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Autore: Emmastory    07/04/2017    3 recensioni
Anche se il tempo continua a scorrere, le cose nell'un tempo bella e umile Aveiron sembrano non cambiare. La minaccia dei Ladri è ancora presente, e una tragedia ha ora scosso l'animo dei nostri amici. Come in molti hanno ormai capito, quest'assurda lotta non risparmia nessuno, e a seguito di un nobile sacrificio, la piccola ma coraggiosa Terra sembra caduta in battaglia, e avendo combattuto una miriade di metaforiche e reali battaglie, i nostri eroi sono ora decisi. Sanno bene che quest'assurda e sanguinosa guerra non ha ancora avuto fine, ma insieme, sono convinti che un giorno riusciranno a mettere la parola fine a questo scempio, fatto di sangue, dolore, fame, miseria e violenza. Così, fra lucenti scudi, affilate spade e indissolubili legami, una nuova avventura per la giovane Rain e il suo gruppo ha inizio. Nessuno oltre al tempo stesso sa cosa accadrà, ma come si suol dire, la speranza è sempre l'ultima a morire.
(Seguito di: Le cronache di Aveiron: Miriadi di battaglie)
Genere: Avventura, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Le cronache di Aveiron'
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Capitolo XXXIV

Il gioco delle colpe

Sei mesi. Questo l’esatto lasso di tempo che Soren e Samira avevano aspettato prima di vedere il loro piccolo Isaac venire al mondo. L’avevano atteso con grande ansia, e benché entrambi fossero davvero felici di aver assistito ad un vero e proprio miracolo, erano anche tristissimi. Sapevano che il loro piccolo aveva fatto il suo ingresso nel mondo e cominciato il viaggio legato all'esistenza, e ne erano felici, ma la loro tristezza era comunque comprensibile. Secondo il dottor Patrick, quel povero neonato doveva aver sofferto tanto quanto la madre, e una singola frase continuava a tornare in mente a tutti quanti. "Forse ce la farà." Aveva detto il dottore, poco prima che Samira fosse davvero pronta a darlo alla luce. Forse. La parola che portava ogni persona a dubitare, e che in un caso del genere, non avremmo mai voluto sentire. In fondo, non si trattava che di un neonato, o come dicevano sia Soren che Samira, una piccola vita che andava protetta e non distrutta. Ad ogni modo, Il sole splendeva anche se nascosto da alcune leggere nuvole, ma nonostante tutto, nessuno di noi era in vena di guardarlo brillare e mostrare l’immensa potenza dei suoi raggi. Samira aveva partorito da poco, e con lo sguardo fisso sulla porta della sua stanza d’ospedale ora chiusa, non faceva che piangere, singhiozzando disperata. “Che è successo? Dov’è il piccolo?” chiesi, confusa e stranita. “Ce l’hanno portato via.” Mi rispose Soren, con lo sguardo basso e profondamente mesto. “Cosa? Com’è possibile?” azzardò Terra, sempre tenera e innocente. “Nonno si è subito accorto che stava male, e l’ha fatto perché così starà meglio.” Le risposi, tentando di porle la questione in termini semplici e a lei comprensibili. “Ne sei sicura? Continuò poi, con la voce corrotta da un dolore che non riusciva a nascondere. “Certo. Lui è un bimbo forte, proprio come te.” Stavolta fu suo padre a parlarle, abbassandosi al suo livello e quasi inginocchiandosi di fronte a lei. “Mi fido di nonno, ma ho paura.” Aggiunse poco dopo, iniziando a tremare quasi inconsapevolmente. “Non averne, starà bene.” La rassicurai, posandole una mano sulla spalla. “La mamma ha ragione, ora va a giocare con Rose e Ned.” Le consigliò suo padre, sperando con quelle parole di riuscire a distrarla e farle passare la paura. “Non mi va.” Fu la sua sola risposta, che diede sedendosi sull’unica sedia libera e presente in quell’arida stanza. Fatto ciò, Terra incrociò le braccia, e fissando lo sguardo sul pavimento, non disse una parola. Poco dopo, qualcuno bussò alla porta, e con il fiato sospeso, la vidi aprirsi. Era il dottor Patrick. Sua moglie Janet era con lui, e l’espressione sui loro volti non tradiva che tristezza e dolore. “Ho alcune notizie da darvi.” Disse, rivolgendosi ai nostri cari amici ora neogenitori. “La prego, ci dica tutto, dottore. Come sta il nostro bambino?” la domanda di Soren fu veloce ma ovvia, e mantenendo il silenzio, il sapiente dottor Patrick non disse nulla, andando forse alla ricerca dei termini più giusti per formulare una risposta. Il silenzio cadde quindi nella stanza, e dopo un tempo che nessuno di noi fu in grado di definire, una singola frase ci gelò il sangue nelle vene. “È in terapia intensiva, e tutto ciò che possiamo fare è pregare.” Queste le parole pronunciate dalla dottoressa Janet, che in quel momento aveva preso il posto del marito. A sentire quella risposta, Samira scoppiò ancora a piangere, più triste e sconvolta di quanto già non fosse. Provando pena per lei, mi avvicinai per abbracciarla e tentare di darle conforto, e intuendo il mio volere, lei mi lasciò fare. Piangeva, ed io non sapevo come comportarmi, così agii d’istinto. In completo e perfetto silenzio, lasciai che si sfogasse fra le mie braccia, e non appena anche suo marito le fu accanto, decisi di parlare. “Ragazzi, io conosco il dottor Patrick. Mi ha aiutata a dare alla luce Rose e Terra, e se loro sono qui è solo grazie a lui, perciò fidatevi. Isaac ce la farà.” Dissi, riuscendo inaspettatamente a far nascere nei loro cuori colmi di ferite una nuova speranza. “Lo pensi davvero?” mi chiese Samira, tirando su col naso e guardandomi con occhi lucidi di pianto.” “Non mentirei mai su una cosa del genere.” Le risposi, sorridendo apertamente. “Grazie di tutto, Rain, davvero.” Mi disse poi Soren, ricambiando il sorriso. “È stato un piacere, Soren.” Risposi, stringendolo in un delicato abbraccio che gli infuse una profonda sensazione di calore. Poco dopo, il nostro abbraccio si sciolse, e guardando velocemente fuori dalla finestra, notai che il sole era ormai prossimo a tramontare. Era pomeriggio inoltrato, e spostando lo sguardo su Stefan, notai che era del mio stesso avviso. “Credo sia ora di andare.” Azzardai, prendendo la mano di Stefan e tentando di guadagnare la porta d’uscita. “Rain ha ragione, ragazzi. Il vostro piccolo starà bene, e potrete fargli visita quando vorrete.” Rispose il dottor Patrick, agendo da moderatore e convincendo i miei amici a lasciare l’ospedale. Ovvio è che Samira non se la sentisse, ma con un pizzico di insistenza, riuscii a farla ragionare. In fin dei conti, Isaac sarebbe rimasto in buone mani, e come loro, io mi fidavo. Anche se lentamente, riuscimmo a tornare tutti a casa, ma quella notte, Soren e Samira ci chiesero ospitalità. Conoscendo la loro attuale situazione, Stefan ed io non ce la sentimmo di negargliela, proponendo loro di dormire nella camera degli ospiti. Come Samira mi aveva detto, lei e suo marito non se la sentivano di dormire nella stessa casa in cui avrebbero accolto il frutto del loro amore. Un gesto dettato dal dolore, che ad essere sincera, comprendevo perfettamente. Poco dopo, andai a dormire, pur non riuscendo a prendere sonno. Difatti, non sentii altro che i pianti di Samira, e svegliandomi, decisi di provare ad aiutarla e lenire le sue pene. “Samira, coraggio, ne abbiamo già parlato,e  devi fidarti. Isaac ce la farà, tranquilla.” Le dissi, dopo averla invitata a sedersi in cucina a bere una buona tazza di tè. Bevanda calda e dal gusto pressoché inconfondibile, che per qualche arcana ragione mi aiutava a rilassarmi, e che speravo avesse lo stesso effetto su di lei. “Tu non lo capisci, Rain, è colpa mia! Disse, ricominciando a piangere  e singhiozzare cadendo preda dei suoi ora cupi sentimenti. “No, non è vero. Non dire così.” L’ammonii, non facendo altro che provare a calmarla. “Invece è vero eccome! Pensaci, se non avessi preso quelle maledette pillole ora Isaac sarebbe qui con noi, non in ospedale!” mi rispose, con la voce ancora corrotta dal pianto e gli occhi incredibilmente lucidi. A quelle parole, mi sentii oltraggiata,e  sentendo una seppur immotivata rabbia crescermi dentro, non riuscii a tenere a freno la lingua, pronunciando una frase alla quale io stessa non riuscii a credere. “No, sei tu a non capire. Ti sbagli, e lo sai bene. È solo grazie alle pillole se sei qui, d’accordo? Se non le avessi prese e non avessi provato a curarti, io non avrei un’amica, e Soren non avrebbe una moglie! Riesci a capirlo?” finii per gridare, alterata da quella sua risposta così inaccettabile. Ero stata dura, avevo esagerato e lo sapevo, ma non ero riuscita a fermarmi. Volevo davvero bene a Samira, e benché sapessi che voleva semplicemente vivere accanto a suo marito e tenere fra le braccia il suo amato bambino, non potevo andare avanti sapendo che in qualche modo entrambi i miei migliori amici passassero i loro giorni giocando al gioco delle colpe.
   
 
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