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Autore: Selevia    05/04/2017    0 recensioni
« Ragazzi non mi piace molto questa storia, il proprietario di quel quaderno è morto per caso?» Chiese Alice a Derek
« si » rispose lui con uno sguardo intenso e uno strano sorriso sulle labbra. Forse voleva solo impressionare quei giovani ragazzi, o forse no.
« Allora non potete portarlo fuori, se la storia appartiene a qualcuno che ha avuto una tragica fine non penso sarebbe saggio, non li guardi i film horror? Non si spostano mai le cose dal posto in cui sono state lasciate» Disse Alice
« secondo me non vale niente, e poi non avevi detto che avevi solo iniziato a leggerlo? Ti sta prendendo in giro Alice tranquilla va tutto bene » Logan si mette a scuotere la testa come fosse esasperato « sinceramente credi che un quaderno possa ucciderti? Dai sei troppo impressionabile, è solo una storia e in ogni caso un po’ di avventura non ci guasta mai io ci sto amico»
« tu dici che non valga niente? Una presa in giro » Derek alzò un sopracciglio prima di sorridere e fare spallucce. Guardava il gruppo con un aria così concentrata da apparire lontano mille miglia da quel posto.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3: Confusione 
 
Erano passati svariati giorni dal nostro incontro in ospedale e mi sentivo malissimo. Non sapevo come fare per superare quest’ennesima prova, il mio male sembrava ritornare sempre… i medici erano fiduciosi, questa volta sarebbe stata quella definitiva, ma io non ci credevo più molto e nemmeno loro, non li avevo sentiti ma avevo capito. Poi avevo chiesto conferma, i miei non volevano che sapessi ma io dovevo sapere così avevo chiesto, a bruciapelo al mio medico la verità, tutta la verità.
« sarò sincero Ian le probabilità sono scarse ma non ho detto che non ci siano, molto della riuscita dipenderà da te, dalla tua forza d’animo e dalla tua voglia di farcela. ».
La verità e che ho voluto fingere solo per un po’ che la mia vita fosse diversa, che le prossime albe sarebbero state per me come per gli altri, poi ho incontrato Anne, inizialmente non ne capivo l’importanza ma ora lo so, esistevo per lei, anche se non per vivere. Cento ragazze per vivere e morirne per una sola. Era un po’ ironico. Eppure sono lo stesso felice di aver parlato con lei quel giorno, felice e amareggiato, una parte di me ha paura e vorrebbe non averlo mai fatto. Non voglio morire, non voglio lasciare le persone che amo, le persone a me care. Quanto dolore, quanta sofferenza. La verità e che temo di star prendendo la via più facile e di aver rinunciato a lottare. Però non è così. Se non l’avessi incontrata tutto sarebbe diverso. Me ne sono innamorato e vorrei pentirmene, vorrei non averlo mai fatto.
i miei pensieri sono così contrastanti per via della febbre che mi ha preso che non sono lucido, forse sto solo delirando o forse vedo le cose come realmente sono. Non riesco a capirlo…
Apro gli occhi, sono ancora in ospedale, la febbre è passata e mi rimandano a casa. Dovrò tornare per fare il nuovo ciclo di cure, ma fino a quel momento mi lasceranno in pace.
Prendo un bel respiro, chiamo un paio di persone. Sono parecchie le ragazze a cui avevo dato appuntamento ultimamente, alcune delle quali anche mentre uscivo con An. Sono proprio un pessimo ragazzo dobbiamo ammetterlo. Sorrido, ormai devo fare del mio meglio, devo rimettere la testa a posto prima dello scadere del tempo. Un leggera inquietudine mi pervade. Devo vedere An, devo prendere una decisione e devo farlo per me, per An e per tutte le persone che mi stanno vicino e mi amano. Dentro di me ho già scelto. Ma non ho il coraggio di ammetterlo.


Sentii bussare alla porta. « Anna hai visite è Ian»
Ero in camera mia, sul letto, che osservavo il soffitto quando mi fiondai giù da esso per scendere le scale. Dovevo mettere in chiaro alcune cose con Ian e dovevo farlo adesso.
Me lo trovai innanzi con un aria spavalda, come se fosse il vecchio Ian senza alcun tipo di problema, sano come un pesce. Ma lui non era sano e adesso lo sapevo «Ian non sei fuggito vero? Ti hanno solo dimesso »
« Spiritosa, cosa ti fa credere che se fuggissi da un ospedale sarei così stupido da bussare alla tua porta per far sapere a tutto il palazzo, dove abito anche io tra l’altro, che sono fuggito? »
Si lo ammetto avevo fatto una domanda stupida, ma mi era venuta istintiva. Non posso farci nulla, lui aveva sempre l’aria di quello che non seguiva mai le regole. « va bene ho capito sono stata una stupida a dubitare del tuo poco intelletto» lo vidi ridere e sorrisi anche io di rimando.
«senti Ina io.. »
«devo parlarti »
Avevamo parlato entrambi in contemporanea, ma non so perché qualcosa nel suo sguardo mi fece desistere dal continuare e con un cenno della mano gli indicai di seguirmi di sopra per parlare.
« siamo su» non ero sicura che mi avessero sentita ma non mi importava molto. «siediti ti prego e dimmi tutto» si sedette e io con lui. Il mio ginocchio mi faceva male e istintivamente lo massaggiai.
« ascolta so che ti ha parlato Lucas » annui e lui continuò « è davvero un amico, molto sveglio e ha capito subito che non eri una persona normale» l’uso della parola normale di fece formicolare le terminazioni nervose dei miei arti, mi ritrovai a muovermi impercettibilmente dal disagio “normale” avrebbe potuto usare una qualsiasi parola, “ qualunque” “speciale” no lui aveva detto “normale”. Temevo sapesse qualcosa di me che non avrebbe dovuto sapere.
« non capisco dove tu voglia andare a parare.» Scosse il capo come se neanche lui sapesse dove voleva andare a parare. Alla fine lo vidi sospirare e chiudere gli occhi. « ho una settimana un po' piena, sai d’ho una mano a mio padre in negozio, non ho molta voglia di stare a casa. Non mi farà fare nulla di pesante al massimo starò alla cassa o saluterò i clienti ma desidero passare più tempo possibile con lui» fece una pausa « quindi non potremo vederci molto »
« Ian parli come se stessi per morire» lui mi sorrise, guardandomi dritto negli occhi. Anche questo mi stava mettendo a disagio. « hai gli occhi rossi non dormi bene la notte?» spostò immediatamente il suo sguardo e disse come se avesse fretta « devo andare » poi tossì, una tosse che lo scosse nel profondo e per un attimo temetti che mi avesse mentito e che non lo avessero affatto dimesso dall’ospedale.
« non fare quella faccia, va tutto bene, non temere. Resisterò tutto il tempo che sarà necessario»
« d’accordo» ancora una volta le sue frasi mi accesero un campanello di allarme, cosa mi nascondeva, cosa sapeva. Nulla, non poteva sapere nulla. E alla fine non riuscii a parlargli, sospirando, decidetti di non dirgli nulla per il momento, meglio lasciarlo tranquillo, ma avrei dovuto allontanarlo presto, per il suo se non per il mio bene.

Uscito dalla casa di An mi diressi verso il negozio di mio padre e li restai per tutta la mattinata. Aveva avuto ragione, non dormivo più bene la notte, sgattaiolai via dal negozio solo per passare un po' di tempo con alcuni amici e un’oretta in una delle stanze della casa museo. Li feci quello che facevo sempre, sistemai, mi piaceva stare li, e sebbene ci fosse la polvere non tossì che una volta.
Passarono così i sei giorni seguenti. Le notti erano un tormento, adesso gli incubi erano più vividi e anche l’ombra aveva assunto un significato ben preciso, ero riuscito a mettere insieme i pezzi, tutti i pezzi per comprendere cosa stesse succedendo. Mi sentivo stanco, sempre più stanco e finivo per scappare nella vecchia casa museo tutto il tempo, dormivo li, su quell’enorme letto che con tutte le lenzuola nuove e profumate odorava lo stesso di vecchio. Costretto a usare una mascherina per la polvere tutto il tempo. Eppure li, lontano da tutti riuscivo a dormire bene, fino alle prime luci dell’alba, poi sgattaiolavo di nuovo a casa. E ricominciavo le mie giornate. Vedevo il volto triste di mia madre quando credeva che non la stessi guardando, e la stanchezza negli occhi di mio padre. La speranza che li ha sempre animati era ancora li, ma il continuo lottare con il mio male li affaticava come affaticava me, ansi forse anche di più. Andavo a trovare anche An che però vedeva la parte peggiore di me, tossivo sangue, ed ero sempre esausto ma se non la vedevo stavo peggio, se non fisicamente mentalmente avevo il bisogno di vederla anche se per poco. Ridicolo, mi sentivo come un drogato.
Passarono altri giorni, adesso stavo davvero male, la mia cura sarebbe iniziata fra un paio di giorni, ero rinchiuso in camera mia da due giorni o almeno credo che fossero due giorni, avevo perso il conto. La luce mi dava così fastidio che non riuscivo a sopportarla.
TINTIN TINTIN TINTIN suonava il mio telefonino.
//MESSAGGIO PER AN
An ti prego puoi venire da me? Ho un favore da chiederti.
Ian//
Guardai il telefono come se fosse un apparecchio alieno, credo di aver alzato un sopracciglio, ma scesi al piano di sotto presi le chiavi e mi diressi due piani più sopra nella casa degli Abrahams, non vi era più nessuno in casa e non dovetti preoccuparmi di nulla. Suonai al piano di sopra e parlai un poco con la madre di Ian.
«salve signora. Posso vedere Ian? » chiesi,
«ma si certo cara, però non lo fare affaticare è così stanco ultimamente »
annuì e mi diressi verso quella che mi fu indicata come la sua stanza. Era buia, con solo una flebile luce accesa. Era inquietante, mi ricordava la morte. Una di quelle veglie funebri che si facevano una volta. Dove il cadavere del defunto veniva esposto al centro della stanza, poggiato sul letto, la luce fioca ad accentuare le lugubri ombre… non mi piaceva per niente quella atmosfera, eppure io stessa ne ero stata testimone così innumerevoli volte.
« Ian? » sembrava che stesse dormendo.
«sono qui An » aveva la voce un po' più roca. Mi avvicinai e lui stirò un braccio per accendere di più la lampada. Era carina di quelle a più intensità con il tocco di una mano, non costava molto. Lo vidi meglio adesso e sorrideva. Sembrava stare bene ma la sua pelle era un po’ pallida, mi tirò a se e mi baciò. Non lo aveva più fatto dal giorno in ospedale, a dispetto di tutte le sbruffonate che aveva fatto. « devo chiederti un enorme favore, puoi farlo per me »
«il bacio è un modo per corrompermi meglio » arricciò il naso e disse « diciamo che è una ricompensa » aveva uno strano sguardo negli occhi, e mi chiesi se non era la luce. « una ricompensa? Solo questo per chissà quale favore vero? » il suo sorriso si allargò… « o no, questo non è neanche l’anticipo» quello sguardo malizioso, quella consapevolezza negli occhi, quella determinazione nella voce. Non sarei mai più riuscita a dimenticarli per il resto della mia vita.

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PLIN PLON OGNI NOME, FATTO, SCENARIO, CONTESTO, DIALOGO, LUOGO È TOTALMENTE UNA MIA INVENZIONE, SE PER CASO TROVATE QUALCOSA DI FAMIGLIARE È UNA MERA COINCIDENZA DETTO CIÒ.
 
AVREI DESIDERATO SCRIVERE DI Più IN QUESTO CAPITOLO, INCENTRARMI MEGLIO SU COSA STA SUCCEDENDO ADESSO NELLA VITA DI IAN E COSA LO TORMENTI, MA TEMEVO DI DEVIARE DA QUELLO CHE ERA STATO IL MIO SOGNO, CIOÈ IL VERO FULCRO DELLA STORIA.
  
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