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Autore: dream_more_sleep_less    06/04/2017    0 recensioni
A diciotto anni non si sa mai esattamente cosa si voglia dalla vita, né chi si voglia diventare. Si passa il tempo a porsi domande accompagnate da porte in faccia, e rimaniamo indecisi fino all'ultimo. Leeroy invece è cresciuto con la convinzione di poter diventare esattamente ciò che vuole: un calciatore. Non ha mai voluto altro e non ha mai sognato altro. Gli studi non fanno per lui. La sua presunzione lo porta a distruggere i sogni della squadra del suo liceo proprio alla finale di campionato. Ha deluso soprattutto i compagni che stanno ormai per diplomarsi. Per loro non ci sarà un'altra possibilità, sono arrivati all'ultimo giro di giostra. Alla fine scenderanno da vincitori o da perdenti. Dipenderà tutto da Leeroy, che dovrà riuscire a mettere le redini al suo ego per andare d'accordo con il portiere. Secondo lui, Lance è la vera causa della loro sconfitta.Troppo calmo, troppo sicuro di sé. Ma il loro rapporto dovrà cambiare per permettere ad entrambi e al resto della squadra di guadagnarsi il titolo di campioni. { In corso }
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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The last chance

                                                                                                                 XXXII
 


Se lo ricordava ancora il momento in cui tutto si era frantumato, in cui la poca calma che Leeroy aveva mantenuto fino a quel momento era venuta meno e  aveva ceduto alla rabbia. Se lo chiese ancora una volta: se, in quel momento, invece di aprir bocca se ne fosse stato zitto e fosse tornato nello spogliatoio come se non avesse visto nulla, avrebbero vinto la partita?
Leeroy forse non avrebbe ceduto alle calunnie di Sanders. Se non si fosse fatto avanti, forse, il primo tassello del domino non sarebbe caduto.

Durante l'intervallo era uscito per prendere una boccata d'aria; erano in troppi in quella stanza, tra compagni di squadra, allenatore e Abigail. Non sapeva come, ma era riuscita ad intrufolarsi, facendo l'invasata come suo solito e saltellando come una gazzella per far festa a tutti. 
Contrariamente a quanto aveva pensato, era sicuro che avrebbero portato a casa la partita; ciò che però lo lasciava ancora piu stupito era Leeroy. 
Il ragazzo si stava comportando come un vero membro di una squadra e non come un dio onnipotente e capriccioso. Forse sarebbe arrivato a compl imentarsi con lui a fine partita. Sarebbero riusciti a tenere duro e vincere quella dannata coppa per una volta. L'anno prima era stato un disastro, ora potevano solo migliorare.

Arrestò il passo quando udì delle voci provenire dal corridorio attiguo. Lo stadio in cui stavano disputando la finale era enorme; questa volta avevano fatto le cose in grande, ma solo perché c'era la Ravensburg di mezzo. 
Non riconobbe la voce di chi stava parlando, ma riconobbe il vaffanculo a denti stretti di Leeroy riecheggiare per le mura. Che diavolo sta combinando?, pensò, sperando che il ragazzo non si stesse mettendo nei guai. Non l'aveva nemmeno visto uscire dallo spogliatoio prima di lui. 
Si accostò al muro, senza però sbirciare, e a quel punto riconobbe anche l'altra voce.

"Lo sai, vero, che gli scout non sono qui per te, ma per me?" disse Oliver. 
"Non sei all'ultimo anno," rispose secco Leeroy. 
Lance pensò che stesse cercando di mantenere la calma e per una volta sperò che il ragazzo ci riuscisse veramente. 
"Sei un idiota, a loro non interessa a quale anno ti trovi, se gli piaci ti prendono. Ho saputo che qualcuno di loro ha pure messo gli occhi sul portiere e il vostro capitano," fece ancora il giocatore avversario. Il portiere capì che lo stava prendendo in giro dal tono che stava usando; voleva mandare il cervello in pappa al suo terzino. Se Leeroy cadeva sarebbe caduta tutta la difesa, dannazione.
"Vatti a fare un giro, Oliver." A quel punto Lance non potè piu fare finta di nulla e parlò, rivelando la sua presenza. 
"Wow, ora ti fa anche da mamma? Pensavo che quella fosse una prerogativa di Miles," li schernì l'americano. 
"Chiudi quella bocca, cazzo," sbottò Rogers, per poi rivolgersi al portiere con uno sguardo come se fosse lui il cattivo di turno. Per lui lo era. 
"Non sono cazzi tuoi." 
"Sì se siamo nella stessa squadra." 
"Ci vediamo fuori ragazzi. Tanto nessuno di voi verrà scelto, anche se doveste vincere la partita," rise, andandosene. 
"Testa di cazzo, fuori ti prendo a calci in quel culo finchè non torni in America!" urlò Leeroy, muovendosi verso l'avversario, ma Lance si mise di mezzo, afferrandolo per un braccio. 
Il terzino lo strattonò. "Lasciami, non sei mia madre." 
Quello sguardo fece salire il timore al portiere che ormai fosse irrecuperabile. 
Lance lo tirò per il braccio finché non furono occhi negli occhi. 
"Comportati come hai fatto fino ad ora e non azzardarti a dare di matto, altrimenti giuro su Dio che ti spacco il culo," gli disse in un fiato, senza staccare lo sguardo da quelle iridi che non vacillarono neanche per un secondo a quelle minacce. Quanto lo irritava. Vedeva benissimo che Leeroy non aveva limiti con lui, non lo temeva, non aveva paura di fargli o farsi male, era una gara a chi fosse migliore o peggiore. Leeroy vinceva sempre, perché Lance non poteva permettersi di dare sfogo a ciò che provava dentro. Non era una brava persona, tutto ciò che covava dentro era odio misto a rabbia e altri miliardi di sensazioni negative che Rogers riusciva a far traboccare con un solo sguardo. 
Il terzino lo afferrò a sua volta per il collo della divisa. "Non ti azzardare mai più." 
Non poteva permettersi di replicare o sarebbe scoppiato. Si limitò a strattonarlo per allontanarlo da sé. 
La sua presenza gli faceva uscire il peggio. 
"Muoviti," disse soltanto, tornando sui suoi passi. Pregò solo che sul campo non avrebbe fatto nulla di cui poi si sarebbe pentito amaramente.

Aveva dovuto lasciar entrare Adam in casa o avrebbe sfondato la porta a forza di bussare. Ritrovarselo davanti a sua volta con un occhio nero lo lasciò senza parole. Probabilmente era quello che voleva raccontargli nelle telefonate senza risposta che aveva ricevuto. 
Ma non era molto convinto di volerlo ascoltare. 
Si preparò però ad una lunga storia. 
"Ascolta, ero ubriaco e non so come mi sia saltato in mente di dirlo," fece subito il più grande con tono agitato, camminando avanti e indietro per la cucina. Lance non capì di che diamine stesse parlando. 
Infatti il suo sguardo perplesso lo convinse ad andare avanti, anche se immaginava già la reazione dell'amico da lì a pochi secondi. 
"Ho incontrato Miles e Leeroy l'altra sera, al pub," sentenziò Adam con sguardo contrito. 
Il padrone di casa sgranò gli occhi. 
"Me la sono presa con entrambi e mi è scappata la cosa di te e di Rogers." 
"Tu cosa?" 
"Ho insultato Leeroy e il tuo migliore amico mi ha preso a pugni. Non volevo dirglielo, ma avevo bevuto e.." 
Lo sguardo di Lance si spostò velocemente da Twain al tavolo davanti a sé e poi di nuovo sul ragazzo. 
"Fuori." 
Adam lo guardò perplesso. 
"Ho detto fuori di qua." Lance si alzò e, con tutta la forza che aveva in corpo, lo trascinò alla porta. 
"La prossima volta ti prendo io a pugni, sei un coglione." 
"Cazzo, lo sai che non l'avrei mai fatto." 
"Non me ne frega niente, l'unica cosa che non dovevi fare l'hai fatta, che cazzo di amico sei?!" sbottò Lance, furioso. Non riusciva a credere a cosa avesse fatto. Al diavolo lui e la sua depressione da ragazzina innamorata. "Hai toccato il fondo," disse freddo, prima di chiudergli la porta in faccia.

La sua prima reazione fu quella di prendere il telefono e chiamare Miles, ma poi lasciò perdere. Non gli interessava, non gli interessava più nulla. Se il suo migliore amico avesse voluto parlargli, l'avrebbe già fatto. Anche se lui ora sapeva, non sarebbe cambiato nulla. Si fece una risata e tornò a guardare la tv. 
"Che vadano tutti al diavolo."

*

Per un momento aveva avuto il dubbio che si fosse trattato di un errore; quando aveva guardato Miles negli occhi aveva quasi pregato in una risposta negativa. Dentro, però, lo sapeva che Oliver aveva aveva ragione. 
L'anno prima l'aveva innervosito, riempiendogli la testa di bugie e cattiverie; quella volta non gli aveva creduto, ma l'aveva fatto uscire di testa, soprattutto per via dell'intromissione di Lance. 
Avrebbe lasciato correre, se poi l'americano non avesse continuato a dargli addosso anche su campo con falli e frasi non sentite dall'arbitro. L'aveva distrutto psicologicamente e ancora una volta ci era riuscito.
Quando si era ritrovato al secondo tempo a guardare la palla senza sapere cosa fare, anche Lance aveva a tartassarlo. Ricordava ancora il passaggio mancato e la palla che era rotolata fino ai piedi del portiere. Si era imbestialito.

"Non dormire cazzo," gli disse Stark, passando in lungo a Drew. 
Leeroy si sentì ignorato. Nonostante fosse proprio davanti a lui, aveva preferito l'altro. 
Se l'avesse presa lui, avrebbe impiegato pochi secondi per ritrovarsi a centro campo e passarla poi a Miles. 
"Ero qui, cazzo!" sbottò. 
Il portiere si girò a guardarlo, notando subito che era alterato, ma  non gli interessò. 
Poteva passargliela, ma non l'aveva fatto. 
"Porco cane, ero qua e l'hai data a Drew!"
"Continua a giocare," lo liquidò. 
Leeroy cercò di calmarsi per un momento, non era il momento di dare di matto. Gli diede le spalle e tornò in posizione. 
La palla venne subito intercettata da Oliver, che lo puntò immediatamente. Lo sguardo che gli rivolse gli fece perdere la calma e si ritrovò a corrergli incontro, senza pensare. L'istinto l'avrebbe fregato di nuovo. 
"Sei proprio un idiota." 
Il terzino, a quelle parole, cercò di prendergli la palla in scivolata, ma andò a vuoto. Imprecò dopo non averlo nemmeno sfiorato. 
L'attaccante avversario si diresse in porta dopo aver oltrepassato anche Drew. 
Non seppe come, ma Lance riuscì a parare la palla; si sentì sollevato, ma anche arrabbiato. Andò incontro al ragazzo, facendogli segno di passargli la palla, ma venne di nuovo ignorato e venne passata in lungo a Miles. 
Imprecò. 
"Mi stai prendendo per il culo?!" urlò. 
Il portiere non gli rispose. A quel punto marciò nella sua direzione, andandogli faccia a faccia e spingendolo ad indietreggiare. 
"A che cazzo di gioco stai giocando?" 
"Torna a giocare." 
"Vaffanculo," disse, per poi spingerlo a terra; il ragazzo però non cadde, e fece lo stesso. 
"Lasciami in pace, cazzo!" 
"Passami quella fottuta palla!" Leeroy lo spinse ancora con più forza e questa volta finì a terra. 
Lance si tirò subito in piedi e lo afferrò per la maglietta. "La vuoi smettere? È la finale, porca puttana!"
In quel momento al terzino non interessò molto se stessero giocando la finale o meno, voleva solo che gli passasse quel dannato pallone. Si era stancato dell'aria di superiorità del portiere. 
"Non sei un cazzo, non ti azzardare."
L'arbitro arrivò in quel momento e ammonì entrambi con il giallo.

Non aveva provato nulla nemmeno in quel momento, se non rabbia e odio. Era stato come sventolare una tovaglia rossa davanti ad un toro. Era riuscito a distruggere tutto in pochi secondi. Stan l'aveva subito sostituito e non era riuscito a guardarlo in faccia, non gli aveva rivolto minimamente la parola. 
Nemmeno Akel era riuscito a calmarlo, dovette trascinarlo a forza negli spogliatoi per non lasciare che urlasse contro l'arbitro ed il portiere. 
Era stato imbarazzante e stupido. Anche a distanza di mesi non era riuscito a farselo andare giù. 
Avrebbero dovuto dargli una medaglia per quanto fosse bravo a mandare a puttane ciò in cui credeva di più.
Al solo ricordo voleva seppellirsi sotto metri di terra.

Un anno prima sarebbe marciato da Stan e l'avrebbe obbligato a ridargli il suo posto; ora non gli interessava. 
Quell'opportunità era da sempre stata scritta nel suo destino. Non era presunzione; la presunzione sarebbe stata se avesse dato per scontato di venir preso. 
Non sarebbe stata l'unica opportunità, ne era certo. Ma qualcosa si era comunque spezzato in lui, sicuramente non sarebbe stato più lo stesso. Doveva andare avanti però.

La questione, al momento, era più complicata del previsto, da quando i suoi genitori avevano preso il primo volo per Londra. Ed ora che si trovavano in cucina con lui, sperò che non fossero mai tornati. Si sentiva un codardo. 
Nonostante sua madre sembrasse tranquilla suo padre, al contrario, sembrava voler scoppiare ad un solo suono uscito dalla sua bocca. Jo aveva provato a scappare, ma Maurice l'aveva fatta restare con una sola occhiata e lei si era seduta mogia sullo sgabello vicino al cugino. 
Il signor Rogers guardava entrambi come se cercasse di capire cosa fare o dire, ma quando fece per parlare, Amanda prese parola. 
"Quello che mi ha detto Joanne è la verità?" chiese soltanto. Teneva le mani sui fianchi mostrando autorità, ma qualcosa diceva al ragazzo che forse non se la sarebbe presa come avrebbe fatto suo padre. 
Leeroy e la ragazza annuirono contemporaneamente, con la testa bassa. 
La donna si portò una mano alla fronte. Forse al contrario di ciò che pensava era davvero vicina ad una crisi di nervi. 
"Mi avevi promesso che non te la saresti più presa con quel ragazzo, e quello che ha fatto Stan non è una scusante per avergli quasi rotto il naso e avergli fatto un occhio nero," sbottò poi sua madre. 
"Zia, chiunque avrebbe reagito così. Roy non sapeva niente e pensava di essere stato preso per il culo sia dall'allenatore che da Lance," cercò di chiarire la ragazza, difendendo il cugino a spada tratta. 
"Sono io la psicologa qua," rispose secca Amanda. "Non è una scusa. La scuola l'ha denunciato perché non è la prima volta che combina una cosa del genere." 
"E certo, perchè è normale che l'allenatore gli dica: devi andare d'accordo con Lance se vuoi giocare, e poi senza dire nulla a nessuno, da il posto per il West Ham che toccava a Leeroy anzi a Lance. Molto professionale, " disse con tono sarcastico la ragazza, scuotendo la testa, ancora incredula per tutta quella storia. 
"Non fare l'avvocato del diavolo. So cosa è successo e so che Stan non doveva azzardarsi a fare una cosa del genere, ma mio figlio è un cretino che si lascia accecare dall'ira e peggiora solo la situazione," fece la donna. Capiva perfettamente il punto della situazione, ma non si permetteva il lusso di dare fiducia cieca al figlio; aveva solo diciotto anni ed era una testa calda. Stan, comunque, l'avrebbe pagata. 
"Lo so, mamma, non serve ripetere sempre la solita cosa. So di aver fatto una cazzata, ma a differenza delle altre volte sono maledettamente pentito. Non avrei dovuto farlo. Ci ho messo non so quanti mesi per andare d'accordo con Lance, e mi andava pure bene, poi Stan ha mandato tutto al diavolo, compreso l'umore della squadra. Non avrei dovuto farlo, ma ormai è successo, e ne accetto le consequenze, non ho intenzione di combinare altre cazzate," disse Leeroy, per la prima volta guardando la madre negli occhi con un cipiglio che la donna non gli aveva mai visto. Rimase per un attimo interdetta. 
"Bel discorso, ma tutto ciò non può in nessun modo salvarti dalle conseguenze e dal fatto che io e tua madre dovremmo prendere dei seri provvedimenti questa volta," parlò per la prima volta  Maurice. 
"Lo so, hai ragione e non ho intenzione di mettermi a frignare per farmela passare liscia," rispose, sentendosi colpito nell'orgoglio, fissandolo in quegli occhi grigi che ora sembravano una pozza senza emozioni. 
Il padre lo fissò ancora a lungo, come a soppesare le sue parole. 
"Dopodomani andremo a sentire cosa hanno da dire la vicepreside e Stan, avranno le tue scuse e le nostre, ma se si azzardano a sospenderti, quant'è vero Iddio gli faccio chiudere bottega," fece Amanda, cercando di mantenere un tono piatto. 
"Vedremo cosa hanno da dire e poi decideremo cosa fare con te. Se fosse per me, dopo questa ti spedirei di nuovo a Londra," commentò Maurice sovrappensiero, lisciandosi la barba. Da quando era tornato, la notte prima, non se l'era ancora tagliata. In quei mesi al freddo non ci aveva minimamente pensato a farla e ora si era abituato ad averla. 
"Non è un problema," rispose subito il figlio con uno sguardo di sfida. 
Avrebbe accettato qualsiasi cosa purché capissero che questa volta era davvero pentito.

*

Aveva rivisto Miles a ricreazione quel giorno e gli aveva raccontato la situazione. Non avrebbe ceduto su tutta la linea, ma per il momento non sarebbe tornato agli allenamenti fino all'appuntamento con i suoi genitori. Miles non potè dargli torto e lo tranquillizzò. Per il momento era tornato in squadra, ma non voleva indietro il suo ruolo di capitano, e Stan aveva fatto finta di nulla. 
La pazienza del ragazzo era al limite, in quei giorni avrebbe davvero vouto lasciare la squadra. 
A fine lezione Leeroy fu l'ultimo ad uscire dalla classe con la cugina, non aveva la forza di rischiare di incontrare il portiere nei corridoi. A quell'ora di martedì avevano lezione in classi adiacenti e l'avrebbe sicuramente visto uscendo. Sua cugina capì al volo e andò avanti per tastare il terreno. Volle dargli anche qualche attimo di pace, visto che il professore di storia l'aveva ancora tartassato di domande. 
Quando finalmente uscì e si diresse alle scale che conducevano al piano terra, si sentì sollevato. Non vedeva l'ora che tutta quella situazione fosse finita. Erano arrivati all'apice ed avevano fatto un bel volo fino a terra. Leccarsi le ferite non sarebbe stata una sua prerogativa, si stava rimettendo in piedi e avrebbe lasciato perdere tutto. 
Era ancora con la testa altrove tra i suoi ragionementi quando lo vide salire le scale. Si incontrarono a metà. Notò subito che Lance si era accorto di lui solo quando sollevò lo sguardo, e rimase per un attimo sconcertato, glielo lesse negli occhi. 
Rimasero a fissarsi senza dire nulla per un lungo minuto. Leeroy avrebbe voluto dire un mucchio di cose, ma non trovò né le parole giuste, né il coraggio. 
Per la seconda volta non riuscì a decifrare le proprie emozioni e neppure quelle del ragazzo davanti a lui, ma sapeva che erano le stesse. Ognuno continuò poi per la propria strada, lasciando l'altro ancora più scombussolato di prima e spezzando forse ogni proposito che si erano tacitamente promessi.

   
 
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