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Autore: Emmastory    05/04/2017    3 recensioni
Anche se il tempo continua a scorrere, le cose nell'un tempo bella e umile Aveiron sembrano non cambiare. La minaccia dei Ladri è ancora presente, e una tragedia ha ora scosso l'animo dei nostri amici. Come in molti hanno ormai capito, quest'assurda lotta non risparmia nessuno, e a seguito di un nobile sacrificio, la piccola ma coraggiosa Terra sembra caduta in battaglia, e avendo combattuto una miriade di metaforiche e reali battaglie, i nostri eroi sono ora decisi. Sanno bene che quest'assurda e sanguinosa guerra non ha ancora avuto fine, ma insieme, sono convinti che un giorno riusciranno a mettere la parola fine a questo scempio, fatto di sangue, dolore, fame, miseria e violenza. Così, fra lucenti scudi, affilate spade e indissolubili legami, una nuova avventura per la giovane Rain e il suo gruppo ha inizio. Nessuno oltre al tempo stesso sa cosa accadrà, ma come si suol dire, la speranza è sempre l'ultima a morire.
(Seguito di: Le cronache di Aveiron: Miriadi di battaglie)
Genere: Avventura, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Le cronache di Aveiron'
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Capitolo XXXIII

La forza dentro

La situazione era critica, e tutti noi terrorizzati. Per pura fortuna, la folle corsa in strada di Chance e Terra era servita a qualcosa, e proprio come desideravamo, Samira era arrivata in ospedale. Giaceva ora in un letto dalle bianche lenzuola, e suo marito, con le lacrime agli occhi, non faceva che pregare per lei. Nel farlo, parlava con Dio. “Non portarmela via. Non è pronta per Te. Ripeteva, con le mani giunte in preghiera e la voce corrotta da un pianto che non riuscii a domare. Intanto, la sua amata restava lì. Ferma, ad occhi chiusi e quasi addormentata. Era da poco svenuta, e sembrava davvero dormire, ma ciononostante, sapevamo che non era così. Gli occhi mi bruciavano e dolevano a causa di un pianto che anch’io non riuscivo a tenere nascosto, ma stringendo con forza la mano di Stefan, mi feci forza. La mia povera amica soffriva di cuore, e oltre che triste, ero anche fiduciosa. Sapevo che era stata protagonista di mille sciagure anche prima di conoscerci, ma ora aveva tutti noi al suo fianco, e no, non l’avremmo certo abbandonata. Lento e inesorabile, il prezioso tempo continuava a sfuggirci di mano, e dopo circa un’ora passata nella sala d’attesa sotto il consiglio del dottor Patrick, Soren aveva espressamente chiesto di rimanere da solo con lei. Conoscendolo e sapendo quanto l’amasse, lui l’aveva lasciato fare, ma nonostante la porta chiusa, riuscimmo tutti a sentirlo mentre le parlava. “Ti prego, tesoro, svegliati. Torna da me e non lasciarti andare. So che sei forte, e non posso perderti. Le diceva, supplicandola teneramente e sperando in un suo risveglio. Guardandola, non faceva che ripetere quelle parole, e quasi arrendendosi, uscì da quella stanza. “Ti prego, svegliati.” Ripetè poi un’ultima volta, con alcune lacrime che gli rigavano il volto. Subito dopo, ci raggiunse in quella sala, ma complice la tristezza, mantenne un religioso silenzio. Soffrendo per lui, lo chiamai per nome, e guardandomi, attese che iniziassi a parlargli. “Sai come sta?”Una domanda forse indelicata e infelice, ma che non risparmiai. “Il dottore dice che è stabile, ma ho davvero paura.” Confessò, con voce ancora tremante. “Ti ho sentito mentre le parlavi, e sono d’accordo. Lei non può andarsene, non ora.” Gli dissi, posandogli una mano sulla spalla per infondergli coraggio. Sorridendo, il mio amico mi ringraziò, e in quel preciso istante, qualcosa di decisamente orribile accadde, cogliendoci entrambi di sorpresa. Il cardiografo a cui Samira era stata collegata emise un suono prolungato, e sul piccolo schermo non si vide che una linea piatta. Sconvolto, Soren provò ad avvicinarsi al letto della moglie, ma il dottor Patrick lo fermò. “Non serve, se n’è andata.” Gli disse, guardandolo con aria affranta. “Che… Cosa?” balbettò, incredulo e letteralmente senza parole. “Mi dispiace, ma è così.” Continuò il dottore, abbassando lo sguardo e muovendo qualche passo per la stanza al solo scopo di avvicinarsi e staccare la spina di quella macchina. “No! La prego, non lo faccia!” Gridò, tentando di fermarlo e impedirgli di compiere quel così crudele gesto. Colto alla sprovvista, il dottor Patrick si voltò, e solo allora, Soren si avvicinò alla moglie, iniziando poi a praticare su di lei il massaggio cardiaco. Compressioni semplici ma dalla cadenza ritmata, viste dal marito come l’ultima possibilità di salvare la vita di colei che amava. “Soren, basta. Ormai non ha più senso.” Gli disse il dottore, tentando di dissuaderlo e riportarlo alla ragione. “Lei non è morta.” Rispose Soren a muso duro, continuando imperterrito ad eseguire quella disperata manovra. Muta e immobile, soffrivo in silenzio, e non riuscendo più a trattenermi, glielo dissi anch’io. “Soren, mi dispiace davvero, credimi, ma è morta.” Questa la frase che pronunciai, sentendo poi una strana stretta al cuore e pentendomene subito dopo. “Lei. Non. È. Morta.” Fu la sua risposta, che formulò scandendo con precisione ogni parola. Guardandolo, aprii la bocca per parlare, ma non ne uscì alcun suono. Addolorata, mi voltai lentamente, e in quel momento, sentii una specie di rantolo. Di lì a poco, Samira iniziò a tossire, e riaprendo gli occhi, posò lo sguardo sul marito. “Samira! Amore mio, grazie al cielo stai bene!” il suo fu un grido di vera gioia, al quale seguirono un forte abbraccio e un profondo bacio che lo unì alla sua tanto amata moglie. “Sto bene perché mi hai salvata, tesoro.” Gli rispose lei, liberando un colpo di tosse e sorridendo debolmente. Poi, una seconda domanda, che fece crollar loro il mondo addosso. “Che mi dici del bambino?” cinque parole pronunciate dalla stessa Samira, alle quali il dottore rispose prontamente. “Forse possiamo ancora salvarlo.” Disse infatti, riaccendendo in ognuno di noi un’ora flebile speranza. “Dimmi, lo senti ancora?” le chiese poi, sperando di ricevere una risposta positiva. Per pura fortuna, questa arrivò senza farsi attendere, e in quell’istante, Samira avvertì un movimento, poi un forte, fortissimo dolore allo stomaco. In preda al dolore, non fece che gridare e stringere la mano del marito, e poco tempo dopo, sfinita dalla stanchezza, si lasciò ricadere sul letto. Aveva davvero finito le energie, ma con un ultimo sforzo, la mia amica riuscì a realizzare il desiderio che aveva in comune con il marito, e mettere al mondo il loro tanto atteso bambino. Non appena lo videro, i due si baciarono, ma nonostante la loro felicità, sentivo che a quel momento così magico e speciale mancava qualcosa. Per qualche arcana ragione, il bambino non piangeva. Non ero un medico né una dottoressa, ma sapevo che significava una sola cosa. Il piccolo non respirava. “Dottore, faccia qualcosa!” gridai, alterandomi di colpo e non curandomi del tono che utilizzai nel farlo. Obbedendo a quella sorta di ordine, il dottor Patrick prese con sé il neonato, e battendogli una mano nel mezzo delle scapole, provò a liberargli le vie aeree, riuscendo ad aiutarlo e salvargli la vita. Fu quindi questione di attimi, e il piccolo prese a piangere. Lacrimando di gioia, Samira chiese di vedere suo figlio, e non appena questo le venne posato in braccio, lei pronunciò il nome che lei e suo marito avevano scelto. Isaac. Poco dopo, prese ad allattarlo, e poi, davvero sfinita, si addormentò assieme al suo piccolo. Quella sera, mi appisolai con Stefan e Terra in sala d’attesa. Lui teneva in braccio Rose, e come c’era d’aspettarsi, ero esausta. Poco prima di dormire, aggiornai il mio diario, registrandovi anche questo magnifico e inaspettato evento. Un’ennesima sfida che Soren e Samira avevano affrontato e vinto insieme, scoprendo, mano nella mano, di possedere un’incredibile forza che scaturiva da dentro.
   
 
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