *
- Cielo,
si era proprio dimenticata del clima asfissiante della Florida o
forse il
suo inconscio l’aveva rimosso di proposito. Aveva sempre
odiato quella città.
Troppo caotica e soleggiata per i suoi gusti più propensi
per la neve ed i
luoghi freddi. Freddi come lei, avrebbe obiettato chiunque la
conoscesse bene.
- Si
portò il polso sotto gli occhi per controllare la data
impressa sul quadrante e
come se il destino le fosse stato avverso anche in quella circostanza
calciò un
sassolino colta dai nervi. Era un giorno festivo, ovviamente, sebbene
non
sembrasse affatto, viste le macchine che sfrecciavano una dopo
l’altra in una
successione talmente veloce da fare venire capogiri a chiunque.
- Provò,
dunque, a maneggiare il suo telefono ma anche questo sembrava non dare
alcun
segnale di vita così afflitta e dopo aver elargito
un’imprecazione, si appostò
all’ombra e si sedette per terra come una perfetta barbona.
- Quando
alzò lo sguardo notò un ragazzo che la stava
guardando da lontano, cosa che lo
fece risultare, agli occhi della giovane, come uno stalker.
Ciononostante, Ella si limitò a fare finta di
niente, dandosi
addirittura della paranoica, sulle prime. Successivamente, dato che il
tipo
sembrava insistere, mosse impercettibilmente la testa nella sua
direzione come
a domandargli cosa avesse così tanto da guardare.
- Che
maleducato!
– pensò.
- Quello
si decise a quel punto ad avvicinarsi lentamente e circospetto come se
stesse
cercando di capire qualcosa. Aveva un’espressione assorta, la
fronte aggrottata
ed un diavolo per capello che gli donava un look scombinato e quasi
ribelle.
- La
cosa che però saltò subito all’occhio
di Ella fu la sua mise, se non altro
adatta al clima afoso, a differenza sua. Indossava dei bermuda,
probabilmente
era un costume, con delle palme stampate sopra, una T-shirt bianca
aderente che
lasciava intravedere la pelle abbronzata delle sue muscolose braccia,
ai piedi
delle espadrillas ed i suoi occhi nascosti da un paio di occhiali da
sole
all’ultimo grido. Inizialmente non sembrò
riconoscerlo e subito il suo istinto
di sopravvivenza si impadronì di lei, spingendola ad
assumere un atteggiamento
retrivo e guardingo.
- «Mammina
non te lo ha mica insegnato che fissare insistentemente gli sconosciuti
è una
cosa poco educata e soprattutto irrispettosa? Voi ragazzi ricchi vi
credete
troppo Dio, avevo quasi rimosso questo particolare caratteristico di
questa
città. E che cazzo, scendete un po’ dal
piedistallo qualche volta!».
- Non
seppe come mai avesse dato per scontato che lui fosse un riccone senza
scrupoli
e oltremodo con la puzza sotto il naso ma uno dei suoi peggiori difetti
era
giudicare un libro direttamente dalla copertina. Era una sua
prerogativa quella
di mettersi sempre sulla difensiva. Lo strano ragazzo, ancora senza
identità,
invece di prendersela, mosse le labbra creando un ghigno divertito.
Questo non
fece altro che alimentare la sua stizza.
- «Complimenti
per la performance da stalker, comunque, eh! Dimenticavo anche che qui
ci
vivono la maggior parte degli aspiranti attori che sognano Hollywood ma
ehi, hai sbagliato zona e
soprattutto
persona, qualsiasi cosa tu ti sia messo in testa»,
asserì convinta alzando di
scatto un sopracciglio indagatore.
- «Oh,
lingua lunga e biforcuta, aspetto da stracciona, carattere piuttosto
irascibile...»,
e nel dire ciò, si calò gli occhiali per
osservare meglio la ragazza che gli
stava dinanzi, poi riprese: «Devo dire che la tua descrizione
fisica non mi
stava aiutando molto ma è bastato che tu aprissi la bocca
per farti
riconoscere. Che hai fatto ai capelli, a proposito?», chiese
curioso indicando
i suddetti con un indice.
- Chiunque
il tipo fosse sembrava conoscere Ella e molto bene, per giunta. Di
riflesso si
portò una mano ai capelli biondi ora recisi in un taglio
sbarazzino in un
attimo di follia e desiderio improvviso di cambiare nota alla sua vita.
Non è
forse risaputo che le donne, quando desiderano dare una svolta alla
propria
vita, partano proprio dai capelli?
- Ad
ogni modo, non passò molto che ripartì alla
carica, più agguerrita di prima.
- «Anche
se non credo siano affari tuoi, li ho tagliati, e se te lo stai
chiedendo, sì,
da sola. Perché? Affari miei. Adesso, visto che sembra che
tu mi conosca perché
non mi rinfreschi la memoria? Credo di aver rimosso le persone di Miami
in
questi mesi, ops», fece
finta che le
dispiacesse davvero mordendosi un labbro. Forse era la prima a potersi
presentarsi ad Hollywood per un provino come attrice.
- «Ehi, ehi... sta’ calma, Veronica Mars. Hai affilato le tue
tecniche di retorica in questi mesi in Montana? Ti ricordavo
così silenziosa. Che
rivelazione!», ammiccò divertito incrociando le
braccia al petto.
- A
quel punto le venne un’illuminazione. Solo una, quella persona – nella
fattispecie – la chiamava a quel modo. Ella
sosteneva fosse un vizio, quello di soprannominarla in tutti i nomi
possibili e
immaginabili; a quel punto si ritrovò a sghignazzare. Se
glielo avessero detto
qualche tempo fa, che stava sghignazzando con il Golden Boy della
Eastwood, non
ci avrebbe creduto neanche lei. Eppure, la vita è
così strana a volte che
neanche ti accorgi dei cambiamenti che gli eventi possano portare con
sé,
arrivando a stravolgerla se non complicarla del tutto.
- «Owens. E chi se no? Sto perdendo colpi.
Ma come ho fatto a non capirlo subito, mi chiedo...».
- Ora
era una sfida aperta. Occhi negli occhi. Sì,
perché lui si era sfilato del
tutto gli occhiali appendendoli alla maglia con assoluta nonchalance e
adesso
la squadrava con un sorrisetto che di amichevole aveva ben poco.
- «Era ora, piattola. Dimmi un po’, come mai sei ritornata così presto? Okay che sentivo la tua mancanza ma...», lasciò la frase incompleta volutamente, aggrottando le sopracciglia chiare, e comunque Ella captò subito il tono prettamente ironico. In fondo neanche lei aveva pensato a lui sebbene fosse il suo incubo ricorrente da più o meno sempre. Sembrava godere nel punzecchiarla e solo per il gusto di scatenare una sua qualche reazione. Si divertiva con poco, il ragazzo, e questo, Ella, l’aveva sempre reputato un comportamento infantile per un diciassettenne di quella stazza. Tristan Owens poteva anche essere famoso per essere il ragazzo più acclamato e in a scuola ma Ella lo odiava per averle reso la vita un inferno. Lo odiava con tutta se stessa e quel sentimento non sarebbe cambiato tanto facilmente, soprattutto nel momento in cui avrebbe sganciato la bomba che ormai, mancava poco, avrebbe distrutto e segnato la vita di Eleanor Jillian Duncan per sempre.
- «Quell’idiota
di Andrew si è sposato. Un’altra volta. E senza
consultarmi, per giunta. Che
diamine, sono sua figlia o no?».
- Resasi
conto del fatto che quel manipolatore l’avesse convinta a
dargli spiegazioni in
merito al suo ritorno, scosse la testa, incredula.
- «Cielo,
non so neppure perché mi stia confidando con una feccia come
te ma è stato un
dispiacere incontrarti di nuovo quindi... a
mai più rivederci», concluse perentoria
e risoluta, voltando su se stessa, decisa
a chiamare un altro taxi. Ne aveva già abbastanza.
- «Tesoro, io me ne andrei volentieri visto
che la compagnia non è delle migliori». E qui Ella
storse la bocca in una smorfia;
per lei era lo stesso. «In fondo, avrei ben altro da fare
– se capisci cosa
intendo – che improvvisarmi autista per un giorno... per te, poi! Assurdo, non trovi? Chi
l’avrebbe mai detto?». Il suo
tono adesso aveva diverse sfumature; dalla nota ironica a quella
allusiva e
maliziosa a, ancora, quella incredula.
Ella
arrestò la sua andatura e assunse un’espressione
indecifrabile. Che cavolo
voleva dire quel bastardo? E cosa più importante, chi
l’aveva nominato suo
autista? Piuttosto avrebbe raggiunto Duncan Manor a piedi!
Imprecò mentalmente
una seconda volta, anche contro suo padre che l’aveva
costretta a quella
situazione.
- Prima
che potesse chiedere informazioni a Owens, comunque, questi sorrise
meschinamente e, contrariamente ad ogni aspettativa, tese una mano
nella sua
direzione. Ed il suo volto? Chi se lo sarebbe mai dimenticato? Era
quasi
gelido, turbato ma anche infidamente appagato. Era il volto della
vendetta.
- Te
ne pentirai
amaramente, piattola di una Duncan, aveva detto l’ultimo
giorno di scuola
dopo che Ella lo aveva umiliato pubblicamente per l’ennesima
volta, quella
volta lanciandogli il pranzo addosso. E a lei, in quel frangente, poco
era
importata la sua minaccia ma quel volto, in quel momento, aveva tutta
l’aria di
essere il preambolo di una spiacevole storia, di una nefasta notizia. E
così
fu.
- «Bentornata
a casa, sorellina».
- Strano
come la vita ti colga sempre impreparata...
- È
meschina, la vita. Confusionaria, a volte. Ma trova sempre, sempre il
modo di
buttarti giù e farti a pezzi, calpestarti e darti
eventualmente anche i colpi
di grazia. Fu in quel momento che il mondo illusoriamente perfetto di
Ella Duncan
crollò, inesorabilmente, come tutte le sue certezze.
- Andrew
Duncan sei
un bastardo!
- Ecco,
quello è stato, è e sarebbe stato ancora a lungo
un dato di fatto.
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