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Autore: Sharon_SassyVampire    05/04/2017    1 recensioni
Priest!Gerard
UniversityStudent!Frank
«Teneva entrambe le mani del ragazzo nelle sue, accarezzandole delicatamente e con fare premuroso.
Frank guardò il dipinto sopra di loro, e credette di vedere una dolce compassione anche nello sguardo delle Vergine.
Una parte di lui sperava che Lei stesse cercando di dirgli, tramite quei Suoi misericordiosi occhi pennellati, che non c’era nulla di sbagliato nel suo amore.
Gerard, invece, ammirava ancora le sue mani e giocava con le dita intorno ad esse, e tutto quel doloroso peso, che si era trascinato fin lì, sembrava sciogliersi ad ogni carezza.
Frank aveva da sempre notato, talvolta con una certa punta di gelosia, quanto al sacerdote piacesse avere le mani altrui tra le sue, stringerle, punzecchiarle, torturarle.
Mikey non riusciva proprio a sopportarlo e si lamentava di quanto, sin da piccoli, sentisse questa necessità di prendergli le mani ogni volta che doveva dirgli qualcosa.
Quello che invece non sapeva, era quanto il sacerdote amasse custodire le sue, quanto ci indugiasse, quanto avesse il bisogno di insistere su ogni singolo solco e per ogni avvallamento delle dita, e non per semplice abitudine o fissazione.
Guardò ancora la Vergine dipinta.»
Genere: Fluff, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU, Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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4. We are the unholy


Fu una tiepida notte afflitta da tormente e burrascose afflizioni anche nel letto di qualcun altro.
Frank, nella surreale realtà dei sogni, si trovò in un luogo alquanto familiare, seppur ora oscuro e come nascosto.
Era notte, e lo comprese dal momento in cui l’atmosfera notturna si era insinuata nel tetto dell’edificio in cui si trovava, causandogli un lieve timore.
Vi era qualcosa in quel luogo che si nascondeva da lui, e mentre osservava il buio debolmente illuminato dalla coscienza onirica, riconobbe le maestose mura della Chiesa e i suoi rumori echeggianti nel vuoto silenzio.
Le antiche scritture latine davano l’impressione di vibrare nella notte interiore del luogo, mentre ciò che ad un tratto lo colpì, con il retrogusto dolciastro dell’angoscia, furono i dipinti, gli affreschi, e persino il crocefisso accanto a lui, sull’altare, voltati di spalle.
File di angeli e santi raffigurati nelle tele e nelle pareti, dipinti di spalle, le aureole distorte in un vago tentativo di essere replicate dal subconscio, le schiene scure, diritte, marcate, puntate contro di lui.
Allora Frank capì.
Quel sentimento desolante del non esser degno.
Di  non esser degno di venir guardato da tali sguardi sublimi.
Celavano i loro occhi compassionevoli e inebriati di santità, celavano e rinunciavano anche a quei loro lineamenti accusatori, inclini alla grave solennità del Cielo.
E Frank, come Adamo ed Eva, si accorse tardi, troppo tardi, di esser nudo.
Al centro dell’altare, spogliato d’ogni abito, di ogni diritto caritatevole, di ogni giustizia, nudo nei suoi segreti più celati.
Aveva rubato il frutto proibito e ora si rese conto di esser nudo, pudico di se stesso, di chi era.
Fu così, temendo con lo sguardo le brune panche, crudeli spettatrici senza voce, nude come lo era lui, che gli si presentò all’improvviso chiaro e nitido, quasi evanescente, ciò che dapprima si stava nascondendo da lui.
Lo aveva spiato nella sua timida nudità peccaminosa e ne aveva malignamente riso, o meglio lo aveva deriso, inspirando con trepidante attesa l’invitante odore del peccatore scovato.
Non era chiaro, nel suo sogno, cosa fosse quel gusto così sadico e ambiguo che ora puntava sul suo corpo roseo ed esposto, un’accusa e un desiderio insieme, un desiderio reciproco ma umiliante solamente per Frank.
Nei suoi contorni ora vividi, Gerard lo guardava con sprezzante maliziosità, disgustato eppure attratto, indeciso egli stesso, se voler provenire dal paradiso o dall’inferno.
Il suo rosario vermiglio intrecciato alla mano, e il sorriso compiaciuto di chi sa trovare il bello nel perverso.
Frank, in sogno, poteva percepire tuttavia che il sacerdote era furibondo.
Il collarino riluceva di un candore meraviglioso, che sembrava alimentare il pudore intimorito di Frank.
Gerard lo studiava nei punti più vergognosi e in quelli per cui Frank provava più mortificazione, lo studiava e leggeva nella sua pelle tutti i suoi desideri, apprendendo così ogni sfumatura emotiva del ragazzo.
Leggeva e sapeva.
Frank vedeva in lui una certa nausea soddisfatta e appagata che lo fece vergognare maggiormente.
Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di non esser nudo agli occhi indagatori di Gerard.
Gerard infine si alzò, come oltraggiato, ma in procinto di avvicinarsi a Frank con decisione e una folle felicità, allorquando Frank notò di come le sue sensazioni e i suoi desideri fossero premuti, carnalmente, contro il suo stomaco, caldi, umidi, e pulsanti.
Si svegliò col timore di essere osservato e di non indossar più nulla.
 
‡†‡
 
Uscendo di casa quella sera Frank si sentì avvolgere da una strana atmosfera, particolare.
Non avrebbe saputo definire quella sensazione, né avrebbe saputo dire se fosse bella o meno, ad un certo punto credette persino che non fosse reale, o meglio, che lui stesso non lo fosse.
Guardando dritto davanti a sé e camminando piuttosto lentamente, quasi per rubarsi quanto più tempo possibile per assaporare quell’aria surreale, notò quel particolare brulicare della pelle che da sempre lo sorprendeva ogni qualvolta che il cielo allestiva il palcoscenico per lo spettacolo degli astri notturni.
La scenografia arrossiva leggermente all’orizzonte, mentre più in alto già iniziavano a stendersi drappeggi di zaffiro, appuntati sul fondale dalle prime stelle serali, ed era nella carezza sfumata tra i due colori che veniva solleticata l’anima di Frank.
In realtà il crepuscolo lo coglieva in quel limbo dalle sembianze oniriche soltanto in alcune particolari quanto vaghe occasioni, solitamente quando riusciva a percepire vicina l’estate o quando la stagione estiva era nella sua piena fioritura, e al ragazzo il mondo odorava d’infanzia.
Fluttuando nell’effervescenza di quel tramonto così etereo, troppo lontano da qualsivoglia costrizione terrena, aveva come l’impressione di osservare ciò che lo contornava per la prima volta, come se vi fosse stato appena sospinto da una mano divina.
Eppure, allo stesso modo, sentiva un gorgoglio nell’animo che gli sussurrava di aver vissuto in quell’iperuranio emotivo per tutta la sua vita e che avrebbe continuato a esistervi per sempre.
Era ad un passo dallo sciogliere il suo ultimo addio a quel mondo straniero laminato di realismo  della quale esistenza, per assurdo, non credeva più, quando il suo sguardo cadde sull’esile figura di una donna coi capelli raccolti appoggiata alla ringhiera posta davanti all’entrata principale della casa di riposo.
Di tanto in tanto vagava con gli occhi verso la strada alla sua sinistra, su entrambe le direzioni principali e anche verso il vicolo secondario che vi sboccava, poi si voltava appena come a controllare gli altri due vicoletti dalla parte opposta.
Tornava infine a protendersi, sorretta dallo corrimano, verso il minuscolo giardinetto rannicchiato ai piedi delle scale dell’ospizio, col capo candido rivolto agli arbusti ancora privi di fiori, curva e malinconicamente dolce come i rami di un salice piangente, con l’aria di chi sa di gettare la propria speranza nella vanità ma che si ostina nella bellezza di un fiore che potrebbe sbocciare.
Frank non sarebbe stato capace di distinguere il sentimento in quel volto con certezza, forse era soltanto uscita a respirare il calore dell’aria primaverile, o forse era una sua peculiarità l’avere quell’espressione leggermente rabbuiata, ma nessuna di queste possibilità riuscì a dissuadere quella certezza di solitudine e abbandono che aveva stretto il cuore del ragazzo.
Cambiò direzione e decise all’ultimo di allungare il tragitto, così da dover attraversare il parcheggio e da dover passare sotto le scale della casa di riposo.
Sorrise.
 
-“Buonasera!”
 
-“Buonasera a te! Ma che bel ragazzo.”
 
Le regalò un altro timido sorriso e voltò l’angolo, sentendosi un po’ meglio, ma ormai troppo lontano dal suo idillio crepuscolare e con il pensiero di quell’anziana signora nell’animo.
 
‡†‡
 
Mikey lo stava aspettando in maglietta e pantaloni di cotone, segno che era pronto a restare rinchiuso in casa per tutta la  notte e, possibilmente, senza doversi più alzare dal divano.
Casa Way era un luogo così familiare per Frank che invece di salutare e di aspettare di sentirsi rispondere corse direttamente ad abbracciare la padrona di casa.
 
-“Ho fatto la pizza, spero che siate tutti contenti.”
 
-“Più che contenti!”
 
-“Allora? Come va, Frankie?”
 
Cominciarono a sistemarsi a tavola chiacchierando del più e del meno, e una volta tornato il signor Way, Donald, erano ormai pronti per iniziare a cenare.
 
-“L’eremita pensa di scendere a mangiare o devo avere un permesso speciale per averlo a tavola?”
 
Frank si sentì improvvisamente a disagio, come se fosse stato tradito.
Mikey era a conoscenza della sua discussione con Gerard e non lo aveva avvertito della sua presenza in casa quella sera?
 
-“Lascia stare ma’, si è addormentato e non credo voglia essere svegliato.”
 
-“Per una volta che viene qui e possiamo finalmente mangiare tutti insieme lui che fa? Dorme.”
 
Mikey fece spallucce e sembrò dire qualcosa che Frank non comprese, probabilmente qualcosa sul portare pazienza da quel poco che aveva capito.
Donald scosse la testa ridacchiando.
Mentre Donna Way era combattuta riguardo all’alzarsi e andarlo a svegliare o lasciar correre, il ragazzo lanciò uno sguardo interrogativo all’amico, cercando di non mostrare altro se non curiosità, e senza che Mikey potesse leggergli negli occhi l’infantile sensazione di tradimento che lo aveva pervaso.
Mikey si affrettò a rispondergli con un “Dopo” appena sussurrato, ansioso di cambiare discorso e distrarre la madre.
 
-“Mamma, credo che quella al prosciutto ti si sia cotta un po’ troppo, sai?”
 
†‡†
 
-“Ti dispiace restare in salotto? Gerard si è addormentato in camera mia e non vorrei svegliarlo…”
 
-“Tranquillo, a me va benissimo.”
 
-“Non pensavo che si addormentasse e che p-”
 
-“Mikey, questa è casa tua, e quello è tuo fratello, non devi giustificarti con me della sua presenza soltanto perché io e lui abbiamo avuto un battibecco.”
 
-“Lo so, lo so. Siete due idioti, comunque. Davvero.”
 
Frank si limitò a sorridere e a fingere leggerezza e indifferenza, mentre il sentore amarognolo che aveva provato durante la cena si stava dissolvendo in una pacata serenità di coscienze trasparenti.
-“Vado un attimo a controllarlo.”
 
Quelle semplici parole stonarono in una maniera vaga ma acuta nella distrazione di Frank.
Si raddrizzò da sopra il divano sul quale era sprofondato come improvvisamente colpito da qualcosa.
L’angoscia di cui si era persino quasi dimenticato tornò a risvegliarsi nelle sue viscere, forse dal tono ambiguo della voce di Mikey, forse da quel particolare senso istintivo e profetico che talvolta avverte e sollecita l’animo umano quando questo si trova ai margini di un’ invisibile minaccia.
Senza proferire parola, Frank seguì l’altro ragazzo verso il piano superiore, ignorando il suo orgoglio che temeva di avere un confronto, o piuttosto uno scontro, faccia a faccia con Gerard e decidendo di fingere di aver dimenticato la loro discussione, almeno per il momento.
Desiderava soltanto vederlo e avere la certezza materiale che stesse ancora bene, per placare se stesso, i suoi sensi di colpa e la sua irrequietezza.
C’era qualcosa che nell’atteggiamento di Mikey, nel modo in cui parlava e giustificava il fratello, in ciò che gli aveva raccontato al telefono, che lo aveva messo irrimediabilmente in un limbo di incertezze ansiose e impalpabilmente angoscianti.
Eppure Gerard era lì, dormiente e scomposto in una posa innaturale che lo rendeva simile ad una bambola appoggiata e poi dimenticata nel suo lettino di plastica, dando l’impressione di essere caduto nel sonno per sbaglio e senza alcuna intenzione.
Attraverso lo sbocco di luce proveniente dal corridoio Frank riusciva a scorgere nitidamente il contorno della figura del sacerdote, disteso riverso a pancia in giù e con le gambe come slegate dal resto del corpo, le braccia erano l’una ripiegata malamente accanto al busto e l’altra imprigionata sotto la testa, il viso protetto tra il cuscino e l’incavo tra il polso e il palmo della mano.
Le dita di quest’ultima erano ripiegate su se stesse e si intrecciavano al disastro corvino della sua chioma, come se Gerard avesse voluto accarezzarsi da sé, in un gesto di egoistico affetto.
Più Frank lo guardava più assomigliava ad un burattino che si era intrecciato sui suoi stessi fili e di cui nessuno aveva più avuto la pazienza di districarglieli.
Indossava abiti comuni.
Nel momento in cui la coperta si era appoggiata sulla sua vulnerabile figura, Frank notò la delicatezza silenziosa con cui Mikey gliel’aveva stesa sopra.
Era una di quelle vecchie e calde coperte fatte ai ferri, piene zeppe di scacchi e piccoli ricami di tutti i colori, accostati l’uno all’altro in un tiepido disordine materno e incoerente che riesce a riscaldare il cuore, ancor prima che il corpo.
La riconobbe subito.
Mikey la teneva sempre ai piedi del letto.
I colori sgargianti della lana donavano un particolare effetto di buffa dolcezza al sonno contorto del giovane, così remoto nel suo abbandono, eppure così sereno in tutto il suo immobile travaglio.
Frank aveva osservato la scena dall’arco della porta e non avrebbe saputo dire se le sue preoccupazioni si fossero improvvisamente dissolte o se si fossero al contrario inasprite al punto tale da non percepirle affatto.
Mikey era restato fedele come a un giuramento segreto e aveva mantenuto la parola data, e l’altro ragazzo si torceva nel profondo, sapendo che un tacito consenso, dal quale era escluso, aleggiava nell’aria.
Fu tentato di suggerire di spostare almeno il capo del sacerdote, o anche di provare a sistemarlo in una posizione più confortevole e meno dislocata, ma decise di trattenere i suoi pensieri allorquando comprese quanto Mikey temesse che Gerard si svegliasse.
Gli tornarono alla mente i solchi violacei e gli occhi scontrosi del sacerdote l’ultima volta che si erano incontrati, e senza un motivo razionale, anche Frank cominciò a sperare che continuasse a dormire.
Scesero nuovamente le scale in silenzio, e soltanto quando sentì la morbidezza del divano in soggiorno coprirgli la schiena che si ritenne lontano dall’incantesimo e finalmente libero di parlare.
 
-“È un po’ che sono preoccupato per Gee, lo trovo molto stanco e nervoso e… Mi sento in colpa. Non lo so Mikey, anche tu… Ti comporti in modo strano con lui e sei vago, non-”
 
-“Calma Frank, non essere paranoico. Gerard è solo stanco e ultimamente ha problemi di insonnia, cosa strana conoscendolo perché non è mai stato un suo problema questo, lo so. Probabilmente si è lasciato condizionare da tutti gli impegni e lo studio dell’ultimo periodo, gente che lo chiama a ogni ora e che lo scambia per uno psicologo, comincia a sentire il peso del suo ruolo, la responsabilità che ha. Quando è a casa sua fa le ore piccole per studiare perché dice di non riuscire a dormire, poi la mattina è intrattabile. Sono contento che si sia addormentato e che ora recuperi un po’ di sonno, tutto qui. Non preoccuparti.”
 
Il sorriso sembrava sincero e sbrigativo, uno di quelli veloci che si fanno per le faccende di poco conto.
 
“Comunque, gli dispiace per quel piccolo litigio con te.”
 
-“Anche a me…”
 
Lo sussurrò con poca convinzione nella voce e nella mente, e non perché non intendesse seriamente quelle parole, ma perché non era poi così certo di volerle dire.
In ogni caso, ormai avevano già scavalcato l’incertezza delle sue labbra.
 
-“Quale film vediamo per primo?”
 
‡†‡
 
Soltanto la tranquillità ininterrotta della tarda mattinata poteva disturbare il vuoto sonno dei due ragazzi.
Frank si risvegliò riposato ma confuso in un primo momento, ritrovandosi malamente disteso su un divano non suo.
Quando lo sguardo gli aprì la visione di un Mikey nelle stesse condizioni, raggomitolato e ossuto contro i cuscini, ricordò di aver dormito a casa degli Way e che l’ultima cosa che credeva di aver visto prima di addormentarsi era stata la faccia di Will Smith.
Lui aveva avuto la fortuna di aver passato la notte sulla penisola, mentre l’amico si era accartocciato all’angolo opposto, nonostante avesse avuto a disposizione tutto lo spazio, e solo in quel momento si accorse di quanto fosse effettivamente enorme quel divano.
Si mise a sedere, la televisione era stata spenta da qualcuno ad un certo punto della notte o della mattina, probabilmente da Donna, e prese a tirare l’orlo dei pantaloni di Mikey e a punzecchiargli la caviglia.
 
-“Sì, sì, sono sveglio, un attimo…”
 
-“Ti dispiace se vado in bagno intanto?”
 
-“Fai come se fossi a casa tua e bla bla bla.”
 
E sbadigliando, senza aver aperto gli occhi nemmeno una volta, si raggomitolò peggio di prima.
 
Ebbe tutto il tempo di sciacquarsi il viso, di tornare a prendere le sue cose dallo zainetto per lavarsi i denti e addirittura di darsi una veloce sistemata ai capelli, usando il primo pettine che gli era capitato sotto mano.
Indossava gli abiti della sera prima ma non sembrava fossero ridotti così male.
Quel bagno al primo piano di casa Way lo aveva visto migliaia di volte, eppure sembrava diverso.
Donna amava risistemare e cambiare l’ordine degli oggetti o il colore delle tende molto spesso, e Frank si stupiva, dall’aspetto costantemente perfetto di tutta la casa, come avesse potuto crescere un figlio così accanitamente indisposto nei confronti dell’ordine come Gerard.
Mentre si guardava allo specchio, in quella stanza un po’ troppo illuminata per poter nascondere alcune piccole imperfezioni del suo viso attraverso il riflesso, osservò attentamente, come se sperasse che così avrebbe smesso di prudere, la ricrescita leggermente ispida della poca barba che aveva, e il suo abbigliamento in qualche modo tanto curato quanto trasandato, in qualche modo.
Uscendo vide Mikey scendere le scale, improvvisamente del tutto sveglio, con vestiti diversi.
 
-“Andiamo a fare colazione, nanetto?”
 
-“Va bene.”
 
Anche se non aveva poi così fame e si era anche spazzolato i denti, ma per uno come lui abituato ad una tazzina di caffé e via, fare colazione rappresentava da sempre l’inizio di una giornata speciale, qualcosa che faceva soltanto in occasioni particolari.
Lui e sua madre facevano sempre colazione insieme durante le vacanze, tutte le mattine.
E poi anche lui e Gerard quando d’estate andavano nei campi scuola a fare da animatori.
 
-“Credo ci siano dei biscotti al cioccolato, mh, ora vedo…”
 
Ma entrando nella cucina inondata dalla luce naturale, come se galleggiasse sulla superficie del sole, videro un vassoio colmo di cornetti, e subito la scura massa scompigliata dei capelli di Gerard, intento a guardare fuori dalla finestra con una tazza troppo schiumosa di cappuccino in mano e lo sguardo distratto in tutta la sua concentrazione, una di quelle espressioni tipiche del sacerdote che rendevano impossibile indovinare se stesse semplicemente ammirando il paesaggio o se stesse nel cuore di una profonda riflessione.
Si girò verso di loro dopo qualche secondo come se lo avessero colto di sorpresa nel fare qualcosa che avrebbe voluto tenere nascosto, nonostante doveva pur aver avvertito il loro ingresso nella stanza.
Il suo sguardo e quello di Frank si incrociarono per un istante, ma tornò subito nella sua contemplazione della strada oltre il vetro, sorseggiando il cappuccino.
Frank invece avrebbe voluto parlargli con gli occhi, o meglio urlargli, insultarlo forse, almeno silenziosamente, dicendogli di tutto un po’, dalla sua angoscia alla sua rabbia, dal suo dispiacere alla sua risolutezza, soltanto tramite lo sguardo.
 
-“Gee, li hai presi tu?”
 
Gerard annuì, senza però guardare il fratello, e prese un altro sorso.
 
-“Volevo rimediare con mamma, e visto che ero lì ne ho presi un po’ per tutti…”
 
Fece per avvicinare il cartoncino della bevanda d’asporto alle labbra, e queste tremarono silenziose per un istante, in un balbettio senza parole, finché finì la sua breve spiegazione.
 
“… e due sono alla crema.”
 
Un altro sorso.
Forse credeva che bere quel cappuccino fosse la scusa perfetta per evitare di partecipare a qualunque realtà scomoda che avrebbe altrimenti dovuto affrontare in quella stanza.
Frank avrebbe voluto sorridere ma non lo fece.
E due sono alla crema.
Soltanto una persona preferiva i cornetti alla crema a quelli al cioccolato.
Alla fine però, un sorriso quasi gli uscì lo stesso dalle labbra.
Sussurrò un grazie più incolore possibile, non volendo cedere così facilmente, ma Gerard non reagì in nessun modo, se non sorseggiando ancora.
Forse per colpa della brillante luce del mattino inoltrato che colmava la cucina proprio da quella finestra, Frank si accorse solo in un secondo momento che indossava i suoi abiti sacerdotali.
Lo avvolgevano come se non vi fosse dentro, ma come se fossero quelli ad appoggiarsi sulla sua pelle, il collarino un piccolo spicchio di candore su quel collo teso verso la luce del sole, ormai alta e dominante su di loro.
Portava con sé un qualcosa di sacro e ineffabile, un’impronta di santità inconcepibile dalla semplice ragione, sciolto in quell’ abbraccio luminoso che minacciava di dissolverlo in puro spirito da un momento all’altro.
 
-“Scusate, devo andare.”
 
Lasciò inevitabilmente il cartoncino della tazza da asporto del cappuccino abbandonato sul davanzale, e finalmente riuscì a rivolgersi direttamente verso di loro.
Sia Frank che in particolar modo Mikey lo trovarono in condizioni migliori che negli ultimi giorni.
I solchi violacei sotto ai suoi occhi si erano notevolmente sbiaditi.
Indugiò un momento in direzione di Frank, evitando comunque di far incontrare i loro occhi, per poi donare la sua totale attenzione al fratello minore.
 
-“È il primo giovedì di maggio, quindi…”
 
Forse pensava che Frank se ne fosse dimenticato, o peggio che per le loro incomprensioni non si sarebbe presentato all’incontro con i bambini.
Mikey annuì come se la frase fosse stata realmente diretta a lui e si alzò ad abbracciarlo.
Non che i fratelli Way avessero mai fatto un segreto del loro forte legame, ma per qualche motivo il gesto turbò Frank.
Credette di essere lo spettatore inerme e inconsapevole di qualcosa che lo preoccupava ma che non gli era concesso di sapere.
Fece finta di nulla e paradossalmente si mise a bere il proprio latte, vergognandosi di come ora era lui quello che credeva di potersi estraniare dalla situazione in quel modo.
Credette di aver sentito Mikey sussurrare qualcosa all’orecchio del fratello maggiore, ma non ne era sicuro, poteva essere stata solo una sua impressione.
 
†‡†
 
Non si sentiva così piccolo da molto tempo, ma ora, seduto su quella panca scura col rosario celeste di sua nonna arrotolato in un pugno e il dipinto della Vergine che sembrava rimproverarlo con tristezza, si rese conto di quanto fosse stato immaturo.
O di quanto fossero stati immaturi, per la precisione.
L’angoscia non se ne era andata, ma in fondo si era convinto che non poteva essere accaduto nulla di male.
Era in anticipo di almeno tre quarti d’ora e l’aveva fatto con tutta l’intenzione.
Specialmente in momenti di ansia e agitazione, preferiva essere il primo a trovarsi in un luogo.
Immaginò il momento in cui sarebbe giunto Gerard, probabilmente ora occupato in sacrestia o intento a leggere nello studio.
Non sapeva esattamente come mai si sentisse in quello stato, se per la piccola incomprensione con l’amico o se per quel sentimento di preoccupazione frustrata, che come uno spettro sotto al letto pareva manifestarsi e terrorizzare soltanto a lui.
Il primo giovedì del mese di maggio e il rosario coi bambini.
Non credeva molto a quel tipo di usanze prettamente cattoliche e tradizionali, ma credeva fermamente nell’oasi di pace e sicurezza che stavano cercando di costruire, giorno dopo giorno, per tutti i ragazzi.
Talvolta gli capitava di ridere leggermente di sé, riflettendo in modo sarcastico di quanto fosse effettivamente un chierichetto, come usava chiamarlo Mikey.
Eppure lì era diverso.
Non avrebbe saputo spiegarlo, ma lì era diverso.
Gerard, come sempre più spesso accadeva, probabilmente avrebbe iniziato a spiegare e a illustrare tutte quelle sue idee progressiste e innovative riguardo alla posizione che la Chiesa avrebbe dovuto prendere, un approccio più spirituale e mistico che tradizionale e rituale.
Avrebbe proseguito in un monologo appassionato per ore e ore, forse per giorni, su come credeva che le cose “lassù” funzionassero davvero, tutto quel suo bagaglio filosofico-teologico personale che non faceva altro che procurargli grane con Padre Giordano ma che si ostinava a difendere con tutto se stesso e tutta la sua testarda tenacia sin da quando era ancora un novizio.
Bagaglio grazie al quale l’oratorio era sempre così affollato, nonostante Gerard non fosse una di quelle personalità particolarmente inclini all’estroversione e al ruolo di profeta delle genti.
Erano le persone che si riconducevano in modo naturale a lui, riuscendo ad amarlo semplicemente ascoltando la sincerità delle sue idee, spogliate dai filtri della tradizione cattolica, e dalla bontà del suo carattere timido e riflessivo.
A Frank, dal canto suo, che si era sempre ritrovato ad aleggiare nei meandri della Chiesa per pura adesione al pensiero del giovane sacerdote, piaceva semplicemente dire che lì era diverso.
Non aveva mai nascosto la sua ideologia ostile e ribelle nei confronti delle dottrine ufficiali, né che la sua presenza fosse dovuta a quell’atmosfera di familiare imponenza, anziché di impersonale autorità, che con la sua visione Gerard era riuscito a infondere, nonostante le critiche dei più anziani e soprattutto nonostante i paterni rimproveri di Padre Giordano, che, tuttavia, in un certo qual modo lo sosteneva e lo appoggiava.
Soltanto un fatto era rimasto gelosamente taciuto nel suo animo, ma i suoi sentimenti per Gerard erano un mondo troppo remoto e pudicamente nascosto per trovare una loro rilevanza in quel contesto.
Sentì il ricordo del sapore della crema accarezzargli il retro delle papille gustative e come una delicata mano che avesse iniziato a sfiorargli la guancia per poi schiaffeggiarlo in un gesto inaspettato, provò una sensazione di irrimediabile tristezza senza fine.
Alzò gli occhi e Maria ricambiò il suo sguardo, malinconica e dolcemente sofferente.
Non avrebbe saputo dire se lo stesse ammonendo o se lo stesse al contrario comprendendo.
Vi lesse tuttavia una lieve stonatura di compassione, come se credesse di non esserne abbastanza degno.
Si chiese, ancora una volta, se Lei fosse a conoscenza di tutto ciò che provava per Gerard.
Si chiese anche se Lei avesse avuto la premura di insinuarsi in qualunque fosse il turbinio che sembrava avvilupparsi tetramente nella mente labirintica del sacerdote.
Pensò all’episodio per colpa del quale era nata la loro infantile resistenza nei confronti dell’altro, rivivendo quel momento con quanta più intensità fosse capace.
Rivide quello stesso Gerard dallo sguardo corrosivo e immerso in una stanchezza irritata, quelle mani calde aggrovigliate nel vermiglio scuro del rosario, quella posa supplice e umile sull’inginocchiatoio, col capo chino e nervosamente assorto, portata con una vena di impertinente superiorità.
Se lo figurò ardentemente e con una punta di rabbia nel basso ventre.
Era consapevole del perché quel semplice evento quella mattina lo aveva condotto ad una tale collera, la stessa che in quel momento, ripensandoci, tornava a premere sulle sue viscere.
Conosceva il reale motivo di quel furore, di quell’impotenza disarmante e disgustosa che raschiava e feriva le sue interiora nel desiderio furibondo di baciare Gerard, ferendolo così con la medesima impertinenza.
Una crudele meschinità denudata da qualsivoglia ipocrisia lo premeva contro se stesso, lo spingeva violenta ad affrontare il suo stesso volto peccatore, quasi a ripulire tutti i suoi sensi di colpa e insieme ad accentuarli, contornandoli, incandescenti ma provocanti.
Quell’animalesca ira segreta che forse era la prova del suo candore, lo sollecitava in quel modo intollerabile a desiderare l’amore dell’altro proprio quando questo veniva meno alla sua sacra aurea di intoccabile santità.
Fu allora che cominciò a sostenere il peso di ogni sguardo raffigurato intorno a sé.
Grave, accusatorio, dispregiativo, accanito.
Ebbe l’impressione di percepire il legno delle panche oscurarsi, l’illuminazione già tenue affievolirsi, e l’aria fresca dei marmi farsi gelida nella sua anima.
Inconsciamente si portò, ad un passo dal rabbrividire, un po’ più vicino al suo amato dipinto della Madonna Addolorata, incapace di sostenere il suo viso colmo di dolore questa volta.
Strinse nel palmo della mano leggermente umidiccio il suo rosario ceruleo.
Percepì come la lacerante e affilata lama di una spada il desolante dubbio di aver recato ulteriore dolore a Lei.
Eppure, Frank da qualche parte del suo animo lo sapeva, lo stava amorevolmente cingendo tra le braccia, cullandolo il suo cuore velato di nubi e scacciando la tempesta prima che potesse dilagarsi in tuoni troppo assordanti da tollerare.
Intimorito e flagellato da tutti quegli occhi impassibilmente risoluti, udì un legnoso scricchiolio proveniente da un punto indefinito del suo stesso lato della navata, precluso al suo sguardo dalla parete rotondeggiante della cappellina in cui sedeva.
Si affacciò timidamente, aspettandosi di trovare qualche anziana signora o qualche vecchietto col berretto sotto il braccio.
Fu allo stesso tempo sollevato e imbarazzato di non essere stato solo.
Riuscì a scorgere Padre Giordano che usciva con aria stanca dal confessionale, soffermandosi per qualche momento in più accanto alla porta semiaperta, riaffacciandosi all’interno, come ad aggiungere qualcosa prima di andarsene.
Gli dava quasi le spalle e Frank non riuscì a spiare nessuna espressione dal suo volto.
Lo vide allontanarsi, costeggiando la navata centrale, con passo regolare e deciso, ma col capo chino.
Si domandò su chi potesse mai esserci, lì, nascosto e ignoto nel suo angolo da penitente dentro al confessionale, tanto riservato da non uscirne nemmeno dopo che se ne fosse andato il sacerdote.
Se lo chiese prima che la risposta più ovvia avesse l’opportunità di delineare nella sua mente.
Non era la prima volta che assisteva ad un fatto del genere, eppure  non cessava mai di rilasciare in lui un certo strano effetto, qualcosa di affascinante ma al contempo innaturale, raro.
E difatti, non molto dopo, vide un maremoto di ciocche da incubo, e l’andatura lievemente goffa di Gerard.
Il viso splendidamente afflitto, di una bellezza dolorosa e sofferta, come una Madonna Addolorata trafitta da sette spade, che si muoveva trascinando il peso morto delle sue flagellazioni.
 

Allora, chiedo immensamente perdono per il ritardo enorme, ma il tempo di una maturanda è poco, tanto poco quasi quanto la mia fiducia in me stessa, che mi porta a non essere mai soddisfatta e a deprimermi ogni volta che sento il capitolo come uno schifo.
Mi fa ancora schifo e fosse per me pubblicherei non so quanto per poter modificare e correggere, ma domani parto per la gita (yay) e mi ero ripromessa di aggiornare prima di partire, e quindi niente, eccolo qui. Sinceramente credo che avrei potuto fare di meglio, ma ormai è andata, se mi direste cose ne pensate ne sarei tanto tanto tanto felice.
Perdonatemi se non è all'altezza delle aspettative, mi auguro di aggiornare quanto prima il prossimo capitolo.
Un grazie ad Alby che tollera le mie pippe mentali e con la quale ieri, grazie a questo sito, ho festeggiato il nostro primo amiciziaversario, e qui non aggiungo altro perchè altrimenti finirei domani.♥♥♥
   
 
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