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Autore: Yuki002    06/04/2017    1 recensioni
-->Questa storia partecipa al contest "Raccontami una favola!" indetto da supersara sul forum di EFP
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"In un tempo remoto, vi era una valle avvolta dall'inverno perenne. Per questo venne chiamata: la Valle Neveah, colei che non conosce il calore.
Gli abitanti vivevano una situazione di perenne tensione, la morsa del gelo era sempre una paura che entrava nei sogni delle persone e le rendeva, ogni giorno di più, sempre più perennemente coperta da uno strato di neve. Nessuno di loro alzava lo sguardo per ammirare le gigantesche montagne che si stagliavano di fronte ai paesi e alle città.
La nostra storia inizia stranamente senza i nostri protagonisti: tutto nasce in quella capitale, in quelle vie bianche e vuote, in quel palazzo grigio, in quella stanza rossa sgargiante dove si poterono udire i primi pianti di una piccola bambina nata con una grande maledizione sopra"
Genere: Fluff, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Victor Nikiforov, Yuuri Katsuki
Note: Cross-over | Avvertimenti: Mpreg
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RACCONTAMI UNA FAVOLA!

Questa storia partecipa al contest "Raccontami una favola!"
indetto da supersara sul forum di EFP

Nr. di parole: 4547
Favola scelta: Frozen il regno di ghiaccio
 
 

~**~

"Papà, Papà! Raccontami una favola!!"
 
"Ancora? Non ti sei stufato a sentirne una ogni sera?" il padre lo prese in braccio, dandogli un tenero buffetto sulla guancia.

"No, perché ogni volta me ne racconti sempre una migliore!" 

L'uomo sorrise, sistemandosi meglio sul letto e portandosi il figlio nel suo abbraccio: "Ok, questa volta te ne racconterò una straordinaria" schioccò le dita e un leggero fiocco di neve volteggiò nella stanza, illuminandola di una luce fioca "Una vera favola, accaduta veramente al tuo papà"

Gli occhi azzurri si illuminarono, pieni di passione: "Davvero?? Racconta, racconta!!" scalpitò di felicità, zittito dolcemente dal genitore.

"Shhhh" indicò una figura accanto a loro, beatamente addormentata "Siediti, figliolo mio..." con la mano gli arruffò dolcemente i capelli neri "Questa è la nostra favola" accarezzò l'anello al dito, sorridendo calorosamente "Una favola a lieto fine"
Prese fiato, sotto lo sguardo impaziente del bambino che, intanto, si era seduto come gli era stato detto.

"C'era una volta..."


---

In un tempo remoto, vi era una valle avvolta dall'inverno perenne. Per questo venne chiamata: la Valle Neveah, colei che non conosce il calore.
Gli abitanti vivevano una situazione di perenne tensione, la morsa del gelo era sempre una paura che entrava nei sogni delle persone e le rendeva, ogni giorno di più, sempre più perennemente coperta da uno strato di neve. Nessuno di loro alzava lo sguardo per ammirare le gigantesche montagne che si stagliavano di fronte ai paesi e alle città. Il manto bianco copriva interamente le rocce, illuminandole alla luce del sole, mentre di notte diveniva bluastra e verde per via delle meravigliose Aurori boreali che ad ogni nottata regalavano uno spettacolo limpido a quei pochi che alzavano lo sguardo e sorridevano fieri di essere nati in quella terra astia.

La nostra storia inizia stranamente senza i nostri protagonisti: tutto nasce in quella capitale, in quelle vie bianche e vuote, in quel palazzo grigio, in quella stanza rossa sgargiante dove si poterono udire i primi pianti di una piccola bambina nata con una grande maledizione sopra. La piccola crebbe senza problemi e gli fu dato il nome di Elsa, la futura regina dei Ghiacci. I suoi capelli biondi, raccolti sempre in una treccia, illuminavano i corridoi bui del palazzo e i suoi grandi occhi azzurri tentavano di colorare l'intero castello, l'intera capitale. Ma l'unica cosa che poteva fare era togliersi i guanti e vedere delle particelle di un azzurro pallido volteggiare di fronte a lei: se avesse mosso anche solo un dito avrebbe potuto ghiacciare il candelabro davanti a sé e spegnere una delle poche fonti di calore presenti nella valle. Quel potere...

Lo odiava. Erano delle maledette catene che la imprigionavano in un oblio governato solo dalla presunzione delle persone e dal dolore che il potere gli causava. Ogni volta che creava un simpatico pupazzo di neve, con cui era solita chiacchierare sempre, le mani bruciavano e si procurava spesso delle escoriazioni. Tutti i cittadini la veneravano: la consideravano la nuova Nives, la Dea dei Ghiacci. Ma lei era solo una semplice bambina, a cui piaceva la neve e gli inverni...
Era davvero così strana? Poteva essere colpa sua, nascere su questo mondo come l'unione di un umano e una ninfea dei ghiacciai? Poteva quel potere un giorno aiutare qualcuno?
Si rimise i guanti continuando a saltellare di qua e di là sul tappeto rosso, nella speranza di pestare le sue sofferenze e i suoi dubbi. Ma la domanda era sempre presente e assillante...
Poteva aiutare qualcuno?

***

Quel giorno, le sue preghiere vennero ascoltate...
Non se lo dimenticherà mai: un'altra giornata fredda e pungente, contornata da leggeri fiocchi che, sfrontati, avevano ancora il coraggio di posarsi al suolo. Ma ad Elsa non davano fastidio, anzi era felice quando vedeva il cielo grigio piangere silenziosamente insieme a lei. Camminava lungo le stradine poco trafficate della capitale, come al solito alla ricerca del significato di quella giornata. Alla fin fine, non ci avrebbe impiegato troppo a trovarlo...
Una leggera manina, tirò la stoffa del suo vestito nero e verde.

"Signorina..." la voce stridula di qualcuno, la raggiunse ovattata "Può aiutarmi?"
Un bambino la fissava con sguardo perso, vuoto. Gli occhi, azzurri come i suoi, erano celati da un ombra che buttava giù il loro colore vispo, oltre che ad una frangia biondo chiaro. 
'Un vagabondo' pensò, guardando minuziosamente il suo aspetto: un maglione pesante cadeva fino al ginocchio, mentre il resto delle gambe era scoperto. I piedini erano coperti da delle sottilissime scarpe bianche, lasciando comunque intravedere la pelle violacea.

Si tolse il mantello viola e lo avvolse, nonostante sapesse che gli stava molto più grande: "Come ti posso aiutare?" 
Sarebbe stata quella la sua opportunità?

Il piccolo indicò le sue mani, coperte come sempre da dei guanti marrone chiaro: "Il mio amico è sempre stato un po' strano" cominciò a dire, senza che Elsa ne capisse il senso. Rimase solo ad ascoltare ciò che aveva da dire quel piccoletto: in qualche modo sentiva che avrebbe risolto tutti i suoi problemi.

"Ha i capelli neri, gli occhi marroni e adora la neve..."

'Uno straniero...' era l'unica cosa che gli veniva in mente, anche se era raro vedere immigrati nel loro regno.

"Ma a me non importa! Io gli voglio bene. È l'unico che mi capisce, che adora la neve come me, che adora giocarci. Amiamo le Aurore boreali, le case coperte da quel manto bianco, le strade innevate che nascondono il passo pesante degli abitanti, le montagne bianche che si stagliano davanti a noi..." due lacrimoni solcarono quel piccolo viso, lacerato dal dolore "Eppure, perché?" mormorò con voce flebile, quasi inesistente. Ormai il flusso continuo di lacrime, si era mischiato all'ira che il ragazzino portava con sé cristallizzato all'interno dei suoi occhi azzurri. Ma quel suo stesso colore, la spaventò: non sapeva come, ma quei sottili filamenti pieni di astio sembravano uscire dalle orbite per poterla infilzare con la loro gelida carezza. E questo non fece altro che aumentargli l'ansia, ma non si mosse: rimase ad osservare quegli occhi che avevano visto ben più di quanto un normale bambino dovrebbe vedere.

"Perché solo a lui gli fanno male?!" si asciugò con foga i segni della sua tristezza, per poi vederli ricadere sfrontati sulle sue guance "Perché? Solo...perché?" stranamente si calmò, quasi fosse stato appena pervaso da un senso di pacatezza tale da rendere la sua voce atona. Ma quelle gemme blu rimasero fedeli a sé stesse: fredde, glaciali, delle lame che non conoscevano il senso di pietà e, anzi, la schiacciava insieme a quella futile parola che gli uomini avevano osato chiamare "amore". Ma quale amore? Lui e il suo amico non avevano mai ricevuto quel sentimento caldo, di cui tutti parlano: sono sempre stati giudicati come "divergenti", coloro che sono nati con una "storpiatura" nella mente. Coloro che non temono il gelo perenne, che, da anni, stringeva in una morsa di terrore i suoi abitanti.
Lui non credeva nell'amore, non ci avrebbe creduto neanche fra 2, 3, 4, 5 anni.
Ma, forse dopo 10 anni avrebbe iniziato a capirci qualcosa.

Elsa rimase a fissare inerme quel corpicino freddo, carico di responsabilità che non gli appartenevano: "Perché..." sussurrò, pentendosi subito quando vide quelle iridi pervadergli le sue. Eppure, questa volta non erano cariche di angoscia e odio. L'ombra che copriva egoista il colore vivo dei suoi occhi, scomparve lasciando spazio solo ad una pura e semplice tristezza: quel tipo di sentimento, che ti senti felice di provare, perché ti libera. Ecco, cosa vide quella giornata la futura Regina dei Ghiacci.

"Questo mondo è così bello..." ebbe il coraggio di sfilare un guanto, che dapprima fremeva in difficoltà a tenere pressato tutto quel potere travolgente. Schioccò le dita e subito un fiocco di neve si andò a posare sulla punta del naso del bambino: "Ma è anche, così incredibilmente crudele. Non trovi?" 

Non sa come, ma il biondino parve capirlo: "Signora, a lei serve questa magia?" schietto, come pochi toccò subito uno dei suoi tasti dolenti.
Ovvio, che non gli serviva: vivere senza quella maledizione addosso sarebbe stato un sollievo per lei, un macigno che viene sollevato dal suo cuore e buttato via in un lago di acido. Il punto non era la risposta, più che altro il motivo di quella domanda.

"No, è inutile. Non può fare altro che recare danni alle altre persone..." si rimise negligentemente il guanto, quando la presa piccola ma ferrea del ragazzino la bloccò.
Di nuovo quel colore, quelle lame che tagliavano la sua anima, quell'ombra che, minacciosa, rischiava di prendere anche lei.

"Allora, me lo dia..." fissò l'unica parte di pelle che era rimasta scoperta dal tessuto morbido del guanto, sperando in una risposta immediata.
Ma ci impiegò un po', prima di capire che nella testa di quella ragazzina si stavano scatenando mille ricordi.
'Ricordati Elsa, tu sei la portatrice di questo potere tanto forte quanto pericoloso. Hai una grande responsabilità sulle spalle, ma, se saprai padroneggiarlo bene, potrai portare la il regno di ghiaccio ad una nuova era, colma di speranza. Per questo sono qui per insegnarti tutto ciò che noi umani siamo riusciti a raccogliere nel corso dei decenni. Questo libro ti aiuterà nella tua ricerca, spero comprenderai la scelta mia e di tua madre'


~
Capitolo 23

Atto nr.3: "Trasferimento delle particelle del Potere da un essere vivente all'altro"
 
Qualora il portatore del Potere non riesca a reggerne il peso (generalmente, chiunque ha effettuato questo processo sono per lo più donne) è previsto un procedimento assai complesso, denominato "Trasferimento delle Particelle Unicellulari" o, più semplicemente, TPU.
Il TPU prevede che il portatore debba togliersi i guanti sacri che tengono relegato il Potere e toccare la persona e/o animale a cui si vuole riversare tutto o in parte la sua forza distruttiva. Attraverso un'antica nenia, cantata dalle primissime ninfee che regnarono questa terra è possibile trasmettere il potere, nel modo che viene definito TPG (Trasferimento Particelle Gentile): in questo modo il Potere viene esportato dal corpo del portatore e inserito all'interno della creatura designata, senza o con pochi danni collaterali.
I primi sintomi che il nuovo recipiente può riscontrare, sono: 
-sbiadimento totale o parziale del pelo/capelli.
-perdita del colore delle iridi
-continui attacchi di freddo, per via del Potere che destabilizza le funzioni ordinarie dell'organismo [...]-
 ~

Si ricordava quelle parole a memoria, ce le aveva stampate in  testa come un'ancora di salvezza a cui aggrapparsi disperatamente.
Sarebbe riuscita a riversare tutta quella responsabilità a quel povero ragazzino? 
Ma bastò il suo sguardo tagliente e determinato per fargli capire, che, nonostante conoscesse la distruttività del Potere, il ragazzino lo avrebbe accettato per aiutare qualcuno a lui caro. 
Ed era ciò che Elsa desiderava più al mondo: aiutare qualcuno!

"Mi dia il potere e lei verrà liberata da questa maledizione. Mi sembra un grande affare, no?" gli occhi furenti di prima lasciarono spazio ad una nuova sfumatura più calma e gentile, quasi ammaliante. Le labbra screpolate si incresparono in un sorrisetto beffardo, come a dire che a comandare quella situazione era lui. Le lame, che sin dall'inizio avevano iniziato a tagliare in mille pezzi l'anima di Elsa, si erano ammorbidite fondendosi in un unico miasma che portava il colore del mare e del cielo, messi assieme: due mete irraggiungibili e così intangibili. Come quel ragazzino, c'è l'aveva lì davanti poteva sfiorargli i capelli color grano, ma aveva la sensazione di non toccarlo veramente. 

"Avanti, mi dia la mano..." tese la suddetta in segno di invito.
Le dita fremevano sotto il tessuto dei guanti, riusciva a sentire le particelle pulsare contro la stoffa marrone impazienti di sprigionare il loro potere distruttivo. Poteva davvero? Quella maledizione...sarebbe riuscita a liberarsene a carico di un altro? Poteva portare quest'ennesimo fardello?
La mente razionale non ebbe il tempo di ragionare, che la mano venne afferrata dal bambino sfilandogli i guanti.

"Chi tace acconsente..." bisbigliò, divertito "Su, dai!" tolse definitivamente quella pezza marrone, subito travolto da un'onda d'urto tale da buttare a terra tutti i bidoni in zona, ma non lui. Prese entrambi le mani della ragazzina, iniziando una danza fatta di cristalli e neve: "Cantami una nenia!" urlò, mentre gemiti di dolore e urla di terrore gli uscivano dalle labbra violacee alla sola vista delle sue mani divenire un unico pezzo di ghiaccio.

Fu in quel momento, che Elsa non capì più nulla, tutto parve scomparire: sua madre, suo padre, la sua sorellina Anna, gli abitanti del regno. Persino, quel ragazzino andava a fondersi insieme a quei pensieri confusi e poco concisi.
L'unica cosa che ricordò, fu quella dannata canzone che tanto voleva pronunciare dalle sue labbra. Sentiva chiaramente le particelle di ghiaccio, fluttuare prepotentemente intorno a lei e al bambino, ma non riuscì a capire il perché non riuscisse a proferire nemmeno una parola: nulla, neanche un gemito di dolore o una qualsiasi parola. Cosa la spingeva a stare zitta?

"The snow glows white on the mountain tonight" le prime parole della canzone uscirono, non dalle sue labbra, bensì da quelle del bambino. Esso, sorrise compiaciuto: "È questa la canzone, no?" 

"Eh?" la voce gli ritornò magicamente, ma non se ne accorse neanche: tutte le sue attenzioni andavano per quel ragazzino "Come fai a-"

"Diciamo che, ho studiato. Anche se, illegalmente" gli fece la linguaccia, con un sorriso forzato "Però, se si sbrigasse, signorina, io sarei più felice" un gemito strozzato, spezzò quella bolla di quiete che si era creata ed Elsa dedicò le sue attenzioni al ghiaccio che, spietato, stava prendendo possesso del bambino. Non andava bene, gli stava trasferendo il potere forzatamente e le conseguenze non si sarebbe di certo limitate allo schiarimento dei capelli e a qualche attacco di panico.

"The snow glows white on the mountain tonight
Not a footprint to be seen.
A kingdom of isolation,
and it looks like I'm the Queen
" incominciò la sua nenia e, con uno scintillio, il ghiaccio si spezzò sotto le note di quella canzone. Il dolore sparì, le lacrime si dissolsero nell'aria fredda e un profondo sospiro di sollievo riscaldò l'atmosfera pungente.
Gli attimi che seguirono la canzone fino alla fine furono magici e insostituibili: Elsa sentiva chiaramente il potere scivolargli via dalle dita e spostarsi verso un nuovo contenitore, mentre il biondino si godeva quei attimi di pace e la sensazione del ghiaccio farsi strada in lui, divenne sempre più appagante.

"Let it go, let it go
Can't hold it back anymore!
" il potere passava dalle sue braccia, fino alle punte delle dita facendola sentire più viva. Sentiva come se la canzone avesse spezzato quella barriera di ghiaccio che si era creata intorno al suo cuore, sciogliendo frammento per frammento. Pezzi del suo passato, che da adesso in poi avrebbe dimenticato. 

Da suo canto, il ragazzino percepiva l'opposto: il suo cuore, il suo corpo, la sua mente stavano tutti formando una barriera solida di impenetrabile ghiaccio. Era qualcosa di così surreale, che il bambino ci impiegò un po' prima di accorgersi che non si stava congelando: il suo corpo pulsava ancora linfa vitale, trasmettendo calore ovunque il sangue passasse. Ma c'era qualcosa di diverso: sentiva freddo. Nonostante, il suo fisico bruciasse e le sue mani e la sua fronte sudasse, riusciva solo a sentire un gelido e spaventoso freddo farsi strada nelle sue vene e raggelargli la mente. Si sentì stordito da quella sensazione, ma, ascoltando bene la musica, capì che stavano volgendo al termine.

"The cold never bothered me anyway..."
Il vortico di neve, polvere e cristalli si appiattí di colpo, lasciando solo il segno di un cerchio sul terreno.
Nello stesso momento in cui le mani si staccarono, il ragazzino percepì un brivido percorrergli lungo la schiena: pian piano, stava iniziando a sentire gli effetti della maledizione su di sé. Con la coda dell'occhio riuscì a vedere i capelli color oro farsi sempre più chiari, sempre più grigi. Li toccò, per constatare che quello non fosse un sogno: era tutto vero, l'aveva fatto veramente.
Poteva, riusciva a percepire e a capire un miliardo di cose: le mani non erano mai state così fredde e sentiva chiaramente una strana potenza scaturire da di esse. In un primo momento, si spaventò, ma Elsa ebbe la premura di avvolgerle per evitare altri disastri. Si fissarono per qualche secondo, prima di pronunciare un flebile: "Grazie"  all'unisono e, senza neanche più scambiarsi una parola, si allontanarono certi che le loro vite sarebbero cambiate in meglio.

 ***

In una zona piccola della città, dove sorgevano immensi e scarni campi da coltura, un ragazzino dai capelli color nero pece e dagli occhi grandi e marroni udì l'inconfondibile voce dell'amico farsi strada tra le vie tristi della città.

"Let it go, let it go can't hold it back anymore..."
Sorrise, sperando che venisse presto a prenderlo.
Ma qualcosa cambiò quel giorno, un evento che, per anni e per decenni avvenire, gli abitanti avrebbe ricordato.
Per questo, il giorno 24 novembre venne battezzato come "Crystalize Castle Day"
Perché, dopo che il sole fu tramontato, in lontananza, tutti riuscirono a vedere l'enorme castello stagliarsi fiero sulla montagna. Il mantro bianco della neve non era mai stato così bello come quel giorno: bianco e luccicante, ma colorato velatamente dal riflesso delle pareti di cristallo del castello.
Semplicemente, perfetto.
In cima a questa magnifica struttura, vegliava un bambino dagli occhi cerulei e i capelli argentei. Con un gesto casuale, sistemò il mantello viola che gli era stato regalato.

"Sto arrivando, Yuuri"
Un bambino starnutí, mentre si apprestava a spalare la neve, sollevò lo sguardo e vide il castello: "Dove sei, Victor?"

 
~**~
10 anni dopo...

 
"Sai, Victor..." mormorò Yuuri, dirigendosi verso il balcone trasparente: era il suo preferito, regalava alla coppia una vista meravigliosa della valle.

 
"Cosa?" l'albino seguì a ruota il compagno, abbracciandolo da dietro.

"Mi sono sempre chiesto a cosa ti servisse questo potere. È molto potente, inoltre ti ha lasciato degli effetti collaterali..." prese una ciocca argentea tra il pollice  e l'indice, iniziando a strofinare gentilmente i capelli "...permanenti" sospirò l'ultima parola, quasi non volesse realmente pronunciarla: si ricordava benissimo quell'ammasso di capelli color oro, ricadergli gentili sulle spalle. Amava come la luce riflettesse bene il suo colore vivo, per questo quando l'aveva visto con i capelli privati della loro luce rimase scioccato. 

Rammentava perfettamente quel giorno: durante la notte, si era levata un'anomala bufera di neve. In quei quasi suoi 10 anni di vita, Yuuri non ne aveva mai vista una così forte da far traballare le finestre in vetro spesso. Una volta addormentato, non sentì più nulla. Eccetto il freddo: l'accompagnò fino al risveglio, che fu brusco e improvviso. Venne di prepotenza gettato su un pavimento liscio e freddo, che emanava strani luci. 
Tutto ciò che vide a quel tempo, furono Makkachin, il suo fedele cane, e un Victor tremante dai lunghi capelli argentei. Se inspirava l'aria, riusciva ancora a sentire il profumo dello shampoo che avevano utilizzato quella notte per lavare i capelli a Victor. Se si concentrava, udiva ancora il rumore delle forbici, che, la mattina successiva, avevano iniziato a tagliare quell'ammasso grigio.
E Yuuri si era sempre chiesto: tutto questo casino per cosa? 

Non che gli dispiacesse la vita che conduceva al momento. Al contrario, la amava: amava svegliarsi la mattina, voltarsi nel letto e vedere il suo compagno. Amava come si scambiassero tenerezze ad ogni ora della giornata. Amava il fatto di essere da soli, senza nessuno a giudicarli: finalmente, poteva urlare a quattro venti che adorava la neve senza che venisse picchiato.
Però...a quale prezzo. Trovava insensato che Victor, avesse dovuto fare questo sacrificio solo per poter andare a vivere in cima a questa montagna. Insomma, c'erano molti altri modi per poter fuggire.

"Yuuuuri? Perché il mio Yuuri non mi sta ascoltando?" richiamò l'attenzione, Victor pizzicando dolcemente la pancia: non avrebbe voluto danneggiarla per nulla mondo.

"Ah, scusa Victor! Stavo ripensando a quella notte di 10 anni fa..." si sistemò gli occhiali, nervoso.

"Il passato rimane nel passato, Yuuri" disse secco, non volendo far riaffiorare certi ricordi "Ricordatelo sempre, mi raccomando" baciò la pelle scoperta del collo, l'unico lembo di pelle libero dai vestiti larghi.

Yuuri mugugnò qualcosa, prima di dare voce di nuovo alla sua domanda: "Non mi hai risposto, non fare il furbo! Ti chiedo solo, perché?"

L'albino allentò la stretta dell'abbraccio, avendo cura del ventre del compagno: "Come posso spiegartelo..." picchiettò le dita sulle labbra, con fare pensieroso "Per farla semplice, non avevo altra scelta" buttò fuori tutto d'un colpo, per poi riprendere fiato "Odiavo il fatto che tutti ci discriminassero e mi sentivo debole di fronte a quelle persone che ti picchiavano. Avevano utilizzato il colore dei tuoi capelli e la tua provenienza  come espediente per maltrattarti, e questo non lo sopportavo. Avevo bisogno di forza, di potere: per questo mi sono intrufolato nella biblioteca del palazzo reale per trovare qualcosa, qualsiasi cosa, che mi tornasse utile" 

Yuuri rimase ad ascoltare con grande attenzione e ammirazione verso il compagno: aveva veramente fatto tutto questo solo per il loro futuro? Gli stava raccontando dettagli di cui lui non ne era mai stato a conoscenza, in questi lunghi 10 anni di convivenza.

"Così, venni a conoscenza di questa maledizione del ghiaccio e che, al momento, era la principessa della famiglia reale a fargli da contenitore. Ho fatto tutto ciò, per avere forza, Yuuri, per poter dare a te e a me un futuro migliore. E senza questo potere non sarei mai riuscito a fare tutto ciò" con le mani fece per indicare la struttura di ghiaccio "Avrei pagato qualsiasi prezzo, pur di darti un futuro" schioccò le dita e, istantaneamente, un fiocco di neve comparve dinanzi a loro "E poi, devi ammetterlo, questo potere non è poi così male" affondò il viso tra i capelli morbidi di Yuuri "Ma cosa più importante: per la prima volta nella mia vita, sto facendo quello che ho sempre voluto fare"

"For the first time in forever..." il corvino canticchiò le prime parole di quella canzone, imparata quando era bambino dalla sua famiglia: chissà come stava, adesso? Potevano ricordarsi di lui? Impossibile... Non l'avevano mai considerato loro figlio, quindi non c'era da preoccuparsi. Anche se, ancora adesso, faceva male il pensiero. Ma come dice sempre Victor: il passato resta nel passato. Un invito a guardare il futuro, in poche parole. Ad alzare lo sguardo ed essere fieri della propria vita, di quella che stavano conducendo.

"Victor, posso chiederti un'ultima cosa?" alzò lo sguardo al cielo, ammirando il suo colore che si rifletteva sulle pareti della loro casa.

"Dimmi" si mise ad accarezzare con delicatezza effimera la sua pancia: era diventato proprio un vizio il suo.

"Com'è stato ricevere questo potere?" accompagnò le mani di Victor, su quella superficie leggermente gonfia.

"Orribile" fece per fermarsi, come a chiudere la conversazione, ma riprese subito dopo "Senti il tuo corpo raggelarsi in tutti i punti, la mente ti si blocca e non riesci più a pensare a nulla se non al dolore. Ma, cosa più peggiore, il tuo cuore viene avvolto da uno strato impenetrabile di ghiaccio e, fa male, ha fatto molto male. Non riesci a sentire nulla, né felicità né tristezza né rabbia. Solo un senso di vuoto incolmabile"

"Capisco..." mormorò il corvino, triste. Ma si riscosse subito, girandosi nell'abbraccio "Un momento, ma tu adesso sei felice. Ti senti felice, sei stato anche triste quando mi sono ammalato, ti sei arrabbiato quando Makkachin aveva mangiato dei dolci. Dov'è che ti sentiresti vuoto, adesso?"

Il viso di Victor si illuminò e mutò in un  sorriso talmente spontaneo e sincero, da illuminare ancora di più quella giornata: "Yuuri..." picchiettò con l'indice il centro del petto del compagno, prima di scendere di nuovo ad accarezzare il ventre non più piatto "Il tuo amore mi ha salvato, non lo hai ancora capito?" lo rimproverò dolcemente, prima di chinarsi e stampargli un bacio.

"Cosa?" non capiva "Cosa mi stai cercando-"

"Solo un atto di vero amore può sciogliere un cuore di ghiaccio" lo interruppe l'albino, arruffandogli i capelli scuri "Spero che tu abbia capito, adesso" 
Non venne più detta una parola, i due si avvicinarono solo vicino al bordo del balcone per ammirare il paesaggio: il sole stava lentamente calando, segnando la fine di una giornata e decretarne un'altra. Le luci della capitale si stavano pian piano spegnendo, lasciando spazio alle stelle e alla luna.

Ai piedi della montagna, dentro il castello reale, attraverso i corridoi blu scuro, una ragazza dai capelli biondi, sapientemente raccolti in una treccia, camminava con una lunga vestaglia verso la camera da letto. Sollevò lo sguardo al cielo blu scuro e gli vennero in mente quegli occhi: chissà come stava quel bambino, che il 24 novembre di 10 anni fa aveva salvato la sua vita. Fece scivolare via il pensiero, dedicandosi a qualcosa di molto più importante: dentro il suo corpo stava prendendo vita la più dolce creatura che lei avesse mai sperato di avere. Accarezzò la pancia, troppo felice per non sorridere.
Da sopra la montagna, una coppia di ragazzi stava compiendo lo stesso gesto: entrambi aspettavano impazienti di conoscere il frutto del loro amore.

"Abbiamo deciso il nome, Victor?"
L'albino sollevò il capo, ammirando la neve alzarsi: gli venne in mente quel 24 novembre di 10 anni fa e si domandò come stesse quella ragazzina. Sicuramente bene, ne aveva la certezza.

"Sì..."

"Buono piccolo, tra poco nascerai" parlò da sola Elsa "Non vedo l'ora di vederti..."
 
"Yuki"
"Yuki"

 
 
~**~
 

"E vissero tutti felici e contenti!" esultò piano il padre "Ti è piaciuta la favola di oggi?"
Gli occhioni del bambino si illuminarono ancora di più, se possibile: "È stata fantastica! Me la racconterai di nuovo?" mormorò implorante.

" Ovvio, del resto..." abbracciò il figlio, avvicinandosi all'orecchio della figura che dormiva accanto a loro "Questa è la mia favola preferita" le coperte di mossero e Victor schioccò le dita soddisfatto: Yuuri era stato sveglio per tutto questo tempo.
Nello sfregare le dita tra di loro, involontariamente, generò un altro fiocco di neve, questa volta più grande che si andò a posare sul naso del bambino. Questi arricciò il nasino a punta, prima di starnutire e far sì che il fiocco volasse verso Victor. Ma non proferì parola, anzi, si concentrò con grande impegno sulle sue dita: provò a sfregarle tra di loro, come aveva fatto il padre. Sembrava che si fosse impuntato su qualcosa e, testardo come papà Victor, nulla lo scuoteva. Dopo una ventina di tentativi, una piccola scintilla si fece notare nel buio della stanza.

L'albino sgranò gli occhi, anche se al buio non si vedeva, e chiamò a sé il compagno: "Yuuri, Yuuri, Yuuri!" lo scosse con veemenza, al punto da attirare una bassa protesta dal corvino. Il suo viso, mezzo sveglio mezzo assonnato sbucò da sotto le coperte: "Cosa c'è, Victor?"

"Guarda..." indicò il loro figlioletto.

Questi continuò a schioccare le dita, finché un piccolo fiocco di neve non volteggiò in aria leggero. Si andò a posare sul dorso della mano di Yuuri, dove si sgelò istantaneamente: il ghiaccio era stranamente tiepido, piacevole al tocco: "Oh.." mormorò.
Victor sorrise calorosamente, lasciando che una lacrima di felicità scivolasse via sulla sua guancia: "La sua prima magia..."
 ***
~Non c'è amore migliore di quello che ti riscalda il cuore e ti scioglie il ghiaccio al suo interno. C'è amore migliore quando quel calore ti fa sentire a casa~

 

Note dell'autrice
Fiuu! Ammetto che questa è stata la fanfiction più difficile da scrivere: ho cercato di documentarmi al meglio sulle citazioni del film e prendere quelle più belle e significative. Non volevo scrivere una storia che seguiva passo per passo gli eventi del film, ma al contempo volevo dare spazio sia ai nostri protagonisti sia ai personaggi di Frozen: in conclusione. un bel casino XD
Questo è ciò che ha partorito la mia mente malata: spero sia di vostro gradimento T T
Ringrazion supersara per aver indetto questo bellissimo contest e per la libertà che ci ha dato a noi scrittori. Inoltre, il tempo a disposizione per scrivere le storie era molto lungo e questo non poteva che giocargli a favore.
Volevo fare alcune precisazioni sulla storia, ove di evitare domande o fraintendimenti:
-il nome della valle (Neveah) non l'ho scelto perchè volevo "spammare" il mio profilo Wattpad, né l'ho scelto perchè mi piace sentirmi importante. Anzi, tutto il contrario, il mio nickname su Watty l'ho "rubato" dalla mia storia!
-il nome del figlio di Elsa e Victor/Yuuri (Yuki), anche qui, non l'ho scelto perchè è il mio nickname: semplicemente, Yuki, significa "neve" in giapponese e mi sembrava il più azzeccato tra quelli che avevo in mente.
Detto questo, spero solo di non aver fatto troppi errori grammaticali/di battitura e che la storia sia coerente e il più affidabile possibile alla favola da me scelta!
Yuki 






 
 
   
 
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